Avviso Registrazioni

Scusandoci per l'inconveniente, informiamo i nuovi utenti i quali desiderino commentare gli articoli che la registrazione deve essere fatta tramite Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

Login Form






Password dimenticata?
Nessun account? Registrati

Cerca


 
  SiteGround web hostingCredits
Chi esercita il potere? PDF Stampa E-mail

2 Luglio 2024

 Da Rassegna di Arianna del 30-6-2024 (N.d.d.)

Le reazioni della stampa al duello televisivo tra i candidati alle prossime presidenziali americane danno la misura di quanto in crisi siano la politica e la democrazia. Si esprime preoccupazione  per il fatto che Joe Biden, il quale ha dimostrato in diritta televisiva evidenti segni di declino delle più elementari capacità intellettuali,  possa essere il rivale di Trump alle prossime elezioni. Appare, invece, normale che il medesimo Joe Biden sia  il presidente della più grande potenza mondiale. Eppure le sue condizioni di salute, che certo negli ultimi tempi si sono ulteriormente degradate, erano già compromesse nel 2020. Le difficoltà ad articolare discorsi di senso compiuto, a ricordare i nomi, a collocare eventi e persone in modo corretto sul piano geografico e su quello cronologico erano già evidentissime quattro anni fa. Non si trattava di distrazione o di stanchezza, ma di una vera e propria malattia. Né la chirurgia estetica, né i discorsi preparati dai ghost writers, né gli auricolari o i suggerimenti dei collaboratori potevano nascondere l’evidenza: Biden non era in grado di esercitare i compiti connessi alla sua funzione. Non lo era allora come non lo è oggi e come non lo è stato negli anni trascorsi in carica.

Una stampa non degradata (la crisi della politica va di pari passo con quella dell’informazione) avrebbe dovuto porre alcune domande ineludibili. In assenza del presidente, chi ha esercitato il potere? Gli ultimi quattro anni non sono stati anni ordinari. Un miliardo di persone è stato per mesi confinato in casa con la scusa dell’epidemia, si sono imposti degli obblighi vaccinali in tutti i paesi dell’Occidente, è scoppiata una drammatica guerra in Europa, il Medio Oriente è di nuovo in fiamme. In tutti questi eventi gli Stati Uniti, come è naturale vista l’influenza del paese nelle vicende mondiali, hanno avuto un ruolo di primo piano. In una democrazia (ma anche in qualsiasi altra forma di governo) conoscere chi ha effettivamente preso certe decisioni dovrebbe essere scontato. Ci troviamo invece di fronte a un’opacità senza precedenti nella storia.

La verità è che la demenza senile di Biden esibisce in modo inequivocabile quello che era già evidente. Nel nostro Occidente il vero potere non si trova al livello della politica e non è soggetto al voto degli elettori. Biden , ma anche Macron, Sunak, Meloni, Draghi, che pure hanno capacità intellettuali non compromesse,  sono solo dei burattini. Se cercano di liberarsi dai loro fili rischiano di essere politicamente distrutti o, al peggio, di fare la fine del primo ministro slovacco Fico. Nell’attuale congiuntura storica né i governi né, tanto meno,  i parlamenti esercitano la sovranità. Comprendere dove si trovino i veri potenti (in quali consigli di amministrazione, in quali logge, in quali club, in quali sette) è il primo passo per cercare di limitare il loro potere.

Silvio Dalla Torre

 
Ceto medio semicolto PDF Stampa E-mail

1 Luglio 2024

Per l'esponente tipico del ceto medio semi colto, sulla cui visione del mondo tende ormai a modellarsi l'opinione pubblica occidentale, la NATO è una allegra brigata di buontemponi che ha il compito di tutelare le nostre libertà. La cosa non deve stupire. Chi identifica la libertà nella libertà di ballare in mutande al gay pride e di fare tutto quello che il potere vuole che tu faccia, ha una visione della realtà deformata dall'egoismo e dall' imbecillità.  Proviamo, però, per un momento, a guardare alla NATO con gli occhi dei suoi potenziali nemici. Questo organismo perderebbe immediatamente tutta la sua bonarietà, per divenire quello che in effetti è, un terribile strumento di distruzione, la più efficace arma di ricatto e pressione costruita nella storia dell'umanità.

Negli ultimi tre decenni la NATO, in forma diretta o attraverso i singoli stati che la compongono, si è prodotta in una serie di interventi militari nei più svariati teatri di guerra. In Serbia, in Afghanistan, in Somalia, in Iraq, in Libia , in Siria si è lasciata dietro di sé una lugubre scia di morte, facendo danni incalcolabili ai paesi che hanno avuto il privilegio di ricevere le sue attenzioni. L'esponente tipico della classe media semi colta queste vicende non le ricorda. Forse non le conosce nemmeno. Era troppo impegnato a bersi il cicchetto nello spritz hour o a manifestare per i diritti civili di qualche minoranza per occuparsi di queste bazzecole. Il presidente di una grande potenza, per esempio Putin, è presumibile che queste cose invece le ricordi, così come è presumibile che si sia accorto che, mentre si dedicava a queste opere di beneficenza, la NATO si è progressivamente allargata a ridosso dei suoi confini. Nel 2014, in seguito a un colpo di stato organizzato dalla CIA, è stata persino sul punto di inglobare l'Ucraina, vale a dire un paese che con la Russia è legato da mille vincoli storici e dove vivono milioni di Russi.

Di fronte a un evento del genere il sopracitato esponente della classe media semi colta avrebbe gioito: finalmente anche a Kiev sarebbero stati ammessi i matrimoni omosessuali e un nuovo membro si sarebbe aggiunto al consorzio del mondo civile. Il presidente della Russia, invece, avrebbe avuto ben poche ragioni per rallegrarsi. L'Ucraina nella NATO avrebbe avuto conseguenze estremamente preoccupanti per il suo potente vicino: la fine della parità strategica (un missile nucleare posizionato al confine può raggiungere Mosca e Pietroburgo in meno di due minuti), una permanente ipoteca dell' Occidente sulla politica interna russa, la possibilità che, sull'esempio ucraino, ciascuna delle centinaia di minoranze etniche presenti nel suolo russo rivendicasse l'indipendenza, su impulso delle ONG finanziate da Soros. Il rischio, insomma, era la riedizione, in peggio, dei drammatici anni Novanta, con l'innesco di una spirale di guerra civile e la perdita della sovranità. La stessa esistenza della statualità russa sarebbe stata in forse. Il paese avrebbe potuto scindersi in quattro o cinque entità ( più una miriade di staterelli) ostili tra loro. Non si trattava di una minaccia astratta. Questo progetto è stato chiaramente enunciato dai teorici e geopolitici dell'Occidente (Brzezinski in primis), che individuano nella frantumazione della Russia il principale obiettivo strategico degli Stati Uniti. La conoscenza di questi studiosi non si può richiedere al tipico esponente della classe media semi colta e semi ignorante. Essi però non possono non essere noti a Putin e ai suoi consiglieri.

Qui troviamo le radici della guerra in Ucraina e qui la ragione per cui una sua soluzione risulta particolarmente difficile. Una sconfitta della Russia rappresenterebbe la fine della Russia. Una sconfitta dell'Occidente rappresenterebbe la fine della NATO. Il tipico esponente della classe media semi colta auspica che si verifichi la prima alternativa. Io, dovendo scegliere, preferirei che si realizzasse la seconda e che la NATO venisse finalmente accolta nel luogo che più le compete: la pattumiera della storia.

Fiorangela Altamura

 
La festa non è affatto finita PDF Stampa E-mail

27 Giugno 2024

 Da Appelloalpopolo del 26-6- 2024 (N.d.d.)

Durante le ultime elezioni per il parlamento della UE ha fatto scalpore in Spagna il risultato di una lista nuova, “Se Acabó La Fiesta” [“La festa è finita”]: presentatasi per la prima volta, ha raccolto 800.763 voti corrispondenti al 4,59% delle preferenze ed eleggendo 3 eurodeputati. Il fondatore di questa lista, Alvise Perez, è un ex militante di “Ciudadanos”; ma l’aspetto singolare di questo soggetto politico è la sua assoluta nascita e crescita in rete, attraverso canali Telegram, in particolare attraverso il canale che porta il nome del suo fondatore (ad oggi 23/6/2024 conta più di 570.000 iscritti) e quello che risponde al nome della lista stessa (ad oggi 23/6/2024 risulta avere 5.200 iscritti). Questo successo improvviso ha indotto osservatori e analisti a gridare alla “fine dell’era dei partiti”, a dedurre che “il modello di partito del secolo scorso è scomparso” e che ormai siamo nell’epoca del digitale, della rete, dei canali, del virtuale, e che solo sulle piattaforme telematiche sia ormai possibile cercare ed ottenere consensi. Ma è davvero così? Vediamo un po’ più da vicino la faccenda.

Innanzitutto SALF ha mostrato, in tutti i sondaggi, di fare presa soprattutto nelle periferie degradate e in situazioni di disagio sociale. Il suo programma è un misto di anti-immigrazionismo critico verso l’immigrazione magrebina, di liberismo in economia, di affermazioni contro la pederastia e – immancabile, scontato e deprimente sempreverde – contro la corruzione in politica. La classica rete per intrappolare i tonni, che funziona sempre. Hanno anche un punto rispetto alla riformulazione dello stato, che però è un tema contingente della realtà iberica caratterizzata da una monarchia che dovrebbe rappresentare la comunità ma condizionata anche da forti spinte secessioniste, il cui frangente più drammatico è quello della Catalogna. Già nel contenuto esposto si notano le contraddizioni di base: Perez si scaglia contro i guasti di un’immigrazione incontrollata però invoca il sistema economico liberista, ossia… proprio quello che richiede manodopera a basso costo dai paesi poveri. La cosa grave è che ci siano più di ottocentomila spagnoli che non si rendono conto che liberalizzare l’economia (come se la Spagna di oggi fosse una repubblica sovietica, tra l’altro) comporti consegnare ciò che rimane dell’economia nazionale in mano a corporazioni multinazionali che non esiteranno dieci secondi a gettare a mare la manodopera locale per sostituirla con quella esotica a minor costo.

Ora, fare previsioni per il futuro specie in un contesto storico come quello attuale è impossibile, ma il sospetto che questo successo sia uno dei tanti fuochi di paglia elettorali del XXI secolo è supportato da diversi elementi già contenuti nella disamina appena effettuata. Innanzitutto questa lista SALF nasce in seguito all’apogeo e al tramonto di altri soggetti politici la cui crescita sembrava inarrestabile anni fa, da Ciudadanos a Podemos (quest’ultimo partito è passato dal 7,98% del 2014 al magro 3,28% delle recenti europee) e quindi nulla ci garantisce che si tratti di un fenomeno stabile nel tempo, visti i precedenti. Nel panorama politico spagnolo la fanno ancora da padrone i partiti tradizionali, il PP e il PSOE. Poi, “Se Acabó La Fiesta” ha il lievissimo difettuccio di essere l’ennesima associazione personalistica, del tutto incentrata sulla figura di Alvise, e se per caso questi non dovesse continuare a fare politica possiamo scommettere tutti quanti che la lista si scioglierebbe come il proverbiale ghiacciolo lasciato sotto il sole di agosto. L’incredibile culto della personalità che ammanta gli ammiratori di Perez è riscontrabile nella sbalorditiva differenza tra gli iscritti al suo canale personale e quella del “partito”: il primo è un canale Telegram dai numeri invidiabili, il secondo ha una platea pari a quella di un qualunque canale residuale. Per inciso: Perez ha cercato di presentare la propria lista con il suo nome proprio (“Alvise”) ma gli è stato impossibile a causa delle norme elettorali del paese iberico, quindi non ha nemmeno cercato di dissimulare il suo egocentrismo. Siamo all’ennesimo “fan club” in salsa M5S, destinato a terminare non appena il fondatore smette di fare politica, o cade in disgrazia per qualunque motivo, o semplicemente passa di moda. Se questo è il modello politico che ci permette di superare i partiti, diciamo che i paesi “europei” possono andare già adesso a prenotarsi un posto in qualche impresa di pompe funebri, Spagna inclusa.

Qui il punto è molto semplice. In politica non esiste un modello alternativo al partito. Qualsiasi soggetto politico è un insieme di più persone, e affinché funzioni ha bisogno di un’organizzazione. Quindi è imperativo che i cittadini, anche quelli più disperati – anzi, soprattutto questi – digeriscano il concetto e lo accettino. Liste estemporanee, telematiche e liquide finiscono sempre nelle discariche di rifiuti tossici, portandosi con sé chi ci ha creduto. Prima il popolo lo capisce, prima si dota dell’unico vero strumento che ha permesso in passato e può in futuro permettere la realizzazione di uno stato sociale: il partito. Punto numero due: il partito nasce e vive grazie alla partecipazione, e qui parliamo della partecipazione fisica delle persone. Sbattacchiare i polpastrelli contro la tastiera di un telefono non ha mai prodotto né produrrà mai rivoluzioni, né emancipazioni, né liberazioni, né risultati. Bisogna che tutti, giovani in primis, tornino alla partecipazione in politica come unica e nobile pratica del potere popolare. Qualsiasi fesseria realizzata esclusivamente su piattaforma è una stupida illusione. No, la festa non è affatto finita. Non è nemmeno stata organizzata. La fiesta deve ancora iniziare.

Marco Trombino

 
Intelligenza Artigianale PDF Stampa E-mail

23 Giugno 2024

 Da Rassegna di Arianna del 21-6-2024 (N.d.d.)

Il tema dell’Intelligenza Artificiale e delle sue insidie è da qualche tempo di moda. Tra le “insidie” più sentite (e più risentite) c’è l’idea che l’Intelligenza Artificiale possa sostituire professioni qualificate, intellettuali. Ora, in questo timore e in questa attenzione c’è un fraintendimento di fondo. Si immagina che la minaccia provenga dall’IA, mentre essa proviene da scelte organizzative della produzione e del lavoro, scelte che precedono di almeno due secoli ogni discussione sull’IA.

La ragione per cui è oggi realistico che un medico, un avvocato o un professore possano essere presto o tardi sostituiti da un’istanza meccanica non-umana è che da quasi tre secoli la forma presa dalla produzione economica mira sistematicamente ad assimilare il lavoro umano (ogni tipo di lavoro umano) ad istanze meccaniche non-umane. Ci si sveglia oggi perché ad essere minacciati appaiono tradizionali mestieri d’élite, ma questa è semplicemente l’ultima propaggine del medesimo processo che ha sostituito la produzione artigianale con la produzione seriale, meccanizzata. La produzione artigianale era notoriamente diseguale e quantitativamente più ristretta della produzione seriale, che si parli di pelletteria, falegnameria, lavorazione del ferro, costruzione di strumenti musicali, ecc. Questa disuniformità della produzione artigianale consentiva vertici di eccellenza oggi irraggiungibili (si pensi alla tradizione dei maestri liutai come Stradivari o Guarneri del Gesù), ma naturalmente non garantiva uno standard, e dunque per distinguere un lavoro ben fatto da un prodotto mediocre richiedeva la maturazione di una capacità di giudizio nel fruitore. La produzione meccanizzata produce dunque tre effetti: tende a perdere sistematicamente sul piano dell’innovazione sperimentale, tende a perdere le punte di eccellenza, e tende a degradare il gusto medio dei fruitori, cui viene offerto un prodotto standardizzato, di cui non bisogna riconoscere le peculiarità. Al tempo stesso, naturalmente, la produzione seriale consente di portare alla luce quantità di prodotto enormemente superiori a quelle disponibili in passato, abbattendone i prezzi e dunque incrementandone l’accessibilità.

Per poter ottenere questo risultato fu necessario utilizzare l’esperienza pregressa dei maestri artigiani. Tale apporto consentì di costruire apparati produttivi seriali cui potevano dare un contributo produttivo anche lavoranti che mai avrebbero passato la soglia di una bottega artigiana. Le competenze più alte e specifiche tendono così dapprima a restringersi, nei numeri dei soggetti coinvolti, per poi ridursi anche quanto all’altezza e specificità stessa di quelle competenze, che sempre meno persone sono in grado di valutare. Nel passaggio dall’uomo artigiano all’operaio alla catena di montaggio, l’uomo viene sempre più assimilato alla macchina e questo permette ai processi di natura meccanica, con il loro carattere anonimo e infinitamente iterabile, di diffondersi. La meccanizzazione del processo produttivo conferisce una potenza inedita alla produzione, al prezzo di smarrirne gli aspetti qualitativamente irriducibili.

Oggi, quando ad un medico si richiede di affidarsi ai “protocolli”, conferendogli garanzie legali e di deresponsabilizzazione se i “protocolli” sono seguiti pedissequamente, si sta procedendo alla meccanizzazione progressiva dell’arte medica, che appunto scompare come arte, scompare come fattore che sollecita lo sviluppo di facoltà diagnostiche e osservative speciali. Ciò avviene nel nome di una “standardizzazione” che risulterà necessariamente ottusa nella valutazione dei casi “eccentrici”, ai margini della distribuzione normale della gaussiana, ma che garantirà risposte rapide, economiche e di massa nella maggioranza dei casi ordinari. Quanto più questo processo avanza, tanto più ciò che i medici in carne ed ossa fanno è “riducibile a meccanismo”. Più standardizzato il servizio, tanto più rapidamente ed efficacemente esso potrà venire sostituito da procedimenti di Intelligenza Artificiale, che mediamente produrranno diagnosi e ricette rapide, massive, economiche e anche efficaci, per i casi vicini alla distribuzione media. Naturalmente il prezzo da pagare per questo beneficio è la sempre maggiore irriconoscibilità di tutto ciò che presenta aspetti eccentrici, la sempre maggiore ottusità nei confronti delle specificità individuali.

Lo stesso processo bussa alle porte quando nell’insegnamento, scolastico e a maggior ragione universitario, si promuove l’esigenza dell’uniformazione dei programmi e delle metodologie di insegnamento. Quando inizia a diventare senso comune che se si studia “letteratura latina” o “epistemologia” ciò deve garantire che si studi LA STESSA COSA – perché il nome è lo stesso – si prende la strada per cui potremo fare un solo corso standard filmato, riproducendolo infinitamente ad un numero indefinitamente ampio di studenti. E gli aggiustamenti o aggiornamenti potranno essere consegnati all’IA, che si affiderà alle forme pregresse ricombinate. Anche questo processo avrà il grande vantaggio di abbattere drasticamente costi e tempi di produzione del prodotto “lezione”, con il marginale problema di distruggere in forma ultimativa buona parte di ciò che un tempo rappresentava "cultura umana". Che lo si sappia oppure no, quanto più ci si adegua agli standard richiesti dall’esterno, dai “ministeri”, dalle “autorità internazionali”, ecc. tanto più si lavora per l’uniformazione e infine la meccanizzazione della produzione culturale, ad ogni livello. In generale, quanto più questo processo va avanti, tanto più "perdibili" (o senz'altro scadenti) appaiono i contributi umani e tanto più sensata appare perciò la loro sostituzione con uno standard meccanico. Ma forse è bene così – chi sono io per contestare il progresso - basta che non vi siano infingimenti e che si tratti di una scelta consapevole, senza che venga camuffata da “attenzione alla qualità”.

Andrea Zhok

 
Quattro livelli di comprensione della guerra PDF Stampa E-mail

19 Giugno 2024

 Da Rassegna di Arianna del 16-6-2024 (N.d.d.)

Il conflitto in corso può essere compreso a diversi livelli, di profondità e realismo crescente. A un primo livello, quello dell’uomo comune, si dice che la Russia, senza giustificazione quindi illegittimamente, in violazione delle leggi internazionali, ha aggredito e invaso l’Ucraina, un paese sovrano, liberale e democratico, perciò è legittimo sostenere questo paese con aiuti di ogni forma, nonché confiscando gli interessi sui cespiti russi che si trovano in Occidente. C’è un aggressore e un aggredito, un buono e un cattivo, un chiaro dovere di sostenere i buoni contro i cattivi.

A un secondo livello di approfondimento, gli USA hanno gravemente violato l'accordo, stipulato allorché l'Unione Sovietica autorizzò la riunificazione delle Germania, di non espandere la loro sfera di controllo, attraverso la NATO, verso est. Infatti gli USA hanno acquisito alla Nato quasi tutti i paesi dell'Europa orientale, hanno attuato un colpo di stato in Ucraina per avanzare fino ai confini russi, hanno fomentato ostilità anti russe in Ucraina, inducendola perseguitare le minoranze russe nel Donbass, a Odessa e altrove, poscia a violare i patti di Minsk. È chiaro quindi che si preparavano ad assediare direttamente la Russia per acquisirne in prospettiva il controllo. Quindi la Russia è stata costretta e insieme legittimata ad occupare l'Ucraina per difendere la propria minacciata indipendenza. Tatticamente, la Russia è l’aggressore dell’Ucraina, ma strategicamente gli USA e la NATO sono gli aggressori illegittimi della Russia. Inoltre l’Ucraina di Zelensky non è affatto un paese liberale né democratico, bensì autoritario e illiberale, che soffoca il dissenso, e la sua popolazione è scontenta del suo regime. E Zelensky, noto cocainomane, assieme ai suoi compari, si sta arricchendo sul sangue dei suoi concittadini.

A un terzo livello, il vero soggetto agente per parte occidentale è il suo sistema monetario e finanziario, il cosiddetto Impero del Dollaro, che, per reggersi, cioè per reggere l'enorme massa di debito insolvibile e la maxi-bolla di titoli finanziari senza valore sottostante che ha immesso nel mercato, ha necessità oggettiva di emettere sempre nuove masse di tali titoli e di moneta, cosa che può fare soltanto se espande il proprio controllo a sempre nuove aree e risorse minerarie, agricole e industriali. A tal fine, quel sistema si è servito di USA e NATO per inglobare dapprima tutta una serie di paesi; poi ha preso di mira l'Ucraina,  che si stima abbia risorse naturali per 14.000 miliardi di dollari, soprattutto nel Donbass, e che quindi potrebbe alimentare la macchina finanziaria della speculazione per molti anni; ma a quel punto la Russia è intervenuta per fermare l'avanzata e prendere per sé quelle risorse. L’Impero del Dollaro ha reagito ingaggiando una guerra per procura, in cui intanto già guadagna dalle notevole spesa pubblica per le commesse militari, guadagna perché si prende tutte le risorse della parte “libera” dell’Ucraina e la indebita a sé in perpetuo; inoltre guadagna perché con le sanzioni costringe l’Europa a comperare il gas americano pagandolo un multiplo di quello russo; inoltre guadagna perché toglie dall’Europa molte industrie che si rilocalizzano negli USA per risparmiare sull’energia; inoltre guadagna perché mette Russia ed Europa l’una contro l’altra, impedendo una saldatura economica e politica. Combatte non per vincere, ma per profittare dalla guerra. Non rileva il fatto che questi guadagni avvengono a spese della vita di centinaia di migliaia di combattenti. La Russia, in questa lettura, non è il nemico, ma è carburante per la macchina finanziaria.

A un quarto livello, stiamo osservando che, nonostante la sua popolazione sia un nono circa e la sua economia sia un ventesimo del PIL dei paesi Nato e sia colpita da pesantissime sanzioni oltre che dallo sforzo bellico, la Russia sta crescendo notevolmente e ancor più dei paesi occidentali, e inoltre senza indebitarsi, e reggendo egregiamente il confronto militare e industriale con il fronte avversario, mentre costruisce un blocco BRICS che si sgancia dal Dollaro come moneta degli scambi internazionali, indebolendo esso e gli USA. Questi dati di fatto dimostrano che la generale teoria economica che si insegna in Occidente è fallace, soprattutto nella adozione del PIL come parametro centrale. E che un'economia in cui il 90% del PIL è dato da transazioni finanziarie improduttive e parassitarie, è un'economia debole e malata, destinata a soccombere contro un’economia più piccola ma reale.

Con ciò, si apre la possibilità che quanto sopra porti non solo a una revisione della teoria economica generale, ma che, se le potenze dell'Impero del Dollaro saranno sconfitte, l'Impero stesso crolli, che crolli il sistema del capitalismo finanziario speculativo, e che venga sostituito da un sistema incentrato sull'economia reale produttiva. Che si ritorni dal capitalismo speculativo a quello produttivo.

Marco Della Luna

 
Cretinismo parlamentare e servilismo PDF Stampa E-mail

18 Giugno 2024

 Da Appelloalpopolo del 15-6-2024 (N.d.d.)

La democrazia tende solitamente ad autocelebrarsi in modo quasi ossessivo, celando e tacendo le ipocrisie e i malfunzionamenti da cui è affetta, i quali, sia ben chiaro, caratterizzano qualsiasi sistema istituzionalizzato di regolazione dei rapporti umani. Quando parliamo del sistema democratico, indubbiamente preferibile ad altri sistemi quantomeno per il maggiore ventaglio di protezione dei diritti fondamentali dell’individuo che esso garantisce, non dobbiamo tuttavia cadere nell’errore di considerarlo a prescindere come il migliore in assoluto in quanto a efficienza politica. Perché lo sia, esso deve essere messo in condizione di “funzionare bene”. A tale scopo, la democrazia non può essere pensata senza il suo corollario operativo, ovvero il parlamentarismo, espressione concreta della pluralità sociale, la quale si condensa in un’assise decisionale che è la sintesi dei differenti orientamenti culturali, politico-ideologici ed economici di una comunità, da comporre in una sede istituzionale. Perché questo sia possibile però, occorre dare sostanza a un sistema che di per sé nasce come mero contenitore, essendo passibile pertanto di restare senza contenuto. La democrazia può in effetti restare un guscio vuoto, un puro involucro procedurale, per dirla alla Schumpeter. Nel migliore dei casi, infatti, la democrazia parlamentare diventa uno strano moloch autoreferenziale rinchiuso in una torre d’avorio e impermeabile alla realtà che si dispiega all’infuori di esso.

Lo aveva ben compreso Friedrich Engels già nel 1852 quando, a proposito dei deputati della sinistra nell’Assemblea legislativa, scriveva: “Questi disgraziati poveri di spirito, per tutto il corso delle loro esistenze, generalmente molto oscure […] dal principio della loro carriera legislativa erano stati più di qualsiasi altra frazione dell’Assemblea contaminati dalla incurabile malattia del cretinismo parlamentare, infermità che riempie gli sfortunati che ne sono vittime della convinzione solenne che tutto il mondo, la sua storia e il suo avvenire sono retti e determinati dalla maggioranza dei voti di quel particolare consesso rappresentativo che ha l’onore di annoverarli tra i suoi membri, e che qualsiasi cosa accada fuori delle pareti di questo edificio […] non conta nulla in confronto con gli eventi incommensurabili legati all’importante questione, qualunque essa sia, che in quel momento occupa l’attenzione dell’onorevole loro assemblea”. Settant’anni dopo, Antonio Gramsci, nell’ambito di una critica alla borghesia, non risparmiava strali acuminati nei confronti del parlamentarismo di quegli anni, definendo la classe politica come specializzata in “cretinismo parlamentare”, e l’istituto parlamentare stesso nei termini seguenti: “[…] il Parlamento diviene una bottega di chiacchiere e di scandali, diviene un mezzo al parassitismo. Corrotto fino alle midolla, asservito completamente al potere governativo, il Parlamento perde ogni prestigio presso le masse popolari”.

Ora, se il sistema democratico si esprime attraverso il parlamentarismo, nel momento in cui esso sia dominato dal cretinismo di engelsiana e gramsciana memoria, la democrazia diventa tanto insulsa, inefficiente e odiosa quanto qualsiasi altro sistema sideralmente distante dal corpo politico dei governati. Quando poi al cretinismo si affianca e si aggiunge il servilismo e la subordinazione a diktat che sono l’espressione di poteri esogeni, il parlamentarismo entra in una nuova fase, ancora peggiore della precedente. Esso cioè diventa un agente patogeno di decostruzione dell’interesse collettivo e nazionale, seppure ancora travestito da presidio di democrazia. Se nel primo caso la degenerazione è funzionale al mantenimento di uno status quo che non minaccia in modo radicale e immediato le fondamenta dello Stato – sebbene ne intacchi irrimediabilmente la credibilità -, nel secondo sono queste a essere erose in modo inesorabile, fino al punto di non ritorno.

Il complesso reticolato sovranazionale che ingessa e condiziona il nostro Paese induce un lento processo di disfacimento, durante il quale l’insorgere delle conseguenze fatali è paradossalmente imputato a supposte inefficienze del tessuto istituzionale interno. Il meccanismo psicologico è talmente subdolo che diventa quasi impossibile scardinarlo perché i fenomeni di presa di coscienza collettiva sulle reali cause dei problemi spesso insorgono solo a posteriori e dopo molto tempo, quando il danno ha già prodotto i suoi esiti irreversibili. Il cretinismo allora, da fenomeno istituzionale, si traduce in un vero e proprio abito mentale di carattere culturale e collettivo, difficilmente estirpabile attraverso una chiave di lettura puramente logico-argomentativa. Esso è un fenomeno che viene assorbito organicamente a livello inconscio e psicologico, assumendo i contorni di un habitus psichico capace di ingannare e disorientare un popolo intero. Il risveglio, qualora dovesse avvenire, sarà presumibilmente traumatico e dovuto anch’esso a eventi esogeni subiti e non consapevolmente gestiti. Ristrutturare il sistema democratico rappresentativo nazionale facendolo tornare da soggetto passivo ad agente politico attivo è la sfida più urgente dei tempi in cui viviamo, una sfida che presuppone un risveglio psichico subordinato a un cambio radicale di orientamenti culturali.

Davide Parascandolo

 
<< Inizio < Prec. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Pross. > Fine >>

Risultati 1 - 16 di 3744