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Palestina unico Stato PDF Stampa E-mail

23 Novembre 2019

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Da Comedonchisciotte del 21-11-2019 (N.d.d.)

 

Il Segretario di Stato Mike Pompeo ha annunciato che gli Stati Uniti stanno ammorbidendo la loro posizione sugli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Il Segretario Pompeo ha ripudiato il parere legale del Dipartimento di Stato del 1978, secondo cui gli insediamenti ebraici nei territori occupati sono “incompatibili con il diritto internazionale.” È difficile capire se la mossa sia intesa a salvare la carriera politica di Benjamin Netanyahu o a far arrivare il sostegno della lobby ebraica al presidente Trump in un momento a lui critico. È ragionevole supporre che questa politica sia stata messa in atto per favorire entrambi gli obiettivi. La dichiarazione di Pompeo è stata, prevedibilmente, accolta con favore dal Primo Ministro Netanyahu e denunciata dai funzionari palestinesi e da tutti quelli che ancora credono nella delirante Soluzione dei Due Stati. Proprio come il Segretario Pompeo, il sottoscritto è ben lungi dall’essere un esperto di diritto internazionale, ma sembra che il concetto di diritto internazionale sia abbastanza vago ed elastico da consentire al segretario di (mal)interpretarlo in modo radicale. Tuttavia, a differenza della maggior parte degli attivisti della solidarietà palestinese, considero Trump, la sua amministrazione e questa recente mossa uno sviluppo positivo. Anche se involontariamente, Trump ha finalmente impegnato gli Stati Uniti alla Soluzione dell’Unico Stato. È difficile negare che il territorio tra il “Fiume e il Mare” sia un unico pezzo di terra. Condivide la stessa rete elettrica, lo stesso prefisso telefonico (+972) e lo stesso sistema fognario. Al momento questo territorio è governato da un’ideologia razzista, tribale e discriminatoria impersonificata da un apparato che si autodefinisce “Stato Ebraico” e che si autodichiara casa di ogni Ebreo del mondo; tuttavia, [questo apparato di governo] è abusivo, letale e alcuni direbbero genocida verso gli abitanti autoctoni della regione. […] La dichiarazione di Pompeo ricalca in maniera disambigua la precedente decisione di Trump di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Il 6 dicembre 2017, il presidente Trump aveva annunciato che gli Stati Uniti riconoscevano Gerusalemme come capitale di Israele e aveva ordinato il trasferimento dell’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme. Senza dubbio, la mossa aveva guadagnato a Trump il sostegno della lobby ebraica in America e a Netanyahu il successo politico nello Stato ebraico; era anche stato un messaggio inequivocabile per i Palestinesi: non c’è nessuna prospettiva di una soluzione concordata e pacifica per la vostra sfortunata situazione. Per i Palestinesi, la mossa ha anche smascherato la natura fuorviante e pericolosa del loro movimento di “solidarietà.” Le istituzioni ebraiche “anti” sioniste hanno intrapreso uno sforzo incessante per reprimere il Diritto al Ritorno dei Palestinesi e sostituirlo con alternative all’acqua di rose, come la “fine dell’occupazione” o il “diritto al BDS [Boicottaggio Disinvestimento Sanzioni].” La mossa di Trump ha costretto i Palestinesi ad accettare il fatto di essere soli nella loro battaglia e che, dopotutto, il Diritto al Ritorno è il nucleo e l’essenza della loro triste condizione. Meno di quattro mesi dopo la decisione di Trump su Gerusalemme, il 30 marzo 2018, migliaia di residenti di Gaza si erano radunati al confine israeliano per chiedere il ritorno nella loro terra.

 

Quella maldestra decisione di Trump, presa per lo scopo politico immediato di ottenere il sostegno ebraico, ha prodotto come risultato il risveglio dei Palestinesi. Settimana dopo settimana, per quasi tre anni, gli abitanti di Gaza si sono recati a migliaia al confine con Israele per affrontare coraggiosamente gli spietati cecchini dell’IDF, i carri armati e gli aerei da caccia. Hamas deve un grosso ringraziamento a Trump, che è riuscito a rinvigorire e a unire i Palestinesi in un rinnovato spirito di indomita resistenza. Gli analisti e i comandanti militari israeliani ammettono che la situazione al confine con Gaza è praticamente fuori controllo. Concordano sul fatto che il potere di deterrenza di Israele è letteralmente un ricordo dei tempi passati. Come conseguenza, le organizzazioni della resistenza palestinese non esitano a lanciare azioni di rappresaglia contro Israele. La scorsa settimana, Israele è stato colpito, in soli due giorni, da una pioggia di 400 missili lanciati in risposta all’assassinio da parte di Israele di un militante palestinese della Jihad islamica.

 

La dichiarazione di Pompeo è un esplicito e necessario messaggio ai Palestinesi in generale e alla Cisgiordania in particolare: il conflitto non evolverà verso una soluzione pacifica. Quelli tra i Palestinesi che avevano sostenuto la “Soluzione dei Due Stati” ora dovranno nascondersi. Pompeo ha affermato che esiste una sola Terra Santa tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. D’ora in poi, la battaglia per questa terra contesa dovrà decidere se essa dovrà assoggettarsi all’ideologia discriminatoria e razzista implicita nella nozione di “Stato Ebraico” e della sua “Legislazione Nazionale,” o se si trasformerà in uno “Stato dei Suoi Cittadini,” come vuole il concetto di Unica Palestina.

 

Gilad Atzmon

 

 
Piazze da scuola materna PDF Stampa E-mail

22 Novembre 2019

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Mi sarei aspettato la nazionalizzazione dell'Ilva, la sospensione delle concessioni autostradali, il salvataggio Whirpool, la tassazione, in Italia, di multinazionali ed holding. Mi aspettavo che qualcuno andasse a sbattere i pugni sul tavolo alla BCE e al FMI, che strappasse i vincoli di bilancio e invertisse il processo inumano di privatizzazioni. Mi sarei aspettato lotta alla precarietà, ad emigrazione, ad inquinamento, corruzione e abbandono scolastico e culturale. A tutti questi diritti violati, a tutto questo malfatto, a tutto questo dolore e violenza a cui è negato presente e futuro, me ne venite fuori con una piazza edulcorata e pacata con dei cartoncini in mano, ritagliati a forma di pesce, di ricordi ancestrali neonatali, e di canzoncine da refettorio salesiano, svuotate di ogni rigore intellettuale. Sappiate che non siamo all'asilo, e mentre ritagliate pesciolini e fate il karaoke, c'è un mondo in totale decadenza, e tutti noi, non siamo stati neanche comparse, ma semplici figuranti ammaestrati a dovere. Ora, come prima.

 

Massimiliano Costantino Esposito

 

 
Il nemico è quello di sempre PDF Stampa E-mail

21 Novembre 2019

 

Da Appelloalpopolo del 18-11-2019 (N.d.d.)

 

Fino a qualche secolo fa era semplice individuare il nemico del popolo. Esso era il nobile di ogni villaggio, colui che viveva di rendita e che non era quindi costretto a lavorare. Colui che riscuoteva le tasse ma che non le pagava, colui che girava a cavallo per il villaggio e ti guardava dall’alto in basso, colui che spesso aveva anche funzione di giudice. Oggi non è così semplice individuare contro chi dobbiamo lottare. Alcuni ci fanno credere che il nemico sia l’immigrato, altri che il problema sia la delinquenza, il clima di insicurezza, la mafia… tutti fenomeni, a mio parere, minoritari. Altri ci distraggono con la fantomatica “corruzione” oppure ci dicono che il nemico è il politico con i suoi privilegi. Altri ancora dicono che non c’è un nemico ma semplicemente siamo noi (meridionali o più in generale italiani) ad essere inferiori; dunque il nemico siamo noi stessi.

 

Io dico che il nemico è ancora colui che campa di rendita, colui che gestisce immensi capitali e li investe ora qua e ora dall’altra parte del mondo. Non lo conosciamo perché non vive più vicino a noi, magari vive in qualche attico di Manhattan ma dobbiamo avere chiaro in mente che poche persone che movimentano enormi capitali ci tengono in scacco. Essi sono i capi delle grandi multinazionali che, per fare liberamente i loro affari, corrompono (o seducono) la politica affinché questa annulli gli Stati che sono le uniche entità di cui hanno paura. Essi temono gli Stati perché questi hanno gli strumenti per tassarli, per comprimere le rendite, per togliere ai loro capitali la libertà di movimento transnazionale. Li temono perché gli Stati possono fare politiche di piena occupazione e possono costringere i capitalisti ad aumentare gli stipendi con cui pagano i loro dipendenti. Li temono soprattutto perché gli Stati hanno persino il potere di prendere il posto del capitale nel fare gli investimenti, nel creare aziende che producano i beni e i servizi che oggi produce il privato e di cui il popolo ha bisogno. Ecco chi è il nostro nemico: il capitale transnazionale. Ed ecco chi può diventare nostro amico (mentre oggi è al servizio del capitale): lo Stato. Dobbiamo riconquistare lo Stato e le sue istituzioni per mettete a cuccia il capitale.

 

Bruno Zerbo

 

 
Ripartire dalle sardine? PDF Stampa E-mail

20 Novembre 2019

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Da Comedonchisciotte del 18-11-2019 (N.d.d.)

 

Decenni di girotondi, appelli dei ‘migliori’ (aristoi) per il meglio, allerte antiautoritarie ad ogni angolo (“Do you remember Berlusconi?”). Decenni di rincorse all’ultimo successo elettorale di qualche forza glamour sedicente ‘de sinistra’, purchessia e dovunque, senza interessarsi a ragioni specifiche e contesti reali (“E mo’ facciamo come: Blair, Schroeder, Zapatero, Hollande, Tsipras, ecc.”). Eppure niente, non cambia mai niente. Dalla caduta del muro di Berlino ad oggi il contributo originale della riflessione ‘di sinistra’ è consistita nell’ingurgitare pezzi più o meno grossi di teoria liberale rivendicandoli come propri: un pizzico di libertarismo individuale qua, una bella dose di libertà di mercato ed eutanasia dello Stato là, un po’ di anticomunismo a pioggia (perché i convertiti hanno sempre il bisogno di dimostrarsi virulentemente avversi agli ‘antichi errori’). Dunque un contributo culturale che ammonta a qualche prestito spudorato (e privo di qualsivoglia giustificazione salvo la resa) da ciò che un tempo era il Nemico. Tutto il resto è stata un’unica strategia: la costruzione ciclica di un altro ‘nemico’ che soppiantasse il capitalismo, e consentisse di dare qualche sporadica unità alle truppe, sempre più scarne e sbandate.

 

Ed è così che oggi arriviamo alle ‘sardine’ di Bologna, cui si inneggia come agli ennesimi possibili salvatori della ‘sinistra’. Siccome bisogna sempre dare fiducia prima facie, prima di criticare, andiamo a vedere le carte. Dai resoconti televisivi si capisce poco, salvo l’entusiasmo per la riuscita di un flash mob anti-Salvini. Se andiamo alle interviste rilasciate dagli organizzatori l’agenda politica che troviamo è la seguente (riassumo i punti principali, con le parole usate dagli intervistati):

 

1) “C’è voglia di dare un segnale di speranza, lontano dalla retorica e dagli slogan populisti”. 2) “Non diamo colpe a nessuno, né al Pd, né alla sinistra, perché la colpa è solo nostra”. 3) “La gente è tornata a casa con la speranza che si possa cambiare, se tutti mettiamo insieme il nostro pezzetto.” 4) “Non c’è città migliore di Bologna per arrestare questa cavalcata del sovranismo che tutti definiscono inarrestabile. Ci arrivano messaggi da tutta Italia, le sardine sono diventate una speranza e oggi molta gente si è svegliata con un sorriso”. 5) “Nessun insulto, nessun simbolo, nessun partito. Non siamo politici, solo ragazzi ‘insonni’.  L’idea mi è venuta, perché non riuscivo a dormire. Leggevo i proclami di Salvini e guardavo le sue foto insieme alla Meloni, finché mi sono detto che dovevamo fare qualcosa.”

 

Dunque: ‘segnale di speranza’, ‘colpa nostra’, ‘ognuno il suo pezzetto’, ‘non siamo politici’, ‘bisogna fare qualcosa’. Questo è quanto. Sono certo che una tale proposta politica potrebbe trovare concordi Bolsonaro, gli Hezbollah, i suprematisti bianchi, Hillary Clinton e le carmelitane scalze. Ora, io non so chi vincerà le regionali in Emilia-Romagna, ma faccio veramente fatica a capire cosa sia meglio, e se ci siano i margini per scaldarsi per un risultato piuttosto che l’altro. Già perché segnalare i difetti del nemico non toglie di mezzo i tuoi. Mostrare che Salvini è un retore arrogante che gioca all’amico del popolo non ti rende amico del popolo. Vedere che l’altro usa propaganda superficiale non rende la tua propaganda meno superficiale. Non riesco a rallegrarmi a vedere eventualmente vincente l’ennesima riproposizione della strategia “Facciamo-fronte-contro-il-nemico-nel-nome-di…-chessoio-mi-verrà-in-mente”. E sapere che verrà preso per l’ennesima volta come incoraggiamento a proseguire sulla strada della pluridecennale coltivazione del nulla. Mi sembra già di sentire gli slogan: “Ripartiamo dalle sardine!”. Non riesco neanche più a ridere.

 

Andrea Zhok

 

 
Il pensiero dominante PDF Stampa E-mail

17 Novembre 2019

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Da Appelloalpopolo del 13-11-2019 (N.d.d.)

 

Il pensiero dominante oggi spiegato semplice semplice: spremi la classe lavoratrice per estrarre quanto più surplus possibile per destinarlo nel migliore dei casi ad investimenti che serviranno a spremere ancora di più il lavoro a vantaggio del capitale. Le “pezze a colori” per questo sistema?

 

-ce lo chiede l’Europa -bisogna guardare avanti -bisogna competere nella globalizzazione -bisogna razionalizzare i costi del pubblico e renderli più sostenibili (ma il pubblico non deve perseguire il margine, carogne…) -la Cina -bisogna fare i “compiti a casa” -siamo corrotti -siamo pigri -siamo bamboccioni e ci piace stare a casa dei genitori -non vogliamo emigrare -siamo troppo spendaccioni però risparmiamo troppo senza investire -siamo troppo poco Green -non ci sappiamo governare, meno male che c’è l’Europa a rieducarci -non conosciamo le lingue -PIGS

 

CE NE FOSSE UNA VERA…

 

Michele Piccoli

 

 
Inadeguatezza del Mose PDF Stampa E-mail

16 Novembre 2019

 

Da Appellolpopolo del 14-11-2019 (N.d.d.)

 

La disastrosa alta marea di Venezia è l’occasione per molti di ribadire come il Mose sia stata un’occasione di malaffare e ruberie. Questo è vero, ma il problema è in realtà più profondo. Il Mose è paradigmatico di un approccio violento e semplicistico alla gestione dei rapporti tra uomo e ambiente. All’epoca del dibattito sulla necessità del Mose si erano levate anche altre voci, ispirate da una visione più ampia del funzionamento di un sistema complesso e delicato come la laguna. Voci che suggerivano un approccio al problema basato non su una grande opera il cui funzionamento appariva peraltro non scontato e la cui efficacia sarebbe stata comunque parziale, ma su interventi diffusi, volti a regolare il regime di immissione ed emissione delle acque. Queste voci furono tacitate, perché il progresso non si poteva fermare, e il progresso era quantificato non dalla comprensione dei fenomeni ma dalle tonnellate di cemento e di acciaio da impiegare. I risultati li vediamo, e devono servirci da monito sul fatto che la realtà è complessa, la natura anche, e le migliori soluzioni sono quelle sistemiche basate sui piccoli interventi. Le quali, lungi dall’essere meno avanzate, lo sono di più, perché richiedono una più approfondita comprensione dei fenomeni. Può essere interessante riportare un estratto di un articolo del 2003 di Eduardo Salzano, intitolato “La laguna di Venezia e gli interventi proposti”: Gli errori di fondo del sistema Mose

 

Al di là delle critiche specifiche mi sembra che al sistema progettato si debbano muovere due critiche di fondo. In primo luogo, esso è centrato su uno solo degli obiettivi che devono essere perseguiti: la riduzione degli effetti sui centri abitati delle alte maree eccezionali. Pur tralasciando il fatto che neppure questo obiettivo sembra raggiungibile con attendibili garanzie di successo (nonostante il costo elevatissimo, e per una parte rilevante neppure determinato), esso considera del tutto marginali tutti gli altri danni subiti dall’ecosistema lagunare, non interviene su di essi ed anzi in buona misura li accentua. Così, ad esempio, invece di prevedere la riduzione dei fondali dei canali principali che adducono le acque marine, ciò che di per sé limiterebbe drasticamente gli effetti delle alte maree, se ne prevede addirittura l’approfondimento e l’ampliamento della sezione rispetto a quelle attuali. E per di più tali trasformazioni sarebbero irreversibili, poiché realizzate con gigantesche cementificazioni. Ciò significa, oltre tutto, che a tutti gli altri interventi necessari per ripristinare l’equilibrio dell’ecosistema lagunare (dalla vivificazione delle zone di laguna interna alla riapertura delle valli da pesca, alla manutenzione della rete canalizia minore al reimpianto della vegetazione degradata ecc.) vengono destinate risorse del tutto marginali e insufficienti, senza alcuna garanzia di continuità e sistematicità nell’azione. In secondo luogo, questo stesso obiettivo è perseguito attraverso tecniche che definire dure e pesanti è perfino riduttivo. Tecniche, comunque, ben lontane da quei criteri di “gradualità, sperimentalità, reversibilità” che la Serenissima Repubblica di Venezia aveva perseguito per secoli, che la cultura nazionale aveva finalmente compreso essere le parole chiave per la sopravvivenza della laguna, e che lo stesso Parlamento italiano aveva inserito nel corpus legislativo. Che cosa di graduale, sperimentale e, soprattutto, reversibile vi sia nel sistema proposto è impossibile comprendere. Una soluzione semplicistica, meccanicistica, tecnicistica, rigida, parziale là dove la realtà e la storia pretenderebbero una soluzione complessa, sistemica, flessibile, governabile: l’unica adeguata al corpo vivo della laguna, riduttivamente assimilato dai promotori del Mose a un vascone dotato di tre rubinetti.

 

Emilio Martines

 

 
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