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Guerra di classe PDF Stampa E-mail

4 Marzo 2025

 Da Comedonchisciotte del 27-2-2025 (N.d.d.)

Una svolta epocale non si nega a nessuno e sarebbe stato ingiusto escludere il neo-vicepresidente USA J.D. Vance dall’affollato club degli araldi di palingenesi. D’altra parte il famigerato discorso di Mattarella su Monaco e il discorso di Vance a Monaco hanno qualcosa in comune, e cioè la struttura retorico-narrativa del ”siamo stati troppo buoni”, che è più significativa e costante dei contenuti o dei pretesti contingenti. Mattarella ha detto che nel 1938 a Monaco gli anglo-francesi si erano fidati e il Terzo Reich si era approfittato di tanta ingenua disponibilità. Vance ha raccontato a sua volta che gli USA hanno finanziato l’Europa ma, nonostante tanta generosità, l’ingrata EU si è allontanata dai valori comuni, tanto da mettere addirittura in discussione la mitica “democrazia”. Vance ha comunque ammonito che ora “c’è un nuovo sceriffo in città”; solo che anche questa barzelletta è vecchia, e infatti sui luoghi di lavoro viene propinata ad ogni arrivo di un nuovo “manager”.

Sinora l’amministrazione Trump si è mossa soprattutto sul piano delle pubbliche relazioni cercando di vendere alla sua opinione pubblica una eventuale ritirata dall’Ucraina come un proprio successo e una sconfitta della sola Europa. L’avvio del negoziato con la Russia viene attualmente fatto oggetto dello stesso tipo di pensiero magico con il quale è stata trattata la questione della guerra.

Un negoziato può risultare complesso quasi quanto una guerra ed il fatto di voler trattare (ammesso che lo si voglia realmente) non comporta automaticamente la capacità di farlo. La posizione di Trump è infatti intrinsecamente schizofrenica. Da un lato si dice di voler allentare la tensione con la Russia, dall’altro lato si impone agli europei di comprare sempre più armi e più gas dagli USA, il che presuppone la permanenza delle tensioni con la Russia.

Il segretario della NATO, Mark Rutte, non si è fatto fuorviare dalle tante incognite del discorso di Vance, ha fatto finta di credere che tutto fosse chiaro ed ha propinato la soluzione preconfezionata, esortando gli europei a non lamentarsi di essere stati esclusi dal tavolo delle trattative di pace, ma di sforzarsi di contare di più per arrivarci. Il rimedio all’insignificanza dell’Europa ovviamente è di spendere di più in armi, anche per fare in modo da garantirne il flusso verso Kiev. Vance avrebbe portato la “svolta epocale”, però Rutte dice le stesse cose di prima e che ripeterebbe in qualsiasi caso.

Dal punto di vista dell’effettiva capacità militare le dichiarazioni di Rutte sono puro nonsenso, dato che le armi americane non hanno offerto una grande prova sul campo, mentre produrre in Europa richiederebbe preventivamente un ripensamento strategico per capire cosa occorre, e solo dopo stabilire il budget necessario. Il nostro zelante Rutte invece è un disco rotto; non soltanto Rutte recita continuamente e acriticamente il mantra dell’aumento delle spese militari sparando a casaccio percentuali di PIL, ma ci suggerisce persino dove trovare i soldi. Il tesoretto a cui attingere è sempre quello preferito dal “capitalismo reale” (alias assistenzialismo per ricchi), cioè il denaro pubblico. I governi dovrebbero finanziare gli acquisti di armi saccheggiando dalle risorse della sanità e della previdenza sociale. Il taglio delle pensioni viene sempre spacciato come la panacea di tutti i mali, il rimedio sovrano per ogni emergenza, passata, presente e futura; infatti fu così che da noi nel 2011 il governo Monti “salvò” l’Italia dal default finanziario. Adesso la stessa “cura” (il taglio delle pensioni) è chiamata a salvarci dall’invasione russa.

Forse la geopolitica è sopravvalutata; infatti Rutte ce l’aveva con i pensionati da molto prima di diventare segretario della NATO. Dal forum di Davos due anni fa Rutte se la prendeva con Francia e Italia, colpevoli, secondo lui, di eccessiva spesa pensionistica. All’epoca Rutte non aveva ancora rodato il pretesto della minaccia russa, per cui ammetteva tranquillamente che il suo obbiettivo era la privatizzazione della previdenza attraverso i fondi pensione. Altro che “tagliare”, qui si tratta di privatizzare una discreta quantità di contributi pensionistici.

Molti dicono che anche la Russia è europea, ma siamo nel campo delle opinioni; e poi non sarebbe neppure un gran complimento per la Russia. La vera questione è che appena si esce dalla suggestione della narrativa bellicista ci si accorge che le concrete possibilità di una guerra tra Unione Europea e Russia sono prossime allo zero, e forse anche meno. In compenso c’è la guerra vera che da parecchi decenni con ogni pretesto le oligarchie europee hanno dichiarato ai pensionati e in generale alle classi subalterne. Chi pensa che il problema dell’Europa sia il vincolo servile nei confronti degli USA, non ha preso sufficientemente in considerazione l’ipotesi che quello ed altri vincoli esterni siano soprattutto l’alibi per una guerra di classe dei ricchi contro i poveri.

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Troppo facile sparare su Zelensky PDF Stampa E-mail

3 Marzo 2025

 Piuttosto fuori luogo le parole di Donald J. Trump che attribuisce a Zelensky la  responsabilità (o parte di essa) del conflitto in Ucraina. In realtà, Zelensky si è limitato ad eseguire ordini che gli venivano impartiti da Washington - i vertici UE si sono semplicemente accodati al padrone - e Londra (compreso quello di far fallire dei negoziati che probabilmente avrebbero consentito a Kiev di mantenere sovranità formale sull'est del Paese, non sulla Crimea sicuramente). A questo riguardo, mi preme ricordare che nel momento in cui lo stesso Zelensky venne eletto, nel 2019, era Presidente proprio Trump (primo mandato). È cosa indubbia che non vi sia mai stata una grande affinità tra i due. Tuttavia, il Dipartimento di Stato USA, tramite l'Ukraine Crisis Media Center (ONG finanziata da NATO ed ambasciata statunitense a Kiev, tra gli altri), subito dopo l'elezione di Zelensky, rilasciò un comunicato in cui venivano letteralmente dettate le linee di politica estera e interna al nuovo Presidente ucraino (assai difficile che Trump non ne fosse a conoscenza). Tra queste si "imponeva" di non negoziare direttamente con Mosca; si "imponeva" di non modificare le leggi discriminatorie attuate da Petro Poroshenko contro le minoranze etnico-linguistiche in Ucraina; e si "richiedeva" che lo stesso Poroshenko (lui sì, in più che buoni rapporti con Trump) non venisse sottoposto a processo per corruzione. 

Inoltre, non dimentichiamoci che, nel corso della prima amministrazione Trump, è pure arrivato il riconoscimento di autocefalia all'autoproclamato patriarcato di Kiev da parte di Costantinopoli dietro lauti finanziamenti USA e pressanti spinte proprio di Poroshenko (cosa che ha portato allo scisma ortodosso tra Costantinopoli e Mosca). 

Senza considerare che l'aumento delle truppe USA nell'Europa orientale e nei Paesi baltici (sebbene oggi si preveda una loro riduzione) è iniziato proprio a cavallo tra l'ultima amministrazione Obama ed i primi mesi del precedente mandato trumpista (durante il quale gli USA hanno pure abbandonato il Trattato INF). 

Capisco che sparare a zero sul "povero" Zelensky adesso faccia comodo (ricorda molto il bullo che prende di mira il più debole della classe), ma le responsabilità della tragedia ucraina sono da attribuire in primo luogo alle ultime tre amministrazioni statunitensi.

Daniele Perra


 
Crisi sistemica mistificata PDF Stampa E-mail

28 Febbraio 2025

 Da Rassegna di Arianna del 24-2-2025 (N.d.d.)

Il risultato elettorale tedesco denota una crisi sistemica in atto, ma suddetta crisi risulta altresì trattenuta e mistificata nel suo contenuto grazie all'azione congiunta di antifascismo e anticomunismo. Vediamo infatti una duplice narrazione spettrale - ovvero incentrata sulla memoria spettrale del passato - che impedisce al dissenso sociale di volgersi contro la globalizzazione finanziaria, contro la sua declinazione bellicista degli ultimi anni e, più in generale, contro un'ideologia liberista che vuole la nuda vita ridotta a merce.

L'antifascismo è il paradigma maggiormente visibile, giacché tutti i media mainstream bollano Alternative fur Deutschland come partito "neonazista". In realtà, la valenza "alternativa" di AfD sarà tutta da verificare ma non certo per ragioni di nazismo bensì perché - come esplicitato nel corso dell'intervista di Alice Weidel a Elon Musk nel mese scorso - si tratta d'un partito accogliente in pieno la visione neoliberista inerente al primato del mercato sulla società.

L'anticomunismo è meno visibile ma parimenti presente nel momento in cui Musk, Trump, Milei - e infine la Weidel nella succitata intervista - attribuiscono al globalismo e agli indirizzi del World Economic Forum una presunta valenza "comunista" dovuta, a loro dire, a una volontà di controllo dell'economia a cui essi contrappongono un'astratta idealità di anarcoliberismo e deregulation.

In sintesi, antifascismo e anticomunismo servono oggi a impedire di cogliere il punto, ovvero impediscono di comprendere che tanto il globalismo progressista di Soros e Gates quanto l'anarcoliberismo nazionalista di Musk e Trump, sono articolazioni d'una visione del mondo basata sempre e comunque su tre linee-guida: a) estinzione della sovranità popolare in favore d'una forma-stato gestita dal comando aziendale e alla cui volontà, quindi, i cittadini-consumatori devono subordinarsi; b) sottomissione della società alle esigenze del mercato; c) sottomissione degli esseri umani alle esigenze della tecnologia.

Solo liberando le coscienze dagli spettri decrepiti del Novecento - ovvero comprendendo che comunismo e fascismo sono argomenti di analisi storiografica e non strategica - sarà possibile costruire un fronte popolare antagonista al neoliberismo e fondato, quindi, sui tre indirizzi diametralmente opposti: a) uno stato fondato sulla sovranità popolare e dunque subordinato alla volontà dei cittadini; b) un mercato sottomesso alle esigenze della società; c) una tecnologia sottomessa alle esigenze degli esseri umani.

Tanti che, come me, hanno una posizione anti-globalista che attribuisce importanza al tema del rapporto tra le classi sociali, avevano provato un enorme interesse per la nascita del partito BSW di Sarah Wagenknecht.  Abbiamo seguito, nel corso dei mesi, l'andamento dei sondaggi e, quindi, possiamo annotare con certezza che, se questa formazione è passata da proiezioni a due cifre all'attuale 4-e-qualcosa per cento, ciò sia avvenuto immediatamente in seguito agli accordi regionali di BSW coi partiti tradizionali e all'affermazione di escludere in modo categorico un'alleanza anche solo di scopo (uscire dall'economia di guerra) con AfD e, infine, con la scelta della Wagenknecht di attaccare frontalmente quest'ultima nelle ultime fasi della campagna elettorale. E così... Il partito della Weidel si è posto come antisistema rischiando di venire sciolto per legge e, alla fine, è stato premiato dagli elettori impauriti dalla crisi economica. Il partito della Wagenknecht, invece, ha preteso di porsi come antisistema ma farfugliando al contempo sulla necessità di "arginare l'estrema destra". La pretesa di essere antisistema tenendo in piedi la retorica di sistema, si è rivelata velleitaria: e così, i voti precedentemente conquistati da BSW sono andati in parte ad AfD e in parte hanno fatto ritorno alla ultra-liberale Linke.

Riccardo Paccosi


 
Arroganza europea PDF Stampa E-mail

26 Febbraio 2025

 Da Rassegna di Arianna del 20-2-2025 (N.d.d.)

Vedo molte persone commentare che gli Stati Uniti stanno cercando di imitare il Kissinger al contrario, allontanando la Russia dalla Cina, ignorando completamente la verità ovvia che hanno sotto gli occhi: se una frattura esiste, è quella tra Europa e Stati Uniti.

Questo è un difetto comune della natura umana: spesso siamo incapaci di concepire che lo status quo con cui abbiamo vissuto per tutta la vita sia cambiato radicalmente. Guardiamo ai modelli del passato, cerchiamo di combattere di nuovo la guerra precedente; è molto più facile e confortante credere di essere ancora nella scatola anche quando la scatola è scomparsa.

La Russia non si separerà di nuovo dalla Cina: non c’è la minima possibilità al mondo, ha imparato questa lezione a sue spese. Putin, da studioso della storia, notoriamente attento studioso, capisce quanti danni ciò abbia causato. E perché dovrebbe? Quale beneficio ne trarrebbe la Russia? Il mondo è cambiato: come abbiamo visto durante la guerra in Ucraina, l’Occidente ha scatenato tutto il suo arsenale economico contro la Russia, solo per dimostrare la propria impotenza. L’anno scorso la Russia è stata l’economia in più rapida crescita in Europa, anche quando è stata completamente tagliata fuori dai mercati occidentali. Quindi, se la pressione massima dell’Occidente ammonta a così poca cosa, la sua amicizia massima non vale molto di più. È del tutto illusorio pensare che i due tedofori del Sud del mondo si possano dividere proprio mentre l’emergere dell’ordine multipolare a lungo ricercato sta finalmente diventando realtà, tutto in cambio del ritorno del commercio occidentale, che ora sanno essere superfluo, e della fine delle sanzioni, che ora sanno non fare poi così male.

Inoltre, un gentile promemoria: Kissinger non ha realmente diviso Russia e Cina, se mai ha sfruttato una divisione già esistente. Geopoliticamente parlando, è incredibilmente difficile dividere le potenze, specialmente le grandi potenze, ma è molto più facile sfruttare una divisione esistente. E, guardando il panorama, quelli che sono già divisi, o meglio, in via di divisione, non sono Russia e Cina, ma molto di più gli Stati Uniti e l’Europa.

Una spaccatura tra Europa e USA era destinata a verificarsi prima o poi, poiché il costo dell’alleanza superava sempre di più i benefici da entrambe le parti. Soprattutto con l’ascesa del Sud del mondo, in particolare della Cina, che ha dato inizio a una profonda crisi di identità: all’improvviso, i paesi “non come noi” avevano molto più successo, assumendo un primato insormontabile nella produzione e, sempre di più, nella scienza e nella tecnologia. A un certo punto hai davanti a te tre scelte: unirti a loro, batterli o isolarti da loro e decadere lentamente nell’irrilevanza. L’Occidente ha provato l’approccio “batterli” per la maggior parte degli ultimi 10 anni e ne abbiamo visto i risultati: una serie sempre più disperata di strategie fallite, che hanno solo accelerato il declino occidentale rafforzando proprio i poteri che intendevano indebolire. Ha anche provato l’approccio “isolarli” con i vari piani di “friend-shoring”, “de-risking”, “piccolo cortile, recinzione alta”, ecc. Non ha avuto molto più successo e l’Occidente senza dubbio vede la scritta sul muro: più ti isoli da un’economia più dinamica, più resti indietro. Questo ci lascia con “unirsi a loro”, e qui il calcolo di Trump sembra essere che, se gli USA lo fanno per primi, possono senza dubbio negoziare condizioni molto migliori per gli USA, proprio come fece la Cina con Kissinger alla fine degli anni ’70, quando si unì a quello che all’epoca era ancora l’ordine internazionale guidato dagli USA. Con l’Europa, come l’Unione Sovietica all’epoca, lasciata senza altra scelta che accettare le briciole rimaste.

La situazione, naturalmente, non è esattamente identica. Siamo fuori dagli schemi, ricordate… Per prima cosa, gli Stati Uniti non sono lontanamente nelle stesse condizioni della Cina di allora e, a differenza dell’Unione Sovietica, l’Europa non ha né la potenza militare per resistere a questo nuovo accordo né l’autonomia economica per tracciare la propria rotta. Il che significa che per molti versi, geopoliticamente parlando, gli Stati Uniti sono in condizioni migliori e con più influenza di quanta ne avesse la Cina (e quindi in grado di ottenere un accordo migliore), mentre l’UE è in condizioni peggiori dei sovietici. Tuttavia, la realtà fondamentale rimane che Trump, nonostante tutti i suoi difetti, sembra aver capito prima degli europei che il mondo è cambiato e che è meglio essere il primo ad adattarsi. Ciò è stato chiaro fin dalla prima intervista importante di Rubio nel suo nuovo ruolo di Segretario di Stato, quando ha dichiarato che ormai viviamo in un mondo multipolare con “multi-grandi potenze in diverse parti del pianeta”.

Da europeo, però, non posso che disperarmi per l’incompetenza e l’ingenuità dei nostri leader, che non hanno visto arrivare tutto questo e non si sono adattati per primi, nonostante tutte le opportunità e gli incentivi per farlo. Hanno stupidamente preferito aggrapparsi al loro ruolo di partner minore dell’America, anche se quella partnership andava sempre più contro i loro interessi, qualcosa su cui ho personalmente messo in guardia per anni. Si scopre, stranamente, che gli europei erano in realtà per molti versi più arroganti e più intrappolati nelle illusioni della supremazia occidentale rispetto agli americani. Il prezzo di questa arroganza sarà molto alto, perché invece di modellare proattivamente il loro ruolo nell’ordine multipolare emergente, ora dovranno accettare qualsiasi termine venga deciso per loro.

Arnaud Bertrand


 
Il pił grande accumulo di idiozia nella storia dell'umanitą PDF Stampa E-mail

24 Febbraio 2025

Gli Stati Uniti hanno sempre promosso, provocato e fatto guerre per interessi. Chi crede può anche affermare che la guerra in Ucraina gli USA  non la abbiano promossa o provocata. Chi ha questa credenza dovrà aggiungere il verbo schierare: si sono anche sempre schierati a favore di una parte in guerra soltanto per interessi. Talvolta mal valutati, e in altri casi ben valutati ma all'interno di una strategia obsoleta o fanatica, e quindi fallace, ma sempre per interessi.

La verità di questa affermazione non fa degli Stati Uniti uno Stato malvagio, trattandosi di un aspetto universale di tutte le guerre della storia.  Tutti gli Stati, gli imperi, le città stato, i Comuni e le Signorie hanno sempre promosso, provocato e fatto guerre, offensive o difensive per interesse o si sono schierati a favore di un belligerante contro un altro per interessi, ben valutati o mal valutati, e valutati all’interno di una strategia sensata o insensata.

Molto spesso, e sempre più con il passare dei secoli, e ormai da secoli sempre, gli Stati belligeranti hanno accampato ragioni ideali o morali o di necessaria prevenzione di futuri rischi o sciagure, come cause giustificative della guerra alla quale si accingevano a partecipare e poi partecipavano. Orbene, i politici statunitensi hanno sostenuto che si dovesse appoggiare l'Ucraina contro la Russia perché la Russia è uno Stato autocratico, che ha invaso una democrazia. Tuttavia, da quando negli USA sono arrivati al potere altri politici, che valutano non corrispondente all'interesse statunitense continuare ad aiutare l'Ucraina, ovviamente la demagogia e la propaganda moralistiche non hanno più alcun senso pratico. Altrettanto ovviamente, se gli Stati Uniti non raggiungessero nelle trattative almeno alcuni degli obiettivi che si pongono, la demagogia e la propaganda moralistiche sarebbero di nuovo diffuse, perché ricomincerebbero ad avere una funzione.

Il problema che abbiamo in Europa è che la maggior parte dei docenti universitari o delle scuole (compresi purtroppo i docenti di storia), dei giornalisti, e in generale degli appartenenti ai ceti colto e semicolto, hanno creduto veramente alle balle moralistiche e idealistiche che hanno sorretto le aggressioni all'Iraq, in Bosnia, in Somalia, in Serbia, all'Afghanistan, ancora all'Iraq, e alla Libia, il sostegno ai wahabiti ceceni di importazione, la promozione della destabilizzazione della Siria e comunque, per chi non accolga la tesi, il sostegno a una parte dei ribelli e poi ai curdi. Hanno creduto e credono veramente che gli Stati europei stessero sacrificando i propri interessi per combattere un'autocrazia che ha invaso una democrazia.

Come mai si è accumulata questa quantità stratosferica di idiozia nei ceti colto e semicolto europei?  Probabilmente, ciò è dovuto al fatto che in questi trenta anni gli Stati Uniti hanno agito per realizzare interessi propri, mentre gli Stati europei per realizzare interessi altrui (statunitensi), anche con sacrificio di interessi propri (l' Italia nell'aggressione alla Libia e Italia e Germania nel sostegno all'Ucraina sono due casi più unici che rari, che resteranno per secoli o millenni alla storia).

Per fare guerre senza alcun interesse o contro il tuo interesse, devi credere fermamente che tu sei un essere superiore che esporta la democrazia, combatte per i diritti umani nel mondo, difende le democrazie aggredite dalle autocrazie ed  elimina dittatori brutti e cattivi (e poi, entrando in altri campi, dà l'esempio per salvare il pianeta, ecc.). Non credo che nella storia i ceti colti e semicolti di un'area geografica siano mai stati così stupidi come nell'Europa dei nostri tempi.

Stefano D’Andrea


 
Follia delle classi dirigenti europee PDF Stampa E-mail
Da Rassegna di Arianna del 22-2-2025 (N.d.d.)
Sta succedendo davvero di tutto e molto in fretta. Anche quando rimodella la repubblica nordamericana per adattarla alle sfide del potere del XXI secolo, Trump ha l'impronta del tipico immobiliarista yankee: se la cosa costa meno e permette progetti più ambiziosi e palazzi più arditi, meglio prima demolire. Ora sta demolendo l'immensa infrastruttura ereditata dalla Guerra Fredda, sopravvissuta oltre la sua ragione costitutiva, dunque oltre la fine dell'Unione Sovietica. Quella infrastruttura, il mondo della "bugia di Stato", occupava alla fine tutti i gangli statali e si estendeva su scala planetaria con una pletora di parassiti che hanno mangiato e assimilato gran parte del giornalismo occidentale. Un mondo esteso a Big Pharma, servizi segreti, apparati militari. Trump è determinato a ricostruire una nuova "verticale del potere" sorretta da un nuovo blocco storico, un ordine sociale stabile, dove dominio materiale e leadership ideologica si fondono, garantendo la riproduzione del sistema nel tempo. Un intero mondo burocratico e intellettuale  che costituiva un tentacolare regime è stato visto come una zavorra di cui liberarsi. Fino al punto di far balenare la possibilità di dimezzare le spese militari mondiali con un accordo con Russia e Cina. Improbabile che si avveri lo scenario, lo sappiamo, ma non impossibile. E proprio Trump lo ha evocato. Cioè, è una carta per la quale si potrebbe pure dire: "vedo!"
Qui emerge la follia delle classi dirigenti europee, prese dal panico perché hanno puntato tutto su una carta sbagliata, l'Ucraina post Maidan, così che ora fronteggiano una sconfitta epocale. Avrebbero proprio adesso la chance di proporre un colossale processo di disarmo bilanciato e una nuova architettura della sicurezza su scala continentale, liberando grandi risorse. Scelgono invece l'esatto opposto: un riarmo inteso a confrontarsi con una superpotenza nucleare, per rimodellare a loro volta un blocco storico che rovescia come un guanto quel che rimane della vecchia Europa dei diritti sociali. Spostare tutto da pensioni, sanità e scuola e investire in armi. Lo dicono senza possibilità di equivoco. Intendono riconvertire tutto in una gigantesca e lugubre piattaforma dedicata a combattere la Russia: quel che abbiamo conosciuto come NATO e UE non avrà senso, per essere di fatto sostituito da una nuova Europa istituzionale. Questa nuova Cosa sarebbe un'Ucraina moltiplicata per dieci, che ricalcherebbe i passi di Kiev e ripeterebbe - amplificata - la sconfitta, con una bancarotta demografica, militare, finanziaria traslata su una scala incomparabilmente più devastante.
Questo è il terreno delle scelte politiche in campo. Nel mondo degli orfani del globalismo e progressismo post-obamiano si nota un incattivimento, una reazione rabbiosa che sente le chances di pace come un tradimento. Circolano perfino bestialità su Musk e Trump come asset di Putin, un ripiegamento fervidamente "complottista" che sta armando le fantasie di molti. Lo diceva un secolo fa  Emilio Lussu: “l’immaginazione gioca sempre una gran parte nei momenti di agitazione politica”.
Se l'Europa rinuncia a un ruolo per la pace, finisce molto molto male. Scegliere la guerra significa espungere dal mondo nientemeno che il continente che lo ha plasmato più  di tutti.
Pino Cabras

 
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