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Bisogna scegliere PDF Stampa E-mail

16 Ottobre 2024

 Da Rassegna di Arianna dell’11-10-2024 (N.d.d.)

Mi chiedo a volte se sia giusto prendere posizioni così nette, come spesso mi capita di fare, sulle guerre in Ucraina e nel Medio Oriente. In fondo, le ragioni e i torti, nelle vicende umane, non si dividono mai con l’accetta. Inoltre, quando un conflitto si strascina per molto tempo, i contendenti tendono sempre più a rassomigliarsi. Al riguardo non dobbiamo farci molte illusioni:  chi ha ragione può commettere, durante una guerra, brutalità simili o anche peggiori a quelle di chi ha torto. E allora, se le cose stanno così, non sarebbe preferibile assumere un atteggiamento più defilato, simile a quello, per esempio, della sinistra pacifista, che non sta né con Putin né con Zelensky, né con Israele né con Hamas?

Mi sono posto più volte una tale domanda e sono giunto alla conclusione che questa posizione salomonica, che in passato è stata anche la mia, serva a salvarsi la coscienza ma  sia politicamente sbagliata. Talvolta finisce persino  col portar acqua al mulino del bellicismo. Purtroppo il momento storico in cui ci è capitato di vivere obbliga tutti a prendere posizione. Non si tratta - su questo voglio essere chiaro - di scegliere i buoni contro i cattivi. I buoni  non esistono: Putin non è un agnellino; la Russia, la Cina e l’Iran non sono un paradiso in terra né modelli a cui ispirarsi, ma dei regimi colmi di difetti. La questione però è un’altra.

L’Occidente sta vivendo una crisi drammatica. Le sue classi dirigenti sono in preda a un delirio nichilistico che le porta ad assumere una postura aggressiva verso tutto e tutti. Stati, religioni, ideologie, comunità, famiglie  vengono ridotti ad involucri senza sostanza. Anche la democrazia politica è ormai diventata un puro nome. L’oligarchia dominante instaura una nuova forma di dispotismo che, diversamente dalle dittature novecentesche, non si rivolge alle grandi masse, ma agli individui isolati. Laddove il vecchio totalitarismo puntava a un’unità artificiale attorno al leader carismatico, il nuovo totalitarismo mira alla parcellizzazione estrema del corpo sociale. Incapace di costruire esso sa solo distruggere e censurare. La cancel culture è ciò che meglio lo rappresenta. Questi gruppi dirigenti sono numericamente esigui (a livello globale si tratta al massimo un milione di persone) ma dispongono di risorse economiche  illimitate. Sono radicati soprattutto nei paesi anglosassoni, ma hanno importanti ramificazioni in ogni angolo del mondo. Non sono in grado di fornire alcuna risposta credibile ai problemi del nostro tempo, ma,  pur di conservare il potere, sono pronti ad aprire in continuazione nuovi fronti di guerra.

Sarebbe stato auspicabile che dal seno stesso dell’Occidente fossero sorte  delle forze capaci di opporsi con efficacia a questa perversa oligarchia, ma purtroppo non è avvenuto. La sorte ha fatto sì che a svolgere questa funzione siano stati la Russia, la Cina e l’Iran. Per ragioni che risalgono alla loro storia, i popoli di questi paesi, diversamente dagli europei e dagli americani, non sembrano disposti a farsi cancellare.  La sconfitta della Russia, della Cina e dell’Iran significherebbe una vittoria per l’oligarchia. Forse quella definitiva. Il mondo verrebbe finalmente unificato azzerando tutte le identità culturali e rendendo gli uomini degli atomi isolati in competizione coi loro simili. Una sconfitta dell’Occidente aprirebbe la strada ad un mondo multipolare pieno di problemi e ingiustizie, ma dove si danno ancora dei margini di manovra per il cambiamento.

Può non piacere, ma le cose stanno così. Bisogna decidere da che parte stare. Per quanto mi riguarda, io ho fatto la mia scelta.

Silvio Dalla Torre

 
L'Occidente e il Nulla PDF Stampa E-mail

14 Ottobre 2024

 Da Rassegna di Arianna del 12-10-2024 (N.d.d.)

L’Occidente ha distrutto le basi su cui è poggiato: la cristianità, lo Stato sovrano, la civiltà del diritto, il pensiero critico e la storia. Non è più la guida del mondo, è disfattista al suo interno e bellicoso all’esterno, crede di salvarsi con la forza delle armi e l’uso intermittente dei diritti dei popoli e delle nazioni. Ha perso l’intelligenza del reale, la capacità di capire il mondo e la vita, abdicando in favore di un individualismo radicale asservito alla tecnica e alla finanza. Ha perduto il pensiero critico che sa distinguere e il pensiero fondativo che sa generare.

Ho letto e condiviso La sconfitta dell’Occidente di Emmanuel Todd, edito da Fazi, e ricaverò dalla sua impietosa analisi alcuni spunti decisivi per comprendere lo stato delle cose. Todd è uno storico, antropologo e sociologo francese, autore di libri importanti. Infilarsi nel conflitto russo-ucraino e anzi favorirlo, appoggiarlo, parteciparvi è stato per Todd l’errore fatale dell’Occidente; la Russia è rimasta stabile, non cederà sull’Ucraina, che sta perdendo, come ha avuto il coraggio di dire Viktor Orban al Parlamento europeo. Appiattita sulla Nato e sugli Stati Uniti l’Europa sta offrendo lo spettacolo di “un suicidio assistito”. Mentre il resto del mondo preferisce sempre più chiaramente la Russia all’Occidente ai piedi degli Usa. Todd fa un paragone storico interessante: “la Russia comunista aveva trovato un alleato nel proletariato occidentale, quella divenuta oggi conservatrice troverebbe ancora i propri alleati nelle classi operaie dell’Occidente, divenute anch’esse conservatrici (più che populiste o di estrema destra)”. L’asse Washington-Londra-Varsavia-Kiev è oggi la direttrice principale del potere americano in Europa. Inoltre, a suo parere, l’opera di macelleria compiuta a Gaza dallo Stato d’Israele, soprattutto con armi americane, e accettata dall’Europa, ha spinto l’intero mondo islamico, Turchia e Iran inclusi, dalla parte dei russi. Per non dire degli altri fronti aperti. Todd sottolinea che “l’immoralità dell’Occidente di fronte alla questione palestinese non ha fatto altro che rafforzare l’ostilità del Resto del mondo”.

L’Ucraina che l’Occidente vorrebbe adottare, con la sua indipendenza nel 1991 – dopo secoli di appartenenza alla Russia prima zarista e poi sovietica- aveva perduto già prima della guerra milioni di abitanti per via dell’emigrazione, dominata dagli oligarchi e dalla corruzione, al punto da sembrare un paese in vendita con un potere che elimina il dissenso, la stampa non allineata e i gerarchi caduti in disgrazia con metodi non migliori di quelli russi. La scomparsa della nostra capacità di concepire la diversità del mondo, nota, ci impedisce di avere una visione realistica della Russia.

Osserva Todd che l’ipotesi di una ripresa militare-industriale degli Stati Uniti è da escludersi in forza della scarsità di ingegneri a loro disposizione, rispetto ai russi (e ai cinesi) e per la loro predilezione per la produzione di denaro anziché di macchinari. Il collasso morale e sociale deriva a suo dire dal collasso del protestantesimo, che rende irreversibile il declino americano e apre gli Usa e l’intero occidente al destino del nichilismo. Da allievo di Max Weber osserva che, se il protestantesimo è stato la matrice del decollo dell’occidente e del capitalismo, ora è la sua morte a causarne la dissoluzione. Intanto lo stato-nazione si dissolve e trionfa la globalizzazione; gli individui sono ormai privi di qualsiasi credenza collettiva. Il collasso della religione ha spazzato via il sentimento nazionale, l’etica del lavoro, il concetto di una morale sociale vincolante, la capacità di sacrificarsi per la comunità. Todd distingue altre fasi prima di giungere allo “stadio zero” della religione dove i valori non contano più e ne attesta l’avvento attraverso l’osservazione di pratiche cadute velocemente in disuso nei battesimi, nei decessi, nella partecipazione alle funzioni domenicali, ma soprattutto con l’equiparazione tra i matrimoni omosessuali e quelli tra uomo e donna.

Ci era stato prospettato che l’individuo sarebbe stato più grande una volta liberato dal collettivo e dai legami sociali; invece è accaduto il contrario: l’individuo, dice Todd, può essere grande solo all’interno e attraverso una comunità. “Stiamo diventando una moltitudine di nani mimetici che non osano più pensare con la propria testa ma che si dimostrano capaci di intolleranza tanto quanto i credenti di un tempo”. Ci è rimasto il bigottismo intollerante, non l’uso dell’intelligenza critica. Attualmente, rileva Todd, l’Europa si trova impegnata in una guerra contraria ai suoi interessi e autodistruttiva; l’Unione Europea è scomparsa dietro la Nato, oggi più che mai asservita agli Stati Uniti, con un tasso di ubbidienza prossimo al 100%, in un clima totalitario. La Russia, nota, non rappresenta alcuna minaccia per l’Europa occidentale: in quanto potenza conservatrice, oggi come ai tempi del Congresso di Vienna, nel 1815, il suo desiderio è di creare una partnership economica con l’Europa, in particolare con la Germania. È nel suo interesse avere una sponda europea.

L’Unione appare a Todd un sistema pesante e complesso, ingestibile e letteralmente irreparabile; “il lato oscuro del desiderio sarebbe che la guerra liberasse l’Europa da se stessa”. Del resto, una nazione è un popolo reso cosciente da un credo collettivo e una élite che lo governa in base a tali convinzioni. Restano solo i popoli. E conclude notando che nell’era della religione zero, cresce un bisogno primario di violenza. Da qui la diagnosi che ho inevitabilmente riassunto: l’Occidente è affetto da nichilismo che è rifiuto della realtà, bisogno di distruzione di sé e degli altri, negazione della verità e di ogni comprensione ragionevole del mondo. L’analisi è tranchant, forse troppo, anche se supportata da molti dati e da argomentazioni convincenti.

A mio giudizio non si tratta di tornare indietro, impresa impossibile, e nemmeno di arrendersi ai regimi autocratici, teocratici e dispotici, e adattarsi ai loro inaccettabili modelli. Si tratta, invece, di pensare il nuovo, il sacro, la sovranità, il legame sociale, a partire dal rapporto tra élite e popolo, con le prime ormai ridotte a oligarchie autoreferenziali e i secondi a massa globale. E di darsi una missione, compatibile con la realtà e le eredità della civiltà. “La sconfitta dell’occidente” di Todd rischia di rientrare nel fiorente filone apocalittico che da un secolo a questa parte annuncia il tramonto dell’Occidente. Ma aiuta al risveglio brusco dal sonno della ragione, che genera mostri e spinge l’avanzata del nulla in Occidente. Il nulla armato.

Marcello Veneziani

 
Un po' di conti PDF Stampa E-mail

12 Ottobre 2024

 Egitto, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Russia, Brasile, India, Cina e Sudafrica. Questi i Paesi già nel blocco BRICS. Paesi che hanno chiesto l'ingresso: Turchia, Cuba.

Facciamo due conti? Quanto rappresentano questi Paesi a livello di PIL mondiale e di popolazione mondiale? PIL COMPLESSIVO DEI PAESI BRICS (NOMINALE) circa 31.000 miliardi dollari. PIL COMPLESSIVO PPA (a parità di potere d'acquisto) circa 56.000 miliardi di dollari. Senza andare a impelagarci in calcoli complicati diciamo che rappresentano circa fra il 40% e il 50% del PIL dell'intero pianeta.

Quanto rappresenta a livello di PIL l'Occidente? PIL COMPLESSIVO OCCIDENTE (NOMINALE) (USA+UE+GIAPPONE+ AUSTRALIA+COREA) circa 49.500 miliardi di dollari. PIL COMPLESSIVO PPA CIRCA 41.000 MILIARDI DI DOLLARI.

Confrontando i dati e con la debita prudenza potremmo dire che i due blocchi si equivalgono. Il resto del mondo rappresenta circa un quinto del PIL complessivo mondiale. Generalizzando molto e facendo medie ponderate fra PIL nominale e PIL PPA potremmo comporre questo schema: Occidente 40%. BRICS 40%. Resto del mondo 20%.

Facendo il calcolo della popolazione i conti sono molto più semplici e potremmo dire che gli abitanti del mondo sono in percentuale: Occidente 12,8%. BRICS 49,2%. Resto del mondo 38%. Volendo leggere questi numeri analiticamente potremmo dire che gi occidentali sono ricchi ma pochi, i BRICS meno ricchi ma tanti e il resto del mondo abbastanza povero ma anche loro non pochi. L'occidente rappresenta una minoranza dal punto di vista etnico, ma anche una minoranza dal punto di vista economico. Non è più il tempo del colonialismo ottocentesco dove l'Europa si ergeva sovrano su tutto e tutti. Oggi è purtroppo un'appendice degli USA, relativamente ricca ma in pieno declino come gli stessi USA sono in declino politico e probabilmente e presto in pieno declino economico.

Altre letture della situazione sono abbastanza peregrine. In questo contesto storico cosa bisognerebbe fare come europei? A mio parere: Sganciarsi dalla nave USA che è in procinto di affondare e se affonderà porterà appresso tutti i suoi co-naviganti. Costituire una propria forza militare adeguata sostenere il complesso economico. Definire una volta e per tutte il proprio assetto politico. O un''Europa unita vera, nella forma di federazione, confederazione, ma in ogni caso con una unità politica vera. In alternativa rinunciare alla UE. Centinaia di Paesi al mondo vivono e prosperano senza appartenere a nessun blocco ma curando i propri affari nazionali. Non vedo perché non possano farlo alcune delle più grandi economie del mondo.

L'Unione Europea sognata da alcuni nel secolo scorso non mi sembra sia all'orizzonte. Quello che abbiamo sotto gli occhi oggi è un coacervo di interessi guidati da Germania e Francia senza un obiettivo comune e senza alcuna forma di unità vera e senza alcun futuro. Da rifare dalle fondamenta oppure da buttare a mare. Senza altra alternativa. Il progetto per com'è adesso è un fallimento e prima ce ne rendiamo conto e meglio è. Il primo passo, assolutamente necessario, è liberarsi dall'influenza americana. Con gli USA non si va da nessuna parte.

Carlo Coppola

 
Escalation harakiri PDF Stampa E-mail

10 Ottobre 2024

 Da Rassegna di Arianna del 5-10-2024 (N.d.d.)

Sin dai suoi esordi, lo stato di Israele ha sviluppato un principio strategico sul quale ha sostanzialmente fondato se stesso: il solo modo per sopravvivere in una terra rubata, circondata dalle genti a cui era stata sottratta, è imporsi col terrore. A questo principio si è sempre ispirato lo stato ebraico, ma nel corso delle guerre contro i paesi arabi vicini è divenuto una vera e propria strategia militare - e quindi anche politica. L’applicazione operativa di questa strategia del terrore, formulata come vera e propria dottrina di guerra, è stata l’annichilimento del nemico, attraverso l’applicazione di una violenza spropositata ogni qualvolta questi manifestava intenzioni ostili. Ovviamente, una siffatta dottrina strategica non poteva che intrecciarsi - in un reciproco alimentarsi - con il suprematismo religioso e pseudo-razziale del sionismo. Considerare gli arabi come “animali umani” (quali li definiva ancora un anno fa il moderato ministro della difesa Gallant) rendeva infatti possibile cancellare qualsiasi remora morale. Quello che non avevano previsto, coloro che immaginarono e formalizzarono questa particolare idea di guerra senza limiti, è che seppure prevedesse appunto la cancellazione di ogni limite etico e morale (oltre naturalmente quelli previsti dal diritto internazionale), essa invece ne conteneva in sé uno insuperabile, che avrebbe condotto prima o poi all’autodistruzione. Il presupposto indispensabile, affinché questa dottrina risultasse eternamente valida, era infatti che i nemici dello stato ebraico fossero sempre - militarmente - in una condizione di inferiorità. Solo così essa poteva funzionare. Instillare nel nemico la certezza che qualsiasi tentativo di modificare i rapporti di forza sarebbe stato schiacciato, richiedeva che il nemico interiorizzasse la certezza di questa reazione violenta. La deterrenza strategica israeliana, in effetti, non si è basata semplicemente sulla superiorità militare (del resto in buona misura dipendente dal supporto esterno degli Stati Uniti), quanto dalla misura in cui questa veniva esercitata. La deterrenza di Israele, insomma, è sempre stata fuori misura, decuplicata. Se mi dai una spintarella, ti sparo; se mi spari, faccio esplodere la tua casa con tutta la tua famiglia all’interno.

Tutto ciò ha funzionato per circa settant’anni. Ma, ad un certo punto, sono accadute due o tre cose. Innanzi tutto, la Resistenza palestinese - storicamente laica - ha virato verso una sempre maggiore influenza religiosa: il jihad, l’idea del martirio, hanno fornito non soltanto una motivazione ancora più forte, ma anche la capacità di accettare un costo maggiore, persino estremo, ed accoglierlo come un dono. D’altro canto, non solo la lunghissima negazione di ogni diritto per la popolazione palestinese, ma anche la spropositata violenza con cui è sempre stata trattata, ad un certo punto sono traboccate, superando la soglia dell’umana sopportazione. E, infine, l’apparire sulla scena dell’attore politico iraniano (e l’azione di costruzione dell’Asse della Resistenza, soprattutto ad opera del generale Soleimani) hanno cambiato i termini dell’equazione.

Il 7 ottobre 2003, l’operazione Al Aqsa Flood dimostra che i palestinesi, nonostante la soverchiante potenza militare israeliana, non hanno più alcun timore di sfidarla apertamente (il che ovviamente significa che la deterrenza ha perso il suo potere; e per ristabilirlo, la reazione deve essere immensamente sproporzionata). Con le due operazioni True Promise, poi, l’Iran non ha semplicemente sfidato la potenza militare israeliana, ma ha dimostrato che ormai questa è in buona misura una tigre di carta, e che la sua supremazia è in effetti ormai un ricordo del passato. La combinazione di questi fattori ha determinato la situazione in cui si trova oggi Israele, e ne determina lo sviluppo futuro.

Il tentativo di ripristinare la deterrenza nei confronti della Resistenza palestinese, che si è tradotta nella più violenta, vasta ed intensa guerra contro un’intera popolazione dell’era contemporanea, è chiaramente fallito. Così come è fallito quello di imporla all’Iran. Per la prima volta nella sua storia, lo stato ebraico si trova nella condizione che per poter avere ragione dei suoi nemici necessita non soltanto del supporto, ma del coinvolgimento diretto degli USA. Ma, soprattutto, avendo questa impostazione strategica fondata sull’esagerazione, si ritrova ad avere margini di manovra ristrettissimi. Naturalmente, infatti, partire da un livello molto elevato di violenza, si traduce nel fatto che un’eventuale necessità di escalation arriva rapidissimamente a livelli insostenibili. Subito dopo gli attentati terroristici di massa in Libano, ad esempio, scrissi che così facendo per poter alzare eventualmente il livello di pressione avrebbero dovuto uccidere Nasrallah. Cosa che in effetti Israele ha fatto, solo pochi giorni dopo. Ma, come è evidente, se questo livello si rivela - come in effetti è - insufficiente a conseguire i risultati sperati (cioè, a ripristinare la deterrenza, oppure a trascinare il nemico in un conflitto con gli Stati Uniti), non restano però molte mosse per alzarlo ulteriormente - mentre il nemico iraniano, che agisce con estrema lucidità, ha ancora numerose possibilità di escalation, prima della soglia massima.

In termini pratici, ciò significa che Israele si trova nella situazione di avere poche carte da giocare, e poi non avrà altre possibilità a propria disposizione. Quali che siano le mosse successive (assassinare Khamenei? attaccare i siti nucleari iraniani? lanciare armi nucleari tattiche?), le possibilità di escalare sono ormai limitate. E quando raggiungi il limite delle tue possibilità, e non hai ottenuto ciò che volevi, hai perso. A quel punto, non importa cosa succede nell’immediato, perché da quel momento in poi non solo non ha più alcun potere deterrente, ma sei di fatto soggetto al potere dei tuoi nemici. In pratica, ti sei suicidato con le tue mani.

Enrico Tomaselli

 
Collasso occidentale e strutture sovranazionali PDF Stampa E-mail

8 Ottobre 2024

 Da Rassegna di Arianna del 7-10-2024 (N.d.d.)

L’ultimo libro dello storico e antropologo Emmanuel Todd “La Sconfitta dell’Occidente”, è calato sul dibatto odierno come un lampo che sopraggiunge di colpo a squarciare il buio della notte. Ciò è stato dovuto alla statura dell’autore francese che – noto per aver predetto con diversi anni di anticipo sia il crollo dell’URSS che la crisi finanziaria in USA del 2007-2008 – ha assunto un’autorevolezza tale da far sì che in questi giorni anche i media mainstream siano costretti a rendere conto della tesi contenuta nel libro. Suddetta tesi può essere sommariamente riassunta nel seguente modo: nel mondo occidentale – e in particolar modo nella parte anglosassone di quest’ultimo – si sono dissolti irreversibilmente gli stati-nazione; nel momento in cui sono venute meno la religione nonché le ideologie di massa preposte a sostituire quest’ultima, infatti, si è parimenti dissolta ogni genere di coesione sociale e si è quindi giunti a una condizione di nichilismo pieno e conclamato che sta portando, oggi, al collasso della civiltà occidentale; questo significa che – per le ragioni suddette nonché per molte altre che vanno dall’economia politica all’antropologia – l’attuale conflitto tra l’Occidente e la Russia sarà certamente vinto da quest’ultima; o meglio: l’Occidente è destinato a perdere in quanto da molto tempo sottoposto a una dinamica endogena di auto-distruzione.

A coloro che, come il sottoscritto, da diversi anni ricercano un nuovo paradigma di pensiero critico esteriore alla diade categoriale destra-sinistra, il libro di Todd offre numerose conferme. Pur non intendendo superare suddetta diade e, anzi, mostrando ricorrentemente di volersi mantenere all’interno del perimetro progressista, l’autore enuncia e pone al centro della propria riflessione non pochi dei temi che negli ultimi quindici anni sono stati dibattuti all’interno delle aree politiche sovraniste e/o del cosiddetto dissenso (ma anche e in parte da filosofi marxisti eretici come Costanzo Preve). Il libro offre altresì un’analisi approfondita e basata su dati scientifici riguardo alle condizioni della Russia e dell’Ucraina ma, in questa sede, mi limiterò a riportare i punti salienti che riguardano i paesi occidentali.

In primo luogo, in questo testo trova conferma la tesi inerente al come la Morte di Dio rappresenti oggi, per l’Occidente, una condizione irreversibile. La religione è infatti passata dallo stadio vitale delle epoche passate a uno stadio-zombie che ha caratterizzato la maggior parte del XX secolo: essa ha continuato a sussistere nel Novecento, cioè, come etica e come consuetudine antropologica pur essendo venuta meno la coscienza d’un piano metafisico nella vita quotidiana. Si è poi giunti all’attuale stadio zero, ovvero a una cancellazione completa della sfera religiosa (e sacrale, aggiungo io); tale processo non lascia intravedere, per il ravvisabile futuro, alcun segnale d’un successivo “risveglio”. In secondo luogo, Todd conferma come le ideologie politiche di massa abbiano semplicemente tentato di sostituire la funzione di collante ch’era propria della religione ma – a mano a mano che in Occidente andavano dissolvendosi i legami famigliari e l’intero corpo sociale veniva sottoposto a un processo di progressiva atomizzazione individualistica – alla fine anche queste sono venute meno ed è rimasto, così, il dominio del Nulla. Il ritrarsi della sfera sociale e delle soggettività di massa, d’altro canto, ha lasciato campo libero alle élite neoliberiste e ha reso quindi possibile la trasformazione integrale delle democrazie liberali in oligarchie liberali.

Il recente identificarsi della cultura occidentale nel suo complesso con l’agenda LGBT e con il transgenderismo, ha acuito la dissoluzione già in atto dei legami comunitari perché ha relativizzato – e dunque e in definitiva neutralizzato – riti di passaggio fondativi come il matrimonio nonché un cardine antropologico generale quale la diade uomo-donna. La propaganda in favore del transgenderismo ha generato, quindi, un senso di rigetto che ha interessato all’interno dei paesi occidentali le masse proletarie e quella che in lavori precedenti Todd ha chiamato la “massa atomizzata”, ovvero il ceto medio sottoposto negli ultimi decenni a proletarizzazione crescente; all’esterno e specularmente, analogo rigetto si è manifestato da parte del Sud del mondo. Pertanto, avendo espresso la Russia esplicito contrasto a Gender Studies e dintorni, secondo Todd è anche grazie a tale aspetto ch’essa è riuscita, negli ultimi anni, ad acquisire un rinnovato soft power internazionale.

Per quanto riguarda l’Europa, rimane un mistero come sia stato possibile che le oligarchie al comando di quest’ultima abbiano potuto scegliere dapprima, rompendo i legami economici con la Russia, di andare contro i propri interessi; poi, annunciando di voler proseguire la guerra anche in caso di disimpegno americano, di volgere addirittura verso la propria distruzione. Rispetto a quest’enigma, dopo aver facilmente liquidato la tesi dei governi europei sui presunti intenti russi d’invasione del continente, l’autore pone un’ipotesi di taglio psicosociale: talmente generalizzato e radicale è stato il fallimento dell’ibrido istituzionale chiamato Unione Europea, che i governanti sembrerebbero inconsciamente puntare a una precipitazione catastrofica che liberi finalmente tutti dalla trappola eurofederale. La dimensione nichilista che avvolge le oligarchie dominanti fa sì che, nel contesto d’un grado zero della nazione al quale corrisponde un grado zero della moralità, esse risultino oggi capaci di compiere qualsiasi azione nociva ai danni di quel popolo che tanto disprezzano e che, da tempo, si rifiutano di rappresentare. Inoltre, la natura distruttiva e violenta del nichilismo (inteso da Todd più nel senso dell’omonimo movimento russo che in quello nietzschiano) fa anche sì che nessuna previsione sulle azioni di tali oligarchie possa essere elaborata dando come scontati aspetti quali la razionalità o l’istinto di autopreservazione: come scrive Todd, “il nichilismo rende tutto, ma proprio tutto, possibile”.

Tutte queste considerazioni, che ho riportato molto in breve, vengono nel libro argomentate con una ricca mole di dati demografici, etnografici e sociografici, con una maestria multidisciplinare abbracciante antropologia, sociologia ed economia e, infine, con una chiarezza espositiva che rende questo testo accessibile alla massa. Proprio in ragione dell’importanza dei temi trattati e dell’impatto che il libro sta avendo, però, ritengo che ne “La Sconfitta dell’Occidente” pesi l’assenza di alcuni elementi storicamente correlati e rilevanti. Potrei, a riguardo, elencare almeno quattro-cinque tematiche ma, per brevità, mi limito alla più importante, ovvero a quella sulla cui assenza ritengo non sia proprio possibile soprassedere. In breve, Todd dipinge uno scenario incentrato sul conflitto tra sovranismo e globalizzazione che, da una parte, conferma la centralità di tale contrapposizione: stiamo assistendo, difatti, alla guerra fra un Occidente che ha dissolto le proprie nazioni e un resto del mondo che vuole preservarle. Dall’altra, però, il medesimo scenario pone ai sovranisti occidentali un dubbio di natura esistenziale: che futuro può avere l’istanza di rigenerazione della sovranità popolare-nazionale, in Occidente, nel momento in cui ogni idea e senso di nazione risultano cancellati dalle coscienze? Il problema consta del fatto che l’analisi di Todd attribuisce valenza totalizzante al conflitto geopolitico fra blocchi di nazioni (fra nazioni morte e nazioni zombie, per la precisione), saltando a pie’ pari il consolidarsi e l’affermarsi, negli ultimi anni, di organismi di potere sovranazionali che hanno recentemente dimostrato capacità di sintesi e indirizzo su scala globale: su tutti questi organismi, risalta in particolar modo quel World Economic Forum che, con la cosiddetta Quarta Rivoluzione Industriale, prefigura un mondo sottoposto a una governance unitaria e all’interno del quale, pur restando in piedi gli apparati di stato, gli indirizzi della politica verrebbero decisi e gestiti direttamente dalle grandi corporation.

Sarebbe esercizio futile, a questo punto, obiettare che il WEF abbia mostrato negli ultimi anni segni d’indebolimento e che si tratti in definitiva di un’istituzione indirizzante il solo Occidente: tutto questo è in parte vero e la matrice prevalentemente occidentale, difatti, è confermata dal venir meno della presenza russa alle assise di Davos in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina. Ma è altrettanto vero che l’ultimo incontro fra Vladimir Putin e Klaus Schwab risale al settembre del 2019, che la Cina continua a presenziare a Davos con ampie delegazioni e che, nel frattempo, i parlamenti nazionali dei paesi BRICS hanno discusso – e rispetto ad alcuni punti fatte proprie almeno come dichiarazioni d’intenti – le istanze di emergenza pandemica permanente e di Green Deal messe in campo dal WEF.

Prevedere la vittoria della Russia o degli Stati Uniti nel conflitto in corso, insomma, non basta. Suddetta previsione rappresenta, come minimo, il proverbiale conteggio senza l’oste: la crisi di civiltà dell’Occidente è stata accentuata proprio dal suo assoggettarsi ai poteri sovranazionali e, dal momento che questi ultimi hanno se non proprio un potere perlomeno un’influenza d’agenda che trascende i confini dell’atlantismo, nulla consente di escludere che proprio queste strutture sovranazionali possano risultare, un giorno, le beneficiarie di un eventuale collasso occidentale.

Infine, dal momento che il WEF punta anche a gestire digitalizzazione e utilizzo dell’AI su tutti gli aspetti della vita pubblica, l’analisi di Todd sulle ragioni antropologiche del nichilismo, per quanto preziosa, va comunque integrata con una teoria critica della digitalizzazione, ovvero del sempre più stretto rapporto fra umanità e nuove tecnologie. Se affermavo più sopra che non è possibile soprassedere sulla mancanza di tale aspetto ne “La Sconfitta dell’Occidente”, è perché informatica, telematica e cibernetica hanno funto da moltiplicatore esponenziale proprio di quella dissoluzione sociale, di quell’atomizzazione individuale e di quell’avvento del nichilismo ch’erano già in atto da tempo e che il testo di Todd indica come vettori della crisi occidentale. Pertanto, non può essere solo l’esito della guerra a definire la posta in gioco per il mondo che verrà: qualcosa d’irreversibile in quanto tecnologico, qualcosa di trascendente le divisioni geopolitiche in quanto sovranazionale, veglia e attende – pazientemente, sinistramente – che il fumo si diradi.

Riccardo Paccosi

 
La disgregazione dell' UE PDF Stampa E-mail

6 Ottobre 2024

 Da Rassegna di Arianna del 5-10-2024 (N.d.d.)

Giustamente occupati a guardare l'apocalisse possibile che incombe su di noi non stiamo prestando forse attenzione a un elemento decisivo: il processo di disgregazione della UE. Al di là della retorica, sta emergendo una realtà e un dinamismo sempre più chiaro, che chi dirige questo paese farebbe bene a tenere presente per non trovarsi con il cerino in mano.

La UE è in fase di disgregazione e di decomposizione. Non che sia un processo inesorabile, perché nella storia niente lo è, ma per modificare le cose bisognerebbe invertire molte direzioni, e che questo accada è possibile ma non probabile. Ma perché siamo in fase di disgregazione della UE? 1) Impercettibilmente, l’asse della direzione della UE si è spostata ad Est, le principali cariche istituzionali (compresa la politica estera in un momento decisivo) sono assegnate a paesi dell’est, i cui interessi, la cui cultura e la cui immagine della storia e della politica è molto diversa da quella dell’Europa occidentale. Sono popoli che mirano da sempre alla distruzione della Russia, della sua cultura, della sua lingua. Per loro è l’occasione per trascinare tutta l’Europa in una guerra contro la Russia, e stanno esplicitamente cercando di farlo. 2) I paesi dell’Europa occidentale subiscono questo spostamento, con tutta probabilità imposto dagli USA, di cui i paesi dell’Europa dell’Est sono i vassalli fedelissimi. Ma i mugugni sono sempre più frequenti, tanto più che la Commissione della baronessa von der Leyen continua a inviare fiumi di denaro in Ucraina e nei paesi dell’est mentre in Europa occidentale (non solo in Italia, ma anche in Francia, Germania) ci viene detto che “sono necessari sacrifici”. Fiumi di denaro non solo verso l’Ucraina, ma verso tutti i paesi dell’Europa dell’est. La Polonia ha da ora il terzo esercito più potente della NATO, una proporzione del PIL enorme investito in spesa militare. Molti di questi soldi vengono dalla UE, usati per acquistare armamenti USA, e quindi dall’Europa e dalle nostre tasche finiscono direttamente nelle industrie belliche statunitensi. Non c’è da meravigliarsi che anche i più fanatici in Europa occidentale inizino a farsi qualche domanda su Ursula: abbiamo un capo di commissione europea che rappresenta interessi di potenze non europee, che testimonia la non sovranità della UE attuale. 3) Polonia e Ucraina sono ai ferri corti tra loro, ma proprio allo scontro, ai dispetti, dopo che i polacchi hanno chiesto che venga riconosciuto l’eccidio ucraino di cittadini e soldati polacchi in Volinia (e anche in Galizia): gli ucraini, sempre più identificati con il nazismo e con la storia dell’ucraina nazista, non ne vogliono sentire parlare, mentre i polacchi, anche quando sono tradizionalisti, il nazismo non lo tollerano proprio per ragione storiche comprensibili. Di fatto, allo stato attuale le cose stanno bloccate, per non parlare del fatto che è in atto uno scontro sull’agricoltura, dato che i prodotti ucraini danneggiano quelli polacchi. 4) Lo scontro tedesco-polacco è oramai stellare: i tedeschi (proprio il popolo tedesco, e lo si è visto nelle recenti elezioni) dopo avere saputo dalla loro stesse autorità che a far saltare Nord stream sono stati gli ucraini con l’assistenza operativa della Polonia, sono stufi. La risposta di Tusk, il grande europeista, è stata piccata: si dovrebbero vergognare i tedeschi di avere un gasdotto con la Russia, non chi lo ha fatto saltare. L’inimmaginabile è accaduto. Ai tedeschi inizia a divenire chiaro che si sta mirando alla loro distruzione. L’AfD, come anche il partito di destra in Austria, non c’entrano niente con il nazismo (se qualcuno pensa queste scemenze si informi, legga, ascolti i tg tedeschi e austriaci e le dichiarazioni): esprimono, oggi, ostilità a una guerra che percepiscono come diretta non solo contro la Russia ma contro la loro economia. Di fatto, Scholz ha capito il vento, e cerca di bypassare la Commissione europea e gli altri paesi UE e di cercare una propria via di comunicazione con la Russia, come anche la repubblica slovacca e l’Ungheria. Quindi, un’Europa che si spacca, tenuta insieme solo dalle dichiarazioni di facciata. 5) La Norvegia ha deciso di modificare il contratto con la Germania per la fornitura di idrogeno blu, mostrando che oramai ognuno va per la sua strada. Idrogeno blu significa possibilità di decarbonizzare. Ora gas dalla Russia no, idrogeno blu no, sembra che l’economia tedesca sia destinata a crollare. 6) il crollo della Germania inciderà sull’industria del nord Italia, e questo lo vedremo nei prossimi anni. Alla retorica europeista si è sostituita quella di quei poveretti di FdI che sono solo capaci di fare spot: pensare e capire non è per loro. 7) L’Italia della Meloni è uno dei punti di attacco alla sovranità europea da parte dei grandi gruppi finanziari americani. Oltre ad avere svenduto quel resto di sovranità industriale reale e finanziari ai grandi gruppi di BlackRock, l’Italia si presta, attraverso le sue banche, a operazioni aggressive attraverso cui il capitale finanziario americano mira a dominare e sterminare quello europeo, per esempio con le operazioni verso Commerzbank che Scholz vede come fumo negli occhi.

Sotto le dichiarazioni di facciata l'unità l’Europa si sta disgregando. Il crollo avverrà in maniera rapida, una questione di tempo. Il famoso passaggio dalla quantità alla qualità. Se ci si arriva, se non saltiamo in aria prima, quando si tratterà di ricostruire l’Ucraina, con quali soldi lo si farà? Li mandiamo noi mentre le nostre scuole, ponti crollano? Costruiamo ospedali in Ucraina mentre chiudiamo i nostri?

E la Francia è messa peggio. L’Europa sta uscendo dalla storia e non è più una potenza competitiva, questa guerra sta distruggendo del tutto il suo sistema economico. In poco tempo saremo marginali, poveri, costretti a mettere in discussione quel poco di stato sociale rimasto. Poi, tra poco dovremo iniziare a pagare i famosi prestiti del PNRR.

Si diano pace i vecchi che hanno costruito male, senza criterio, in maniera ideologica, senza capacità progettuale. Quello che hanno costruito non solo crollerà, ma sta già crollando, non per l’attacco dei sovranari o di potenze ostili: ma perché hanno costruito senza criterio.

Vincenzo Costa

 
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