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Hanno ragione i tedeschi PDF Stampa E-mail

29 Marzo 2020 (N.d.d.)

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Da Rassegna di Arianna del 27-3-2020

 

Come un orologio svizzero, in questi giorni è ripartito il coro pietoso degli europeisti che accusano la Germania di egoismo e di scarso spirito di solidarietà per la sua opposizione agli ormai mitici "eurobond". Trattasi dell'ennesima puntata di una sceneggiata francamente penosa che ormai va avanti da trent'anni. E che sarebbe ora di archiviare una volta per tutte. Ora, chi mi conosce (e soprattutto chi magari ha letto il mio libro "Sovranità o barbarie") sa che non ho mai lesinato critiche alla Germania, ma in questo caso mi tocca spezzare una lancia a favore dei tedeschi. Forse non tutti lo sanno, ma l'opposizione della Germania agli eurobond non è un capriccio dei crucchi che nasce da una sorta di loro cattiveria congenita, come si sarebbe tentati di pensare a sentire i soliti pianti degli europeisti sulla "mancanza di spirito europeo" e altre amenità simili, ma è una posizione che nasce dalla serietà con la quale i tedeschi - e in particolare i giudici della loro Corte costituzionale - prendono i dettami della Costituzione tedesca, che stabilisce chiaramente che le decisioni di carattere fiscale e di bilancio sono di competenza esclusiva del Parlamento tedesco - dove risiede la sovranità popolare - e che dunque la cessione di sovranità fiscale e di bilancio all'Europa - per esempio tramite l'emissione di eurobond - rappresenterebbe una palese violazione della Costituzione e necessiterebbe di una sua riforma tramite referendum popolare. Come dichiarò qualche anno fa in una memorabile intervista Jürgen Papier, presidente della Corte Costituzionale tedesca tra il 2002 e il 2010: «I limiti dell’integrazione europea si trovano nel rispetto dell’ordine democratico della legge fondamentale tedesca. Se la rappresentanza eletta del popolo tedesco non ha più niente da decidere, perché tutte le competenze fondamentali sono state trasferite a livello europeo, allora abbiamo svuotato l’ordine democratico. La richiesta di più Europa suona bene. Se però si superano i limiti, vengono sacrificati i valori fondamentali della Costituzione. La Costituzione tedesca non permette che l’Europa diventi uno Stato che può attrarre a sé, autonomamente, sempre più competenze. A questo fine il popolo tedesco dovrebbe darsi una nuova Costituzione [possibile solo con un referendum]. Ma non vedo alcuna disponibilità in merito. Il popolo tedesco non vuole, al momento, uno Stato federale europeo, come del resto non lo vogliono gli altri popoli europei».

 

È più chiara adesso la cosa? Qui il problema non sono i tedeschi, che si limitano a difendere la loro Costituzione e che giustamente non ravvedono minimamente le condizioni per la creazione di uno Stato federale europeo. Il problema sono i nostri governanti che aderendo all'eurozona hanno fatto carta straccia della nostra Costituzione formale e materiale, data la palese incompatibilità del modello sociale ed economico italiano con l'architettura di Maastricht, al momento della cui fondazione i tedeschi hanno espresso chiaramente quali erano i limiti dell'integrazione europea che non erano disposti a superare. E che adesso che si rendono conto che la realtà del "sogno europeo" che ci propinano da anni (evidente a chiunque non avesse gli occhi foderati di bandiere blu) è che ci troviamo privi di tutti gli strumenti economici necessari per far fronte alla peggiore crisi economica e sanitaria della nostra storia, hanno pure il coraggio di prendersela con i tedeschi per il semplice fatto di tenere fede alla loro parola e di prendere sul serio la difesa della loro sovranità nazionale. La nostra salvezza non dipende dai tedeschi. Dipende da noi. In questa situazione da incubo ci siamo messi con le nostre mani. E sole con le nostre mani ne potremo uscire, riprendendoci in mano - scusate il gioco di parole - il nostro destino. Altro che letterine e ultimatum all'Europa.

 

Thomas Fazi 

 

 

 

 
La crisi sistemica c'era già PDF Stampa E-mail

28 Marzo 2020

 

Da Rassegna di Arianna del 26-3-2020 (N.d.d.)

 

Le crisi, quando si manifestano, sono come alcune malattie: più a lungo rimangono in forma latente, più distruttive sono poi le loro conseguenze. Negli ultimi anni, la crisi del modello occidentale globalista e liberista è diventata sempre più difficile da nascondere. Tuttavia le élite dominanti in occidente non hanno ammesso la fine prossima del modello neoliberista e globalista, al contrario hanno minimizzato le cause e riconosciuto soltanto la presenza di periodiche crisi economiche, mentre il punto principale della loro narrazione era che la crisi sarebbe passata rapidamente, la crescita sarebbe ripresa e gli effetti di una recessione temporanea sarebbero stati rapidamente assorbiti. Come si può facilmente vedere, tutte le misure prese dai paesi occidentali avevano permesso di ritardare l’insorgere della crisi, o meglio, addirittura renderla meno evidente per ampie fasce della popolazione, ma queste non solo erano insufficienti per risolvere il problema, ma lo hanno anche approfondito. La mega bolla determinata dalla emissione di dollari senza copertura, il sistema con cui gli USA vivono alle spalle del mondo, non può durare all’infinito. Da qui per reazione è emerso il fenomeno dei movimenti populisti e nazionalisti, come quello della “nuova destra” in Europa, contraria al globalismo, mentre negli USA saliva al potere Donald Trump con la sua visione del primatismo americano. In realtà, in Europa come negli USA, si iniziava ad avvertire la necessità di cambiare il sistema economico e politico ormai privo del suo slancio iniziale. Tuttavia è avvenuto che i nuovi movimenti politici, la “Nuova destra” in Europa e Trump negli USA si sono limitati all’idea di riformare il sistema e superare la crisi senza intaccare il dominio politico ed economico del liberismo occidentale di marca anglo-americana. Oggi possiamo tranquillamente affermare che non saranno loro a risolvere la crisi. Inoltre, le loro capacità sono limitate da una divisione nelle stesse forze e dal condizionamento di parte di queste del retaggio filo atlantista e anglofono.

 

Lo scoppio della pandemia di coronavirus è divenuta la goccia che fa traboccare il vaso del sistema ormai al collasso dell’impero occidentale. Sarà questa a segnare, come vari osservatori preannunciano, la fine dell’ordine liberista. In particolare la crisi pandemica ha colpito la UE che si è dimostrata impotente e inadeguata: l’intero onere della lotta contro il virus è ricaduto sui governi nazionali. E questi hanno subito iniziato a perseguire una politica egoistica, cercando di isolarsi dai paesi più colpiti, lasciandoli soli con l’epidemia. L’Italia, il primo paese colpito dalla pandemia, è stata abbandonata e lasciata sola. Gli aiuti sono venuti dalla Cina, dalla Russia e da Cuba, smentendo clamorosamente il mito della solidarietà europea. Di colpo si è sgretolata tutta quella costruzione di falsi miti, di assiomi e dei dogmi del globalismo, di un mondo senza frontiere, di un nuovo ordine internazionale che avrebbe fatto scomparire gli stati nazionali e consegnate le sovranità agli organismi transnazionali. In Europa in particolare si ritorna ai singoli stati che agiscono per proprio conto in un ritorno parziale di sovranità e arroccandosi nella difesa dei propri interessi nazionali. Riemergono persino i concetti di Patria, comunità e frontiere, di fronte alla realtà miserevole della Unione Europea che implode nelle sue contraddizioni e nei suoi egoismi. L’Occidente ha coperto per lungo tempo la sua crisi globale ed adesso cerca di addebitarla al “coronavirus”. Nessuno degli opinionisti a libro paga dei potentati finanziari nei grandi media mainstream si chiede quali siano state le vere cause, visto che soltanto qualcuno fuori dal coro parlava di una crisi di sistema da oltre dieci anni e che va avanti da ancora prima.

 

A pochi importa come i fiduciari della élite finanziaria possano raggiungere un accordo per promuovere la stessa versione delle cause. Non è noto a molti che miliardi di dollari che non sono superflui per l’economia globale sono già stati spesi nella lotta contro il virus e le misure di quarantena, e le perdite totali saranno maggiori di un ordine di grandezza non previsto. Gli effetti della crisi avranno un impatto devastante e causeranno davvero un duro colpo sia per l’economia globale che per le economie dei singoli paesi. Se questo fosse accaduto al momento della crescita, si sarebbero contate le perdite, poi rimosse e presto dimenticate, iniziando nuovamente ad aumentare la produzione. Ma il colpo è arrivato al momento di una forte esacerbazione della crisi sistemica globale. Le misure di quarantena decretate rompono i legami commerciali ed economici tradizionali, costringendo varie economie nazionali e regionali a passare all’autarchia parziale o totale. Per tale motivo si può affermare che niente sarà più come prima. Saranno in molti a non rimpiangere il vecchio ordine liberista che aveva seminato divisioni e disuguaglianze crescenti, quello che predicava il “meno stato e più mercato” e, in nome di questo principio, aveva tagliato le spese statali e privatizzato i servizi pubblici. In Italia, come in Spagna e altri paesi, si accorgono soltanto adesso che non ci sono posti letto, centri di rianimazione e ospedali sufficienti. Le politiche di austerità predicate dai liberisti di Bruxelles hanno compromesso i sistemi sanitari pubblici, hanno tagliato le pensioni e ridimensionato le spese per l’assistenza sociale. In compenso hanno introdotto i diritti al gender, al matrimonio omosessuale, all’utero in affitto e al transumanesimo. Le prime conseguenze sono che l’Occidente viene atomizzato, i paesi si stanno chiudendo l’uno dall’altro. Facile prevedere che, nelle condizioni attuali, gli orgogliosi paesi limitrofi dell’Europa orientale non avranno quasi alcuna possibilità di avere garantita l’assistenza multi-miliardaria dell’UE per i loro bilanci. Nessuno dispone più di soldi extra. Così l'”unità europea” si allontana dallo sfondo prima dei problemi nazionali. Quando il vecchio ordine mondiale crolla, quando le risorse non sono sufficienti per le necessità di base, non è più il momento dei giochi nei cortili dell’impero, tanto meno nel cortile di qualcun altro. L’Ucraina, come altri anelli deboli nel sistema globale, è il primo candidato a dimettersi come zavorra. L’Occidente non la ucciderà di sua mano. Non può più aiutarla a sopravvivere. L’Europa e i paesi più fragili come l’Italia, la Spagna e gli altri, dovranno prendere atto del nuovo scenario e fare le loro scelte, tra il vecchio ordine dell’occidente e l’Eurasia; il tempo e la Storia non aspettano.

 

Luciano Lago

 

 
Fare il deficit che vogliamo è un'illusione PDF Stampa E-mail

27 Marzo 2020 

 

Da Rassegna di Arianna del 25-3-2020 (N.d.d.)

 

Dunque, ricapitolando: - (1) Come abbiamo sempre detto, g͟l͟i͟ ͟e͟u͟r͟o͟b͟o͟n͟d͟ ͟s͟o͟n͟o͟ ͟f͟u͟o͟r͟i͟ ͟d͟i͟s͟c͟u͟s͟s͟i͟o͟n͟e͟: il ministro tedesco dell'Economia Altmeier ha affermato senza mezzi termini che «la discussione sugli eurobond è un dibattito sui fantasmi», mentre Otmar Issing, ex capo economista della BCE (ovviamente tedesco), ha ricordato che comunque sarebbero incostituzionali secondo la legge tedesca e la misura dovrebbe essere sottoposta a referendum popolare. Ma cos'altro devono fare i tedeschi per farvelo capire? Invaderci e tatuarlo sulla fronte di ogni primogenito?- (2) Come abbiamo sempre detto, i͟l͟ ͟M͟E͟S͟ "s͟e͟n͟z͟a͟ ͟c͟o͟n͟d͟i͟z͟i͟o͟n͟a͟l͟i͟t͟à͟" ͟n͟o͟n͟ ͟e͟s͟i͟s͟t͟e͟, come hanno ribadito Germania e Olanda. Non solo è impensabile che questi paesi accettino che questo finanziamento abbia il carattere di un trasferimento, come sarebbe necessario, e non di un prestito; ma è estremamente improbabile che accettino anche solo di aprire una linea di credito per l'Italia che non preveda almeno la possibilità di una futura ristrutturazione del debito (leggasi: mettere le mani direttamente nelle tasche degli italiani). Eppure, nonostante ciò, è ormai chiaro che Conte e Gualtieri insistono comunque per l'attivazione di una linea di credito legata al MES. - (3) Come abbiamo sempre detto, l'idea che l'Italia possa fare tutto il deficit che vuole adesso che è stato sospeso il Patto di stabilità è un'illusione: l͟a͟ ͟B͟C͟E͟ ͟c͟o͟n͟t͟i͟n͟u͟a͟ ͟a͟ ͟n͟o͟n͟ ͟e͟s͟s͟e͟r͟e͟ ͟u͟n͟ ͟g͟a͟r͟a͟n͟t͟e͟ ͟d͟i͟ ͟u͟l͟t͟i͟m͟a͟ ͟i͟s͟t͟a͟n͟z͟a͟, come ha ricordato Isabel Schnabel, membro tedesco del Comitato esecutivo della BCE, che ha dichiarato che gli interventi decisi dalla BCE per affrontare l’emergenza coronavirus «naturalmente non sono» un piano di soccorso pensato per l'Italia. Tradotto: se l'Italia dovesse perdere l'accesso ai mercati o finire sotto attacco speculativo, la BCE potrebbe intervenire solo previa accettazione da parte dell'Italia delle clausole di condizionalità di cui sopra. - (4) Ovviamente f͟o͟͟͟r͟͟͟m͟͟͟e͟͟͟ ͟͟͟d͟͟͟i͟͟͟ ͟͟͟m͟͟͟o͟͟͟n͟͟͟e͟͟͟t͟͟͟i͟͟͟z͟͟͟z͟͟͟a͟͟͟z͟͟͟i͟͟͟o͟͟͟n͟͟͟e͟͟͟ ͟͟͟d͟͟͟i͟͟͟r͟͟͟e͟͟͟t͟͟͟t͟͟͟a͟͟͟ ͟͟͟d͟͟͟e͟͟͟i͟ ͟d͟e͟f͟i͟c͟i͟t͟ ͟n͟a͟z͟i͟o͟n͟a͟l͟i ͟͟͟d͟͟͟a͟͟͟ ͟͟͟p͟͟͟a͟͟͟r͟͟͟t͟͟͟e͟͟͟ ͟͟͟d͟͟͟e͟͟͟l͟͟͟l͟͟͟a͟͟͟ ͟͟͟B͟͟͟C͟͟͟E͟͟͟ ͟- come sono in procinto di fare tutte le altre banche centrali del mondo e come suggerito da Paul De Grauwe e altri - n͟o͟n͟ ͟s͟o͟n͟o͟ ͟n͟e͟a͟n͟c͟h͟e͟ ͟p͟r͟e͟s͟e͟ ͟i͟n͟ ͟c͟o͟n͟s͟i͟d͟e͟r͟a͟z͟i͟o͟n͟e͟.

 

Alla luce di quanto detto, dovrebbe essere ormai chiaro a tutti - ma evidentemente non lo è - che nella cornice dell'euro non esistono soluzioni per uscire dalla crisi che non prevedano l'ulteriore impoverimento e de-industrializzazione del paese e la sua definitiva subordinazione ai centri di comando europei. Mattarella dice che dobbiamo essere «uniti come nel dopoguerra». Peccato che nel dopoguerra non ci siamo ancora: siamo ancora nel bel mezzo della guerra, una guerra che combattiamo allo stesso tempo sia contro il COVID-19 che contro le pulsioni imperialiste ed egemoniche, mai sopite, del potere tedesco. E che se ottant'anni fa il destino del paese fosse stato in mano a persone come Mattarella, invece di combattere una guerra di liberazione l'Italia sarebbe probabilmente diventata un Länder tedesco. L'Italia merita di più. L'Italia merita una classe politica che dica che è ignobile che il nostro paese, mentre piange i suoi morti, sia costretto ad andare col cappello in mano ad elemosinare soldi ai nostri concorrenti commerciali; che dica che l'Italia in queste settimane sta dimostrando di avere tutta la fibra morale, la forza, il coraggio e lo spirito di solidarietà di cui ha bisogno per rimettersi in piedi da sola, a patto che sia messa nelle condizioni di farlo; che è arrivato il momento di porre fine a vent'anni di "amministrazione controllata" sotto il regime dell'euro, di riprenderci in mano il nostro destino e di tornare a camminare con le nostre gambe.

 

E invece. E invece abbiamo un ministro dell'Economia che da bravo quisling - a fronte di stime che parlano di una perdita potenziale del PIL di centinaia di miliardi, di migliaia di aziende che rischiano di chiudere, di centinaia di migliaia di persone che rischiano di ritrovarsi senza un lavoro - minimizza, dicendo che «nel 2020 l'Italia avrà una perdita del PIL di qualche punto percentuale, grave ma gestibile». Non ci sono parole per commentare.

 

Thomas Fazi

 

 
Cambio di paradigma PDF Stampa E-mail

26 Marzo 2020

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Era lontana la Cina. Arrivavano notizie di qualcosa d’importante. Per fare fronte all’emergenza fermarono la routine della vita nota. Attraverso la tv, prima che spaventoso ed esiziale pareva irreale. Strade vuote, morti, ospedali traboccanti, tutto immobilizzato. L’allarme era mondiale ma tutti stavano a guardare. Era lontana la Cina. Finché non si fece sotto e fu vicina come non avremmo mai detto. Ed eccola qui. Era in casa. In poco il focolaio sviluppò il suo potere. E quanto è vero che loro mangiano tutto, vivono promiscui e con un livello di igiene che aborriamo, è altrettanto vero che per ogni malessere è il terreno che dice la verità. Evidentemente qui da noi c’era molta mota malata dentro i corpi di tante anime alienate. E, a ben guardare, anche dentro il Primo mondo, definitivamente eretto su una fittizia impalcatura, Torre di Babele adeguata ai tempi nostri. Forse quel suo benessere raggiunto e vantato, sebbene costituito da cromature e apparenza, da tecnologia e separazione dal cosmo, ne era responsabile? Ai valori del Nord del mondo, succedanei della verità, nessuno del suo popolo avrebbe mai abdicato. Né avrebbe mai preso in considerazione le proposte di frugalità che da sempre sono disponibili agli uomini. Secondo i loro esperti, sole autorità del vero, e i loro umani armenti al seguito, quelle proposte alternative non hanno valore. Non sono che pauperistiche e ciarlatane, assurde e da denigrare tout court.  Comprensibile. Quei competenti non hanno i mezzi per intendere la misura di quelle proposte, ma hanno la saccenza per impiegare i riff scientisti e così ritenersi al riparo da qualunque critica. Mai, in cambio di una tacca di frugalità recederebbero di un punto dal loro scranno di verità scientificamente provata. Il loro benessere, secondo le rime di fascinosi poeti satanici, rima con progresso. Ma il loro ambito è solo un incantesimo. Come limatura di ferro, si allineano al magnete che non vedono, seguono il guinzaglio che non sentono. Dalla motonave individualista, dentro la bolla di suggestioni riempita con miraggi di ricchezza, le tradizioni analogiche, che hanno guidato la misura d’uomo fino a ieri, inutili pesi morti, sono state buttate a mare.  Le stelle, il sorgere e tramontare del sole, il sestante e la bussola che avevano guidato le generazioni passate sulle piste del mondo per arrivare a baita erano divenute cianfrusaglie inutili da dimenticare in soffitta. Nessuno sapeva più utilizzare gli astri, le ombre, gli angoli e i gradi per comandare la vita. Ci si affidava ad esperti, eventualmente anche virtuali. Noi, di nostro, ormai analfabeti in tutte le materie della creazione che si studiano con le mani e la sensibilità sottile dell’armonia, che potevamo farci? Così i vecchi non facevano testo se non nel bilancio delle case di cura, i bambini crescevano secondo un’educazione delegata, i giovani erano formati a divenire ubbidienti soldatini di comandanti a loro volta allineati servitori di registi nella penombra. Il virus si era preso il centro del mondo. Che si poteva fare?

 

Giusto. Che fare? Se lo chiesero in tempi diversi un po’ tutti e ad ogni livello. Come è giusto nei grandi numeri la percentuale maggiore si adeguò senza obiettare alle indicazioni che gli arrivavano dall’alto, benché anche in cabina di pilotaggio non avessero del tutto le idee chiare. Come biasimarli? Si era davanti a una novità, come al tempo delle Brigate Rosse. Nessuno sapeva inizialmente quale interpretazione del fenomeno preferire. Di certo, tutte le linee di risposta a quel che fare? avevano la loro ragione d’essere. L’allarme crebbe e insieme a lui si moltiplicarono morti, ricoverati, perplessità, guariti, proibizioni. Passavano i giorni ma non la nebbia che li copriva, squarciata soltanto dai fari forti dei telegiornali e dei talk show ormai via skype. Si dovettero chiudere le attività, le scuole, le persone. Insieme all’ordine sempre più perentorio, ripetuto, sanzionato di stare reclusi nelle proprie abitazioni, cresceva il senso di incompletezza delle informazioni. Quindi le domande dei perché e le ipotesi delle ragioni.

 

Perché la mortalità a causa del virus protagonista di tutti i teatri della vita e del globo, veniva solo di rado precisata? Perché era sempre preferita quella abnorme causata da malattie preesistenti o di persone per qualche motivo già immunitariamente deboli? Perché un farmaco giapponese, apparentemente risolutore per buona misura se assunto in corrispondenza dei primi sintomi, non era impiegato in Europa? Perché la versione europea dello stesso principio attivo non era considerata parimenti risolutiva come quello giapponese per i giapponesi? […] Perché il ritardo iniziale del governo ad intervenire con drastiche misure di contenimento? A quali pressioni ubbidiva il nostro vertice nonostante il suo dovere di garantire la salute del suo popolo? Perché l’emergenza dichiarata da settimane che indicava di indossare le maschere, non ha fornito le protezioni per tempo? Perché nonostante la virulenza del coronavirus proprio gli operatori medici, la polizia sono in gran numero i meno protetti? Perché se la partita Atalanta-Valencia è considerata epidemiologicamente esplosiva non si ha notizia di come si siano applicati controlli utili a comprendere a quale punto un infetto diviene infettivo? Ma quanti dovevano essere i portatori asintomatici per realizzare tanto contagio? Perché ancora oggi – con le approssimazioni del caso – non viene dichiarato che chiunque può essere infettivo a qualunque stadio della sua stessa infezione ancora asintomatica? Non è l’opposto di quanto finora abbiamo sentito? Ovvero che siamo infettivi dai primi sintomi (tosse, febbre media, ecc.) in là? Perché milioni di tamponi di produzione italiana sono volati in Usa con un volo militare americano? Perché al personale in prima linea non viene praticato il tampone d’ufficio? Ripetutamente? Perché non è chiaro se i tamponi sono disponibili o meno?  Perché 30.000 soldati americani per un’esercitazione Nato, sono entrati in suolo europeo senza alcun impegno a rispettare le seppur differenti modalità nazionali del nostro continente? Perché lo studio realizzato e pubblicato proprio dalla Nato, che analizza quali soggetti potrebbero essere interessati ad un’azione pandemica, non è discusso negli schermi di chi ha in mano la comunicazione nel nostro paese? Considerando che proprio gli Usa rispondono positivamente a tutti i filtri di quello studio? Perché l’Europa unita chiamata più che mai ad una reazione d’Unione, non ha saputo esprimere alcuna direzione comune alla gestione dell’emergenza? Perché la Grecia è stata, in passato, lasciata naufragare quando ora si lascia libertà – il costo lo sapremo a suo tempo – pressoché totale al portafoglio del debito dei singoli stati? Ma se ragioni sanitarie hanno permesso le scelte radicali che stiamo vivendo, come mai pari scelte non possono essere imposte per ragioni di salute tout court, che non hanno a che fare col virus ma con noi stessi? Perché un cambio di paradigma non può essere imposto per frenare o eludere le ragioni che ci hanno condotto ad essere un’umanità debole? […]

 

Se non vogliamo perdere le possibilità evolutive che il virus ci ha offerto, possiamo rivolgere, questa volta a noi stessi, molte domande. Saranno di risposta assai più immediata di quelle che siamo abituati a rivolgere ai potenti.  Vogliamo ritornare all’esiziale status quo precedente all’incoronazione dell’Europa e del mondo? Vogliamo ancora riportare l’attenzione, l’energia, la passione su quanto è futile? Vogliamo continuare ad alimentare il regime di inquinamento atmosferico? Vogliamo ritornare ad eleggere la cultura del consumismo? Vogliamo ancora insistere sulla via dell’opulenza? Vogliamo ostinarci a credere nella logica del produttivismo? Vogliamo restare ancora prostrati alla tecnologia?? Vogliamo ancora respirare tanfosa aria tossica? Vogliamo ancora cacciare denaro e perdere vita? Vogliamo perseguire una via che ci allontana dalla natura? Vogliamo ancora recuperare un ritmo di vita che si esaurisca sulla esiziale ruota del criceto a soli tre posti: lavora, guadagna, crepa? […]

 

«Quando l'epidemia finirà, non è da escludere che ci sia chi non vorrà tornare alla sua vita precedente. Chi, potendo, lascerà un posto di lavoro che per anni lo ha soffocato e oppresso. Chi deciderà di abbandonare la famiglia, di dire addio al coniuge o al partner. Di mettere al mondo un figlio o di non volere figli. Di fare coming out. Ci sarà chi comincerà a credere in Dio e chi smetterà di credere in lui. Forse una consapevolezza della brevità e della fragilità della vita spingerà uomini e donne a stabilire un nuovo ordine di priorità. Insistere molto di più nel distinguere il grano dalla pula. Comprendere che il tempo, non il denaro, è la loro risorsa più preziosa.Ci sarà chi, per la prima volta si interrogherà sulle scelte fatte, sulle rinunce, sui compromessi. Sugli amori che non ha osato amare. Sulla vita che non ha osato vivere. Uomini e donne si chiederanno perché sprecano l'esistenza in relazioni che provocano loro amarezza. Ci sarà forse chi, osservando gli effetti distorti della società del benessere, si sentirà nauseato e fulminato dalla banale, ingenua consapevolezza che è terribile che ci sia gente molto ricca e tanta altra molto povera. Che è terribile che in un mondo opulento e sazio non tutti i neonati abbiano le stesse opportunità. E forse anche i mass media, presenti in modo quasi totale nelle nostre vite e nella nostra epoca, si chiederanno con onestà quale ruolo abbiano giocato nella loro vita». David Grossman, scrittore israeliano.

 

Lorenzo Merlo

 

 
Purché non torni la normalità PDF Stampa E-mail

24 Marzo 2020

 

Da Appelloalpopolo del 13-3-2020 (N.d.d.)

 

Vedo molti sperare, chiedere, invocare al più presto il “ritorno alla normalità”. È comprensibile, ma mi chiedo: a quale normalità vi riferite? State parlando forse della “normalità” in cui, presi dalle apericene, non vi curavate del fatto che stavano criminosamente tagliando i fondi al Servizio Sanitario Nazionale? Oppure alla “normalità” immersi nella quale vi recavate in palestra, disinteressandovi allegramente del fatto che i vostri rappresentanti riducevano l’Italia allo stato di colonia, cedendo la sovranità a istituzioni sovranazionali e a-democratiche, e con essa qualsiasi possibilità di assicurare i minimi bisogni essenziali ai propri cittadini (lavoro, salari dignitosi, scuola, sanità, pensioni), figuriamoci fronteggiare uno stato di emergenza? O ancora alla “normalità” durante la quale, recandovi ad uno spettacolo teatrale o sportivo, vi siete raccontati che per essere CITTADINI era sufficiente infilare ogni 5 anni nell’urna una scheda elettorale, nella quale TUTTI i simboli erano portatori del medesimo programma globalista, privatista, unionista, liberista e federalista che andava esattamente contro i vostri interessi e quasi sempre accontentandovi di votare il “meno peggio”, consapevoli che la qualità dei nostri politici andava via via peggiorando, ma ritenendo la politica una cosa sporca, dalla quale tenervi a debita distanza? O infine alla “normalità” nella quale, accecati dalla ricerca della massima “competitività”, e della massima soddisfazione individuale, abbiamo ridotto i rapporti interpersonali a tante piccole guerre, combattute gli uni contro gli altri smarrendo completamente quel senso di comunità e di solidarietà che dovrebbe distinguere gli esseri umani dalle bestie?

 

Ecco, se dopo l’emergenza torneremo a quella “normalità”, senza fermarci a riflettere su come OGNUNO DI NOI ha contribuito a fare in modo che un virus, serio quanto si vuole ma che non è la peste, mettesse in ginocchio il nostro Paese, avremo perso un’ottima occasione, e le difficoltà che tutti stiamo vivendo e vivremo, saranno state vane. Abbiamo tempo per riflettere. Usiamolo.

 

Nino Di Cicco

 

 
Il mondo che verrà PDF Stampa E-mail

23 Marzo 2020

 

Da Rassegna di Arianna del 21-3-2020 (N.d.d.)

 

È possibile tentare una riflessione politica sull’effetto virus? È vero, siamo in balia dell’Imponderabile, troppi misteri e troppe variabili rendono totalmente incerto, aleatorio, lo scenario mondiale. Ma qualcosa si delinea. Cominciamo dalle più evidenti. La parola chiave del momento è limitare o isolare. Limitare gli spazi, i contatti, le libertà, i movimenti, i confini. È l’input opposto alla globalizzazione, ai precetti sullo sconfinamento totale, alla libertà come assenza di limiti. Viviamo gli effetti collaterali della globalizzazione, le controindicazioni dello sconfinamento come diritto assoluto. Inevitabile corollario è il ruolo centrale che torna ad acquisire lo Stato nazionale e sovrano. Le frontiere, le barriere, l’autarchia. Ah, i muri, i deprecati muri, se non ci fossero quelli a salvaguardarci nelle case…

 

In Italia i tg decantano ogni giorno con toni da propaganda di regime il modello italiano imitato in tutto il mondo e dall’altro esaltano il rinato orgoglio nazionale. Per cominciare, sul “modello italiano” andrei cauto perché innanzitutto è importato dalla Cina, è il modello Wuhan. In secondo luogo non nasce da una tempestiva profilassi nazionale ma dall’emergenza di un paese che è il più contaminato del mondo, con più vittime, almeno finora, e dunque il coprifuoco è conseguente a una situazione eccezionalmente negativa. In terzo luogo siamo ancora agli inizi ed è presto per azzardare un bilancio positivo della via adottata in Italia; semmai studierei il modello Corea che ha contenuto in 80 morti il focolaio partito forse prima che in Italia, rispetto al nostro con migliaia di vittime. Infine la forza del nostro modello poggia sulla dedizione di medici e infermieri e sullo “state a casa” a tutti gli italiani, col crollo di ogni attività. I rimedi adottati sono primitivi: stare a casa, lavarsi le mani, stare distanti. Ma sul piano pratico, strategico e sanitario, dalle strutture ospedaliere fino alle mascherine e ai tamponi, siamo in grave affanno e confusione. Sul tema dell’orgoglio nazionale ritrovato vorrei dar ragione a chi vede un rinato amor patrio, così come vorrei elogiare il forte senso di responsabilità civica degli italiani nel rispettare le sanzioni senza protestare. Ma la molla principale del nostro comportamento è un umanissimo senso di autoconservazione, un sano egoismo teso alla difesa individuale e familiare, che sommandosi diventa collettiva. L’orgoglio nazionale non mi pare preminente. Quel che invece riemerge di positivo è la percezione comune di essere tutti sulla stessa barca, e dunque la necessità di salvarsi insieme; da qui sorge, su basi biopolitiche, un certo sentire la comunità cittadina e nazionale come un corpo, un organismo in cui, per dirla con Menenio Agrippa, ogni parte è interdipendente, legata rispetto alle altre. Un comunitarismo biologico, naturale, organicistico. Siamo parte del corpo ferito chiamato Italia, ci sentiamo membra, e non solo membri, di uno stesso organismo. È matriottismo più che patriottismo; viscerale, protettivo, materno. Quanto ai canti dai balconi nascono dalla voglia di giocare, socializzare, fare ammuina, sdrammatizzare; reazioni simpatiche ma c’entra poco l’orgoglio nazionale. Di contro, il rischio che sembra affacciarsi in questa fase è l’insorgere di un pericoloso, e pur esso naturale, darwinismo sociale: che si salvino i più adatti, i più giovani, più forti e più produttivi. Pericolosa deriva di ogni tragedia collettiva, che parte dal “si salvi chi può” e arriva ad accettare un cinismo di stato oltre ogni misura di realismo. Il pericolo di fondo che agita questi momenti speciali di restrizioni è, insisto, l’avvento di una dittatura sanitaria sull’onda di epidemie e pandemie, che pilotando i contagi e la paura riduca i cittadini in sudditi agli arresti domiciliari, privati della possibilità di dissentire, proni a ogni sospensione delle libertà, della democrazia e dei diritti più elementari pur di garantirsi la sicurezza e la salute. Un rischio reale, in prospettiva, di tipo nazionale o sovranazionale. Sullo sfondo assume altre forme il pericolo cinese e la sua influenza globale.

 

Ma tornando a oggi, il primo effetto politico del virus è il vistoso franare dell’Unione europea e la sua impotenza a fronteggiare la realtà e l’emergenza. L’assenza di solidarietà e di strategia unitaria è impressionante; solo la manovra economica in extremis ha dato un segno di vita. L’unica via di salvezza per l’Europa è ripensarsi come area protetta e sovrana rispetto all’esterno; coesa e unitaria sulla difesa militare, la sicurezza internazionale, la politica estera, i flussi migratori, il commercio mondiale e la concorrenza globale. E al suo interno invece confederale, riconoscendo la sovranità territoriale e nazionale degli stati. Si tratta cioè di rovesciare il guanto europeo e trasformarla da struttura introversa, coattiva verso i suoi membri e inerme verso il mondo esterno, in una struttura estroversa, che garantisce le differenze nazionali e locali all’interno e invece si compatta all’esterno, con una sola voce rispetto al resto del mondo. Sul piano economico è inconcepibile che l’Europa funzioni come una “livella” su realtà economiche e tessuti sociali diversi e poi sia incapace di armonizzare per esempio i sistemi fiscali e pensionistici al suo interno, così che ci sono paesi strozzati dalla pressione fiscale come il nostro, e paesi dove è lieve il prelievo. E poi pretende di far rispettare i parametri… Insomma, l’effetto virus potrebbe produrre mutamenti politici radicali, sia positivi che negativi. Ma su tutti grava un’incognita gigantesca: l’impatto del collasso economico derivato dal virus. Come si trasformeranno il capitalismo e i rapporti di forza nel mondo, tra miseria diffusa, forme di comunismo assistenziale tramite redditi di cittadinanza per tutti, statalismo e autarchia? Lampi di guerre all’orizzonte.

 

Marcello Veneziani

 

 
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