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Guerra commerciale PDF Stampa E-mail

13 Ottobre 2018

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Da Comedonchisciotte dell’11-10-2018 (N.d.d.)

 

Il North American Free Trade Agreement (NAFTA), che è ormai quasi 25enne, è stato relegato alla pattumiera della storia. Gli Stati Uniti, il Canada e il Messico hanno concordato un accordo commerciale trilaterale – il United States-Mexico-Canada Agreement (USMCA) – per sostituirlo. Come previsto, l’accordo definito il 30 settembre intende stimolare la produzione in Nord America e scoraggiare l’esternalizzazione verso Paesi a basso salario in Asia. Le importazioni da altri Stati vengono penalizzate. Il tempismo è perfetto. Ora il Presidente Trump può promuovere l’USMCA come una vittoria, proprio mentre le elezioni di metà mandato di novembre si avvicinano. L’USMCA contiene una clausola speciale che conferisce a Washington quasi un potere di veto su qualsiasi tentativo da parte del Canada o del Messico di stringere accordi con la Cina. Esso stabilisce che se uno dei tre dovesse firmare un accordo di libero scambio con un Paese non di mercato, uno degli altri due avrebbe il diritto di rescindere l’USMCA trilaterale, con un preavviso di sei mesi, e di creare un proprio accordo bilaterale sugli stessi termini. Di conseguenza, Canada e Messico non possono agire come canali secondari per spedire prodotti senza dazio negli Stati Uniti. Gli Stati Uniti e l’UE non hanno riconosciuto la Cina come un’economia di libero mercato. Nemmeno l’OMC. Questa è una grave minaccia per la posizione di Pechino all’interno del sistema commerciale globale. La Cina è il secondo partner commerciale del Canada e il Canada è il 13° più grande per la Cina. Quest’accordo è in realtà un precursore di un’alleanza economica e commerciale creata in opposizione a Pechino. Una volta che avrà effetto, dopo essere stato approvato dai Parlamenti e dal Congresso, l’USMCA sarà il primo passo in una campagna globale anti-cinese, a cui seguiranno altri accordi mirati allo stesso obiettivo. Evidentemente, gli Stati Uniti insistono sul fatto che una clausola simile venga inserita in altri accordi commerciali, in particolare quelli negoziati con l’UE e il Giappone, oltre a quello che sta cercando di sviluppare con altre nazioni della regione Asia-Pacifico.

 

Esiste un collegamento tra l’USMCA e l’UE. Il Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA), un patto di libero scambio tra il Canada e l’Unione Europea, è entrato in vigore un anno fa, eliminando il 98% dei dazi tra le due parti. A luglio, gli Stati Uniti e l’UE hanno concordato un cessate il fuoco. Il Presidente Trump e il Capo della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, hanno accettato di evitare una guerra a tutto campo e di avviare invece i colloqui sui dazi. Ma quel processo potrebbe vacillare. A marzo, il Canada, assieme ai principali alleati degli Stati Uniti come il Giappone e l’Australia, ha firmato un ampio accordo commerciale che include 11 nazioni dell’Asia-Pacifico. Il Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (CPTPP) abbassa drasticamente i dazi e stabilisce nuove e radicali regole commerciali. L’accordo è stato raggiunto dopo che il Presidente Trump ha ritirato gli Stati Uniti dal Trans-Pacific Partnership (TPP), subito dopo il suo insediamento. Il TPP è stato concepito fin dall’inizio come contrappeso alla Cina, quindi gli Stati Uniti potrebbero unirsi “con un piccolo aiuto da parte degli amici”, come Canada e Messico, entrambe parti del CPTPP. Se lo faranno, il CPTPP eserciterà inevitabilmente una grande influenza sulla Cina e diventerà parte della campagna globale contro Pechino. Il Giappone, una parte nel CPTPP, ha firmato un accordo commerciale con l’UE a luglio. Ciò esclude gli Stati Uniti e la Cina. Un accordo commerciale tra il Regno Unito e gli Stati Uniti sta progredendo, anche se è difficile prevedere quando potrebbe essere completato. Si prevede che, alla fine, gli Stati Uniti diventeranno parte in tutti gli accordi elencati sopra che escludono la Cina, a condizione che includano una clausola “Paesi non di mercato”. Sarebbe gradito agli Stati Uniti se questa stessa disposizione per isolare la Cina fosse inclusa in altri negoziati USA con l’Unione europea e il Giappone. La guerra è iniziata e il commercio internazionale è il dominio.

 

La Cina è impegnata in trattative per il Regional Comprehensive Economic Partnership, che comprende 14 Paesi in Asia e Australasia ed esclude gli Stati Uniti, ma sembra che abbia ancora molta strada da fare. Pechino è anche parte della Cina-ASEAN Free Trade Area (CAFTA) istituita nel 2010. La Cina ha accordi di libero scambio con l’Australia, il Cile, il Perù e la Nuova Zelanda. Ma ciò non basta per contrastare l’offensiva economica lanciata dagli Stati Uniti. Tutti questi partner dipendono in gran parte dall’America. Quando si tratta di negoziare guerre, essi non possono certo essere considerati fedeli compagni d’armi della Cina. Date le circostanze, l’integrazione con l’Unione Economica Euroasiatica (UEE) è un progetto promettente. È un’unione composta da Russia, Bielorussia, Kazakistan, Armenia e Kirghizistan. Esse controllano il 3,2% (2,2 trilioni di dollari) del PIL globale. Se firmato, un accordo di libero scambio soddisferebbe gli obiettivi della nuova Via della seta. Quasi 40 Paesi, tra cui India, Singapore e Turchia, hanno espresso la loro disponibilità ad avviare negoziati sugli accordi di libero scambio con l’UEE o li hanno già intrapresi. La Russia e la Cina sono alleati naturali. La nuova Via della seta e il perno della Russia verso l’Asia si completano a vicenda. La modernizzazione della ferrovia transiberiana e il progetto di costruire autostrade ad alta velocità all’interno della Russia, compresa la costruzione di una linea ferroviaria che attraversa il Kazakistan fino alla Cina nord-occidentale, sembrano molto promettenti, creando un collegamento tra la Russia, i Paesi dell’Asia centrale, Cina ed Europa. In realtà, è già stato fatto un primo passo in questa direzione. A maggio, l’UEE e la Cina hanno firmato un accordo commerciale ed economico. L’accordo ha semplificato alcune procedure, ma non ha eliminato i dazi e le barriere non tariffarie. Ma ha contrassegnato il primo accordo istituzionale sulla cooperazione economica e commerciale tra le due entità. La Russia e la Cina sono nella stessa barca, in quanto si sono ritrovate obiettivi degli attacchi degli Stati Uniti. È solo naturale per loro integrarsi economicamente. Più gli Stati Uniti cercano di rimodellare il mondo, maggiore è la resistenza che la politica incontrerà mentre le altre nazioni si uniscono, accelerando l’emergere di un mondo multipolare.

 

 Arkady Savitsky (tradotto da NICKAL88)

 

 
Discredito PDF Stampa E-mail

12 Ottobre 2018

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Da Appelloalpopolo del 7-10-2018 (N.d.d.)

 

Alle volte, di fronte allo sconcerto di amici europeisti per la ‘rozzezza istituzionale’ dei ‘populisti’ (non solo in Italia), mi chiedo cosa si aspettassero. Per anni e anni siamo andati avanti in Europa con una (sedicente) ‘avanguardia tecnocratica’, sottratta ad ogni dibattito pubblico e ad ogni controllo democratico, che ha utilizzato i propri agganci tra le élite cosmopolite per pubblicizzare nei singoli paesi il Grande Progetto Europeo come un progetto di ricchezza e fratellanza comune. “Fidatevi”. Poi, alla prima difficoltà seria, si è vista una corsa di ciascuno al salvataggio dei propri patrimoni (ad esempio il salvataggio delle banche francesi e tedesche a spese della Grecia), uno scatenarsi di regole asimmetriche valutate arbitrariamente (aiuti di stato, surplus commerciali, procedure di infrazione, ecc.), una rincorsa alla colpevolizzazione del vicino nella più completa ignoranza delle realtà altrui, un’esplosione di ricatti, condizionalità, minacce, il tutto abbinato ad un impoverimento di ampli strati di popolazione. In sintesi:

 

1) i lavoratori europei si sono inizialmente e per decenni consegnati fiduciosamente mani e piedi ad una élite tecnocratica; 2) questa élite li ha prima portati sugli scogli, dopo di che ha cercato di mettere in salvo sé stessa, e non contenta di ciò se l’è presa con i lavoratori infingardi (tra l’altro categorizzandoli per stereotipi nazionali). 3) Quell’élite stessa poi ha messo in campo tutte le proprie risorse e agganci mediatici per far passare adeguate dosi di senso di colpa presso i lavoratori europei (nessuno creda che l’ “avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità” sia risuonato solo in Italia: è stato usato ovunque, persino in Germania per comprimere il loro welfare.)

 

A questo punto, esattamente, cosa pensavate potesse succedere? È successa l’unica cosa che il puro e semplice buon senso avrebbe saputo prevedere: la totale irredimibile perdita di credito delle élite tecnocratiche e del loro progetto, che ora si rivela come appunto soltanto un LORO progetto. Dunque quel progetto è semplicemente defunto, e prima si capisce meglio staremo tutti. I ‘populisti’ non sono piovuti da Marte, sono quelli che restano dopo che avete tolto di mezzo le élite tecnocratiche. Non vi piacciono le loro sgarberie e la loro sguaiataggine? Beh, cari esperti bollinati, trovate uno specchio e vedrete il colpevole. Questo è il semplice frutto dell’uso pluriennale catastrofico fatto di pensose expertise, di saggi e prudenti consigli, di spiegazioni paternalistiche (e cretine) su come gestisce una casa il ‘buon padre di famiglia’, ecc. Una volta che il credito è perduto, una volta che quando apri bocca tutti sanno che non ci si può fidare, beh, è finita: puoi avere dietro di te i Media, la Polizia e la Borsa, ma sei comunque destinato a sparire, è solo questione di tempo.

 

Andrea Zhok

 

 
Potenziare il settore pubblico PDF Stampa E-mail

11 Ottobre 2018

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Da Appelloalpopolo del 9-10-2018 (N.d.d.)

 

In Italia è ormai noto che il settore pubblico è decisamente sotto organico. Mancano medici, infermieri, poliziotti, carabinieri, funzionari della PA, personale nelle cancellerie dei tribunali e via discorrendo, insomma ci sono centinaia di migliaia di potenziali posti di lavoro da riempire e 3 milioni di disoccupati in cerca di lavoro che si riducono solo perché 200.000 italiani ogni anno stanno emigrando all’estero. Questo è il tema centrale, questo è il problema che il governo dovrebbe affrontare ma del quale non sentirete mai parlare.

 

È necessario mettere in atto un piano pluriennale di investimenti nel settore pubblico per recuperare questo gap e dotare ogni settore del fabbisogno minimo richiesto per i servizi. Per farlo sarà necessario investire centinaia di miliardi di euro, cioè rompere i vincoli di deficit spending imposto dai trattai europei. Il resto, dalle navi dei migranti ai redditi di cittadinanza, sono solo stupide, inutili e pericolose armi di distrazione di massa.

 

Gianluca Baldini

 

 
Reddito di Sudditanza (RdS) PDF Stampa E-mail

10 Ottobre 2018

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Da Comedonchisciotte dell’8-10-2018 (N.d.d.)

 

Di Maio -Rispondendo a una domanda- ha poi precisato: «Non diamo l’opportunità di prendere soldi standosene sul divano, perché tutti dovranno avere la giornata impegnata per la formazione e per i lavori di pubblica utilità». Questo vuol dire che non si avrà tempo per lavorare in nero e chi imbroglia si becca fino a 6 anni di galera per dichiarazioni “non conformi alla legge”.

 

1. “prendere soldi standosene sul divano” ricorda il noto “…con un reddito base la gente si adagerebbe, si siederebbe e mangerebbe pasta al pomodoro” della Fornero. Siamo lì: i poveri disoccupati, tali per decisioni prese dai politici sulla loro testa, sono sempre dei mangia pasta a sbafo e lavativi buoni solo a far niente, seduti o svaccati sul divano. Penoso doverlo risentire, speravo di no. 2. “dovranno avere la giornata impegnata per la formazione e per i lavori di pubblica utilità” – I corsi di formazione al lavoro non sono roba inventata da Di Maio: da anni se ne fanno di ogni tipo in tutto il paese, finanziati dal FSE o dalle Regioni e gestiti da enti accreditati. E da quel che so, i corsisti che poi hanno trovato un lavoro, intendo un vero lavoro, sono pochini. Docenti dei corsi e dipendenti delle società che li organizzano a parte. Poi c’è da considerare che i corsi organizzati con i soldi del FSE venivano (non so se è ancora così) retribuiti con 3€/h. e quindi, calcolando circa 7h al giorno, si arriva(va?) frequentando tali corsi, a incassare circa 420€ al mese. Senza minacce di anni di galera e senza ditini alzati su immorali divani e pastasciutte. Pare poi che i percettori del futuro RdS avranno anche l’obbligo di almeno 8h impegnate in lavori di pubblica utilità (immagino una volta finiti i corsi). In altri tempi, i lavori di pubblica utilità venivano offerti ai disoccupati per garantire loro una retribuzione, vogliamo quindi calcolare il valore economico di quei lavori a 8.50€ l’ora? Sarebbero circa 270€ al mese, se vivessimo in un mondo normale. E invece saranno gratis, perché già compresi nei 780€. 3. I 780€/mese – La cifra è calcolata a nucleo familiare, non a singolo individuo, quindi dalla misura immagino saranno esclusi i giovani laureati che vivono in famiglia in attesa di uno stipendio vero che consenta loro di farsi una vita: se i tuoi guadagnano, tu sei costretto o a campargli sulle spalle a vita o a espatriare. Nulla di nuovo. Il nucleo familiare, per accedervi, dovrà poi avere un Isee di poco superiore ai 9mila euro anno. Che corrispondono a uno stipendio di circa 750€ al mese, se per 12 mesi. Se in una famiglia è disoccupata la moglie, e il marito porta a casa invece 850€ lordi al mese, sono fuori (l’Isee è calcolato al lordo, e tiene conto anche del saldo medio di conto corrente). Hanno un figlio? Forse avranno agevolazioni per scuola o asilo, ma nel RdS non rientreranno. 4. Di Maio: «il reddito sarà erogato su una carta -. Questo permette la tracciabilità, non permette evasione o spese immorali e quindi permette di utilizzare questi soldi per la funzione per cui esiste, cioè assicurare la sopravvivenza minima dell’individuo. Quindi alimentari e beni di prima necessità» Sentir parlare di “tracciabilità” e “spese immorali” nel concedere 780€ di RdS, condizionato da obblighi di corsi 8 ore al giorno e 8 ore a settimana di lavori socialmente utili, fa capire quanto questo giovane Viceministro non abbia proprio idea di quanto costi “la sopravvivenza minima” a una famiglia fra alimentari, bollette, trasporti, assicurazioni e Tari varie, che si pagano anche se non si hanno introiti di alcun tipo. Che spese immorali immagina Il Viceministro si possano fare con 780€ al mese per camparci magari in 3? I dementi in rete straparlano di “gente che se li gioca”, “gente che se li beve”, “gente che si compra l’iPhone”, dimostrando che la platea di imbecilli che sentenziano su cose di cui non hanno idea è infinita e varia.

 

La misura è per ora destinata solo a famiglie in difficoltà con almeno un componente disoccupato, e voglio provare a fare un esempio di famiglia che potrebbe averne diritto. Facciamo che ho 30 anni, sono laureata e sposata, ho un bambino che va all’asilo, mio marito è laureato ma disoccupato da 2 anni, e io riesco a guadagnare qualcosa facendo la domestica la mattina e riesco a portare a casa con questo lavoro part-time, circa 500€ al mese. Ho un Isee sotto i 9mila, per cui il nostro nucleo familiare rientra nella platea dei possibili percettori del RdS. Attualmente, avendo un Isee sotto i 7.500€/anno, ogni anno presento domanda per avere bonus gas/energia/idrico. Sono pochi euro di risparmio in bolletta, ma in miseria anche quei 150/180€ totali di risparmio annuo sono importanti. In più, sempre per Isee basso, ho esenzione sui ticket (non su tutto) e per la eventuale mensa dell’asilo. Siamo in affitto (chi vive in casa di proprietà vedrà ridotto l’importo di circa 400€, ritenuto il costo medio di un affitto, ovviamente nel mondo di papalla), 500€/al mese, e per pagarlo attualmente rientriamo fra i percettori di un’integrazione all’affitto erogato dalla Regione di circa 150€/mese. In casa entrano quindi ora circa 650€/mese, ed essendo in 3, siamo comunque costretti a chiedere aiuto alle nostre famiglie per avere “la minima sopravvivenza”. Se mio marito, disoccupato, rientra fra i possibili percettori, i suoi futuri 780€ di RdS al mese porteranno il nostro reddito annuale oltre la soglia Isee che ora ci consente di avere i bonus, l’esenzione ticket e la mensa scolastica per il piccolo. Quindi, già dall’anno successivo, non solo i 780€ di RdS non gli saranno più riconosciuti perché l’Isee supererà la soglia dei 9mila euro previsti dalla misura (i suoi 780€/mese + i miei 500€/mese superano i 15mila l’anno), ma perderemo i pochi benefici che il nostro attuale reddito da fame almeno ci consentiva. Il tutto, senza altra garanzia che l’obbligo a frequentare corsi 7/8h al giorno, l’obbligo di 8 ore a settimana in lavori di pubblica utilità per il Comune, a essere tracciato su cosa e come spende quasi fosse un delinquente in libertà vigilata che è necessario monitorare. Poi, diciamolo, finiti i corsi (che si fanno già), finiti i soldi (li danno per 3 anni, non all’infinito), il lavoro chi lo garantisce? Dov’è? Dove si trovano tutti ‘sti lavori per ridare dignità ai milioni di cittadini poveri e disoccupati?

 

A tavolino, Di Maio i conti li fa tornare così: L’obiettivo, ha dichiarato Di Maio, è quello di far spendere le risorse distribuite ai bisognosi «nei negozi italiani, nelle attività sul suolo italiano, perché vogliamo iniettare nell’economia reale 10 miliardi di euro ogni anno, che significa far ripartire non solo i consumi, ma anche la vita delle imprese e dei commercianti e tutti gioveranno del reddito di cittadinanza». Tradotto: il RdS (Reddito di Sudditanza) usa i poveri disoccupati come una sorta di elicopter money, dove a far girare le pale dell’elicottero come benzina ci saranno i percettori i quali dovranno spendere quei soldi, non immoralmente e non all’estero (non potranno andare a puttane né andare a comprare cioccolato in Svizzera, per capirci). E però i percettori, già minacciati di 6 anni di galera, che girano le pale dell’elicottero per far piovere quei soldi sui commercianti e sulle imprese, che dovranno impegnarsi ai corsi forzati, ai lavori forzati per il Comune, insieme serviranno su un piatto d’oro all’Istat e a chiunque ne sia interessato, anche svariati dati sui loro consumi personali, sulle loro abitudini di spesa, sulle loro debolezze (ti piacciono i biscottini al miele, eh?) e sulle loro perversioni (ma ci si potranno comprare gli anticoncezionali e i preservativi oppure no? No, a meno che si riesca a farli rientrare come spesa farmaceutica di prima necessità, boh?). Insomma, alla fine, nulla che non si sia già visto: corsi già esistono, bonus energia e gas, ecc., già definiscono chi è povero e chi non lo è (non accedi a questi aiuti se non porti anche gli estratti conto bancari). Manca il lavoro, non i corsi, non i lavori socialmente utili. Mancano i soldi per vivere, non le lezioncine e le minacce preventive. E se non hai un reddito, con 780€ in 3 e in affitto, non ci campi comunque (“chi non li spende tutti se li vedrà ridotti” è parte degli insulti all’intelligenza del RdS…) Ciò che non si capisce (cioè si capisce benissimo) è per quale ragione chi ha un Isee sotto una certa soglia non possa essere destinatario di un versamento mensile direttamente nel conto corrente quale forma di aiuto senza condizioni. Perché, al di là delle sciocchezze, una cosa è certa: come tracciano le spese della eventuale carta del RdC, così già oggi chi presenta richiesta per bonus energia, di integrazione all’affitto o per qualunque altra forma di aiuto economico previsto dall’attuale sistema, viene scannerizzato direttamente nel conto corrente dall’Agenzia delle Entrate. Che non perdona, e mi pare giusto. Ma se già oggi funziona così, vuol dire che il sistema di verifica e controllo del diritto all’aiuto è comunque possibile ed esiste già, senza carte (con estremo godimento e lucro del sistema interbancario), senza ricatti, senza ditini alzati e senza minacce di galera e moralizzazione dei consumi del povero cristo (chissà com’è che ai ricchi nessuno mai fa la morale…). Invece, mi tocca rileggere la Fornero in peggio.

 

Forse, più che accettare questo Reddito di Sudditanza che è un insulto ancora prima di essere attivato, i poveri disoccupati dovrebbero imparare come si fa a farsi rispettare dai vitelloni con iPhone che passano davvero la giornata a cazzeggiare sulle panchine: imparare a stare tranquilli sulle panchine, innanzitutto; e al primo che se ne lamenta alzare subito la voce urlando: ”No buono mangiare, no wi-fi, tu dare me soldi o buttiamo cibo merda e materassi giù dalla finestra”.

 

ROSSLAND

 

 
Guerra informatica PDF Stampa E-mail

9 Ottobre 2018

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Da Rassegna di Arianna del 7-10-2018 (N.d.d.)

 

A quanto pare, la storia è così: in aprile, grazie alle indagini congiunte del controspionaggio di Olanda, Usa, Svizzera e Canada, quattro agenti russi specializzati nello spionaggio informatico sono stati fermati a l’Aja e poi, essendo dotati di passaporto diplomatico, espulsi verso la madre patria. I quattro, secondo le cronache, stavano cercando di hackerare le comunicazioni dell’Opac (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, già premio Nobel per la pace nel 2013), presumibilmente per scoprire qualcosa sulle indagini che l’Organizzazione sta svolgendo sugli attacchi chimici che l’esercito siriano avrebbe condotto nella città di Douma. La questione è seria, anche se ovviamente per ragioni tutte diverse da quelle raccontate in questi casi. Le cronache dell’arresto dei quattro sono piene di sciocchezze. Per hackerare i computer dell’Opac, gli agenti russi (gli agenti di qualunque servizio segreto) non avrebbero certo avuto bisogno di piazzarsi nel parcheggio dell’hotel dove ha sede l’Opac stessa. Così come fa ridere la considerazione, esposta con grande solennità come se fosse una prova, che uno stesso computer portatile avrebbe “lavorato” in Brasile (per infiltrarsi nei laboratori dove si conducono indagini sul doping degli atleti, questione scottante per la Russia), in Svizzera (altro laboratorio dell’Opac, che si occupa del caso Skripal) e in Malaysia (abbattimento del volo Amsterdam-Kuala Lumpur sui cieli dell’Ucraina, nel 2014). Da quando per hackerare qualcosa o qualcuno è necessario avvicinarsi? Quando mandiamo una mail spostiamo il computer vicino a chi deve riceverla? Altro elemento da oggi le comiche. Uno degli agenti russi avrebbe commesso una distrazione fatale, tenendosi in tasca una ricevuta del taxi che, dalla sede del Gru (il servizio segreto militare), posta in pieno centro di Mosca, l’avrebbe portato in aeroporto. È da escludere che un agente esperto possa fare un errore di questo genere, ma siamo abituati a sentirci raccontare anche di peggio. Per esempio che l’agente, anche lui del Gru, che avrebbe violato i server del Partito democratico americano nel 2016 era stato scoperto dall’Fbi perché, dopo aver completato con successo l’intrusione (da Mosca, peraltro, senza andare col computer fino in America), con lo stesso computer, con lo stesso indirizzo Ip e senza usare programmi di schermatura si era messo a navigare su Twitter.

 

All’arresto dei russi a L’Aja è seguita, com’è ovvio, la solita raffica di dichiarazioni. James Mattis, ministro della Difesa Usa, ha detto che “la Russia dovrà render conto di questi attacchi”. Il governo olandese ha convocato l’ambasciatore russo. Donald Tusk, il polacco che preside il Consiglio europeo, ha deciso di inserire il tema del cyber spionaggio russo all’ordine del giorno del Consiglio del 18/19 ottobre, preludio forse ad altre sanzioni contro la Russia. E Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, ha detto che “la Russia deve cessare il suo comportamento sconsiderato”, ottima scusa per ulteriori dispiegamenti delle truppe Nato nell’Europa dell’Est. Folklore e veline a parte, però, la situazione si sta facendo davvero seria. Perché ciò a cui stiamo assistendo sono i prodromi e i test per una guerra informatica su scale globale, in cui tutti i paesi sono coinvolti. Che a noi la raccontino come una campagna della Russia contro il resto del mondo fa parte del gioco e nulla più. Lo dimostra la vicenda di NotPetya, il virus informatico più “cattivo” della storia che nel 2017 è stato immesso nelle reti dell’Ucraina e da lì, grazie all’interconnessione ormai quasi globale, ha infettato mezzo mondo, mandando in bomba milioni di computer, colpendo uffici e aziende grandi e piccole, infliggendo un totale di 10 miliardi di dollari di danni ( il colosso farmaceutico Merck, secondo le valutazioni di Wired, avrebbe perso 870 mila dollari, Federal Express 400 mila, l’impresa di costruzioni francese Saint Gobain 384 mila, la compagnia danese di spedizioni marittime Maersk 300 mila e così via). I servizi segreti Usa accusarono subito il solito Gru, anche se NotPetya colpì duramente anche la Russia, sabotando per esempio le operazioni del colosso statale RosNeft, terza compagnia petrolifera del Paese. Gli esperti si divisero sul senso dell’attacco: secondo alcuni, l’obiettivo era “solo” fare il massimo del danno; secondo altri, l’intento era anche di cancellare memorie e programmi e condurre una specie di prova generale di ciò che si potrebbe fare, domani, per paralizzare e mettere in ginocchio un Paese considerato ostile. Tanto più che, stando alle successive indagini, gli hacker erano rimasti annidati per mesi nel sistema di comunicazioni ucraino, prima di colpire. Quello che non è mai arrivato al grande pubblico è questo. NotPetya non era un programma originale. La sua devastante peculiarità era di combinare Eternal Blue e Mimikatz, due programmi usati per penetrare i computer ed estrarre le password. E chi aveva sviluppato quei due programmi? EternalBlue è una creatura della National Security Agency (Nsa) americana, mentre Mimikatz fu sviluppato nel 2011 da Benjamin Delpy, un esperto di informatica dei servizi segreti di Francia. E secondo voi, Stati Uniti e Francia certi giocattoli li inventano per poi tenerli nel cassetto? Queste cose le sappiamo grazie… agli hacker. In particolare grazie a Shadow Broker, che tra 2016 e 2017 ha infiltrato i computer della Nsa e rivelato un po’ dei suoi segreti, compresi quelli relativi a certi attrezzi del mestiere come EternalBlue. L’attacco fu prima attribuito a un tecnico di un’azienda informatica che collaborava con la Nsa, tale Harold Martin, poi finito in galera, quindi ai soliti russi. Comunque sia, abbiamo appreso che all’interno della Nsa c’è una speciale unità, all’epoca chiamata Tailored Access Operations (Tao) e poi ribattezzata Computer Network Operations (Cno) in cui lavorano più di mille tra hacker, ingegneri elettronici e analisti, sia militari sia civili. E che la Tao/Cno, oltre a sviluppare micidiali armi elettroniche, è abituata a pratiche come: intercettare i computer acquistati online, inserire in essi sistemi di spionaggio e poi farli arrivare agli acquirenti; intercettare le comunicazioni dell’Opec, l’organizzazione dei produttori di petrolio; intercettare le comunicazioni dai cavi sottomarini a fibre ottiche che collegano decine di Paesi, tra cui l’Italia; hackerare i ministeri del Messico, in particolare quelli della pubblica sicurezza; passare tecnologie ai servizi segreti inglesi che, con quelle, hanno intercettato il traffico di diversi provider europei tra cui Belgacom, che garantisce le comunicazioni al Parlamento europeo e alla Commissione europea; più una serie di altre prodezze simili. Coloro che attribuivano l’attacco di Shadow Broker ai soliti hacker del Cremlino, davano del gesto questa interpretazione: la Russia sta ammonendo gli Usa ad andarci piano con le loro campagne, perché in ogni momento potrebbe svelare certi segreti che agli americani non piace render pubblici. A noi la propaganda non interessa. Ciò che conta è capire che siamo nel bel mezzo di una potenziale guerra informatica virtuale, proprio come Siria, Ucraina, Iran, Palestina e altri fronti sono gli scenari materiali della stessa guerra. Le fake news su un solo Paese “cattivo” che terrorizza il mondo mentre i Paesi “buoni” subiscono o al massimo cercano di difendersi, sono quello che sono. Fake news, appunto.

 

Fulvio Scaglione

 

 
Sovranisti ma servi degli americani PDF Stampa E-mail

8 Ottobre 2018

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Da Rassegna di Arianna del 6-10-2018 (N.d.d.)

 

Come funziona il sistema Usa? Applicare strette sanzioni finanziare e sul petrolio iraniano in modo da vendere meglio il loro, quello dei sauditi e delle monarchie del Golfo. Con i soldi incassati Riad, secondo acquirente di prodotti bellici al mondo, e gli emiri possono continuare a comprare gli armamenti americani. Sono loro i maggiori clienti del Pentagono, soprattutto adesso che i sauditi devono combattere la guerra in Yemen, dove muoiono migliaia di civili ma che è stata silenziata sui media internazionali. Semplice no? Si chiama libero mercato in libero massacro. E via anche con i dazi alla Cina che vuole sfuggire al controllo Usa sui flussi energetici aprendo il corridoio sino-pakistano, altra partita strategica di portata globale perché, se realizzata, consentirà a Pechino di sfuggire in parte al controllo americano degli Stretti di Malacca.

 

Per fare davvero la guerra non solo economica all’Iran, da 40 anni il vero bersaglio di Usa, Israele e sauditi, bisogna usare altri mezzi senza però entrare in un devastante conflitto in campo aperto dopo quello che per sette anni ha disintegrato la Siria e che occidentali e monarchie arabe hanno perso insieme ai turchi All’Italia, se fa la brava applicando le sanzioni a Teheran, viene garantito il greggio della Libia che in Cirenaica verrà spartito con i francesi. E prima o dopo del vertice sulla Libia, che si svolgerà a Palermo in novembre, il generale Khalifa Haftar avrà la testa del nostro ambasciatore a Tripoli. Non è un caso che il ministro degli Esteri Moavero andrà a incontrare il suo collega Lavrov a Mosca: la Russia con Francia ed Egitto sostiene il generale e da almeno due anni Mosca si propone, inascoltata, alla diplomazia italiana come mediatrice per controbilanciare l’influenza francese.

 

Ma non è finita qui. Nei Balcani, grazie anche ai finanziamenti delle monarchie sunnite del Golfo, si è formato negli anni, tra Kosovo, Albania, Bosnia e Macedonia, un esercito di jihadisti: almeno un migliaio in questi anni si sono arruolati in Siria per combattere contro Bashar Assad, appoggiato da russi e iraniani. Così entrano in campo le storiche relazioni pericolose francesi, internazionali e italiane con il fronte anti-Iran. Circa 3500 Mujaheddin Khalq (Mek), oppositori di Teheran un tempo di stanza in Iraq si sono acquartierati in Albania. Parigi e Teheran sono ai ferri corti per la presenza del Mek in Francia, usato da tempo dai servizi israeliani e americani. Adesso i jihadisti sconfitti stanno tornando nei Balcani e potrebbero essere utilizzati in funzione anti-Iran, come per altro è già avvenuto finora nella guerra per procura siriana. Il recente attentato con 30 morti nella città iraniana di Ahwaz alla parata dei Pasdaran, le Guardie della Rivoluzione, è stato probabilmente un’avvisaglia di questa nuova strategia. Ma per questa guerra all’Iran, economica e in parte terroristica o di guerriglia, ci vuole anche la partecipazione degli europei che inizialmente volevano aggirare le sanzioni Usa all’Iran e difendere l’accordo sul nucleare del 2015 firmato da Obama e stracciato da Donald Trump. Ci sono dubbi che la Francia, nonostante alcune dichiarazioni ufficiali, intenda oltrepassare le sanzioni Usa all’Iran come vorrebbe fare la diplomazia di Bruxelles secondo quanto già annunciato dalla Mogherini. L’Italia, invece di agire per conto proprio e difendere l’export delle imprese in Iran, si sta adeguando a questa agenda americana e agli ordini ricevuti dalla Lega da Israele. Che la Lega esprima posizioni assai filo-israeliane è di dominio pubblico ed è riscontrabile nelle stesse dichiarazioni alla stampa del suo leader Salvini. A questo atteggiamento i leghisti hanno fatto seguire i fatti. La Lega ha detto di no a una proposta Cinquestelle, avanzata per altro da Unioncamere, per organizzare un istituto di credito autonomo per garantire l'export di piccole e medie imprese in Iran. Siamo in mano, come si vede, a coraggiosissimi sovranisti in Italia e in Europa.

 

Alberto Negri

 

 
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