Avviso Registrazioni

Scusandoci per l'inconveniente, informiamo i nuovi utenti i quali desiderino commentare gli articoli che la registrazione deve essere fatta tramite Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

Login Form






Password dimenticata?
Nessun account? Registrati

Cerca


 
  SiteGround web hostingCredits
Un esperimento ampio PDF Stampa E-mail

20 Maggio 2020

Image

 

Da Comedonchisciotte del 18-5-2020 (N.d.d.)

 

Ciò che colpisce nelle reazioni ai dispositivi di eccezione che sono stati messi in atto nel nostro paese (e non soltanto in questo) è l’incapacità di osservarli al di là del contesto immediato in cui sembrano operare. Rari sono coloro che provano invece, come pure una seria analisi politica imporrebbe di fare, a interpretarli come sintomi e segni di un esperimento più ampio, in cui è in gioco un nuovo paradigma di governo degli uomini e delle cose. Già in un libro pubblicato sette anni fa, che vale ora la pena di rileggere attentamente (Tempêtes microbiennes, Gallimard 2013), Patrick Zylberman aveva descritto il processo attraverso il quale la sicurezza sanitaria, finallora rimasta ai margini dei calcoli politici, stava diventando parte essenziale delle strategie politiche statuali e internazionali. In questione è nulla di meno che la creazione di una sorta di “terrore sanitario” come strumento per governare quello che veniva definito come il worst case scenario, lo scenario del caso peggiore. È secondo questa logica del peggio che già nel 2005 l’organizzazione mondiale della salute aveva annunciato da “due a 150 milioni di morti per l’influenza aviaria in arrivo”, suggerendo una strategia politica che gli stati allora non erano ancora preparati ad accogliere. Zylberman mostra che il dispositivo che si suggeriva si articolava in tre punti: 1) costruzione, sulla base di un rischio possibile, di uno scenario fittizio, in cui i dati vengono presentati in modo da favorire comportamenti che permettono di governare una situazione estrema; 2) adozione della logica del peggio come regime di razionalità politica; 3) l’organizzazione integrale del corpo dei cittadini in modo da rafforzare al massimo l’adesione alle istituzioni di governo, producendo una sorta di civismo superlativo in cui gli obblighi imposti vengono presentati come prove di altruismo e il cittadino non ha più un diritto alla salute (health safety), ma diventa giuridicamente obbligato alla salute (biosecurity).

 

Quello che Zylberman descriveva nel 2013 si è oggi puntualmente verificato. È evidente che, al di là della situazione di emergenza legata a un certo virus che potrà in futuro lasciar posto ad un altro, in questione è il disegno di un paradigma di governo la cui efficacia supera di gran lunga quella di tutte le forme di governo che la storia politica dell’occidente abbia finora conosciuto. Se già, nel progressivo decadere delle ideologie e delle fedi politiche, le ragioni di sicurezza avevano permesso di far accettare dai cittadini limitazioni delle libertà che non erano prima disposti ad accettare, la biosicurezza si è dimostrata capace di presentare l’assoluta cessazione di ogni attività politica e di ogni rapporto sociale come la massima forma di partecipazione civica. Si è così potuto assistere al paradosso di organizzazioni di sinistra, tradizionalmente abituate a rivendicare diritti e denunciare violazioni della costituzione, accettare senza riserve limitazioni delle libertà decise con decreti ministeriali privi di ogni legalità e che nemmeno il fascismo aveva mai sognato di poter imporre. È evidente – e le stesse autorità di governo non cessano di ricordarcelo – che il cosiddetto “distanziamento sociale” diventerà il modello della politica che ci aspetta e che (come i rappresentati di una cosiddetta task force, i cui membri si trovano in palese conflitto di interesse con la funzione che dovrebbero esercitare, hanno annunciato) si approfitterà di questo distanziamento per sostituire ovunque i dispositivi tecnologici digitali ai rapporti umani nella loro fisicità, divenuti come tali sospetti di contagio (contagio politico, s’intende). Le lezioni universitarie, come il MIUR ha già raccomandato, si faranno dall’anno prossimo stabilmente on line, non ci si riconoscerà più guardandosi nel volto, che potrà essere coperto da una maschera sanitaria, ma attraverso dispositivi digitali che riconosceranno dati biologici obbligatoriamente prelevati e ogni “assembramento”, che sia fatto per motivi politici o semplicemente di amicizia, continuerà a essere vietato. In questione è un’intera concezione dei destini della società umana in una prospettiva che per molti aspetti sembra aver assunto dalle religioni ormai al loro tramonto l’idea apocalittica di una fine del mondo. Dopo che la politica era stata sostituita dall’economia, ora anche questa per poter governare dovrà essere integrata con il nuovo paradigma di biosicurezza, al quale tutte le altre esigenze dovranno essere sacrificate. È legittimo chiedersi se una tale società potrà ancora definirsi umana o se la perdita dei rapporti sensibili, del volto, dell’amicizia, dell’amore possa essere veramente compensata da una sicurezza sanitaria astratta e presumibilmente del tutto fittizia.

 

Giorgio Agamben

 

 
Dall'oro al piombo PDF Stampa E-mail

19 Maggio 2020

 

Tratti di arco degli ultimi 60 anni. Tratti di cosa siamo stati capaci partendo dalle migliori intenzioni.

 

Tutto è partito in data Berkley University, Beat generation, Movimento hippie, Pop Art, ’68, ’77, Compromesso storico, Brigate Rosse, il qualunquismo.  L’interruzione concretizzata in quei comportamenti, in quelle scelte, tendenze, idee e aspirazioni aveva tutta la ragione storica e dignità di ciò che esiste. Aveva tutta la necessità di fiorire.  Ha avuto molti meriti civili, culturali, ambientali, e politici. Ha sfondato le porte serrate dietro le quali si nascondeva il potere ottuso del bigottismo filogovernativo, del suo indottrinamento tout court. Come se esistesse una grande legge invisibile chiamata del ciclo dell’avanguardia, quelle buone intenzioni tutte dedicate all’uomo, tutte critiche nei confronti di un sistema imperniato sull’avere, su valori non più rispettabili, si fecero travolgere ed integrare dall’onda di ritorno di quanto avevano creduto d’avere scansato.

 

Tutto era proseguito poi in data Stragi di Stato, Corruzione, Milano da bere, Edonismo, Opulenza. Il processo avanzava facile: scivolava giù dalla china. Quella che prima, dal lato opposto, avevano scalato i padri. Sulla quale si erano ammazzati di fatica ed erano anche morti per dare ai figli il meglio di se stessi. I figli dei fiori, posate le casacche frangiate, avevano indossato camicie a polsini per guidare banche e multinazionali. La normalità dell’uniformità era tornata. Con l’arma potenziata della tv ne avrebbe permesso ora un controllo maggiore. La sola stravaganza era l’individualismo. Cacio sui maccheroni. Qualcuno, a volte, si chiede con che sentimenti possano i nostri nonni guardare dove il progresso li ha portati, ci ha portati. Anche loro saranno sorpresi di vedere tanto disastro nonostante l’impegno che ci avevano messo. Il mostro della normalità si è così nutrito e ingrassato con i suoi stessi anomali foruncoli. E li ha digeriti. Le sue feci ci circondano ora in un orrifico e pestilenziale abbraccio dal quale, incredibile ma vero, verrebbe da dire, appare impossibile liberarsi: ci sono ancora quelli che l’ha detto il telegiornale; che diffondono a pieni polmoni il loro pensiero senza avvederne la corrispondenza con quello unico.

 

Il riassunto dell’epopea del crollo può stare in quella frase? Certamente no, per i fideisti che vedono complottismo in chi pronuncia qualche pensiero critico. Certamente sì, per chiunque sia in grado di compiere la medesima sintesi. Per chiunque abbia lo spazio per comporre la stessa collana di eventi storici. Per chiunque possa ripercorrere la filologia che dall’oro ci ha portati al piombo. Sì, il 1964 era stata una data d’avvio di grandi progetti. Ai suoi autori non servivano pianificazioni, ma partecipazione creativa. Da quello spirito comune sarebbero emerse realtà complici, coniugabili e desiderabili. Tutte orientate a saltare al di là del crepaccio storico che avevano provocato.  Non è andata proprio così. Non siamo stati all’altezza di gestire una nuova cultura. Ma siamo stati capaci di distruggere il buono di quella vecchia, al quale non avevamo fatto caso. Valori che avevano retto le identità degli individui dai tempi andati e lontani, erano stati semplicemente dimenticati.  Così ora siamo qui senza comunità cui riferirsi, senza criterio con cui educare i figli. Siamo qui, sul punto di morire con una sola certezza. Noi nati in quella data, daremo ai nostri figli qualcosa di peggio del Vietnam, del razzismo, della guerra fredda. Gli lasceremo una terra stracciata e rabberciata a pezze di burocrazia, una società allo sbando ma definitivamente controllata, una dote piena di preoccupazioni e vuota di futuro, un’idea di democrazia che è ormai solo il succedaneo formale di una bella promessa, un’opera d’arte senza bellezza, incorniciata dalle feci della globalizzazione. Avevamo l’oro evangelico dell’ingenuità, l’abbiamo trasformato in satanico piombo dell’avidità.

 

Lorenzo Merlo

 

 
Poche pillole di filosofia spicciola PDF Stampa E-mail

17 Maggio 2020

 

Il virus, con le polemiche che lo accompagnano, ci obbliga a scavare in noi stessi e a porci l’eterna domanda esistenziale che si presenta davanti a ogni momento cruciale della nostra vita: che fare?

 

L’unica medicina efficace e senza controindicazioni è il nostro sistema immunitario: è rimedio e prevenzione. Davanti all’assalto di un morbo, epidemico e non, bisogna confidare negli anticorpi. Se abbiamo fatto una vita sana e ci siamo alimentati correttamente, spesso vincono gli anticorpi, perché siamo stati programmati per essere sani, non per cedere al primo assalto del male. Se vince il morbo, ebbene, morire non è cosa nuova in questo mondo. Che nascere sia cominciare a morire è filosofia spicciola, da bar, ma non perciò meno vera. Del resto ciò che si dissolve con la morte del corpo è il nostro Io, non il Sé profondo, che si congiungerà con l’Essere. E l’Essere è l’energia che permea il tutto. Lo si può dedurre dal fatto che nulla si crea e nulla si distrugge nella ciclicità olistica di cui siamo parte. Non è ragionevole pensare che solo l’umano si annienti e non si trasformi. Il pensiero che turba è proprio la scomparsa dell’Io. Nemmeno questo è ragionevole. L’Io è essenzialmente ricordo del passato e attesa del futuro. Un’alta percentuale di umani si sbarazza immediatamente del passato, non conosce rimorso e non progetta il futuro. Vive di un presente fatto di sensazioni e di soddisfacimento di bisogni primari, non molto diversamente dall’animale. Quelli che hanno piena coscienza del proprio Io sono coloro che sono radicati nel passato attraverso il ricordo e progettano il futuro. Le forme della rievocazione del passato sono prevalentemente il rimpianto, il rancore e il rimorso, che generano sentimenti penosi. I ricordi legati a esperienze positive si ammantano di nostalgia, e nostalgia significa etimologicamente “dolore della mente”. Quando si rivede un album fotografico, con immagini di un passato felice, è esperienza comune provare un senso sottile ma profondo di malinconia per qualcosa che fu e non è. È un’esperienza di perdita e ogni perdita è un lutto. L’altra direzione temporale che determina i contenuti dell’Io, il futuro, si colora di un’attesa colma di timori. Soltanto la speranza può attenuarli. Solo l’attesa speranzosa ci consente di vivere. Se questo è l’Io, un’autocoscienza fondamentalmente dolorosa, la consapevolezza che con la morte si dissolverà non dovrebbe angosciarci. La peggiore delle sorti sarebbe portarci dietro per l’eternità dei cicli vitali i rimpianti, i rimorsi, i rancori, le nostalgie, che sono il contenuto del nostro Io. Se ci fosse l’inferno, forse sarebbe proprio questo, un periodo in cui l’energia che si è liberata con la morte del corpo continua a ricordare. Non potersi liberare del fardello della memoria. Se morire è la liberazione di un Sé senza ricordi che si congiunge col Tutto da cui è sceso in un corpo, perché temere la morte? Sono considerazioni da bottega del barbiere, ma proprio la banalità di ciò che è semplice attinge nuclei di verità. Rapportato a Covid-19, questo discorsetto significa che a livello soggettivo la minaccia va affrontata serenamente, confidando nelle difese immunitarie ma accettando con un pizzico di fatalismo anche l’eventualità che vinca il virus.  

 

Altro deve considerare chi ha la responsabilità di governare una comunità. Gli statisti devono in primo luogo agire per la sopravvivenza e la prosperità della nazione che governano. La Peste Nera, che uccideva la metà dei contagiati, compresi bambini e giovani, metteva in forse la sopravvivenza fisica delle comunità che aggrediva. Per scongiurare il pericolo, era d’obbligo chiudere ogni attività e distanziare le persone. Covid-19 uccide lo 0,0 e qualcosa per cento della popolazione. Sconvolgere per questo la vita di una nazione non è bene e non può nascerne bene.

 

Luciano Fuschini

 

 
Il problema č lo Stato non Silvia Romano PDF Stampa E-mail

16 Maggio 2020

 

Da Rassegna di Arianna del 12-5-2020 (N.d.d.)

 

Il problema, come al solito, è di sistema. E, come al solito, viene invece affrontato sulla base di umori, sentimenti, ossessioni personali. A molti Silvia Romano sta antipatica. Io, evidentemente a differenza di questi molti, non la conosco, ma quel poco che so di lei non mi ispira un particolare afflato empatico. Ma questo è un aspetto del tutto secondario, a meno che non si ritenga che uno Stato debba tutelare o non tutelare un suo cittadino solo dopo il voto da casa della giuria popolare. No, la simpatia di Silvia non è il problema. E non lo sono nemmeno i dettagli voyeuristici che tanto colpiscono l’opinione pubblica reazionaria. È ingrassata? Boh, può darsi, ma chi se ne frega.

 

Non è difficile immaginare che un rapimento a scopo estorsivo debba comportare il mantenimento in buona salute del prigioniero, né che l’immobilità forzata abbia delle conseguenze sul fisico di quest’ultimo. Del resto tra le milizie somale il bilanciamento di carboidrati e proteine potrebbe non essere una priorità. È incinta? Si è sposata con un carceriere? È stata violentata? A parte il fatto che, da quello che sappiamo, la risposta a tutte queste domande è sempre no, in ogni caso non si capisce la rilevanza (se non eventualmente per la Romano stessa) di tutto questo filone di quesiti pruriginosi, se non per il fatto di attizzare le fantasie perverse e tardo democristiane della muffa bigotta italiota. E poi, cos’altro c’è? Ah, già, la conversione all’islam. Ecco, qui qualcosa da dire ci sarebbe, ma non per giudicare una scelta personale, che comunque parrebbe indotta da una evidente sindrome di Stoccolma, psicologica o ideologica che sia. La storia è piena di prigionieri che, appena liberati, tessono l’elogio dei carcerieri, in modo diretto o indiretto. La cosa è sempre imbarazzante, ma ci si passa sopra, a meno che il tutto non si tramuti in un gigantesco spot di Stato per i tagliagole, ovviamente. Dove la parola cardine è proprio Stato. Ci si concentra su Silvia Romano, chi la ama e chi la odia, ma il punto non è lei, il punto è lo Stato. Si dice siano stati spesi circa 4 milioni di soldi pubblici per liberare Silvia Romano. A tal proposito, tuttavia, l’indignazione è stata spesso mal spesa. Se avessimo speso 4 milioni per organizzare un blitz armato, sarebbero stati ben spesi. Ma l’Italia, chissà perché, queste cose non può farle. E se poi nel blitz qualcuno si fa male? Se perde la vita un soldato o magari la prigioniera stessa? Può capitare, ma questa Italia non avrebbe le risorse culturali e politiche per sostenere un tale rischio. Si preferisce allora irrorare ogni volta con denaro a pioggia tutta una filiera di basisti, informatori, intermediari, fino a che ognuno non abbia avuto la sua fetta di torta. Il che, ovviamente, mette in serio pericolo ogni italiano che, per un motivo qualsiasi, si trovi in qualche zona calda del mondo e che ormai viene visto dai predoni locali come un possibile bancomat di milioncini facili. E allora eccolo, il problema: uno Stato che ha espunto la forza dalla sua grammatica politica. Questo è il punto. Ogni altra discussione sull’argomento, dall’elogio della «splendida umanità» di Silvia alle speculazioni sul suo regime alimentare o sessuale in cattività, sono cibo per pesci gettato nell’acquario social.

 

Adriano Scianca

 

 
Restiamo un Paese-chiave PDF Stampa E-mail

15 Maggio 2020

Image

 

Da Rassegna di Arianna del 12-5-2020 (N.d.d.)

 

Non è possibile comprendere ciò che sta accadendo in Italia, a partire dai suoi rapporti con una mera analisi di natura economicista. È assolutamente necessario allargare lo sguardo provando ad interpolare la mera tecnicalità economica con questioni di natura culturale, storica, diplomatica e militare, in una parola bisogna abbracciare il campo della geoeconomia per riuscire a comprendere ciò che sta accadendo. In altri termini è necessario capire che il Mes che i fratelli-coltelli europei vorrebbero somministrarci non è un fine, ma è un mezzo. Ricapitolando quanto detto in altre circostanze, l'Italia vive una grave crisi economica esacerbata dal Lockdown dovuto alla crisi pandemica. Tutto ciò sta provocando un crollo del pil a due cifre che rende difficilmente sostenibile il suo debito pubblico nel quadro delle regole europee esistenti. Sia chiaro, queste regole europee tendenti a comprimere la spesa pubblica e il costo del lavoro rendono insostenibile ciò che con una moneta sovrana e il controllo dei movimenti dei capitali è sostenibilissimo: l'Italia è creditore netto verso l'Estero e ha un saldo delle Partite Correnti e una Bilancia Commerciale in attivo da anni. È certamente vero che quelle regole europee che tanto ci penalizzano le abbiamo (sciaguratamente) accettate ma l'inflessibilità tedesca nella richiesta della loro pedissequa applicazione (tramite Mes) senza tener conto dei nostri conti con l'estero non è spiegabile razionalmente con il luogo comune che i tedeschi rispetterebbero sempre le regole, sarebbero delle persone non flessibili. C'è dell'altro. Come ho detto prima il Mes non è un fine ma è un mezzo. Perché allora i tedeschi avrebbero l'urgenza di commissariare l'Italia riducendone quasi a zero gli spazi di autonomia non solo finanziaria ma anche nell'utilizzo a suo vantaggio delle infrastrutture grazie ad un piano di privatizzazioni alla greca? Per comprendere questo bisogna riuscire a valutare il quadro internazionale che si è creato:

 

L'uscita della Gran Bretagna dalla UE toglie al blocco dei paesi centrali dell'area europea quello "sbocco ai mari del mondo" (parlo di mari in senso figurativo) che la Gran Bretagna è in grado di dare sia dal punto di vista diplomatico che storico. Le capacità europee di intrattenere rapporti diplomatici con i paesi del Commonwealth e con l'India si riducono quasi a zero; le crescenti tensioni tra Cina e Usa pongono i "paesi centrali" di fronte alla necessità di una scelta tra i due grandi contendenti. Questa è una scelta dolorosa, soprattutto per la Germania che vede sia nella Cina che negli Usa due grandi clienti finali delle sue produzioni; a Est la penetrazione dell'Europa ha trovato in Putin un avversario irriducibile che non ha esitato a prendere le armi per evitare che l'Ucraina diventasse un protettorato europeo e soprattutto con la presa della Crimea ha reso insicuro il progetto europeo di corridoio commerciale che doveva aprire una rotta commerciale tra l'Europa e la Cina bypassando sia il Mediterraneo sia la Russia attraverso l'Asia Centrale (International transport corridor Caspian Sea-Black Sea ITC-CSBS) e quindi in pieno controllo geostrategico da parte dell'Europa e dei suoi padroni. Progetto, sia detto per inciso estremamente pericoloso, perché prevede di fatto l'uscita del Kazakistan dalla sfera di influenza di Mosca per abbracciare il mondo occidentale "democratico". Inutile sottolineare il gioco pericoloso e irresponsabile dell'UE in questa partita che porterebbe a reazioni inimmaginabili da parte di Mosca. Lo dico per chi dice l'UE ci ha dato "settanta anni di pace". Le cose sono più complesse. In questo scenario geopolitico che si è venuto a creare con l'uscita della Gran Bretagna dalla UE ad Ovest e con il blocco russo in Ucraina e nel Mar Nero come si può capire le capacità di proiezione europea sono ridotte a zero mandando nel cassetto, sine die, i sogni di grandezza del Ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas che vedevano l'UE (e la Germania, che della UE è il paese egemone) giocare finalmente sul tavolo dei potenti del mondo.

 

Ora, cosa c'entra la situazione italiana con questa grande partita che si gioca nello scacchiere internazionale? Semplice, per non rimanere rinchiusi i paesi del nucleo centrale europeo hanno la necessità di assoggettare l'Italia e guadagnare quella capacità di proiezione in quello che si chiama "mediterraneo allargato". Innanzitutto bisogna chiarire che il Mediterraneo sta ridiventando centrale nello scacchiere mondiale. È il mare che unisce l'Africa, l'Europa e l'Asia in un unico crogiolo. Dopo decenni in cui la sponda nord e la sponda sud sono state separate da una cortina di fuoco fatta di guerre di aggressione e di rivoluzioni colorate si vedono spiragli promettenti sia dal punto di vista politico che dal punto di vista commerciale. Partiamo dall'OvestMed, il Mediterraneo Occidentale: dopo la sostituzione di Bouteflika in Algeria la nuova leadership apre agli investimenti internazionali anche europei. L'Italia che coltiva da sempre rapporti ottimi (mai dimenticare il ruolo svolto dall'ENI e dal Partito Comunista Italiano nella guerra di liberazione algerina dal giogo colonialista francese, noi forse l'abbiamo dimenticato, gli algerini no, per loro siamo un popolo amico e fraterno) è il primo partner commerciale dell'Algeria nella UE e ovviamente gli investimenti italiani nel paese hanno autostrade aperte. Sono partite le trattative tra Italia e Algeria per delimitare le Zone Economiche Esclusive (ZEE) nel Mediterraneo Ovest. Una trattativa attesa che non riguarda come forse molti pensano la pesca del tonno, ma la possibilità di esplorare i fondali del Mediterraneo alla ricerca di importanti giacimenti di gas. In Tunisia assistiamo anche ad un fenomeno interessante: ben 890 imprese italiane hanno trasferito in tutto o in parte le loro produzioni. Insomma si sta creando una interessante catena globale del valore con a capo aziende italiane. Inutile dire che i rapporti commerciali tra la Tunisia e l'Italia sono fiorenti, siamo il loro secondo partner commerciale. Spostiamoci nell'EstMed, il Mediterraneo Orientale; i rapporti con l'Egitto sono ottimi nonostante i tentativi di sabotaggio che molti tentano strumentalizzando il caso Regeni. Da rilevare che l'ENI ha scoperto e messo a produzione il più grande giacimento di gas del Mediterraneo che si trova in acque egiziane (giacimento denominato Zohr) e che farà dell'Egitto non solo un paese indipendente dal punto di vista energetico ma anche un esportatore netto. Inoltre sempre ENI ha scoperto un altro grande giacimento (denominato Noor) sempre in acque egiziane di dimensioni ciclopiche; l'Italia grazie ad Eni gioca un ruolo di primo piano in tutte le scoperte di gas fatte nell'est del Mediterraneo e nei gasdotti che ne permetteranno la commercializzazione e che avranno sbocco in Italia; l'Italia gioca anche un ruolo fondamentale nel mega cavo sottomarino che collegherà l'India all'Europa attraverso l'Oman, l'Arabia Saudita e Israele. La parte mediterranea del cavo sarà costruita dalla Telecom Italia e sboccherà naturalmente a Catania per poi proseguire fino a Genova. Di questa infrastruttura digitale di primaria importanza per l'economia del futuro ne ha parlato tutto il mondo, tranne ovviamente i giornali italiani, talmente provincialotti da raccogliere ogni alzata di sopracciglio dell'insignificante Dombrovski ma incapace di vedere le vere partite. Si potrebbero fare tanti altri esempi, ma ciò che importa è che si capisca la rinascita del Mediterraneo e il ruolo di leadership che ha l'Italia. Un ruolo invidiato dai nordeuropei che come ho scritto sopra si trovano senza la minima capacità di proiezione ne ad est né ad ovest e che guardano al Mediterraneo come uno sbocco naturale per non morire d'inedia. Basti pensare che la Germania sta tentando di inserirsi nella partita mediterranea ma come facilmente si capisce sempre attraverso l'Italia dovranno passare. Il problema è che loro non vogliono passare in Italia né da amici né da soci in affari, ma come loro solito da padroni. Ecco perché per loro è fondamentale sottomettere l'Italia con qualsiasi strumento compreso quello del waterbording finanziario attraverso il Mes che andrebbe a minare qualsiasi spazio di autonomia italiana e che trasformerebbe la penisola in una semplice piattaforma logistica ad uso e consumo della Kerneuropa o se preferite dei paesi centrali. Ma la partita mediterranea è ancora più importante, e il ruolo dell'Italia ancora più strategica. Il Mediterraneo è la porta che apre all'Europa la strada verso il possibile nuovo eldorado: l'India. Gli statunitensi vedono nell'India il contraltare sia militare che economico allo strapotere cinese in Asia, in Africa e in Europa e stanno provando a sostenerne la crescita in chiave anticinese. Una partita ghiotta che garantisce promettenti ritorni commerciali per chi saprà inserirsi, basti pensare che solo oggi la Apple ha siglato in India un accordo da 40 miliardi di dollari per spostare le sue produzioni dalla Cina. Sia detto per inciso che il sostegno americano all'India in chiave anticinese sta bene anche alla Russia che al di là delle apparenze non vede di buon occhio l'egemonia cinese in Asia e ha soprattutto rapporti storici (anche di livello militare) con l'India. Il ruolo dell'Italia in questa partita è autoevidente a tutti tranne che agli italiani. L'Italia è la chiave per l'Europa per arrivare in India. È impossibile una via terrestre che colleghi i paesi centrali europei all'India è invece aperta la rotta mediterranea attraverso l'Italia. Da non dimenticare che - non esattamente a caso - l'Italia presidia il Mar Rosso e l'Oceano indiano occidentale in partnership con gli Usa: abbiamo una base militare a Gibuti, abbiamo una missione militare in Somalia e abbiamo una missione di controllo marittimo "antipirateria" nell'Oceano Indiano. Chiunque, esclusi gli economisti, sa che non ci sono rapporti commerciali se non c'è sicurezza delle rotte commerciali. E anche nella rotta Europa-India siamo un paese chiave.

 

Insomma, abbiamo grosse opportunità per il futuro, indipendentemente da quelle che possono essere le difficoltà economiche presenti. Siamo un paese chiave nel Mediterraneo, siamo l'unica porta d'ingresso europea all'India e siamo l'unico stato d'Europa che può dare proiezione internazionale all'Europa stessa ormai ingabbiata a est e a ovest. Per questo molti nel Nord Europa bramano il nostro assoggettamento, la svendita degli assets nazionali e la riduzione a semplice piastra logistica nordeuropea.

 

Giuseppe Masala

 

 
Il nuovo bigotto PDF Stampa E-mail

13 Maggio 2020

Image

 

Da Rassegna di Arianna dell’11-5-2020 (N.d.d.)

 

Il virus ha prodotto una nuova figura in Italia: il nuovo bigotto volgarmente chiamato “restocasista martire”. È una forma di virus psicologico, in realtà. Si tratta di persone che, animate dal sacro furore di essere nel giusto, predicano il rispetto in modo ossessivo delle regole anti-contagio. Perseguono questo fine e perseguitano chi non lo fa. Come i bigotti del tempo passato, anche questi italiani zelanti si ritengono moralmente superiori. È fondamentale, per il bigotto, tracciare una linea invalicabile tra lui e il resto degli Italiani, sempre descritti con disprezzo e indignazione. Lui o lei, ovviamente, ha una sensibilità, una comprensione degli avvenimenti, un rispetto per chi soffre, una volontà a sacrificarsi, che gli altri non hanno. È sfortunato, poverino, deve vivere in un mondo di persone chiaramente non alla sua altezza. Ah! Se tutti fossero come lui! Sfortunatamente deve coabitare con il resto del paese!  Il bigotto dei tempi passati, come ci insegna la Treccani, è una persona “che mostra zelo esagerato più nelle pratiche esterne che nello spirito della religione, osservando con ostentazione e pignoleria tutte le regole del culto”. Il nuovo bigotto è identico solo che, al posto della religione, ha scelto come testo sacro il DCPM del 26 Aprile sul Covid19. Il nuovo bigottismo, molto più contagioso del Corona virus, si è diffuso a macchia d’olio in tutti gli strati della popolazione, anche se ha infettato soprattutto i più fortunati che possono lavorare a casa e che temono meno i rovesci economici dei provvedimenti. Ma ci sono state eccezioni, quindi non si può essere sicuri. Il nuovo bigotto non apre bocca per criticare le regole, quali esse siano, lui parla solo per giudicare (negativamente ovvio) le altre persone che non si adattano alle restrizioni. E infatti fa sentire la sua voce, a volte dai balconi con grida indignate, a volte con cartelli ammonitori posti sui balconi, più spesso sui social network. Stranamente rifugge il dialogo diretto. Quasi sempre non accetta il dialogo, si mostra infastidito dall’esistenza degli altri e, ancora di più, dalle loro parole. Trova intollerabile che qualcuno metta in discussione il suo credo. Come il bigotto antico giudica severamente il peccato, ma ancora più duramente chi lo difende con argomentazioni pretestuose! Il bigotto, infatti, si fida soltanto di fonti certificate, che lui seleziona in base alla conformità con il suo credo. Un sintomo diffuso del nuovo bigottismo è quello di bannare dalle proprie reti sociali chi non condivide le sue idee. Nei casi più gravi, il restacasista martire smette di rispondere a telefonate, email o messaggi di chi non è puro come lui; teme di essere contaminato dalle parole di chi non è un fedele come lui. Meglio difendere occhi e orecchie da certi spettacoli inverecondi.

 

All’inizio il bigottismo, come tutte le malattie si manifesta in forma acuta e ha tre manifestazioni chiarissime: la paura, la frustrazione, l’invidia. All’inizio, il nuovo bigotto è un fobico che vive le notizie sul virus con particolare apprensione. La paura lo spinge ad adottare scrupolosamente ogni regola preventiva. Fin qua, il bigottismo è asintomatico e, se si è fortunati, non si sviluppa la forma acuta. Si rimane in una condizione di generale apprensione. In molti, purtroppo, la combinazione di paura e di limitazione alla libertà fa scattare la forma acuta! Dopo qualche giorno di prigionia domestica, il bigotto non soffre più per i limiti alla propria libertà, ma comincia a provare un sottile piacere: finalmente si sente nella condizione di poter dimostrare la sua superiorità morale agli altri. Questo è il primo sintomo inequivocabile che la patologia è iniziata. Laddove gli altri si lamentano, lui sopporta con pazienza e diligenza. Laddove gli altri protestano, indubbiamente per motivi poco edificanti, lui tace e obbedisce. La differenza non potrebbe essere più chiara.  A questo punto si manifestano l’invidia e la frustrazione. Il bigottismo, come quello tradizionale, si nutre dell’invidia che chi segue le regole prova per chi non le segue. Chiaramente c’è una ingiustizia, resa ancora più bruciante, dal fatto che chi è meno virtuoso gode di più. E questa crea frustrazione. Dalla sua finestra chiusa, il restacasista martire spia chi esce all’aperto incurante della sua paura e dei suoi desideri di mortificazione, e dentro di sé prova invidia e frustrazione che trovano sfogo soltanto nel formulare minacce apocalittiche: vedrete che cosa succederà, ci faranno tornare tutti in casa per sempre, la quarantena diventerà permanente. Il bigotto non riesce veramente a godere della propria autoinflitta penitenza e quindi augura in cuor suo, a chi non è come lui, castighi danteschi, scenari da fine del mondo, un giorno del giudizio non lontano dove finalmente i peccatori saranno puniti per la loro mancanza di morale. Il bigotto loda pratiche purificatrici anche se igienicamente inutili, come la sanificazione delle strade; condanna comportamenti innocui, come le escursioni o i giochi dei bambini. Non ragiona, giudica. Non pensa, crede. Non vuole, obbedisce.  Come i flagellanti del medioevo, che infatti avevano introdotto pratiche di automortificazione, così il restocasista si punisce, si mette la mascherina quando guida, si lava le mani tra la camera da letto e la cucina, si propone di restare in casa ad oltranza, ben oltre le date chieste dal governo, si vieta contatti con amici e parenti anche dopo che la quarantena dovrebbe aver ridotto il rischio di contagio al di sotto di ogni soglia critica, indossa (l’ho visto più volte) molteplici mascherine anche per portare l’immondizia nel cassonetto sotto casa. Non sono pratiche sanitarie, sono esercizi spirituali, percorsi di purificazione, sacrifici umani. Purtroppo, il bigottismo, una volta raggiunta questa fase, diventa cronico. Le persone continuano a perseguire nuove misure limitanti la propria libertà e, proprio perché lo fanno, aumentano la propria frustrazione nei confronti di tutti gli altri, che sono visti con crescente fastidio e sdegno. Se prima dello sviluppo della malattia, uno aveva una generica invidie per i comportamenti altrui, dopo la fase acuta, uno si è autolimitato e quindi è ancora più invidioso, in una spirale di crescente voluttà di mortificazione e di fastidio per la libertà altrui.  A nulla valgono gli appelli alla ragione di amici e conoscenti, inutile citare percentuali e buon senso. Il restacasista martire vuole dimostrare che il proprio sacrificio è l’unica via alla salvezza o, come seconda opzione, che l’immoralità e sconsideratezza altrui porteranno al disastro. Lo abbiamo visto nei giorni della riapertura di Maggio, quando i restocasisti si stracciavano le vesti predicendo che il paese sarebbe finito preda della irresponsabilità di tutti. E invece non è successo niente. Lo vediamo ogni giorno quando il minimo segno di gioia – come quei ragazzi che ballavano in strada (con mascherina e distanza sociale) – suscita sulle labbra dei benpensanti dichiarazioni di sdegno, richieste di repressione, giudizi morali, annunci della imminente apocalisse e, persino, invocazione a un asteroide di portarci all’estinzione.  Il restacasista martire trova conforto nelle parole del suo testo sacro, il Vangelo secondo Giuseppe Conte dove, all’art 1., comma F si legge “non è consentito svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto; è consentito svolgere individualmente attività sportiva o attività motoria”. In queste parole il nuovo bigotto intravvede il segno che è il suo sacrificio personale che ci monderà dal virus. Infatti il DCPM condanna lo spirito e non la materia, l’attività ludica e non quella motoria, il ballo ma non l’attività ginnica, il piacere ma non la riproduzione: il movimento è consentito ma il gioco no! E perché? Se la differenza tra ludico e motorio non è, ovviamente rilevante da un punto di vista sanitario? È ovvio a tutti, infatti, che il virus non distingue da un movimento fatto per gioco a un movimento identico fatto per esercitarsi. Perché il gioco è libertà e gioia. Sempre secondo la Treccani, infatti, un’attività ludica è qualcosa con “particolare riferimento all’aspetto libero e gioioso, svincolato per lo più da regole” Il gioco è, per semplificare, gioia e libertà, le due cose che il nuovo bigotto ha deciso di togliere dalla sua vita in nome di una presunta superiorità morale. Purtroppo l’unico vaccino efficace contro il bigottismo, ovvero la ragione e lo spirito critico, funzionano solo se inoculati in giovane età. Nella maggior parte dei soggetti colpiti in età adulta, il bigottismo rimarrà a vita in forma cronica e si manifesterà ogni qual volta qualcuno vedrà gioia e libertà.

 

Riccardo Manzotti

 

 
<< Inizio < Prec. 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 Pross. > Fine >>

Risultati 1009 - 1024 di 3745