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Abbiamo perso di vista i nostri interessi PDF Stampa E-mail

29 Dicembre 2019

 

Da Appelloalpopolo del 23-12-2019 (N.d.d.)

 

Hanno vinto quando ci hanno reso tutti ipotetici milionari, uomini nuovi capaci di farsi da sé, in una parola sognatori. Abbiamo iniziato a preoccuparci dei loro interessi, illudendoci che sarebbero diventati i nostri. Così abbiamo iniziato a idolatrare chi ci disprezzava e abbiamo perso di vista i nostri interessi, mentre loro ci distraevano con i colori del tubo catodico e dei centri commerciali e avidamente tagliavano i cavi di quell’ascensore sociale che per noi aveva significato, prima ancora che benessere, sicurezza ed elevazione culturale. Abbiamo dimenticato la classe a cui apparteniamo e non siamo capaci di concepire la giustizia e la rivolta, timorosi di perdere quel poco che ci rimane, per gentile concessione del “padrone”.

Lorenzo D’Onofrio

 

 
Fallimento della gestione privatistica PDF Stampa E-mail

28 Dicembre 2019

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Da Appelloalpopolo del 22-12-2019 (N.d.d.)

 

È successo in questi giorni di frequente pioggia vicino casa mia, in Toscana, sulla Cassia, che unisce Roma ad una gran parte del centro e del nord Italia. Ma si tratta di un’immagine che fotografa gran parte del paese. Poche settimane fa infatti, sempre a causa delle condizioni atmosferiche, lo stesso tipo di crollo si è verificato in strade della Liguria e del Piemonte, sfiorando in più occasioni la tragedia. I comuni, infatti, a prescindere dal colore che indossano, vengono definiti “virtuosi” qualora riescano a rispettare il “patto di stabilità”, ciò che costringe loro a risparmiare piuttosto che a investire nonostante il territorio vada in frantumi.

 

Sempre stamattina, invece, i giornali di Genova parlano di una carenza di personale medico ormai fuori scala, tanto che da qui al 2025 si ritiene che sarà impossibile usufruire dei normali servizi pubblici, costringendo pertanto la popolazione a rivolgersi a strutture ospedaliere private. Dall’altra parte, mentre i giornali infuriano contro tutta la categoria degli impiegati pubblici quando alcuni di loro, su alcune centinaia di migliaia, non timbrano il cartellino (cosa indubbiamente riprovevole ma per niente affatto endemica), la famiglia Benetton rimane ancora indisturbata la proprietaria di “Autostrade”, nonostante sul Ponte Morandi siano morte più di 40 persone a causa del rifiuto da parte loro di investire. Il problema? è che dal 1992 lo Stato non interviene più attivamente nelle politiche del lavoro e dell’economia. I Trattati Europei impediscono ai paesi dell’Unione di fare deficit pubblico se non entro delle soglie di una percentuale che ormai, a causa di ulteriori limiti, si deve situare perfino al di sotto del 3% nel rapporto tra il PIL e il deficit pubblico annuale. Sempre per legge, lo Stato inoltre non può più fare l’imprenditore e ricomprarsi così Alitalia, Autostrade, oppure l’Ilva, sebbene la gestione privatistica abbia dimostrato di anteporre ormai da decenni il raggiungimento dei suoi profitti davanti all’utilità sociale (contravvenendo perciò anche l’art. 41 della Costituzione), e lasciando che per questa ragione delle persone morissero: tragedie che rendono la storia dei cartellini assolutamente ridicola. Di fronte a tali restrizioni, nei prossimi anni vedremo che le strade continueranno a crollare, i medici a scomparire, e le industrie strategiche come le acciaierie a chiudere, per aprire nuove praterie al mercato, soprattutto internazionale. Occorre perciò stracciare i Trattati UE, recedere dall’Europa, e recuperare uno Stato che mediante spese ingenti, miliardarie, faccia assunzioni di massa di personale nelle scuole, negli ospedali, nelle strade, per realizzare quelle manutenzioni necessarie a mettere in sicurezza il territorio.

 

Jacopo D’Alessio

 

 
Fallisce chi non si propone una lunga marcia PDF Stampa E-mail

27 Dicembre 2019

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Da Appelloalpopolo del 24-12-2019 (N.d.d.)

 

Scrive un mio contatto: “Tsipras ha fallito. Le Pen ha fallito. Salvini ha fallito. Bisogna solo prenderne atto”. Mi sembra di poter replicare che, se si ipotizza la buona fede, che invece non va data per scontata, è vero che hanno fallito ma il tema decisivo diventa domandarsi la ragione del fallimento. E la ragione è che, evidentemente, la buona fede non basta. Serve la determinazione (bisogna essere nati politicamente per questo scopo), nonché la disponibilità a non governare immediatamente, perdendo coloro che desiderano soltanto il potere (e che sono presenti in massa in ogni partito). La Le Pen, quando al secondo turno delle presidenziali ha dichiarato che non sarebbe uscita dall’euro, ha rivelato che lo slogan “fuori dall’euro” o era stato marketing o era stata una volontà flebile. Ha infatti mostrato, con quella dichiarazione, di non essere disponibile a una battaglia di lunga durata, a rinunciare a priori alla vittoria immediata e a spaccare il partito, perdendo i governativi per i quali la critica alla UE è mera propaganda. Quanto alla Lega, non è mai esistito un programma della Lega volto ad uscire dalla UE. Ci sono state dichiarazioni di uscita dall’euro, false come Giuda oggettivamente, perché non è dato uscire dall’euro senza uscire dalla UE. Chi dichiara di voler uscire dall’euro ma non dalla UE o è un cretino o è un bastardo che prende per i fondelli i suoi elettori. La Lega è votata da vasti strati della popolazione che vivono, come imprenditori, come operai, come impiegati e come professionisti, di esportazioni e che rischierebbero di subire immediate conseguenze a causa dell’uscita (anche se poi la maggior parte di essi potrebbe trovare con le opportune politiche possibilità uguali o migliori). Tsipras era un europeista. Avrà sentito da qualcuno del suo partito sostenere che se si usciva dall’euro era meglio, ma fin dal 2012 aveva scritto un programma neo-socialista irrealizzabile dentro la UE, senza proporre tuttavia l’uscita. Dunque, senza alcun dubbio, era un cretino o una persona che prende per i fondelli i suoi elettori (io scrissi il 2 giugno 2012 che era un venditore di fumo).

 

L’uscita dall’Unione Europea – necessaria per riconquistare la democrazia negli Stati nazionali europei, accantonata concretamente da Maastricht (e a livello di princìpi, sia pure con poche conseguenze concrete, già dal trattato di Roma) – è un compito storico. Si tratta di una lunga marcia e chiunque non si incammini lungo questa strada è destinato a fallire. Se si trattasse di una rivoluzione armata potrebbe bastare un 30% di consenso e l’appoggio dell’esercito. Ma trattandosi di una rivoluzione democratica serve molto più consenso e moltissimo tempo. Solo un partito che nasca con lo scopo dell’uscita come quello di Farage, privo di governativi, può operare con continuità, determinazione e risolutezza esclusivamente per lo scopo per il quale è nato. Gli altri partiti – che governano Regioni e Comuni e che si trovano a chiedere ed elargire fondi europei, che danno posti di lavoro e incarichi, che hanno il consenso di vasti strati di popolazioni legati alle esportazioni (non solo imprenditori ma anche operai impiegati e professionisti) i quali rischiano di essere colpiti dall’uscita, e che hanno significativi gruppi dirigenti che vogliono andare al governo per esercitare il potere (pur sapendo che dovranno eseguire gli ordini del tiranno per anni) – sono tutti per forza di cose europeisti, sia che lo pensino sia che non lo pensino, sia che lo dichiarino sia che lo neghino, sia che siano in buona fede, sia che siano in mala fede. Sono oggettivamente europeisti. E quindi oggettivamente combattono per l’Unione Europea.

Stefano D’Andrea

 
Stato e banche PDF Stampa E-mail

26 Dicembre 2019

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Da Appelloalpopolo del 24-12-2019 (N.d.d.)

 

Le banche sono tali se svolgono due funzioni essenziali per la società moderna: erogazione del credito e raccolta del risparmio. A queste due attività va riconosciuta una funzione sociale importantissima in ambito economico, degna di essere tutelata anche a spese dello Stato a patto che le coordini, disciplini e controlli come sancisce anche l’articolo 47 della Costituzione italiana. Negli ultimi trent’anni però è emersa una crescente tendenza, divenuta oggi prassi, che ha portato le banche ad investire la raccolta del risparmio sempre meno in esercizio del credito e sempre più in asset finanziari, ciò si può definire anche più volgarmente “giocare in Borsa”, il che è solitamente prerogativa di detentori di capitali la cui assunzione del rischio – che essendo tale può tramutarsi in situazioni di dissesto finanziario – è volta alla ricerca del profitto. Poiché tale attività, pur legittima, ha per fine però un beneficio individuale e non collettivo, a mio parere non le va riconosciuta una funzione di preminente utilità sociale. Lo Stato è tale se svolge due principali funzioni in ambito economico: redistribuzione della ricchezza attraverso la tassazione; investimenti produttivi ed erogazione di servizi a beneficio della cittadinanza attraverso la spesa pubblica. Gli stati che non detengono più la sovranità monetaria, come il nostro, sono costretti ad indebitarsi sui mercati finanziari per poter svolgere questa essenziale funzione. Quando una banca è in situazione di dissesto finanziario è giusto fare di tutto affinché si tutelino i risparmiatori, nonostante la causa del dissesto sia da attribuire ad una mala gestione patrimoniale e ad una deviazione degli investimenti su asset ad alto rischio. Pertanto si procede con ingenti interventi di patrimonializzazione o da parte di privati ai quali viene svenduta la proprietà della banca o da parte delle istituzioni pubbliche quindi a spese dei contribuenti. A seguito di salvataggio da parte dello Stato, quindi dei cittadini, le funzioni della banca, che evidentemente non sono state svolte correttamente, dovrebbero passare ad una gestione statale che coordini, disciplini e infine controlli la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito, la cosiddetta nazionalizzazione. Ahinoi, quasi sempre ciò non accade e la gestione procede sempre nella stessa malsana direzione.

 

Quando uno Stato è in situazione di dissesto finanziario, nonostante la causa del dissesto possa attribuirsi ad una mala gestione, è giusto fare di tutto affinché si tutelino i processi democratici, la sicurezza e il benessere dei cittadini. Purtroppo, in questi casi entrano in gioco istituzioni sovranazionali come l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale che, utilizzando le leve monetarie e fiscali delle istituzioni pubbliche, tutelano unicamente la rete finanziaria e bancaria calpestando la vita sociale di una comunità e svuotando lo Stato della sua sovranità popolare democratica. Oramai le banche, che sono saltate a piè pari nel sistema finanziario globalista, hanno assunto un ruolo che si pone al di sopra degli Stati, quindi dei cittadini, delle persone, come il trattamento corrisposto in situazioni analoghe evidenzia. Pertanto, affinché venga ripristinata un po’ di sovranità popolare da tradursi in giustizia sociale, è necessario che lo Stato riacquisisca un sistema bancario che svolga esclusivamente le due funzioni sociali per le quali è preposto – sotto il coordinamento, la disciplina e il controllo delle istituzioni pubbliche – onde attuare una sinergia tra Stato e sistema bancario volta alla tutela del risparmio e alla crescita attraverso il corretto esercizio del credito, vietando l’utilizzo speculativo della raccolta del risparmio. Affinché si persegua una conduzione armonica e sociale del sistema pubblico ed economico occorre riposizionare lo Stato al di sopra del sistema bancario e finanziario.

 

Michele Durante

 

 
Gregge schedato di pecore PDF Stampa E-mail

25 Dicembre 2019

 

Da Rassegna di Arianna del 22-12-2019 (N.d.d.)

 

È inutile che andiate su Wikipedia a cercare la biografia del dottor Carl Sanders. Troverete un altro Carl Sanders, procuratore e politico americano; e quella di Karl Sanders, musicista metal e post-rock, sempre americano. Però non quella del nostro Carlo Sanders, ingegnere elettronico dal 1968 e direttore di un avanzatissimo gruppo di ricerca che mise a punto la tecnologia dei microchip sottocutanei: non la troverete. E non la troverete per una ragione ben precisa: il potere non vuole che si sappia ciò che sta bollendo in pentola riguardo all’utilizzo finale di tale tecnica. Inizialmente le ricerche erano motivate, almeno in apparenza, dalla volontà di realizzare qualcosa di utile per certi soggetti bisognosi di essere costantemente monitorati, a causa delle loro condizioni di salute o psichiche. Un’altra motivazione per l’impianto di questi microprocessori è stata la sicurezza dei soldati impegnati in operazioni militari, come era il caso delle truppe americane impegnate nella guerra del Vietnam: se un soldato fosse rimasto ferito nella giungla, grazie al microchip sarebbe stato possibile localizzarlo e soccorrerlo: insomma il microchip avrebbe potuto salvargli la vita (mamme, ringraziate!). Ma poi è apparso chiaro che le autorità militari statunitensi si stavano impadronendo del progetto e intendevano piegarlo ai loro fini, cioè a studiare le modalità per operare una manipolazione mentale ed emozionale generalizzata della popolazione. A quel punto il dottor Sanders rifiutò di proseguire le ricerche e anzi denunciò il pericoloso interessamento di oscuri gruppi di potere, come il Bilderberg, nei confronti di esso. Ma era già troppo tardi: ormai la tecnica era stata resa perfettamente operativa e già se n’erano impossessate delle agenzie militari e d’intelligence le quali poco o nulla hanno a che fare con la salute dei cittadini e molto, invece, con il loro condizionamento occulto. Parlavano della gente come si parla di un gregge di bestiame, avrebbe riferito, sconvolto, il dottor Sanders, riferendo uno di questi incontri di altissimo livello, al quale avevano partecipato anche altissime personalità del mondo della politica, come l’ex segretario di stato americano Henry Kissinger.

 

L’inserimento di microchip nel corpo umano, sul polso, sulla mano o alla radice dei capelli, è oggi un’operazione tecnicamente semplicissima, che non richiede più di una ventina di minuti. Essi vengono attivati mediante impulsi di onde radio a bassa frequenza; la batteria al litio si ricarica automaticamente grazie ai flussi della temperatura corporea. Stiamo parlando di microprocessori del volume di 5 micromillimetri, vale a dire 10 volte più piccoli del diametro di un capello. Tramite loro gli impulsi neurologici del cervello, che creano un campo elettromagnetico, ad esempio l’effetto prodotto da una sensazione visiva colta del nervo ottico, possono venire trasferiti, decodificati e memorizzati in un computer, e rinviati al sistema nervoso di quella persona, o per farle rivivere sensazioni già provate in precedenza o per stimolare sensazioni e pensieri nuovi, inducendo in essa delle reazioni emotive e delle risposte comportamentali appositamente programmate. In altre parole, è possibile trasformare quella persona in un burattino comandato a distanza, che proverà certe impressioni o compirà certi atti non in base alle sue facoltà naturali e alla sua libera determinazione, ma perché le sono state “suggerite”, o piuttosto ordinate. A quel punto la “vecchia” tecnologia mirante al condizionamento umano, che finora ha agito prevalentemente sul piano della realtà esterna (si pensi al Truman Show del film omonimo) avrà raggiunto il vertice della perfezione: essa agirà dall’interno degli esseri umani e sarà talmente efficace e talmente “invisibile” che nessuno, e nemmeno il soggetto interessato, potrà distinguere un’azione o un pensiero autentico da uno indotto artificialmente. A questo punto la realtà tecnologica ha superato ampiamente la stessa fantasia degli scrittori: se Calderón de la Barca, in “La vita è sogno”, rappresentava la difficoltà, per l’uomo, di sapere se la vita sia solamente un sogno degli uomini o se sia qualcosa di reale, nella quale siamo del tutto coscienti di noi stessi, grazie alla tecnologia dei microchip il dubbio radicale sarà assolutamente irresolubile: ma a quel punto ci sarà ancora qualcuno capace di avere dei dubbi e di farsi delle domande? O tutti i dubbi che avremo e tutte le domande che faremo, ammesso che ne avremo ancora, saranno prodotti artificialmente dal computer cui saremo collegati? E chi ci sarà davanti a quel diabolico computer, impegnato a giocare con le nostre vite, coi nostri pensieri e perfino con le nostre emozioni?

 

Citiamo una pagina dal libro di Enrica Perrucchietti: New World Order. L’altra faccia di Obama; un libro che suscita moltissime domande scomode e che meriterebbe la più ampia diffusione, mentre le grosse case editrici si guardano bene dal finanziare la pubblicazione di libri di questo genere, che aumentano la consapevolezza delle persone (Torino, Uno Editori, 2011, pp. 370-373): Bisogna preparare le persone e per farlo in modo che sembri “naturale” ci vuole tempo. Allo stesso modo l’introduzione dei chip sul mercato andrà per gradi. Quindici anni fa, in tempi non sospetti, Sanders aveva spiegato le fasi progressive dell’introduzione dei “microchip”: all’inizio sarà facoltativo e la gente verrà incoraggiata con diverse argomentazioni, a partire dai vantaggi a livello sanitario. Poi diventerà obbligatorio e ogni dispositivo conterrà l’intera storia di ognuno di noi: nome, fotografia, numero di previdenza sociale, reddito, impronta digitale, descrizione fisica, anamnesi, storia famigliare, precedenti penali. Al di là delle implicazioni sociali, l’oggetto principale dello studio di Sanders era di individuare il punto più appropriato per l’inserimento del microchip IMI che, come abbiamo già visto, è stato riscontrato sulla fronte sotto l’attaccatura dei capelli e nella mano destra.  Sanders raccontò a “Nexus” che il microchip a cui aveva lavorato poteva essere usato per modificare il comportamento umano: durante la guerra in Vietnam si impiantarono dei microchip – i Rambo chip – nei soldati per stimolare a distanza una sovrapproduzione di adrenalina. Prendendo con beneficio di inventario le dichiarazioni di Sanders, viene spontaneo domandarsi quante cavie nell’esercito o fuori da esso, nella società civile, possano essere state sottoposte a esperimenti o meglio manipolazioni a distanza. Sanders ha inoltre spiegato che bloccando la funzionalità dell’ipofisi, si può bloccare il flusso di estrogeni, provocando la menopausa. E bloccando il concepimento. Da qui un ulteriore controllo sulla popolazione tanto caro ai Bilderberg: il controllo delle nascite. Il microchip può essere innescato in ogni momento, ridurre o aumentare situazioni di stress, calmare o stimolare emozioni di violenza. Telecomandati a distanza! (…)

 

Che non sia solo frutto di teorie del complotto lo testimonia una ricerca della DARPA, la “Defense Advanced Research Project Agency”., ovvero il Dipartimento che si occupa di progettazione e ricerca per la Difesa degli Stati Uniti: la stimolazione dei soldati a distanza tramite un collegamento al cervello che funga da interfaccia con un computer che, posto a distanza, possa interagire e mandare impulsi a ultrasuoni all’encefalo. Che tradotto significa: CONTROLLO NEUROLOGICO A DISTANZA. I risultati delle ricerche della DARPA sarebbero così a buon punto che i prototipi sarebbero già pronti per essere testati in zone di guerra. Dai “cyber soldati” al controllo mentale di massa il passo è breve. Saremo presto degli zombie controllati remotamente? È per questo che molti hanno ravvisato nella profezia dell’Apocalisse di Giovanni un’inquietante analogia con l’introduzione dei chip:

 

“Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla MANO DESTRA E SULLA FRONTE, e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei” (Ap. Gv, 13, 15-18).

 

I dispositivi verranno infatti inseriti nella MANO DESTRA E SULLA FRONTE all’altezza dello scalpo, una volta introdotti serviranno non solo per comunicare i dati generali e sanitari relativi alla persona, ma anche per le transazioni bancarie: PER COMPRARE O PER VENDERE. Da qui i più visionari si sono lanciati in voli pindarici paragonando Obama all’Anticristo. Non attribuirei tutta questa importanza al Presidente, che più che la Bestia mi sembra un burattino nelle mani di uomini ben più potenti di lui. Indubbio però che l’analogia con l’Apocalisse anche ai più agnostici faccia pensare. Mai nella storia il famigerato marchio ha trovato più corrispondenza nella realtà che oggi con la volontà di introdurre i microchip. In passato il 666 è stato collegato a Nerone, Napoleone e Hitler, attraverso il ricorso alla Ghematria, la numerologia ebraica. (…) Con l’aumento degli attentati veri o presunti, del terrore, di stragi o sparizioni di bambini, la popolazione mondiale si sentirà obbligata ad accettare l’inserimento dei chip sottocutanei per tutelarsi dalle “atrocità” che ogni giorno si sentono in televisione o ci raccontano i giornali. Con spontaneità l’obbligo ai microchip diventerà globale e la popolazione diventerà infine simile a un gregge schedato di pecore. Chi si rifiuterà di divenire un “ibrido di intelligenza elettronica e anima” – citando il dottor Peter Zhou, creatore del microchip “Angelo Digitale” – verrà bollato come probabile criminale, avendo sicuramente qualcosa da nascondere: un paranoico o disturbato. Verrà segnalato alle autorità, costretto a piegarsi o a vivere fuori dalla società. Sorge a questo punto la domanda: ci stiamo avviando rapidamente verso un futuro post-umano? L’uomo, così come lo conosciamo, è destinato a scomparire nel giro di una o due generazioni? Perché una cosa è certa: una volta che abbia subito l’impianto di un microchip atto a suscitare in lui delle reazioni artificiali, ad esempio a ricevere impulsi elettrici che facciano aumentare l’adrenalina, o dei messaggi subliminali che lo spingano (o lo trattengano) a compiere una certa azione, non è più un soggetto capace di libere scelte, ma una sorta di burattino telecomandato. Il fatto che gli uomini verranno indotti a chiedere volontariamente di sottoporsi a tale impianto, beninteso dopo essere stati opportunamente spaventati da una serie di fatti allarmanti e angosciosi, come la sparizione dei bambini (e i bambini spariscono già adesso, eccome: parte ad opera di criminali pedofili, parte per il commercio internazionale degli organi, e parte per i rapimenti organizzati dalle stette sataniche le quali godono di altissime protezioni e complicità, essendo formate da personaggi molto, molto importanti), non fa che rendere la cosa ancor più inquietante. Poi si passerà alla fase in cui, come l’iscrizione al partito in un regime apertamente totalitario – quello in cui viviamo è un regime totalitario, ma occulto – farsi impiantare il microchip sottocutaneo non sarà formalmente obbligatorio, tuttavia lo sarà di fatto, perché il suo rifiuto comporterà delle conseguenze sociali insostenibili, come l’esclusione dai servizi sanitari, dalla frequenza alle scuole pubbliche e private, dall’accesso ai propri movimenti bancari (il numero della Bestia nel libro dell’Apocalisse!), laddove la circolazione del denaro sarà praticamente abolita; e così via. La terza fase sarà l’imposizione di tale pratica per legge: e chi si rifiuterà dovrà dapprima pagare una fortissima multa, poi subirà comunque l’impianto, né ci sarà bisogno di domare la sua resistenza: sarà sufficiente tenerlo sotto “osservazione medica”, beninteso per il suo bene, ventiquattro ore, il tempo necessario a narcotizzarlo, a nebulizzarlo con il cloroformio, e poi procedere all’intervento mentre è in stato d’incoscienza. La stessa pratica verrà adottata per tutte le categorie di persone, dai militari nelle caserme, ai pazienti negli ospedali, che si trovano in condizione di poter subire l’impianto senza alcun concorso della loro volontà e anzi nella loro perfetta inconsapevolezza. I microchip, grazie ai progressi della tecnica (se così vogliamo chiamarli), saranno sempre più piccoli, sicché le persone stenteranno a rendersi conto di avere nel proprio organismo un oggetto estraneo, così come si dice che accada a quanti sono stati vittime di abductions, ovvero di rapimento alieni, i quali solo dopo qualche giorno, e con molta fatica, a causa di alcuni malesseri e disturbi si rendono conto che “qualcosa” è stato introdotto in qualche parte del loro corpo. Naturalmente verranno lanciate campagne d’informazione, se così vogliamo chiamarla, per mobilitare l’opinione pubblica contro i pericolosissimi renitenti all’impianto del microchip: perché è evidente che se qualcuno cercherà di sottrarsi a una pratica così semplice, utile e necessaria, senza dubbio lo farà per qualche losco motivo e già solo per questo lo si dovrà considerare un soggetto socialmente pericoloso, alla pari di un terrorista o di un diffusore volontario di malattie. Seguirà una breve fase in cui potrà esserci un certo malessere psicologico generalizzato, perché ogni amico, ogni fidanzato, ogni marito o moglie, ogni genitore e ogni figlio si domanderanno se la persona che hanno di fronte pensa e agisce in modo spontaneo o se non stia dicendo e facendo ciò che gli hanno suggerito, o piuttosto ordinato. Ma durerà poco: nel corso d’un paio di generazioni, il ricordo di com’era l’uomo verrà dimenticato...

 

Francesco Lamendola

 

 
Un'interpretazione degli "anni di piombo" PDF Stampa E-mail

24 Dicembre 2019

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Da Comedonchisciotte del 22-12-2019 (N.d.d.)

 

A distanza di cinquant’anni dalla strage di Piazza Fontana, l’Italia è ancora sovrastata dalla stessa cappa di disinformazione: “la strategia della tensione” che, portata avanti dallo Stato o perlomeno da ampi settori dello Stato, avrebbe dovuto facilitare una “svolta a destra” della politica, fermando l’avanzata del PCI nel mondo bipolare della Guerra Fredda. La strage di Piazza Fontana fu invece l’inizio di una campagna destabilizzante contro l’Italia che, dalla Libia alla Somalia, stava guadagnando molte posizioni internazionali cavalcando il “terzomondismo”. Le bombe cessarono nei primi anni ‘90 perché, distrutti la Prima Repubblica e lo Stato imprenditore, non servivano più.

 

Il 12 dicembre di cinquant’anni fa il salone della centralissima Banca Nazionale dell’Agricoltura fu devastato da un ordigno esplosivo: 17 morti e un’ottantina di feriti segnavano l’inizio dei cosiddetti “anni di piombo”. La strage di Piazza Fontana ha tre livelli di interpretazione: salendo dall’uno all’altro, ci si avvicina sempre di più alla verità. Il primo livello, presto abbandonato già in quegli anni, è quello della strage “anarchica”, compiuta dal ballerino e bakuninista Pietro Valpreda. Il secondo livello è quello della strage “nera” compiuta da Ordine Nuovo, avvalendosi di ampie connivenze negli uffici dello Stato, in primis l’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno con allora a capo Federico Umberto D’Amato. Tale livello è quello tuttora dominante: la cosiddetta “strategia della tensione”, per spaventare l’opinione pubblica, preparare il terreno per una svolta a destra (mai arrivata) e arrestare l’avanzata del PCI che, se fosse arrivato al potere, avrebbe messo in forse (ma sarà poi vero?) la collocazione dell’Italia nello schieramento occidentale, portando il Paese fuori dalla NATO. Il terzo livello è quello su cui abbiamo più volte scritto, in primis ricordando la triste fine di Aldo Moro che, lungi dall’essere un apatico e rassegnato meridionale, era in realtà una delle mente più fini e audaci della politica estera italiana. Il terzo livello colloca infatti la strage di Piazza Fontana all’interno dello scenario internazionale dell’epoca: come Piazza Fontana, anche tutti gli altri “misteri di Italia” trovano la loro spiegazione razionale negli equilibri del periodo e, in particolare, nella condotta italiana tra Malta, Libia, Somalia e URSS.

 

Agosto 1969: Aldo Moro entra alla Farnesina, all’interno dell’esecutivo di Mariano Rumor. Agli Esteri Moro rimane per i tre anni successivi. Tre anni decisivi per la politica estera italiana, considerato che gli ultimi “dividendi” della politica di allora sono stati incassati fino al 2011, soltanto otto anni fa, quando Muammar Gheddafi è stato prima rovesciato con un intervento NATO e poi brutalmente assassinato. È infatti proprio in Libia che deve essere collocato l’inizio del “terzo livello” della strage di Piazza Fontana. Primi di settembre 1969: un colpo di Stato “filo-nasseriano” rovescia re Idris, installato sul trono di Libia dagli inglesi dopo la guerra. L’incruento putsch gode del pieno appoggio dell’Italia che, in quella fase, cavalca il nazionalismo arabo ed in particolare il nasserismo per guadagnare posizioni ai danni di inglesi e francesi. Una delle prime mosse dei “giovani ufficiali libici”, tra cui emerge ben presto un trentenne Muammar Gheddafi, è quella infatti di rescindere il trattato di sicurezza firmato con Londra nel 1953, obbligando gli inglesi a lasciare il Paese. Gli americani fanno buon viso a cattivo gioco, vuoi perché la nuova Libia si mantiene equidistante tra i due blocchi, vuoi perché “la quarta sponda” è sempre stata marginale nella geopolitica del Mediterraneo, vuoi perché sono anni davvero difficili per la superpotenza americana, alle prese col Vietnam e un’economia claudicante. L’Italia non lascia, ma raddoppia: a distanza di pochi mesi soltanto, la Somalia, che si stava spostando su posizioni sempre più filo-atlantiche, è teatro di un colpo di Stato: il presidente Abdirashid Shermarke è assassinato e tra le file dei “congiurati” emerge ben presto Mohammed Siad Barre, uscito dalla Scuola allievi sottoufficiali Carabinieri di Firenze. Come la Libia, anche la Somalia rientra dunque “nella sfera d’influenza italiana”, portandosi anch’essa su posizioni non allineate e ammiccando discretamente all’URSS. In neanche tre mesi l’Italia ha messo a segno due grandi risultati ed un terzo l’avrebbe conseguito negli anni successivi, sostenendo Dom Mintoff a Malta.

 

Che fare? Semplice, si ricorre al terrorismo, per tarpare le ali alla risorgente Italia. E si noti, per uscire dal solito provincialismo che affligge la modestissima “intellighenzia” italiana, che la medesima “strategia della tensione” con fini destabilizzanti è usata anche contro Germania e Giappone che, però, possono vantare una solidità delle istituzioni ed una tenuta sociale sconosciute all’Italia. Si arriva così a Piazza Fontana, che avrebbe dovuto avere anche uno strascico di sangue nella capitale. E, si noti, l’attentato coincide con lo stesso giorno in cui si aprono a Mosca le trattative per il rinnovo dell’accordo commerciale italo-sovietico.

 

Inizia quindi la strategia della tensione volta non a impedire la conquista del potere da parte del PCI, ma a tenere perennemente sotto scacco l’Italia che, forte di una classe dirigente di livello e dell’economia mista ereditata dal fascismo, proseguirà comunque la difesa degli interessi nazionali: nonostante il terrorismo “nero”, le Brigate Rosse, i “palestinesi”, Lotta Continua, etc. etc. Le bombe cesseranno solo nel 1993 quando, complice l’avvento del mondo unipolare, gli angloamericani saranno finalmente liberi di liquidare la Prima Repubblica (archiviando due correnti politiche, quella cattolica e quella socialista, che tanto avevano dato all’Italia) e smantellare lo Stato imprenditore. Se la Francia è stata oggetto di una violenta serie di attentati negli ultimi anni, tutto invece tace nel nostro Paese: perché, semplicemente, non servono le stragi per indirizzare la navicella Italia verso la tempesta perfetta.

 

FedericoDezzani

 

 
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