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Odio tra simili PDF Stampa E-mail

15 Luglio 2024

 Da Rassegna di Arianna del 14-7-2024 (N.d.d.)

L'ex presidente americano, e candidato presidenziale, Donald Trump è stato oggetto ieri di un attentato ad un raduno a Butler, in Pennsylvania. Un proiettile di fucile lo ha ferito all'orecchio destro, senza ulteriori conseguenze. Il cecchino, che in una ripresa pochi istanti prima del colpo si vede in bella vista, è il ventenne Thomas Matthew Crooks, ucciso nella successiva sparatoria. Nella medesima sparatoria uno spettatore è stato ucciso e due feriti. Se la dinamica dell'attentato non lo escludesse (un proiettile a due centimetri da un punto vitale non può essere una messinscena) si sarebbe potuto pensare ad un finto attentato a sostegno della candidatura, visto che poche cose sono generalmente più benefiche ad un risultato elettorale che apparire nel ruolo della vittima. Ma siamo in tempi singolarmente stupidi e, purtroppo, Trump appare come una "vittima dell'odio" semplicemente perché lo è. Questo non lo rende una bella persona ma è un fatto che merita qualche riflessione.

Il processo e la recente condanna di Trump da parte del tribunale di New York per il caso Stormy Daniels andavano precisamente nella stessa direzione. In effetti, neanche 24 ore prima Biden in un discorso pubblico aveva presentato Trump come "minaccia per la nazione", e questo è il tenore normale del dibattito. La stessa atmosfera serena è quella che ha coinvolto le sorti del più noto sostenitore di Trump in questa campagna elettorale, Elon Musk, le cui attività economiche (in particolare il social X) sono state oggetto di una serie di attacchi concertati di tipo istituzionale (in USA e UE). Lo stesso Musk - stando a quanto da lui stesso riferito - è stato oggetto di due tentativi di assassinio negli ultimi otto mesi. Ciò che traspare e che, pur non essendo una novità merita di essere soppesato, è che la radicalizzazione della lotta politica in Occidente ha raggiunto livelli inediti, pur in assenza di significative differenze ideologiche. In Occidente, e negli USA in particolare, il mutuo disprezzo, l'assoluta mancanza di riconoscimento di legittimità agli avversari politici, è divenuta parte integrante, ordinaria, della vita pubblica. Ma, diversamente da altri periodi storici, questa delegittimazione radicale NON è dovuta al contrapporsi di visioni del mondo distanti e antitetiche, non al confronto tra ideologie palingenetiche incompatibili. Tutt'altro. Il disprezzo e l'avversione hanno un carattere personale, psicologico, epidermico, e tuttavia assoluto.

Questa forma di tribalismo primitivo, prepolitico, è analoga all'avversione e disprezzo che può avvenire, oggi, tra due tifoserie calcistiche: le squadre sono di fatto intercambiabili, spesso gli stessi giocatori cominciano in una squadra e finiscono acquistati dall'altra; non c'è nessuna "sostanza" della squadra che rimane la medesima, e tuttavia la coltivazione dell'odio reciproco è essa stessa un ultimo livello di motivazione, e può portare alla violenza più estrema. Nella cornice del nichilismo occidentale, in mancanza di ideali alternativi, di prospettive positive, l'ultimo orizzonte motivazionale rimasto è quello implicito nella creazione dell'odio, del disgusto per l'avversario, che viene dipinto in forme umanamente deprecabili e di cui l'unico attributo esposto è l'assoluta, inderogabile inaccettabilità. Se non puoi amare niente, se non hai niente da sperare, almeno puoi mantenere in vita una spinta motivazionale minima in forma di un'oscura "difesa dalla minaccia estrema".   Lo scenario politico è costantemente polarizzato (o frammentato se il sistema non è bipartitico), pur in sostanziale assenza di autentiche differenze ideali. Quest'assoluta delegittimazione de L'Altro, percepito letteralmente come Alieno, in un senso naturalistico, quasi biologico, si accompagna alla legittimazione di qualunque cosa sia atta a metterlo fuori gioco.

Le regole saltano, il fine giustifica i mezzi, perché (come nei film americani) la scelta viene sempre presentata all'insegna del rischio del Male Assoluto. Nella recente filmografia americana la dinamica morale più frequente è quella in cui vengono presentate delle regole morali (virtù, regole kantiane o religiose) solo per mostrare come esse debbano cedere il posto - a malincuore, si intende - ad una scelta ultima di tipo drasticamente utilitarista: "Sì, non si dovrebbe torturare o uccidere l'innocente, ma se l'alternativa è la Fine Del Mondo?" (Nei film americani si fa regolarmente strame di ogni regola morale ordinaria perché bisogna salvare il mondo e l'umanità almeno due volte prima di cena, e di fronte a simili scelte tragiche, va da sé che il fine giustifica qualunque mezzo.)

Il meccanismo di delegittimazione prepolitica dell'Altro è presente, soprattutto nella politica americana, da lungo tempo: qui i candidati si fanno e disfano non sulle idee, ma sulle foto con l'amante, sulle registrazioni a microfoni spenti, sulle accuse a scoppio ritardato di testimoni compiacenti, insomma sulla base di un letamaio da cui ci si difende soltanto con carriole di soldi per avvocati e media. Ma, come sempre accade, il peggio degli USA trasmigra regolarmente in Europa con un paio di decenni di ritardo ed ora queste dinamiche sono ben visibili anche da noi. Più la politica è intercambiabile, più è impermeabile alla volontà popolare, più è vuota di visione, di idealità alternative, e più la lotta si psicologizza, si animalizza, si riduce a disprezzo epidermico di fronte all'Alieno. E quanto più ciò si verifica, tanto più ogni regola morale, ogni equilibrio giuridico, saltano: perché con i rettiliani non si discute, si spara.

Andrea Zhok

 
Dare informazioni corrette PDF Stampa E-mail

12 Luglio 2024

 Da Rassegna di Arianna dell’11-7-2024 (N.d.d.)

Viviamo nell'era della menzogna, in cui i più pervicaci mentitori si arrogano il diritto di giudicare ciò che è vero o falso, pretendendo di imporre la propria verità, quale che sia, anche quando palesemente falsa e/o contraddittoria. E proprio in virtù di ciò, diventa assolutamente necessario che chi si assume l'onere di fare informazione avendo a cuore la verità si attenga invece ad una deontologia rigorosa. Può, ovviamente, capitare a tutti di diffondere una notizia inesatta, soprattutto quando sembra esserci una qualche urgenza. Ma è fondamentale mantenere dritta la barra, sia per un'etica dell'informazione (ciò che viene scritto/detto verrà creduto da altri che confidano in quella fonte), sia per mantenere l'affidabilità, che è - nella totale disparità di mezzi - unica garanzia di autorevolezza. In particolare, bisogna evitare di cadere nelle medesime 'trappole mentali' di certo pseudo giornalismo; non si può 'stiracchiare' un fatto, neanche per una buona causa.

Purtroppo, si deve constatare che ultimamente ciò è accaduto in almeno due occasioni. Probabilmente animati dal desiderio di denunciare i 'misfatti' del 'nemico', e magari anche per una lettura superficiale delle notizie, non pochi canali d'informazione (il termine controinformazione non mi piace) sono caduti in questa trappola. Nel primo caso, con riferimento all'accordo di sicurezza stipulato nei giorni scorsi tra Polonia e Ucraina. Molti canali hanno fornito ai propri lettori l'idea che in tale accordo sia contenuta una clausola che autorizzerebbe la Polonia ad abbattere i missili russi sullo spazio aereo ucraino. Presentata in questo modo la notizia è omissiva e fuorviante, poiché dà appunto l'idea di un imminente intervento diretto dei polacchi a difesa dell'Ucraina, ma non è così. L'accordo, infatti, prevede sì questa possibilità, ma solo nel caso che i missili siano lanciati dallo spazio aereo ucraino (quindi da aerei russi che lo sorvolano) e soprattutto che siano lanciati in direzione della Polonia! Per quanto la formulazione possa suonare ambigua, è evidente che si tratta di una cosa completamente differente.

Altro caso è quello del bodycount a Gaza. In un breve articolo pubblicato dalla rivista scientifica britannica The Lancet; è stato esaminata la questione del conteggio dei morti a seguito dell'operazione militare israeliana. L'articolo è stato ripreso e citato, ma dando per acclarato ciò che nell'articolo viene ipotizzato - o stimato, se si preferisce. La cifra di 186.000 morti, al posto dei 34.000 circa ufficiali, è stata diffusa da alcuni canali come un dato certo, mentre l'articolo - molto più articolato - dice che "non è implausibile stimare che fino a 186.000 o anche più morti potrebbero essere attribuibili all’attuale conflitto a Gaza". In questa semplice frase sono presenti ben tre espressioni di incertezza: "non è implausibile", "fino a" e "potrebbero". Perché ovviamente, come si spiega nell'articolo, i fattori che - appunto - potrebbero far salire fino a tanto il totale dei morti, sono numerosi (numero di corpi ancora sepolti tra le macerie, infrastrutture sanitarie distrutte, grave carenza di cibo e acqua), ma - come dice esplicitamente l'articolo citato - "nei prossimi mesi e anni continueranno a verificarsi molti decessi indiretti dovuti a malattie riproduttive, trasmissibili e non trasmissibili. Si prevede che il bilancio totale delle vittime sarà elevato". Quindi nessuno, tantomeno The Lancet, sostiene che le vittime del conflitto a Gaza siano centottantaseimila: l'articolo ipotizza che il bilancio finale, a distanza di tempo, potrebbe arrivare a tanto. E, ovviamente, per quel che ne sappiamo potrebbe anche superare questa cifra, dato che la guerra è ancora in corso.

Evitare di cedere alla tentazione della notizia-effetto, sia pure a fin di bene, dovrebbe essere la regola aurea. Soprattutto nell'era della menzogna.

Enrico Tomaselli

 
Contro destra e sinistra PDF Stampa E-mail

4 Luglio 2024

 Guardando l'esito delle elezioni in Francia, mi rendo conto d'aver perso il conto del numero di repliche che si sono succedute fino a oggi ma, andando a memoria, mi pare che la prima rappresentazione di questo spettacolo francese risalga a circa quindici anni fa. La trama dello show è, da allora, sempre e comunque la seguente: Marine Le Pen cresce in consensi, si presenta alle elezioni arrivando al ballottaggio, poi media e poteri economici montano la canea sul "pericolo fascista" e, quindi, al ballottaggio la Le Pen perde. Le previsioni danno come già scritto il medesimo finale anche per queste elezioni politiche e, da ciò,  si dovrebbe trarre una semplice considerazione: non soltanto la polarizzazione del dibattito entro la diade categoriale destra-sinistra obnubila la percezione delle contraddizioni reali ma - anche ammesso e non concesso che la Le Pen rappresenti una volontà di cambiamento sostanziale - tale diade garantisce anche la perpetua riproduzione dello stato di cose esistente.

Nella variegata costellazione dell'opposizione anti-sistema, rispetto a questo punto inerente alla necessità di superare la polarizzazione destra-sinistra nei paesi occidentali, esistono cinque tipologie di approccio: 1) LA DISSIMULAZIONE. Coloro che affermano di voler andare oltre destra e sinistra ma, in realtà, non se la sentono affatto di tagliare i ponti con la loro cultura d'origine e, quindi, continuano a essere di destra o di sinistra come sempre, limitandosi però in questa fase a dissimularlo. 2) IL SINCRETISMO.  Coloro che ritengono di superare la polarizzazione in atto, attraverso una sintesi fra destra e sinistra. Solitamente, tale opzione non riguarda la destra e sinistra neoliberali bensì i totalitarismi del Novecento. In sostanza, alcune avanguardie credono che i popoli non aspettino altro che venerare un Mostro di Frankenstein ideologico costruito con pezzi dei cadaveri di comunismo e fascismo.  3) LA RIMOZIONE.  Coloro che enunciano, con perentoria sicurezza, che "destra e sinistra non esistono più". Nella maggior parte dei casi, tale approccio consta del rimuovere sic et simpliciter il problema dal proprio campo percettivo. In alcuni altri casi come quello del M5S delle origini, l'approccio è invece motivata dall'adesione alla filosofia detta New Realism secondo la quale per cambiare le cose non vi sarebbe bisogno di visioni del mondo ma solo di soluzioni tecnico-pragmatiche. 4) IL COMPLESSO DI SUPERIORITA' . Coloro che, rendendosi conto del persistere e dell'essere funzionale al potere della polarizzazione destra-sinistra, ritengono che proprio per questo ci si debba contrapporre a essa con una rimozione cosciente e volontaria. In sostanza, la pretesa è quella di arrivare all'estinzione delle polarità che pervadono il dibattito pubblico e la produzione culturale, facendo finta che esse siano già estinte.

Qualcuno potrebbe in effetti obiettare che, con metà della popolazione che si astiene dal voto, destra e sinistra risultino già superate al di fuori della produzione mediatico-simbolica, ovvero nella coscienza collettiva del popolo reale. Potrebbe essere effettivamente così se - sul piano del linguaggio, della produzione simbolica e di senso - stesse sorgendo qualcos'altro. Ma finché ci troviamo dinanzi a uno spazio di scambio simbolico occupato onnipervasivamente dalla polarizzazione, la parte di società che diserta tale scambio, ancorché maggioritaria, rimane nulla più che un fenomeno moltitudinario e istintivo. Qualunque discorso pubblico, in queste condizioni, finirà sempre per essere risucchiato nell'unico piano enunciativo esistente, ovvero quello che classifica e neutralizza ogni concetto politico entro la diade destra-sinistra. Dunque, occorre un quinto approccio atto a non tentare di eludere la polarizzazione, né a cercare improbabili sintesi: occorre un approccio atto ad avversare frontalmente la polarizzazione in quanto tale e che si ponga come antagonista di ambo le polarità.

5) L'AUTONOMIA.  Occorre un pensiero forte che ponga la contrapposizione fra potere costituente basato sulla sovranità popolare e nuova dimensione assolutista e transumana delle società occidentali. Un pensiero del genere, ebbene, non può fare altro che contrapporsi in pari misura a destra e sinistra. E questo non soltanto denunciando la comune matrice neoliberale delle due, ma anche e soprattutto avversando - su ogni punto dell'agenda politica quali guerra, sanità, immigrazione, diritti civili, ambiente - destra e sinistra nelle loro posizioni specifiche.  L'abusata e usurata dicitura "né di destra né di sinistra", in altre parole, deve essere rottamata per lasciare spazio a un pensiero popolare rivendicante autonomia tanto sul piano politico quanto sul piano del linguaggio e che quindi sappia proclamarsi apertamente CONTRO LA DESTRA E CONTRO LA SINISTRA.  La polarizzazione, aspirando a essere onnipervasiva, non contempla qualcosa del genere neppure come ipotesi e bisogna onestamente ammettere, anche, che un approccio simile non è stato finora tentato se non in casi sporadici e isolati.

Dunque, chi se la sente d'intraprendere questa traversata in mare aperto?

Riccardo Paccosi

 
Chi esercita il potere? PDF Stampa E-mail

2 Luglio 2024

 Da Rassegna di Arianna del 30-6-2024 (N.d.d.)

Le reazioni della stampa al duello televisivo tra i candidati alle prossime presidenziali americane danno la misura di quanto in crisi siano la politica e la democrazia. Si esprime preoccupazione  per il fatto che Joe Biden, il quale ha dimostrato in diritta televisiva evidenti segni di declino delle più elementari capacità intellettuali,  possa essere il rivale di Trump alle prossime elezioni. Appare, invece, normale che il medesimo Joe Biden sia  il presidente della più grande potenza mondiale. Eppure le sue condizioni di salute, che certo negli ultimi tempi si sono ulteriormente degradate, erano già compromesse nel 2020. Le difficoltà ad articolare discorsi di senso compiuto, a ricordare i nomi, a collocare eventi e persone in modo corretto sul piano geografico e su quello cronologico erano già evidentissime quattro anni fa. Non si trattava di distrazione o di stanchezza, ma di una vera e propria malattia. Né la chirurgia estetica, né i discorsi preparati dai ghost writers, né gli auricolari o i suggerimenti dei collaboratori potevano nascondere l’evidenza: Biden non era in grado di esercitare i compiti connessi alla sua funzione. Non lo era allora come non lo è oggi e come non lo è stato negli anni trascorsi in carica.

Una stampa non degradata (la crisi della politica va di pari passo con quella dell’informazione) avrebbe dovuto porre alcune domande ineludibili. In assenza del presidente, chi ha esercitato il potere? Gli ultimi quattro anni non sono stati anni ordinari. Un miliardo di persone è stato per mesi confinato in casa con la scusa dell’epidemia, si sono imposti degli obblighi vaccinali in tutti i paesi dell’Occidente, è scoppiata una drammatica guerra in Europa, il Medio Oriente è di nuovo in fiamme. In tutti questi eventi gli Stati Uniti, come è naturale vista l’influenza del paese nelle vicende mondiali, hanno avuto un ruolo di primo piano. In una democrazia (ma anche in qualsiasi altra forma di governo) conoscere chi ha effettivamente preso certe decisioni dovrebbe essere scontato. Ci troviamo invece di fronte a un’opacità senza precedenti nella storia.

La verità è che la demenza senile di Biden esibisce in modo inequivocabile quello che era già evidente. Nel nostro Occidente il vero potere non si trova al livello della politica e non è soggetto al voto degli elettori. Biden , ma anche Macron, Sunak, Meloni, Draghi, che pure hanno capacità intellettuali non compromesse,  sono solo dei burattini. Se cercano di liberarsi dai loro fili rischiano di essere politicamente distrutti o, al peggio, di fare la fine del primo ministro slovacco Fico. Nell’attuale congiuntura storica né i governi né, tanto meno,  i parlamenti esercitano la sovranità. Comprendere dove si trovino i veri potenti (in quali consigli di amministrazione, in quali logge, in quali club, in quali sette) è il primo passo per cercare di limitare il loro potere.

Silvio Dalla Torre

 
Ceto medio semicolto PDF Stampa E-mail

1 Luglio 2024

Per l'esponente tipico del ceto medio semi colto, sulla cui visione del mondo tende ormai a modellarsi l'opinione pubblica occidentale, la NATO è una allegra brigata di buontemponi che ha il compito di tutelare le nostre libertà. La cosa non deve stupire. Chi identifica la libertà nella libertà di ballare in mutande al gay pride e di fare tutto quello che il potere vuole che tu faccia, ha una visione della realtà deformata dall'egoismo e dall' imbecillità.  Proviamo, però, per un momento, a guardare alla NATO con gli occhi dei suoi potenziali nemici. Questo organismo perderebbe immediatamente tutta la sua bonarietà, per divenire quello che in effetti è, un terribile strumento di distruzione, la più efficace arma di ricatto e pressione costruita nella storia dell'umanità.

Negli ultimi tre decenni la NATO, in forma diretta o attraverso i singoli stati che la compongono, si è prodotta in una serie di interventi militari nei più svariati teatri di guerra. In Serbia, in Afghanistan, in Somalia, in Iraq, in Libia , in Siria si è lasciata dietro di sé una lugubre scia di morte, facendo danni incalcolabili ai paesi che hanno avuto il privilegio di ricevere le sue attenzioni. L'esponente tipico della classe media semi colta queste vicende non le ricorda. Forse non le conosce nemmeno. Era troppo impegnato a bersi il cicchetto nello spritz hour o a manifestare per i diritti civili di qualche minoranza per occuparsi di queste bazzecole. Il presidente di una grande potenza, per esempio Putin, è presumibile che queste cose invece le ricordi, così come è presumibile che si sia accorto che, mentre si dedicava a queste opere di beneficenza, la NATO si è progressivamente allargata a ridosso dei suoi confini. Nel 2014, in seguito a un colpo di stato organizzato dalla CIA, è stata persino sul punto di inglobare l'Ucraina, vale a dire un paese che con la Russia è legato da mille vincoli storici e dove vivono milioni di Russi.

Di fronte a un evento del genere il sopracitato esponente della classe media semi colta avrebbe gioito: finalmente anche a Kiev sarebbero stati ammessi i matrimoni omosessuali e un nuovo membro si sarebbe aggiunto al consorzio del mondo civile. Il presidente della Russia, invece, avrebbe avuto ben poche ragioni per rallegrarsi. L'Ucraina nella NATO avrebbe avuto conseguenze estremamente preoccupanti per il suo potente vicino: la fine della parità strategica (un missile nucleare posizionato al confine può raggiungere Mosca e Pietroburgo in meno di due minuti), una permanente ipoteca dell' Occidente sulla politica interna russa, la possibilità che, sull'esempio ucraino, ciascuna delle centinaia di minoranze etniche presenti nel suolo russo rivendicasse l'indipendenza, su impulso delle ONG finanziate da Soros. Il rischio, insomma, era la riedizione, in peggio, dei drammatici anni Novanta, con l'innesco di una spirale di guerra civile e la perdita della sovranità. La stessa esistenza della statualità russa sarebbe stata in forse. Il paese avrebbe potuto scindersi in quattro o cinque entità ( più una miriade di staterelli) ostili tra loro. Non si trattava di una minaccia astratta. Questo progetto è stato chiaramente enunciato dai teorici e geopolitici dell'Occidente (Brzezinski in primis), che individuano nella frantumazione della Russia il principale obiettivo strategico degli Stati Uniti. La conoscenza di questi studiosi non si può richiedere al tipico esponente della classe media semi colta e semi ignorante. Essi però non possono non essere noti a Putin e ai suoi consiglieri.

Qui troviamo le radici della guerra in Ucraina e qui la ragione per cui una sua soluzione risulta particolarmente difficile. Una sconfitta della Russia rappresenterebbe la fine della Russia. Una sconfitta dell'Occidente rappresenterebbe la fine della NATO. Il tipico esponente della classe media semi colta auspica che si verifichi la prima alternativa. Io, dovendo scegliere, preferirei che si realizzasse la seconda e che la NATO venisse finalmente accolta nel luogo che più le compete: la pattumiera della storia.

Fiorangela Altamura

 
La festa non è affatto finita PDF Stampa E-mail

27 Giugno 2024

 Da Appelloalpopolo del 26-6- 2024 (N.d.d.)

Durante le ultime elezioni per il parlamento della UE ha fatto scalpore in Spagna il risultato di una lista nuova, “Se Acabó La Fiesta” [“La festa è finita”]: presentatasi per la prima volta, ha raccolto 800.763 voti corrispondenti al 4,59% delle preferenze ed eleggendo 3 eurodeputati. Il fondatore di questa lista, Alvise Perez, è un ex militante di “Ciudadanos”; ma l’aspetto singolare di questo soggetto politico è la sua assoluta nascita e crescita in rete, attraverso canali Telegram, in particolare attraverso il canale che porta il nome del suo fondatore (ad oggi 23/6/2024 conta più di 570.000 iscritti) e quello che risponde al nome della lista stessa (ad oggi 23/6/2024 risulta avere 5.200 iscritti). Questo successo improvviso ha indotto osservatori e analisti a gridare alla “fine dell’era dei partiti”, a dedurre che “il modello di partito del secolo scorso è scomparso” e che ormai siamo nell’epoca del digitale, della rete, dei canali, del virtuale, e che solo sulle piattaforme telematiche sia ormai possibile cercare ed ottenere consensi. Ma è davvero così? Vediamo un po’ più da vicino la faccenda.

Innanzitutto SALF ha mostrato, in tutti i sondaggi, di fare presa soprattutto nelle periferie degradate e in situazioni di disagio sociale. Il suo programma è un misto di anti-immigrazionismo critico verso l’immigrazione magrebina, di liberismo in economia, di affermazioni contro la pederastia e – immancabile, scontato e deprimente sempreverde – contro la corruzione in politica. La classica rete per intrappolare i tonni, che funziona sempre. Hanno anche un punto rispetto alla riformulazione dello stato, che però è un tema contingente della realtà iberica caratterizzata da una monarchia che dovrebbe rappresentare la comunità ma condizionata anche da forti spinte secessioniste, il cui frangente più drammatico è quello della Catalogna. Già nel contenuto esposto si notano le contraddizioni di base: Perez si scaglia contro i guasti di un’immigrazione incontrollata però invoca il sistema economico liberista, ossia… proprio quello che richiede manodopera a basso costo dai paesi poveri. La cosa grave è che ci siano più di ottocentomila spagnoli che non si rendono conto che liberalizzare l’economia (come se la Spagna di oggi fosse una repubblica sovietica, tra l’altro) comporti consegnare ciò che rimane dell’economia nazionale in mano a corporazioni multinazionali che non esiteranno dieci secondi a gettare a mare la manodopera locale per sostituirla con quella esotica a minor costo.

Ora, fare previsioni per il futuro specie in un contesto storico come quello attuale è impossibile, ma il sospetto che questo successo sia uno dei tanti fuochi di paglia elettorali del XXI secolo è supportato da diversi elementi già contenuti nella disamina appena effettuata. Innanzitutto questa lista SALF nasce in seguito all’apogeo e al tramonto di altri soggetti politici la cui crescita sembrava inarrestabile anni fa, da Ciudadanos a Podemos (quest’ultimo partito è passato dal 7,98% del 2014 al magro 3,28% delle recenti europee) e quindi nulla ci garantisce che si tratti di un fenomeno stabile nel tempo, visti i precedenti. Nel panorama politico spagnolo la fanno ancora da padrone i partiti tradizionali, il PP e il PSOE. Poi, “Se Acabó La Fiesta” ha il lievissimo difettuccio di essere l’ennesima associazione personalistica, del tutto incentrata sulla figura di Alvise, e se per caso questi non dovesse continuare a fare politica possiamo scommettere tutti quanti che la lista si scioglierebbe come il proverbiale ghiacciolo lasciato sotto il sole di agosto. L’incredibile culto della personalità che ammanta gli ammiratori di Perez è riscontrabile nella sbalorditiva differenza tra gli iscritti al suo canale personale e quella del “partito”: il primo è un canale Telegram dai numeri invidiabili, il secondo ha una platea pari a quella di un qualunque canale residuale. Per inciso: Perez ha cercato di presentare la propria lista con il suo nome proprio (“Alvise”) ma gli è stato impossibile a causa delle norme elettorali del paese iberico, quindi non ha nemmeno cercato di dissimulare il suo egocentrismo. Siamo all’ennesimo “fan club” in salsa M5S, destinato a terminare non appena il fondatore smette di fare politica, o cade in disgrazia per qualunque motivo, o semplicemente passa di moda. Se questo è il modello politico che ci permette di superare i partiti, diciamo che i paesi “europei” possono andare già adesso a prenotarsi un posto in qualche impresa di pompe funebri, Spagna inclusa.

Qui il punto è molto semplice. In politica non esiste un modello alternativo al partito. Qualsiasi soggetto politico è un insieme di più persone, e affinché funzioni ha bisogno di un’organizzazione. Quindi è imperativo che i cittadini, anche quelli più disperati – anzi, soprattutto questi – digeriscano il concetto e lo accettino. Liste estemporanee, telematiche e liquide finiscono sempre nelle discariche di rifiuti tossici, portandosi con sé chi ci ha creduto. Prima il popolo lo capisce, prima si dota dell’unico vero strumento che ha permesso in passato e può in futuro permettere la realizzazione di uno stato sociale: il partito. Punto numero due: il partito nasce e vive grazie alla partecipazione, e qui parliamo della partecipazione fisica delle persone. Sbattacchiare i polpastrelli contro la tastiera di un telefono non ha mai prodotto né produrrà mai rivoluzioni, né emancipazioni, né liberazioni, né risultati. Bisogna che tutti, giovani in primis, tornino alla partecipazione in politica come unica e nobile pratica del potere popolare. Qualsiasi fesseria realizzata esclusivamente su piattaforma è una stupida illusione. No, la festa non è affatto finita. Non è nemmeno stata organizzata. La fiesta deve ancora iniziare.

Marco Trombino

 
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