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Sanzioni alla Russia PDF Stampa E-mail

9 Maggio 2024

 Da Comedonchisciotte del 7-5-2024 (N.d.d.)

All’inizio dello scoppio della guerra in Ucraina sembrava che il crollo del sistema economico russo – in virtù di quelle che ci venivano rappresentate come delle sanzioni insopportabili per la Russia, applicate dai paesi occidentali – fosse questione di ore. Poi, visto che tale previsione tardava ad avverarsi, figure politiche di primo piano e main stream hanno provato a convincerci, giorno dopo giorno, che il crollo della Russia e di Putin sarebbe stato l’indomani. A due anni dall’inizio del conflitto, siamo ancora qui, ad aspettare che arrivi quel domani! Anzi, a dirla tutta, i numeri che ci provengono – non dal Cremlino ma dal principale organismo che più di tutti opera per tenere in vita l’istinto colonizzatore da sempre presente nei cromosomi dell’Occidente – ci raccontano tutta un’altra storia.

È proprio il Fondo Monetario Internazionale (FMI), fiore all’occhiello degli Stati Uniti (con annessa Europa) a confermarci che nonostante le sanzioni, il pil della Russia continua a correre. Secondo le sue stime, nel 2024 Mosca potrebbe crescere del 3,2%, superando tutte le altre economie avanzate del mondo occidentale: dagli Stati Uniti (+2,7%), al Regno Unito (+0,5%), alla Germania (+0,2%), alla Francia (+0,7%), all’Italia (+0,7%) e alla Spagna (+1,9%). La Russia – sempre secondo quanto ci racconta l’organismo presieduto dall’economista bulgara Kristina Georgieva – quest’anno sarebbe terza solo al pil dell’economia della Cina (+4,6%) e dell’India (+6,8%). Due paesi – definiti emergenti – con economie in grande crescita che vale la pena ricordare: oggi rappresentano i principali partner commerciali e strategici a livello geopolitico per Putin ed il suo popolo. Dal Cremlino ci fanno sapere che le sanzioni occidentali sulle sue industrie critiche hanno reso il paese più autosufficiente e che i consumi privati e gli investimenti interni rimangono resilienti. L’aumento delle esportazioni di petrolio e materie prime verso paesi come India e Cina ed i meccanismi di elusione delle sanzioni abbinati agli alti prezzi del petrolio, hanno consentito al paese di mantenere robusti ricavi dalle esportazioni di greggio. Persino la Commissione Europea ha dovuto alzare bandiera bianca ed ammettere che le sanzioni hanno funzionato meno del dovuto. In un documento sull’adozione del 13° pacchetto di sanzioni dell’Ue contro la Russia, redatto a Bruxelles, si legge: «La rapida crescita osservata nel 2023 è stata registrata principalmente nei settori associati al complesso dell’industria militare (metalli, mezzi di trasporto, computer, elettronica, dispositivi ottici). La produzione di questi tre rami nel 2023 è stata di circa il 30-40% superiore rispetto al 2021».  Diverse fonti rivelano anche che le sanzioni possono essere facilmente eludibili tramite Paesi terzi, soprattutto se si considera che alcuni di essi, come Cina, Qatar o India, non le hanno attuate e stanno di fatto aiutando la Russia ad aggirarle.

Le sanzioni quindi non stanno funzionando e per di più proprio nei giorni scorsi è arrivata – inaspettata per il nostro governo – non per chi è dotato ancora della pura logica con la quale si analizzano gli eventi – la contromossa di Putin. Il Presidente russo ha firmato un decreto (il n. 294, datato 26 aprile 2024), con il quale di fatto nazionalizza le filiali russe di Ariston e Bosch. Le aziende italiana e tedesca sono state trasferite alla gestione temporanea di JSC Gazprom Household Systems del gruppo Gazprom. Si tratta in particolare del 100% di Ariston Thermo Rus LLC, di proprietà di Ariston Holding N.V., e di BSH Household Appliances LLC, di proprietà di BSH Hausgerate GmbH. A fronte di sanzioni che per lo più prevedono il blocco di riserve in denaro di proprietà della Banca di Russia operate dall’Occidente, il Cremlino si prende le nostre aziende ed il relativo Know-how. Insomma, se vogliamo proprio dirla in modo palese: noi gli blocchiamo dei numeri su dei computer, numeri che la Banca centrale russa si può tranquillamente ricreare da sola con un battito di “click”; di contro noi perdiamo aziende vere che fanno parte del nostro patrimonio tecnologico nazionale, frutto di generazioni di lavoro. Ed anche sul blocco delle riserve in valuta estera, ci sarebbe molto da dire, come di fatto ho già detto in vari articoli. Lasciando libera Gazprombank di operare nel sistema dei pagamenti SWIFT – per ovvie ragioni riconducibili alla necessità che la UE ha di ottenere il gas russo – in un certo qual mondo è come se le sanzioni non esistessero o perlomeno siano molto annacquate rispetto a quello che ci viene prospettato. Non solo, i nostri politici, chiaramente in grossa difficoltà di fronte all’opinione pubblica, hanno anche la faccia di bronzo per risentirsi nei confronti della decisione del governo russo. È Antonio Tajani – vice presidente del Consiglio dei ministri – a metterci la faccia, con dichiarazioni che non mostrano il ben che minimo senso di vergogna: “Dopo l’inattesa decisione del governo russo sulla gestione di Ariston Thermo Group ho subito attivato la nostra ambasciata in Russia e parlato con i vertici dell’azienda italiana. Il governo italiano è al fianco delle imprese, pronto a tutelarle in tutti i mercati internazionali”.

Tajani, in rappresentanza del nostro governo, primo attore dentro il mondo occidentale che da due anni, oltre a sanzionare la Russia, è in prima fila nell’inviare armi in Ucraina e come se non bastasse fomentatore della nostra stampa nazionale che quotidianamente insulta il suo Presidente, si meraviglia dell’accaduto e addirittura pretende spiegazioni attraverso i medesimi canali diplomatici con i quali si rifiuta di dialogare per riportare la pace in territorio ucraino. Siamo veramente di fronte alla più che sfacciata pretesa di superiorità che l’Occidente, ormai senza più nessun tipo di ragione di sorta, continua a voler intestarsi rispetto al resto del mondo.

Di contro a dimostrazione che le sanzioni fanno parte di una narrativa da dare in pasto alla gente – come ci ha spiegato anche Warren Mosler (padre fondatore della MMT) in una intervista, pubblicata nell’ottobre del 2022 – è notizia di pochi giorni fa che le principali banche europee in Russia hanno pagato cifre record di tasse, nonostante le promesse di ridurre le loro esposizioni dopo l’invasione dell’Ucraina. Raiffeisen Bank International, Ing, Commerzbank, Deutsche Bank, Otp ma anche le italiane Unicredit e Intesa Sanpaolo – hanno registrato un profitto combinato di oltre 3 miliardi di euro nel 2023 – arrivando a versare nelle casse del Cremlino più di 800 milioni di euro di tasse lo scorso anno: una cifra pari a quattro volte i livelli prebellici. Ed anche qui non è la Pravda a dircelo ma bensì lo rivela un’inchiesta del Financial Times, quotidiano simbolo del mondo finanziario occidentale. I profitti sono tre volte superiori a quelli del 2021 e sono stati in parte generati dai fondi che le banche non possono ritirare dal Paese.

Se mi consentite una valutazione delle capacità di comprendere la materia economica ed i sistemi monetari moderni, da parte del governo russo, posso tranquillamente affermare che Putin ed i suoi ministri siano di un’altra categoria rispetto ai nostri governanti. Solo il fatto di aver compreso l’opportunità di non nazionalizzare le banche commerciali produttrici di depositi (moneta), rispetto ad aziende produttrici di beni e servizi, è la certificazione che in Russia hanno compreso perfettamente che la moneta oltre a non essere scarsa è merce, la cui produzione non necessità nessun tipo di know-how particolare.

Concludendo, per chi ha ancora l’arroganza di guidarci, le sanzioni alla Russia, anche per oggi avranno effetto... domani!

Fabio Bonciani

 
Ritorno alle origini PDF Stampa E-mail

6 Maggio 2024

 Da Comedonchisciotte dell’1-5-2024 (N.d.d.)

Theodore Postol, professore di Scienza, Tecnologia e Politica di Sicurezza Nazionale al MIT, ha fornito un’analisi forense dei video e delle prove emerse dall’attacco dimostrativo dell’Iran con droni e missili del 13 aprile contro Israele: Un “messaggio”, piuttosto che un “assalto”. Il principale quotidiano israeliano, Yediot Ahoronot, ha stimato il costo del tentativo di abbattere la salva di missili e droni iraniani in 2-3 miliardi di dollari. Le implicazioni di questa cifra sono sostanziali. Il professor Postol scrive: “Ciò indica che il costo della difesa contro ondate di attacchi di questo tipo è molto probabilmente insostenibile contro un avversario adeguatamente armato e determinato”. “I video mostrano un fatto estremamente importante: tutti i bersagli, droni o altro, sono abbattuti da missili aria-aria”, [lanciati per lo più da aerei statunitensi. Secondo quanto riferito, circa 154 velivoli erano in volo in quel momento] che probabilmente usavano missili aria-aria AIM-9x Sidewinder. Il costo di un singolo missile aria-aria Sidewinder è di circa 500.000 dollari”. Inoltre: “Il fatto che molti missili balistici non intercettati siano stati visti brillare al rientro nell’atmosfera ad altitudini inferiori [un’indicazione di ipervelocità], fa capire che, in ogni caso, gli effetti delle difese missilistiche David’s Sling e Arrow di [Israele], non sono stati particolarmente efficaci. Pertanto, le prove a questo punto mostrano che essenzialmente tutti o la maggior parte dei missili balistici a lungo raggio in arrivo non sono stati intercettati da nessuno dei sistemi di difesa aerea e missilistica israeliani”. Postel aggiunge: “Ho analizzato la situazione e sono giunto alla conclusione che la tecnologia ottica e computazionale disponibile in commercio è più che in grado di essere adattata ad un sistema di guida di missili da crociera per dargli una capacità di puntamento di altissima precisione… è mia conclusione che gli iraniani abbiano già sviluppato missili da crociera e droni a guida di precisione”. “Le implicazioni di una cosa del genere sono chiare. Il costo dell’abbattimento di missili da crociera e droni sarà molto alto e potrebbe essere insostenibile, a meno che non si possano mettere a punto sistemi antiaerei estremamente economici ed efficaci. Al momento, nessuno ha dimostrato di possedere un sistema di difesa economico in grado di intercettare missili balistici con una certa affidabilità”.

Per essere chiari, Postol sta dicendo che sia gli Stati Uniti che Israele hanno una difesa assai parziale nei confronti di un possibile attacco di questa natura – soprattutto perché l’Iran ha disperso e interrato i silos dei suoi missili balistici su tutto il territorio iraniano e li ha posti sotto il controllo di unità autonome che sono in grado di continuare una guerra, anche se il comando centrale e le comunicazioni fossero completamente persi. Si tratta di un cambiamento di paradigma, chiaramente per Israele. L’enorme spesa fisica per gli armamenti di difesa aerea – 2-3 miliardi di dollari – non sarà ripetuta come se niente fosse dagli Stati Uniti. Netanyahu non riuscirà facilmente a convincere gli Stati Uniti ad impegnarsi con Israele in altre imprese contro l’Iran, dati questi costi insostenibili per la difesa aerea. Ma anche, come seconda importante implicazione, questi mezzi di difesa aerea non sono solo costosi in termini di dollari, semplicemente non ci sono: cioè, il magazzino è quasi vuoto! E gli Stati Uniti non hanno la capacità produttiva per sostituire rapidamente queste piattaforme non particolarmente efficaci e ad alto costo.

Sì, l’Ucraina… il paradigma del Medio Oriente si collega direttamente a quello dell’Ucraina, dove la Russia è riuscita a distruggere gran parte delle capacità di difesa aerea fornite dall’Occidente, dando alla Russia un dominio aereo quasi completo dei cieli. Posizionare la scarsa difesa aerea “per salvare Israele” espone quindi l’Ucraina (e rallenta anche il perno statunitense verso la Cina). E, vista la recente approvazione della legge sui finanziamenti all’Ucraina da parte del Congresso, è chiaro che i mezzi di difesa aerea sono una priorità da inviare a Kiev, dove l’Occidente sembra sempre più in trappola e alla ricerca di una via d’uscita che non porti all’umiliazione.

Ma, prima di lasciare il cambio di paradigma del Medio Oriente, le implicazioni per Netanyahu sono già evidenti: deve tornare a concentrarsi sul “nemico vicino” – la sfera palestinese o il Libano – per fornire a Israele la “Grande Vittoria” che il suo governo brama. In breve, il “costo” per Biden di salvare Israele dalla salva di missili iraniani, che era stata preannunciata dall’Iran come dimostrativa e non distruttiva o letale, è che la Casa Bianca deve sopportarne il corollario – un attacco a Rafah. Ma questo implica una diversa forma di costo: un’erosione elettorale dovuta all’esacerbazione delle tensioni interne derivanti dal continuo e palese massacro dei palestinesi.

Non è solo Israele a sopportare il peso del cambio di paradigma iraniano. Consideriamo gli Stati arabi sunniti che hanno lavorato in varie forme di collaborazione (normalizzazione) con Israele. Nell’eventualità di un conflitto più ampio che coinvolga l’Iran, è chiaro che Israele non potrebbe proteggerli – come dimostra chiaramente il professor Postol. E possono contare sugli Stati Uniti? Gli Stati Uniti devono far fronte a richieste concorrenti per le loro scarse difese aeree e (per ora) l’Ucraina e il perno verso la Cina sono più in alto nella scala delle priorità della Casa Bianca. Nel settembre 2019, l’impianto petrolifero saudita di Abqaiq era stato colpito da missili da crociera che, osserva Postol, “avevano un’accuratezza effettiva di forse pochi metri, molto più precisa di quella che si potrebbe ottenere con la guida GPS (probabilmente un sistema di guida ottica e computazionale, che fornisce una capacità di centrare il bersaglio molto più precisa)”. Quindi, dopo il cambio di paradigma della deterrenza attiva iraniana e il successivo shock del paradigma dell’esaurimento della difesa aerea, il presunto prossimo cambio di paradigma occidentale (il Terzo Paradigma) è analogamente interconnesso con l’Ucraina. Infatti, la guerra per procura dell’Occidente con la Russia, incentrata sull’Ucraina, ha reso evidente una cosa: che la delocalizzazione della base produttiva dell’Occidente l’ha resa non competitiva, sia in termini semplicemente commerciali, sia in termini di limitazione della capacità produttiva della difesa occidentale. Il governo occidentale ha scoperto (dopo il 13 aprile) di non avere i mezzi di difesa aerea necessari per “salvare Israele”, “salvare l’Ucraina” e prepararsi alla guerra con la Cina. Il modello occidentale di massimizzazione dei profitti degli azionisti non si è adattato facilmente alle esigenze logistiche dell’attuale guerra “limitata” Ucraina/Russia, né tanto meno ha fornito il posizionamento per le guerre future – con Iran e Cina. In parole povere, questo imperialismo globale “all’ultimo stadio” ha vissuto una “falsa alba”: con l’economia che si è spostata dalla produzione di “cose” alla sfera più lucrativa dell’immaginazione di nuovi prodotti finanziari (come i derivati), che consentono di fare rapidamente un sacco di soldi, ma che destabilizzano la società (attraverso l’aumento della disparità di ricchezza) e che, in ultima analisi, de-stabilizzano il sistema globale stesso (poiché gli Stati della Maggioranza Mondiale si ribellano alla perdita di sovranità e autonomia che il finanziarismo comporta).

Più in generale, il sistema globale è prossimo ad un massiccio cambiamento strutturale. Come avverte il Financial Times, “gli Stati Uniti e l’Unione Europea non possono abbracciare argomenti di ‘industria nascente’ per la sicurezza nazionale, impadronirsi di catene di valore chiave per ridurre le disuguaglianze e infrangere le ‘regole’ fiscali e monetarie e, allo stesso tempo, usare il FMI e la Banca Mondiale – e la professione di economista – per predicare le migliori pratiche di libero mercato agli EM ex-Cina. E la Cina non può aspettarsi che gli altri non copino quello che fa”. Come conclude il FT, “il passaggio ad un nuovo paradigma economico è iniziato. Dove andrà a finire è tutto da vedere”.

‘Tutto da vedere’: beh, per il FT la risposta può essere opaca, ma per la Maggioranza Globale è abbastanza chiara: “Stiamo tornando alle origini”: Un’economia più semplice, in gran parte nazionale, protetta dalla concorrenza straniera da barriere doganali. Chiamatelo pure “vecchio stile” (i concetti sono stati scritti negli ultimi 200 anni), ma non si tratta di nulla di estremo. Le nozioni riflettono semplicemente il rovescio della medaglia delle dottrine di Adam Smith e di quelle avanzate da Friedrich List nella sua critica all’approccio individualista del laissez-faire degli anglo-americani.

I “leader europei”, tuttavia, vedono la soluzione del paradigma economico in modo diverso: “Panetta della BCE ha tenuto un discorso che fa eco all’appello di Mario Draghi per un ‘cambiamento radicale’: ha dichiarato che per prosperare l’UE ha bisogno di un’economia POLITICA di fatto incentrata sulla sicurezza nazionale e incentrata su: riduzione della dipendenza dalla domanda estera, rafforzamento della sicurezza energetica (protezionismo verde), avanzamento della produzione di tecnologia (politica industriale), ripensamento della partecipazione alle catene globali del valore (tariffe/sussidi), governo dei flussi migratori (quindi aumento del costo del lavoro), rafforzamento della sicurezza esterna (ingenti fondi per la difesa), investimenti congiunti in beni pubblici europei (tramite Eurobond … da acquistare con il QE della BCE)”.

La “falsa alba” del boom dei servizi finanziari statunitensi era iniziata mentre la sua base industriale stava marcendo e mentre si iniziavano a promuovere nuove guerre. È facile capire che l’economia statunitense ha bisogno di un cambiamento strutturale. La sua economia reale è diventata poco competitiva a livello globale – da qui l’invito della Yellen alla Cina a frenare la sua  eccessiva capacità che sta danneggiando le economie occidentali. Ma è realistico pensare che l’Europa possa gestire un rilancio come “economia politica guidata dalla difesa e dalla sicurezza nazionale”, come sostengono Draghi e Panetta, come continuazione della guerra con la Russia? Un rilancio che dovrebbe nascere vicino a dove si combatte la guerra stessa? È realistico pensare che lo Stato di sicurezza americano permetterà all’Europa di farlo, dopo averla deliberatamente ridotta a vassallaggio economico facendole abbandonare il suo precedente modello di business basato sull’energia a basso costo e sulla vendita alla Cina di prodotti ingegneristici di alta gamma?

Il piano Draghi-BCE rappresenta un enorme cambiamento strutturale, che richiederebbe uno o due decenni per essere attuato e costerebbe trilioni. Inoltre, avverrebbe in un momento di inevitabile austerità fiscale europea. Ci sono prove che la gente comune in Europa è favorevole ad un cambiamento strutturale così radicale? Perché allora l’Europa sta perseguendo un percorso che abbraccia rischi enormi, che potenzialmente potrebbe trascinare l’Europa in un vortice di tensioni che sfoceranno in una guerra con la Russia?

Per una ragione principale: la leadership dell’UE nutriva l’ambizione arrogante di trasformare l’UE in un impero “geopolitico”, un attore globale con il peso necessario per affiancare gli Stati Uniti al tavolo del vertice. A tal fine, l’UE si è offerta senza riserve come ausiliaria del team della Casa Bianca per il suo progetto sull’Ucraina e ha accettato come prezzo d’ingresso di svuotare le proprie armerie e di sanzionare l’energia a basso costo da cui dipendeva la propria economia. È stata questa decisione a deindustrializzare l’Europa, a rendere non competitivo ciò che restava di un’economia reale e a innescare l’inflazione che sta minando il tenore di vita della sua popolazione. L’allineamento al fallimentare progetto ucraino di Washington ha scatenato una cascata di decisioni disastrose da parte dell’UE. Se questa linea politica dovesse cambiare, l’Europa potrebbe tornare ad essere ciò che era: un’associazione commerciale formata da diversi Stati sovrani. Molti europei si accontenterebbero di questo: concentrarsi sulla necessità di rendere l’Europa nuovamente competitiva; fare dell’Europa un attore diplomatico, piuttosto che un attore militare.

Gli europei vorranno almeno sedere al “tavolo buono” degli americani?

Alastair Crooke (tradotto da Markus) 

 
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3 Maggio 2024

 Da Rassegna di Arianna dell’1-5-2024 (N.d.d.)

Vivendo nella civiltà della trasparenza e delle regole, il pubblico italiano ha appreso della consegna italiana dei missili Scalp Shadow dall'incontinenza verbale del segretario della Difesa britannico. Qualche giorno dopo, anche il governo italiano ha confermato a mezza bocca la consegna di questi missili, capaci, come si dice con compiacimento, di colpire in profondità il territorio russo. Ora, anche i più lenti hanno capito che il conflitto in Ucraina è compromesso, salvo un intervento diretto e massivo delle truppe Nato (cioè la Terza Guerra Mondiale). La Russia sta conquistando uno o due villaggi al giorno, l'ultima roccaforte ucraina nel Donbass, Chasov Yar, sta per cadere, e gli ucraini non mancano tanto di armi quanto di truppe, visto che hanno sacrificato al fronte quasi tutta la propria meglio gioventù per difendere gli interessi geopolitici degli Stati Uniti. Di solito in Italia si è considerato un particolare talento quello di saltare sul carro del vincitore, ma scopriamo che ci sono eccezioni: se una causa è sbagliata, controproducente per il proprio paese, e massimamente sanguinosa, allora in via del tutto eccezionale si può abbracciarla anche se perdente. Lo scopriamo in Ucraina come in Israele.

Ora, tornando ai missili Scalp Shadow, apprendiamo che sono armi di ultima generazione, del costo di un milione e mezzo di euro l'uno, che riusciranno probabilmente a uccidere un po' di russi nelle retrovie (senza cambiare di una virgola le sorti del conflitto). Io capisco che avendo nel governo gente che vive di commercio d'armi la prospettiva di essere chiamati a rimpinguare, a spese dell'erario pubblico, le nostre donazioni all'Ucraina deve avere il suo fascino. Non c'è niente di meglio della retorica della "difesa-della-patria-come-bene-superiore" come scusa per spiegare che, no, i soldi per gli ospedali, per l'istruzione, per il recupero dell'inflazione, per i lavori di assestamento idrogeologico, ecc. non ci sono più, ma che potevamo fare? Avremmo tanto voluto, ma poi, sapete, la guerra, il covid, il clima, le cavallette, il destino cinico e baro... Tanto con 9/10 dell'informazione che per mestiere fa l'amplificatore delle veline di Washington, non c'è pericolo che qualcuno si svegli.

Qualcuno potrebbe chiedersi chi ha dato a Giorgia Meloni il diritto di rendere gli italiani nemici dei russi, quando non lo sono e non lo sono mai stati. Ma posta così la domanda sarebbe fuorviante perché, se al governo ci fosse stato Draghi o Schlein sarebbe stato esattamente lo stesso. Al netto di tutte le anime belle che sbambano di complessità, nella politica italiana è tutto di una linearità sorprendente.

È così che andremo tra un mese a votare potendo scegliere tra varianti estetiche dei servi di bottega di Biden.

Andrea Zhok

 
Ricostruire dalle fondamenta PDF Stampa E-mail

28 Aprile 2024

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 Da Comedonchisciotte del 24-4-2024 (N.d.d.)

La carneficina di Gaza va ogni oltre ogni parola e rimarrà nella storia come uno dei peggiori crimini commessi dall’uomo. Segna la definitiva sepoltura del mito della superiorità morale dell’Occidente e decreta la morte del diritto, colpito in quei valori assoluti sui quali esso fonda la sua ragion d’essere. Se, infatti, i rapporti di forza hanno da sempre avuto un ruolo fondamentale nel regolare le relazioni tra gli Stati, negli ultimi cent’anni erano state fissate alcune norme basilari per porre un argine alle derive più estreme, valide anche e soprattutto nel caso di guerre: è vietato colpire i civili, non si possono torturare i prigionieri, non si possono bersagliare i mezzi di soccorso e così via. Seppure queste norme non siano sempre rispettate, dal punto di vista teorico gli Stati non le hanno mai messe in discussione. La mattanza di Gaza segna una brusca rottura di questo processo di allontanamento dalla barbarie.

Sotto le macerie di Gaza è morto anche il diritto internazionale. Non solo l’esercito israeliano prende deliberatamente a bersaglio i palazzi e le strutture civili, le ambulanze, le famiglie in fila per gli aiuti alimentari, i bambini, i giornalisti e i volontari che cercano di alleviare le sofferenze della popolazione. Non solo uccide 40.000 civili, di cui la metà bambini, e lascia che i sopravvissuti muoiano per fame e sete vietando l’ingresso dei convogli alimentari. Non solo bombarda gli ospedali, lasciando che le persone vengano operate senza anestesia o muoiano per le ferite che non possono più essere curate. Ciò che segna il punto di non ritorno è che queste azioni vengano rivendicate come opportune da alti esponenti del governo israeliano. Si sono sentite dichiarazioni che non sembrano appartenere a questo mondo, dai palestinesi che sarebbero “animali umani” alla necessità di sparare ai bambini perché “sono potenziali terroristi”. Come non bastasse, Israele si arroga il diritto di scaricare regolarmente bombe su Libano e Siria, paesi non belligeranti, fino a colpire un edificio diplomatico iraniano uccidendo diverse persone. Pone così in essere la più incontestabile violazione del diritto internazionale, quella che viene insegnata alle università come il classico casus belli. Nemmeno i nazisti erano arrivati a tanto. In questo quadro di pura bestialità, appare un minus la grave dichiarazione israeliana di non volersi attenere né all’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia, che, nell’ambito del processo in cui lo Stato ebraico è imputato di genocidio, gli ha imposto di porre fine alla carneficina, né alla Risoluzione delle Nazioni Unite che chiede un urgente cessate il fuoco. Che, a fronte di tali mostruosità, Israele venga dalle nostre parti osannato a canali e testate unificate come “l’unica democrazia del Medio Oriente” fa ben comprendere lo stato di profonda corruzione morale in cui versa l’attuale classe dirigente occidentale e la stampa che le tiene lo strascico. Basti pensare a quale reazione avrebbe accolto un eventuale bombardamento russo dell’ambasciata britannica nel centro di Roma, con la morte di diversi cittadini britannici e italiani. Ma l’informazione al servizio dell’impero americano si strappa le vesti solo per “l’ingiustificabile” ritorsione iraniana, questa sì pienamente legittima secondo il diritto bellico.

Purtroppo, la crisi epocale del diritto internazionale non è che una manifestazione di una eclissi del diritto in senso lato, ben visibile nei paesi dell’Occidente. Per stare al contesto della guerra ucraina, ne sono espressione i provvedimenti del tutto arbitrari contro i cittadini russi, privati dell’accesso al conto corrente -in alcuni Stati baltici persino dei loro beni- soltanto in virtù della loro nazionalità. Una sorte che è toccata anche ad alcuni giornalisti occidentali colpevoli di essere “filo-russi”, ossia, fuori dalla propaganda, di riportare anche le opinioni dei cittadini del Donbass.

Le prime manifestazioni eclatanti di una simile deriva si sono prodotte in epoca Covid, con restrizioni alle libertà personali dettate da norme gravemente violative sia delle Costituzioni nazionali che di numerosi patti internazionali. Gli Stati hanno spesso formalmente agito rispettando le leggi (emanate ad hoc) ma queste stesse leggi contravvenivano in maniera evidente alle norme di rango superiore a tutela dei diritti fondamentali. Per motivi che qui sarebbe lungo analizzare, i giudici non hanno saputo e voluto sanzionare queste clamorose violazioni, giustificandole con la situazione di emergenza. Si sono dimenticati che le Costituzioni nascono per arginare il potere degli esecutivi e non può bastare un emergenza – vera o presunta – da essi stessi dichiarata perché se ne possano affrancare. Se così è, le Costituzioni non servono più. Non è certo un caso che le crisi siano di fatto diventati permanenti. Dal terrorismo al Covid all’Ucraina al clima, i governi hanno trovato il grimaldello giusto per scardinare la democrazia. Nel periodo pandemico si sono registrati episodi ancora più gravi, in cui gli Stati hanno operato senza nemmeno la copertura delle leggi ordinarie ponendosi così al di sopra del diritto, alla stregua dei sovrani “legibus soluti”. Il caso più noto è l’acquisto dei cosiddetti vaccini Covid, autorizzato dalla Von Der Leyen tramite scambio di sms, che non si sono potuti nemmeno visionare in quanto successivamente cancellati. Le regole che disciplinano gli appalti per evitare episodi corruttivi sono state bypassate proprio nell’acquisto più oneroso della storia UE.

Almeno due casi clamorosi hanno riguardato il nostro paese e, per quanto gravi, non hanno ottenuto l’attenzione che meritavano. Durante le votazioni per l’elezione del Presidente della Repubblica è stato negato il voto all’onorevole Sara Cunial in quanto sprovvista di certificato verde, facendo leva sul fatto che solo questo documento garantisse la non contagiosità. L’episodio è già grave in sé, avendo privato un parlamentare del suo diritto di voto costituzionalmente garantito, ma diventa ancora più grave ove si consideri che ai parlamentari positivi al Covid la votazione è stata invece consentita, allestendo un apposito seggio fuori dal palazzo. Si è così permesso di votare a chi era sicuramente contagioso e non a chi avrebbe solo potuto esserlo. Cosa garantisce che si troverà un giorno una qualche altra scusa inconsistente per evitare a un parlamentare scomodo di esercitare il suo diritto/dovere di rappresentanza? Il secondo episodio riguarda quanto capitato a luglio 2021 in merito alla traduzione del Regolamento UE che istituiva il certificato verde. Mentre il testo originale UE precisava che il documento non doveva discriminare chi non poteva o non voleva “vaccinarsi”, nella traduzione italiana la parola “voleva” spariva, permettendo così la discriminazione dei soggetti che avevano scelto di non sottoporsi a inoculazione. In maniera truffaldina, il governo Draghi si è inventato una legge inesistente dandosi il potere arbitrario di comprimere i diritti fondamentali. Volendo peraltro far credere che questo comportamento fosse completamente conforme alle norme europee, invece opportunamente distorte. Il vulnus è poi stato sanato correggendo la traduzione ma un tale comportamento finisce per minare alla radice ogni fiducia del cittadino nello Stato. Secondo lo stesso principio, domani l’esecutivo potrebbe pubblicare in Gazzetta Ufficiale un testo diverso da quello approvato in Parlamento, senza che nessuno se ne accorga.

La verità è che questi colpi di maglio all’ordinamento giuridico vanno letti all’interno di un più generale progetto volto a sostituire il diritto con un sistema di credito sociale che consente di trasformare i diritti fondamentali in concessioni elargite dal Potere. A ciò si intende affiancare un controllo giurisdizionale sottratto agli umani e affidato a algoritmi impersonali, che garantirebbero più velocità e imparzialità. A completare l’opera si vorrebbe introdurre la “giustizia predittiva”, che consentirebbe di prevenire ex ante i reati invece che punirli ex post, individuando, con algoritmi sempre più precisi, chi sta per commettere un delitto prima che passi all’azione. Si potrebbe insomma essere puniti senza aver commesso alcunché, solo perché identificato come potenziale criminale sulla base di criteri automatici impostati chissà come e per quali interessi. Un esempio della deriva a cui un tale sistema potrebbe portare è emerso qualche giorno fa su un giornale israeliano. A Gaza l’esercito israeliano utilizzerebbe l’intelligenza artificiale per individuare i civili palestinesi “potenzialmente” associabili al terrorismo. Dopo venti secondi dall’automatico verdetto, il militare spara. È una notizia che dà i brividi e che potrebbe dare ragione dei numerosi video che mostrano i soldati israeliani uccidere di proposito civili inermi che attraversano la strada o che hanno le mani alzate,  siano uomini, donne o bambini. Chissà quanti di questi erano “associabili” al terrorismo magari perché vicini di casa di un esponente di Hamas che nemmeno sapevano essere tale. https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/04/05/israele-intelligenza-artificiale-raid-a-gaza-inchiesta-972-magazine/7502491/

Ma come è possibile che si intendano oggi mettere in discussione principi così fondamentali per la convivenza civile? La crisi del diritto, e con esso della democrazia, non è in realtà che l’espressione di una crisi di valori che in Occidente ha assunto dimensioni drammatiche. Cade il fondamento della convivenza civile perché l’uomo non sa chi più chi è e quale sia il senso del suo stare al mondo. Per questo non stupisce che il mondo occidentale stia perdendo il confronto con quei paesi che hanno mantenuto un legame più solido con le proprie radici storiche e valoriali, dalla Cina alla Russia allo stesso mondo africano. L’Occidente è caduto nel buco nero del nichilismo e, ora che anche la democrazia e il diritto nei suoi confini tramontano, non ha nulla più da offrire al resto del mondo. Nemmeno potrà presto mettere in vetrina il suo benessere materiale, in virtù delle scellerate scelte che stanno portando l’Europa verso un impoverimento di dimensioni che ancora non immaginiamo.

Se si vuole uscire da questa spirale, allora non basta affrontare una a una le gravi questioni che via via si presentano, siano esse la guerra, la censura, il trattato pandemico OMS, la compressione quotidiana dei diritti. Per quanto sia doveroso agire per porre argine a ogni passo verso la barbarie, le toppe non servono se il tessuto non tiene. Occorre ricostruire dalle fondamenta le nostre società, partendo dal recupero del senso del nostro vivere. Negli anni Covid, il professor Montagnier, mettendo in guardia dalla possibilità che l’m-RNA dei cosiddetti “vaccini” potesse integrarsi nel DNA umano, diceva che se ciò fosse accaduto sarebbero stati coloro che non si erano sottoposti alle inoculazioni a salvare il genere umano. Così, forse un giorno dovremmo ringraziare i popoli del resto del mondo per aver resistito al nostro imperialismo ideologico, mostrando all’Occidente una via d’uscita dal suo cupio dissolvi.

Alessandro Bagnato

 
Il debito pubblico non č pių il male assoluto PDF Stampa E-mail

25 Aprile 2024

 Da Comedonchisciotte del 23-4-2024 (N.d.d.)

Quante volte dalla bocca dei nostri politici (non ultimo l’attuale premier Giorgia Meloni) e dagli strilli di quella che è la stampa di regime, avete dovuto ascoltare che il debito pubblico è l’onere che lasceremmo sulle spalle dei nostri figli, costretti a ripagarlo con il loro sudore? Sul dogma neoliberista di dover ridurre i debiti pubblici degli stati, sappiamo bene è stato costruito questo folle, per non dire delinquenziale, progetto, oggi rappresentato dall’Unione Europea, al quale sia Giavazzi che Mario Draghi hanno dato il loro più che totale contributo e supporto.

Oggi, dopo quasi tre decadi, con il continente europeo fatto a pezzi in termini di aumento della povertà relativa ed assoluta, proprio a causa di dette politiche economiche, il professor Francesco Giavazzi, come d’incanto, ci annuncia nel suo editoriale pubblicato sul Corriere della Sera, che il debito pubblico non rappresenta più il male assoluto: “Occorre abbandonare l’idea che il debito sia solo un onere trasmesso alle generazioni future. Se indebitarsi oggi per investire, consentirà ai nostri nipoti di vivere in un continente libero, e che cresce perché collocato sulla frontiera della tecnologia, ripagare il debito sarà un onere minore. Anche perché il debito pubblico non deve necessariamente essere «ripagato»: l’importante è ridurre il rapporto fra il debito e il Pil, e questo dipende dalla crescita. Alla scadenza il debito pubblico può sempre essere rimborsato ri-emettendo altri titoli. Così è stato ad esempio negli anni Sessanta, quando i debiti contratti per combattere la Seconda Guerra Mondiale svanirono in meno di un decennio”.

Noi economisti liberi, che per anni abbiamo lottato e lottiamo ancora contro le immani falsità che Giavazzi ed i suoi fratelli neo-liberal ci propinano, lette queste ultime righe... ci sembra di sognare! Quante volte ho fatto presente nei miei articoli che il debito pubblico non ha natura debitoria e non esiste la ben che minima necessità di ripagarlo!? Non solo, la realtà dei fatti ci dice che mai nessun debito pubblico di alcun paese al mondo è stato ripagato in termini nominali da almeno duecento anni a questa parte e ciò è confermato anche dalla realtà contabile che li vede aumentare ininterrottamente nello stesso arco temporale. Quante volte ho ripetuto fino allo sfinimento, di fronte a chi non ha mai voluto crederlo, che alla scadenza i titoli del Tesoro vengono rinnovati in quello che è una sorta di rollover infinito. Una vera e propria partita di giro, insignificante in termini di debito, fra il Tesoro stesso e la Banca Centrale. Tenere titoli del debito pubblico in mani private è solo e soltanto una decisione di politica fiscale, presa dai governi e le banche centrali per fornire un reddito da interesse a chi ha risparmio. I titoli potrebbero essere detenuti interamente, in piena tranquillità, dalla banca centrale stessa o addirittura eliminati e gestire più semplicemente il rapporto di finanziamento della spesa pubblica mediante un conto corrente di corrispondenza. Ora, tutto questo ce lo conferma anche Giavazzi: “Alla scadenza il debito pubblico può sempre essere rimborsato ri-emettendo altri titoli”.

E voi che mi leggete, direte… finalmente! Si sono accorti dei loro errori dopo che hanno lasciato dietro di sé una autostrada piena di poveri e precari e quindi... da domani si torna a vivere! Ma neanche per sogno! L’inversione a centottanta gradi di Giavazzi rientra in quello che è il cambiamento di pelle in corso di Mario Draghi di cui vi avevo già parlato in un articolo del febbraio scorso. Un cambiamento necessario per autocandidarsi a salvatore dell’Europa attuale che lui stesso ha contribuito a distruggere. Il cambiamento non è certo animato dal voler far tornare a vivere la gente, stremata da decenni di debiti con banche, Stato e monopoli di natura pubblica oggi in mani private, bensì dall’esigenza che oggi ha il Potere di dover spendere – udite, udite – per armare gli ucraini e farli combattere fino all’ultimo uomo, costruire una difesa autonoma; e poi fare ricerca per la transizione energetica. Tra le tante cose da fare per cui Giavazzi ritiene giustificato un aumento di quello che lui definisce il debito buono, come potete notare, non compare minimamente quella di garantire agli italiani e quindi agli europei, un lavoro sufficientemente remunerativo per provvedere in modo dignitoso al mantenimento e la crescita delle loro famiglie. E poi ci si meraviglia perché non si fanno figli nel belpaese e del conseguente e preoccupante calo demografico! […]

Il debito, dice Giavazzi, deve essere fatto necessariamente a livello europeo e per giustificare l’ennesima fandonia dottrinale, necessaria a propagandare la voglia sempre più crescente di rendere l’Europa una federazione, l’economista di Draghi scomoda persino la storia ed addirittura uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America, Alexander Hamilton: “La lezione americana è che un debito pubblico comune non solo consente di creare uno Stato forte: nessuna delle vecchie ex-colonie lo sarebbe stata da sola. Aiuta anche a trasformare un’entità politica in uno Stato, obbligando i nuovi cittadini a comporre interessi talora contrapposti”. Parole prive di ogni significato, utili solo – come già detto – per condurre l’opinione pubblica ad accettare gli Stati Uniti d’Europa come un qualcosa di benefico e necessario per i popoli. Ma Giavazzi non spiega perché – dato che il debito pubblico non è più un problema – quelle stesse cose, ammesso e non concesso che siano desiderabili, non si possano fare a livello nazionale. Ci sono decine di Nazioni sul pianeta, più piccole dell’Italia che competono efficacemente sui mercati internazionali. Perché la Corea del Sud e la Svizzera (due esempi a caso, per non parlare del Giappone) possono farlo e noi no? Senza contare il fatto che la UE esiste dal 1992 e, da allora, anziché essere fattore di maggiore competitività, siamo solo indietreggiati nei confronti del resto del mondo. Veramente il professore dovrebbe spiegarci come dei numeri creati dal nulla su un computer di una banca centrale sarebbero considerati un debito se a farlo è un paese europeo singolarmente, mentre non lo sarebbero se a crearli è la Bce per conto di tutti. Il professor Giavazzi ci dovrebbe una spiegazione anche riguardo alla frase “l’importante è ridurre il rapporto fra il debito e il Pil” – visto che già da tempo, lo stesso economista che partorì i due famosi parametri che guidano il fiscal compact – il professore francese Abeille – ci ha confessato che tale rapporto è privo di base scientifica. Un estratto di una intervista del Sole 24 ore al professor Abeille, il quale confessa che nella notte del 9 giugno 1981, su richiesta esplicita del presidente François Mitterrand (il quale aveva fretta di trovare una soluzione semplice che mettesse rapidamente un freno alla spesa del governo di sinistra che nel frattempo stava esplodendo), ideò i famosi parametri che oggi guidano il patto di stabilità “Un modo per iniziare a creare una quantità rilevante di debito comune è liberare la Bce dai titoli che la banca ha acquistato quando (fra il 2014 e il 2022) questi acquisti erano necessari per evitare che l’inflazione diventasse negativa. Si potrebbe cominciare costruendo un’Agenzia europea del debito e spostandovi i titoli oggi posseduti dalla Bce, lasciando ovviamente in capo ai singoli Paesi l’onere di pagarne gli interessi. Un onere che è anche l’impegno verso un’Unione sempre più forte”.

Secondo Giavazzi, dopo aver affermato che il debito pubblico non rappresenta un problema, dovremmo procedere a liberare la Bce da questi pericolosissimi numeri che giacciono dentro i suoi computer e girarli sui computer di quella che Giavazzi stesso indica come una costituenda Agenzia del debito – “lasciando ovviamente in capo ai singoli Paesi l’onere di pagarne gli interessi” – ma certo, non vorremmo mica privare quella ristretta cerchia di famiglie che comandano il mondo dell’obolo divino, frutto del sangue di chi lavora! Insomma un gioco delle tre carte in piena regola, dove i numeri diventano debito a seconda del computer dove sono locati.

Svegliatevi! Non sanno più come fare a tenere in piedi questa baracca costruita sulle balle in dottrina economica e monetaria.

Fabio Bonciani

 
Un leader irresponsabile PDF Stampa E-mail

22 Aprile 2024 

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 Da Rassegna di Arianna del 15-4-2024 (N.d.d.)

Netanyahu è quel che si dice un politico 'navigato', si muove nei vertici del potere israeliano da 30 anni. Da un uomo di così lunga esperienza, ci si attenderebbe una adeguata capacità di gestire le situazioni più complesse; ma oggi Bibi è prigioniero della situazione, non la governa. Nonostante lo shock del 7 ottobre, e nonostante il paese sia in guerra da sei mesi, una forte opposizione non smette di manifestarsi nelle piazze.

La guerra a Gaza, che non ha sinora prodotto seri risultati militari, si sta rivelando un pantano in cui Israele rischia di finire risucchiata, e che sta costando miliardi su miliardi. Nonostante l'appoggio della potentissima lobby ebraica statunitense, i rapporti con l'alleato d'oltre oceano sono sempre più tesi, i rapporti con la Russia - storicamente amichevoli - sono stati deteriorati gravemente, e la posizione internazionale (escluso l'occidente collettivo) è di isolamento pressoché completo. Così oggi Netanyahu si trova tra l'incudine di un alleato imprescindibile ma sempre più irritato, ed il martello di una maggioranza che lo sostiene composta da fanatici estremisti. Parlando ai ministri del suo partito, ha detto: "Risponderemo all'Iran, ma dobbiamo farlo con saggezza e non agire d'istinto. Devono essere sotto pressione come ci hanno messo sotto pressione loro", riconoscendo esplicitamente di essere stati messi sotto pressione.

La tattica politica di rilanciare continuamente sul piano bellico, cercando di rinviare la resa dei conti (politica e giudiziaria) che lo attende, lo ha cacciato in vicolo cieco. Ma, per certi versi ancora più importante, ha messo il suo stesso paese in una situazione estremamente complessa. L'estremismo messianico e colonialista a cui ha dato spazio ha finito col risucchiare Israele in un vortice dal quale è ora assai difficile trarsi fuori. L'operazione Al Aqsa Flood del 7 ottobre, e quella True Promise del 14 aprile, sono state un uno-due micidiale, che ha mandato in frantumi la mascella israeliana: il suo potere deterrente, su cui ha vissuto per 75 anni, semplicemente non esiste più. Oggi l'Iran, che guida politicamente, militarmente e spiritualmente l'Asse della Resistenza, è una potenza regionale conclamata, assai bene inserita nel contesto internazionale e con ottime relazioni con Russia e Cina. E può permettersi di sbeffeggiare Tel Aviv, sfidandola apertamente.

A questo punto, l'unico modo in cui Israele potrebbe ripristinare la sua deterrenza sarebbe usare armi nucleari. Ma se lo facesse, anche a prescindere dal rischio di essere tempestata da migliaia di missili, si ritroverebbe relegata al ruolo di paria mondiale per i prossimi 50 anni. L'ultima mossa di Bibi, quindi, dovrà essere un super-esercizio di equilibrismo: dare una contro-risposta all'Iran (evitando di innescare una contro-contro-risposta devastante), senza far incavolare gli alleati americani, e vendendola all'opinione pubblica interna (sempre più spaventata e smarrita) come un ripristino della capacità israeliana.

Il vecchio leone è ormai più preoccupato del suo domani che acutamente attento a ciò che gli accade intorno, ed il suo ruggito suonerà probabilmente come il suo de profundis.

Enrico Tomaselli

 
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