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Scontro fra sovranisti e populisti PDF Stampa E-mail

20 Dicembre 2018

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Da Rassegna di Arianna del 18-12-2018 (N.d.d.)

 

Sovranismo e populismo sono due dei termini più utilizzati negli ultimi tempi per indicare i fenomeni politici di “rottura” rispetto ai partiti tradizionali. Le etichette non sono mai un dato positivo, specialmente se vengono utilizzate con superficialità, per bollare un partito avversario e non per criticarlo in maniera approfondita e punto per punto. Ma le parole pesano. E questa nuova terminologia va studiata, capita e anche osservata nella sua evoluzione. Perché anche da questo si può comprendere la direzione intrapresa dall’Europa e, in generale, da chi si contrappone a certe spinte che dal ventre del Vecchio Continente cercano di spazzare via i partiti tradizionali. Spesso uniti fra loro, come se fosse impossibile scindere fra le due parole, in realtà negli ultimi tempi i due concetti, sovranismo e populismo, non sono affatto da ritenere sovrapponibili. Certo, possono fondersi: specialmente quando di parla di populismo di destra. Ma non è detto che le due cose siano per forza identiche o equiparabili. E le dinamiche politiche europee, specialmente di questi ultimi mesi, dimostrano che c’è una differenza sostanziale fra queste definizioni. Tanto che è possibile anche osservare uno scontro fra ciò che è sovranismo e ciò che è populismo. Partendo dalla stessa definizione dei due termini, ancora molto incerta, è possibile innanzitutto osservare che mentre il populismo, nella concezione comune, è il dare risposte facili a problemi molto complessi dirigendosi alla “pancia” dell’elettorato, il sovranismo è una cosa ben diversa, essendo la concretizzazione politica della tutela della propria identità, dei propri confini e delle prerogative dello Stato nazionale rispetto alla comunità internazionale. E già da questa distinzione è possibile capire che i due concetti non siano identici.

 

La dimostrazione più eloquente è arrivata in questi ultimi mesi grazie allo scontro fra sovranismi dell’Europa mediterranea e sovranismi dell’Europa settentrionale, con i secondi ad accusare di populismo i primi per aver chiesto maggiore libertà rispetto ai vincoli imposti dall’Unione europea. Mentre i primi, i sovranisti dell’Europa del Nord, sono apparsi da subito alfieri di un rispetto rigido delle regole europee in tema di fisco e bilancio dello Stato. Con il Nord che ha cercato da subito di dare del “populista” ai movimenti del Sud nel momento in cui le loro idee si scontravano con gli interessi dei popoli dell’Europa settentrionale. Ecco quindi che nel corso del tempo, quello che è sembrato essere un binomio quasi inscindibile, cioè populismo e sovranismo, si è trasformata in qualcosa di molto più complesso. L’ascesa di una personalità come Sebastian Kurz in Austria, per esempio, ma anche dello stesso Horst Seehofer in Germania (in particolare in Baviera) avevano fatto capire che potesse esistere anche un sovranismo senza populismo. E in questo caso, il populismo è diventato una connotazione dispregiativa, un giudizio politico dato da chi decide cosa è giusto o sbagliato in questa Europa: l’Unione europea, in primis, ma anche tutto quel mondo culturale e politico che connota i propri avversari. Perché a Bruxelles, come in larga parte dell’intellighenzia Ue, è stato chiaro che non si potesse contrastare in toto la crescente domanda di tutela dei confini o delle prerogative nazionali. Quindi serviva una distinzione fra i “populismi di destra” e quelli che invece rappresentavano effettivamente una novità totale nel rigido schema politico europeo. I primi sono iniziati a diventare tollerabili, perché in fondo tutti i governi, anche i più spiccatamente europeisti, hanno iniziato a blindare le frontiere, a regolare in maniera più ferrea l’immigrazione, a tutelare gli interessi nazionali rispetto a quelli dell’Ue. E molti sovranisti non facevano altro che rappresentare l’ala più dura e radicale di una destra europea ancorata al sistema Ue. E che proprio per questo motivo, non potevano essere condannati all’essere populisti: soprattutto se poi rientravano nella grande casa del Partito popolare europeo, che rappresenta un’area enorme, che va dalla Cdu di Angela Merkel a Fidesz di Viktor Orban.

 

Una scelta che è nata da una necessità: salvare il salvabile. L’Europa sta cambiando. E questo comporta anche un cambiamento degli schemi mentali con cui ci si approccia ad alcuni partiti che hanno rinnovato il panorama politico continentale. La destra “populista”, che era così definita per la lotta all’immigrazione clandestina, si è scoperto essere talmente radicata anche all’interno dei moderati. Ed è impossibile definirla tout-court “populista”. Tornando all’esempio di Vienna, Kurz non è un uomo di rottura, e lo ha dimostrato nella dura condanna all’Italia per la manovra economica. Al contrario, l’etichetta di “populista” ora continua a colpire tutti quei partiti e movimenti che rappresentano effettivamente risposte estremamente aleatorie ai problemi europei, oppure a quei partiti che non sono catalogabili nella destra e basta. Il populismo ora è rappresentato da chi vuole rompere con l’Unione europea, dai gilet gialli, dalle sinistre radicali così come dalle destre più critiche. Populismo è anche chi ha sostenuto la Brexit. E populismo è diventato tutto quanto contraddice non tanto l’Europa, quanto il sistema internazionale. Lo scontro fra sovranisti e populisti è iniziato.

 

Lorenzo Vita

 

 
Boicottare certe merci non serve PDF Stampa E-mail

19 Dicembre 2018

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Da Appelloalopolo dell’8-12-2018 (N.d.d.)

 

È necessario rigettare con forza le battaglie consumistiche, poiché queste ultime sono soltanto funzionali al sistema economico vigente e sono per i consumatori che lo hanno supinamente accettato e non vogliono cambiare la loro condizione. In realtà loro credono di poterla cambiare smettendo di acquistare un determinato prodotto ed ecco che la rivoluzione, secondo costoro, passa per il boicottaggio di una determinata marca, azienda o multinazionale, la quale in realtà non viene minimamente attaccata o nemmeno impensierita da tali gesti. Generalmente, giunti a questo punto del ragionamento, il consumatore battagliero afferma: “eh ma se lo facessero tutti”, appellandosi ad un altro luogo comune creato ad hoc per gestire le masse, secondo il quale la rivoluzione, o presunta tale, la devono fare tutti. Tutti chi? Non è dato saperlo, ma con il tempo ho capito che spesso tutti è sinonimo di nessuno. La verità è che la rivoluzione non l’hanno mai fatta tutti, ma dei gruppi organizzati più o meno grandi. Sono le idee, la coerenza e l’organizzazione di un gruppo che fanno la rivoluzione e nient’altro. Il consumatore ha accettato di essere tale e non vuole migliorare la propria condizione sociale. È un pigro addomesticato dai beni di consumo nei quali si compiace di vivere, perché ovviamente lui rifiuta soltanto alcuni prodotti e non rigetta il sistema consumistico in sé. In pratica la sua libertà di pensiero è stata comprata dagli stessi oggetti che acquista. Sono le cose a possedere lui e non viceversa. In questo modo, paradossalmente, egli diventa un protettore di ciò che crede di combattere.

 

Naturalmente questo è l’approccio di un uomo privo della più elementare cultura politica, che non può definirsi cittadino, poiché quest’ultimo è chiamato a difendere realmente la propria comunità dalle minacce che incombono su di essa. Per fare ciò è necessario rigettare in toto il sistema consumistico ed accettare la battaglia nella sua natura politica. Criticare una data marca, azienda o multinazionale è pressoché inutile. Quello che va criticato è il sistema economico vigente che crea squilibri sociali e non redistribuisce la ricchezza in modo equo. Questo sistema va cambiato e ovviamente ciò non avverrà boicottando alcuni prodotti che esso produce. Il cambiamento può essere solo ed esclusivamente di natura politica, ossia imponendo specifiche regole alla produzione e distribuzione dei prodotti e ciò può avvenire soltanto attraverso il potere politico.  Il problema non è se il consumatore deve boicottare o meno il latte tedesco, le arance tunisine o l’olio spagnolo; il nocciolo della questione è fare in modo che questi prodotti non arrivino neanche sui banconi dei supermercati: praticamente bisogna negare la libera circolazione delle merci. Il consumatore non dovrebbe neanche porselo il problema, perché dovrebbero esserci dei politici che se lo pongono per lui. Tuttavia ciò non avviene perché la nostra classe politica è serva del sistema economico vigente e allora la risposta proporzionale a questa ingiustizia non può essere di natura consumistica, ma deve essere di natura politica. In sostanza, bisogna smettere di combattere futili battaglie consumistiche e iniziare a combattere la guerra politica.

 

Luca Mancini

 

 
Il programma dei catarifrangenti PDF Stampa E-mail

18 Dicembre 2018

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Da Comedonchisciotte del 12-12-2018 (N.d.d.)

 

Ho detto quali mezzi utilizza il potere per avvelenare e screditare il movimento dei “Gilet Jaunes”: disprezzo, menzogna, criminalizzazione, demonizzazione, attacco personale, riduzione al minimo, discredito, drammatizzazione. Possiamo aggiungerne un altro: il processo sulla sua immaturità politica- la svalutazione. Queste persone sono troppo stupide, troppo provinciali, troppo incolte, troppo illetterate, troppo incapaci, troppo “superficiali attaccabrighe”, sì è detto un po’ dovunque, sono privi di titoli di studio. Non si è detto “brutti sporchi e cattivi” ma c’è mancato poco. Dopo Maastricht (1992), questi sono gli stessi elementi di linguaggio sprezzante che sono serviti alle classi dominanti per screditare chiunque non si accodi all’Europa liberale, non perché sia “Europa” cosa che nessuno più rifiuta, ma perché è “liberale”, cosa che molti rifiutano. Sono gli stessi insulti che sono stati utilizzati per i Partigiani della Brexit che non ha mai avuto luogo perché per uscire dall’Europa di Maastricht ci vuole l’autorizzazione dell’Europa di Maastricht, e meditiamo questa bella lezione di democrazia! È così che funzionano le dittature: non se ne può uscire legalmente – cosa che i “Gilet Jaunes” hanno capito… […]

 

Il potere degli eletti non è altro che la risultante di un calcolo contorto con tagli elettorali effettuati dal Ministero dell’Interno e dall’Eliseo per giungere a una bipolarizzazione della società: non più tra la destra e la sinistra, ma tra i sostenitori di Maastricht liberali di destra e di sinistra e gli avversari di Maastricht di destra e di sinistra. Ai sostenitori liberali di destra e di sinistra sono riservati tutti i poteri, economici, mediatici, politici, sociali, universitari, giornalistici; agli oppositori di Maastricht di destra e di sinistra, i primi concedono il potere verbale dell’opposizione che ha come sola prospettiva di parlare indefinitamente a vuoto… Con i “Gilet Jaunes” sulla strada, tutta questa aristocrazia di Maastricht si trova a mal partito, criticata, minacciata. Certo, dispone di ogni potere, compreso quello di insultare, di disprezzare, di calunniare, di offendere la gente sulla quale si esercita il suo potere e non se ne astiene. Ma vede molto di malocchio questo insorgere di velleità di democrazia diretta.[…] Ordunque quando si va sul terreno, non contenti di non inquinarsi lo spirito, lo si illumina e si possono ricavare un certo numero di certezze suscettibili di essere comprovate. Per prova adduco questo Pamphlet raccolto in una strada di Parigi e mandatomi da un amico. Che dice così: Titolo: Le nostre 8 rivendicazioni

 

“Ritorneremo a casa quando queste misure saranno applicate. 1 – Vogliamo della democrazia diretta a tutti i livelli. Vogliamo un governo di unità nazionale con una guida eccezionale per evitare che i partiti politici, che sono squalificati, strumentalizzino la nostra disperazione e la nostra collera. 2 – Vogliamo un ribasso del 20% di tutte le tasse e le imposte che toccano la classe media, i lavoratori poveri e gli imprenditori. Ridurre quelle tasse significa accrescere i nostri salari. Vogliamo un’azione immediata per tassare ciò che vale la pena tassare: i GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon) e le transazioni finanziarie. 3 – Vogliamo che la Francia smetta di vivere al di sopra delle sue risorse e smetta di accogliere la miseria del mondo perché lei stessa è già nella miseria con i milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà. Vogliamo un’immigrazione selettiva, che non ci distrugga culturalmente, e chiediamo anche la revisione degli accordi di immigrazione dell’ONU. 4 – Vogliamo una localizzazione di tutte le decisioni a livello regionale, cittadino e municipale. Lo Stato e i suoi funzionari parigini non sono qualificati per decidere del futuro dei nostri municipi. 5 – Vogliamo l’uscita dalla politica agricola comunitaria (PAC) che corrompe i nostri agricoltori allocando i suoi aiuti soltanto ai produttivisti ed agli avvelenatori che spargono il cancro in Francia. Le nostre tasse non devono in alcun modo servire a finanziare Bayer -Monsanto. 6 – Vogliamo la creazione di barriere commerciali per impedire alla Germania di venderci dei prodotti fabbricati in Romania, con l’etichetta “Qualità Tedesca” e così distruggere i nostri posti di lavoro. 7 – Vogliamo il ritiro di tutti gli aiuti alla stampa per una vera separazione dei poteri mediatici e politici 8 – Vogliamo un’azione immediata per fermare l’integrazione Europea perché essa si costruisce soltanto sulla rovina della povera gente”.

 

Chi può dire che non vi sia dell’intelligenza pratica? È un vero programma politico, è anonimo, nessuna firma, nessuna di queste frasi assomiglia a una qualunque affermazione caratteristica dei giacobini. È privo dello sproloquio tecnocratico che si trova nella politica politicante. È semplice, chiaro, pulito, diretto […] Avrei potuto scriverlo io quel volantino del quale non rinnego nulla! È il foglio di marcia della democrazia diretta ed è su questo progetto positivo, concreto, dinamico, che bisogna adesso a lavorare. Scrivendo il mio elogio della democrazia proudhoniana qualche giorno fa, ho avuto paura di aver piazzato l’asticella un po’ troppo in alto. Grazie a questo pamphlet senza nome raccolto in strada, adesso sono convinto di no.

 

 Michel Onfray (Traduzione di GIAKKI49)

 

 

 

 
Dopo le prossime europee, il nulla PDF Stampa E-mail

17 Dicembre 2018

 

Da Appelloalpopolo del 14-12-2018 (N.d.d.)

 

Dunque, immaginiamo che i sovranari italiani, i liberal-etnicisti ungheresi, Alleanza confindustriale per la Germania, i comunisti e i socialisti portoghesi, Alba Dorata in Grecia, i nazionalisti svedesi e danesi, l’alleanza di sinistra e il Front National in Francia, i liberali non cosmopoliti austriaci, gli opportunisti (sedicenti sovranisti) reazionari polacchi, e alcuni altri gruppi politici variamente critici nei confronti dell’Unione Europea, ottengano il 35% dei seggi nel Parlamento europeo. Poniamo pure che ottengano il 45% e persino il 50 o il 55%. Si tratterebbe di un 55% complessivo che – secondo analisti ingenui, privi di realismo – unificherebbe numericamente forze politiche molto diverse tra loro, per certi versi opposte, soltanto perché ogni gruppo non accetta uno o due profili dell’Unione europea, diversi da quelli non accettati dagli altri. In che modo una simile accozzaglia potrebbe servire, non dico al progetto sovranista – estraneo ai sovranari che sono al Governo in Italia – ma a riformare l’Unione Europea dall’interno?

 

Fateci caso. Tutti dicono: il momento decisivo sarà il 26 maggio. Ma poi nessuno precisa cosa accadrebbe dopo il 26 maggio, nell’ipotesi in cui tutti i partiti variamente critici nei confronti dell’Unione Europea avessero più seggi o anche la metà dei seggi o addirittura una maggioranza relativa dei seggi nel Parlamento Europeo. Nessuno lo dice, perché nessuno ci ha nemmeno pensato. Sarebbe un bene perché… sarebbe un bene. Io non dico che sarebbe male. Dico che non sarebbe nulla. Senza precisi fini e senza precise strategie, domina il nulla, viene sempre fuori il nulla. Il nulla, infatti, non è altro dall’assenza di fini: è mancanza di fini e null’altro.

 

Stefano D’Andrea

 

 
Grossolana ignoranza PDF Stampa E-mail

15 Dicembre 2018

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Da Rassegna di Arianna del 12-12-2018 (N.d.d.)

 

Il terrorismo di matrice jihadista torna a scuotere l’Europa. Questa volta a essere colpita non è una città qualsiasi, è Strasburgo, casa del Parlamento europeo e vice capitale del vecchio continente. Ancora una volta, come un rituale annunciato da tempo, a mietere vittime è stato un giovane nordafricano già conosciuto alle forze dell’ordine e già segnalato con il “fichè S” per radicalizzazione. Tutto ciò è accaduto, per uno strano gioco del destino, a poche ore dalle avventate quanto pericolose dichiarazioni che il vicepremier del governo italiano Matteo Salvini, nonché ministro dell’Interno, ha rilasciato in Israele. Sorvolando sulle parole pronunciate a favore dello Stato Ebraico che nella testa del leghista sarebbe il soggetto chiave per la pace nella regione, affermazione singolare visto che il giudizio sulla politica di Netanyahu in Medio Oriente è largamente contestato e osteggiato sia nel paese che all’estero, ciò che colpisce sono le parole pronunciate nei confronti di Hezbollah, il partito sciita libanese che siede nei banchi del governo ed è un elemento centrale nella vita istituzionale e sociale in Libano. Il ministro Salvini, a pochi passi dalle pantofole del premier israeliano, parafrasando una bella immagine del mio amico Pino Cabras, ha detto che Hezbollah è un’organizzazione terroristica islamica. L’affermazione, che dimostra una palese ignoranza dell’uomo politico italiano, la cui scarsa propensione allo studio e all’approfondimento delle tematiche delle quali si occupa è proverbiale, è grave, falsa e pericolosa per almeno due ragioni. La prima riguarda il ruolo che l’Italia svolge nel paese dei cedri con la presenza di militari e la guida della Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite (UNIFIL), una forza militare di interposizione dell’ONU, creata il 19 marzo 1978, rinnovata dopo l’invasione israeliana del Libano del 1982, in seguito al ritiro delle truppe israeliane dal Libano del 2000 e in occasione dell’intervento israeliano in Libano del 2006. Salvini ignora che proprio nell’estate del 2006, il giorno prima di ritirarsi dal sud del Libano, in una guerra costata 1100 morti e 4000 feriti, l’aviazione israeliana sganciò a bassa quota un intero stock di bombe a grappolo sui campi e gli uliveti già martoriati dai bombardamenti. Molte di quelle bombe sono rimaste inesplose e in ogni momento possono produrre i loro effetti letali sulla popolazione civile che ancora oggi sente il peso dell’occupazione israeliana. Quella forza di interposizione garantisce sicurezza e pace grazie al ruolo svolto soprattutto dai militari italiani che si sono fatti apprezzare in questi anni per la loro capacità diplomatica e la loro posizione di terzietà rispetto ai soggetti in campo, da un parte i soldati israeliani e, dall’altra, i miliziani di Hezbollah ma anche i militari libanesi. Non è un caso che la missione oggi è sotto la guida italiana per la quarta volta.

 

Le dichiarazioni di Matteo Salvini, che parla di geopolitica senza cognizione di causa, mettono a serio rischio la sicurezza dei nostri militari impegnati nella missione delle Nazioni Unite lungo la blue line. Giustamente le fonti del Ministero della Difesa hanno manifestato preoccupazione per queste parole e per gli effetti devastanti che potrebbero avere su quell’area. Il definire terroristi i miliziani di Hezbollah, poi, manifesta un altro elemento di grossolana ignoranza da parte del vice premier italiano, che tratta la politica estera con la superficialità tipica di chi è abituato a fare propaganda per qualche manciata di voti. Salvini dovrebbe chiedere a Putin, di cui in maniera confusa si dice un estimatore, chi è che in questi anni ha combattuto il terrorismo di matrice jihadista in Siria, quello finanziato dalla Turchia, dal Qatar, dall’Arabia Saudita, dagli Usa, dalla Francia, dalla Gran Bretagna e anche da Israele. Tra coloro che si sono distinti nella lotta contro gli estremisti islamici dell’ISIS, di Al Qaeda e delle altre sigle del terrore radicale, c’è proprio Hezbollah che ha pagato questo suo impegno per la sicurezza in Medio Oriente ma anche in Europa con un elevato numero di vittime, martiri come vengono definiti da quelle parti. Le parole del vicepremier contro il Partito di Dio sono minacciose perché mettono sullo stesso piano i terroristi veri, come il giovane che ha causato morti e feriti a Strasburgo, e quelli che invece il terrorismo lo combattono.

 

La questione è molto complessa e non basterebbe certo un articolo per spiegare l’azione di Hezbollah anche a difesa delle minoranze religiose, a partire da quella cristiana che Salvini difende senza però conoscere i presupposti della loro sopravvivenza in Medio Oriente a seguito della guerra in Siria. Basterebbe un solo dato: i miliziani sciiti libanesi hanno liberato dal gioco del terrorismo islamico la città di Maalula, la culla del cristianesimo, quella dove ancora si parla l’aramaico liberandone le suore e restituendo alla minoranza cristiana libertà e sicurezza. Salvini, pronunciando quelle parole a pochi centimetri dalle pantofole di Netanyahu, ha assunto una posizione molto pericolosa. Non è avventato dire che il vice premier italiano abbia sposato la tesi del terrore per procura. Quella di Israele che di terrore, dopotutto, se ne intende.

 

Alessandro Aramu

 

 
Guarigioni inesplicabili PDF Stampa E-mail

13 Dicembre 2018

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Da Rassegna di Arianna dell’8-12-2018 (N.d.d.)

 

Ci sono due locuzioni suscettibili di far imbestialire i medici accademici, cioè quasi tutti i medici, dato che la quasi totalità di essi viene da una formazione scientifica di tipo accademico e ha introiettato, al cento per cento, la mentalità accademica delle facoltà di medicina; e queste due locuzioni sono: malattie iatrogene e guarigioni inesplicabili. Nominare le malattie iatrogene, ossia le patologie provocate nell'organismo dagli stessi agenti terapeutici, dai farmaci assunti, dagli interventi eseguiti, ecc., li fa infuriare perché contraddice la regola fondamentale della Scuola salernitana e li pone in imbarazzo non solo davanti ai loro stessi pazienti, ma perfino davanti alla cultura del "buio" e "superstizioso" medioevo: primum, non nocere. Ricordiamo infatti che circa il 30% delle malattie, secondo stime prudenti, sono da imputarsi agli stessi interventi sanitari. La casistica è amplissima: si va dal farmaco sbagliato, o suscettibile di scatenare pericolose controindicazioni, alla siringa non sterilizzata o alla dimenticanza della garza nell'intestino del paziente, dopo un intervento chirurgico. Le guarigioni inesplicabili, poi, sono quelle che avvengono senza che i medici ne sappiano fornire una qualsiasi ragione, perché avvengono in un quadro clinico fortemente compromesso o giudicato addirittura incurabile, e non sono riconducibili alle terapie effettuate. Sono molto rare, statisticamente parlando, tuttavia sono assolutamente certe: la gente comune preferisce parlare di guarigioni straordinarie, o anche di guarigioni miracolose, tanto più che sovente sono collegate alla religiosità del paziente e alle sue affermazioni di aver visto, o udito, o sognato, Dio, Gesù Cristo, la Vergine Maria, gli Angeli o i Santi. I medici, giustamente, preferiscono adoperare un linguaggio più neutro e le chiamano guarigioni inesplicabili, col tacito sottinteso che, un giorno o l'latro, anche per esse si troverà una spiegazione perfettamente scientifica, senza bisogno di scomodare interventi soprannaturali. Benché meno numerose delle malattie iatrogene, delle quali rappresentano, in un certo senso, il fenomeno opposto, le guarigioni inesplicabili dimostrano, se non altro, una cosa: che l'organismo umano possiede delle risorse misteriose, tali da poter sconfiggere perfino una grave malattia e ristabilire la salute anche in assenza di cure mediche, senza assunzione di farmaci e senza interventi chirurgici, o bombardamenti di radiazioni elettromagnetiche o altro.  Messe insieme, le due fenomenologie sembrano delineare uno scenario decisamente inquietante per la medicina ufficiale: esse, infatti, paiono indicare che l'organismo può facilmente essere danneggiato dalle sue cosiddette terapie, e, quel che è ancor più allarmante, che può guarire da solo, anche nelle patologie più gravi, senza alcun bisogno di essa. Un tumore all'ultimo stadio che regredisce inspiegabilmente, dopo aver resistito a tutti gli interventi medici e dopo essere stato diagnosticato come assolutamente incurabile; una persona data ormai per spacciata, con una probabilità di sopravvivenza di poche settimane o pochi giorni, che recupera la salute, e che le radiografie mostrano essere tornata completamente libera dalla metastasi: come è possibile una cosa del genere? Non solo va contro tutte le "regole", cioè contro tutte le credenze e le aspettative dei medici accademici, ma sembra andare anche contro la logica e il senso comune. Semplicemente, è una cosa che non può accadere; non più di quanto un oggetto, lasciato cadere nel vuoto, vada verso l'alto anziché essere attratto verso il basso dalla forza di gravità. E tuttavia questa cosa impossibile, e quindi "scandalosa", accade, e noi possiamo solo prenderne atto. Naturalmente, vi sono alcuni medici che si rifiutano di farlo; voltano la testa dall'altra parte e borbottano qualcosa come "mistificazione", o "truffa" e se la prendono con la credulità popolare e contro i seminatori di false informazioni e di false speranze. La realtà, però, è che tali guarigioni sono scientificamente constatate, anche se, per definizione, restano non spiegate, e il loro atteggiamento di rifiuto serve solo a far sprecare una buona occasione per esplorare nuovi ambiti di ricerca e ampliare gli orizzonti della conoscenza. La vera scienza, infatti, è animata da uno spirito di curiositas, che è capace di prescindere, quando è in presenza di fatti inspiegabili, da quel che già si credeva di sapere per certo; quella falsa, da una rigida chiusura nelle proprie certezze apodittiche, ossia nel recinto dei propri pregiudizi di matrice positivista. Limitandoci alle guarigioni straordinarie, è evidente che un loro studio più approfondito potrebbe rivelarsi d'immenso vantaggio per la salute umana, perché quel che sembrano suggerire è che nell'organismo vi sono delle facoltà di recupero che, a certe condizioni, sono capaci di ristabilire la salute senza bisogno d'interventi esterni, né farmacologici, né chirurgici. Se la medicina accademica fosse meno concentrata nella lotta contro la malattia, e un poco più interessata al mantenimento, o al ristabilimento, della salute; se, in altre parole, fosse meno preoccupata di curare, e più di guarire, potrebbe trarre insegnamenti d'immenso valore da queste guarigioni che apparentemente non hanno alcuna spiegazione logica, e che tuttavia avvengono, contraddicendo tutto il quadro delle sue pretese certezze. […] Il discorso sarebbe lunghissimo, e, peraltro, estremamente affascinante, anche e soprattutto dal punto di vista filosofico: evidentemente, vi sono orizzonti di consapevolezza che sarebbero alla nostra portata, ma che noi rifiutiamo di esplorare e di coltivare, con nostro danno, sia materiale che spirituale. E come al bambino cui la maestra ha ripetuto troppe volte che non è portato per l'aritmetica, finisce per auto-convincersene e, crescendo, non riuscirà mai più a recuperare l'handicap iniziale, forse, però, non per altre ragioni che per una suggestione negativa che inibisce la sua intelligenza in quel particolare ambito, allo stesso modo la maggioranza di noi si è auto-convinta di non sapere, e soprattutto di non poter fare nulla per la propria guarigione e per ristabilire e conservare la propria salute. E che la suggestione sia realmente un fattore terapeutico importantissimo, se non addirittura decisivo, è noto, in realtà, da sempre: per esempio ai vecchi medici di campagna, i quali, davanti a sintomi svariati, fisici e psichici, dei loro pazienti, davano ad essi da bere una pozione medicamentosa che era, in realtà, acqua di rubinetto. Si chiamava, e si chiama, effetto placebo: l'organismo del paziente, chi sa come, reagisce positivamente a una siffatta "cura" e manifesta significativi sintomi di miglioramento, e raggiunge perfino la completa guarigione. Ma, obietteranno i soliti irriducibili scientisti, in quei casi si trattava di disturbi immaginari, di sindromi isteriche, e così via: nate dalla suggestione, potevano essere scacciate, o esorcizzate, mediante un'altra forma di suggestione. Vero, ma non sempre. In alcuni casi era proprio così; ma in altri si trattava di malattie reali, non di creazioni di una mente ipocondriaca. Ma perché voler convincere chi è ben deciso a non lasciarsi smuovere, mai, in nessun caso, dalle sue rocciose convinzioni? Egli non capirà mai che lo scopo della medicina non è curare, ma guarire, o, meglio ancora, prevenire la malattia, favorendo la naturale tendenza dell’organismo a mantenersi in salute. Lasciamo costui nella sua prigione dorata: non saprà mai cos'è il profumo dell'ignoto, né mai capirà la bellezza che spira dall'infinito. […]

 

Il giusto concetto della medicina deve partire da un giusto concetto dell’uomo; se l’idea dell’uomo è sbagliata, riduttiva o parziale, la medicina che pretende di curarlo sarà inefficace, se non addirittura dannosa. […]

 

Francesco Lamendola

 

 
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