Avviso Registrazioni

Scusandoci per l'inconveniente, informiamo i nuovi utenti i quali desiderino commentare gli articoli che la registrazione deve essere fatta tramite Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

Login Form






Password dimenticata?
Nessun account? Registrati

Cerca


 
  SiteGround web hostingCredits
Tutto bene perché non abbiamo tradito gli alleati PDF Stampa E-mail

17 Aprile 2018

 

Da Rassegna di Arianna del 14-4-2018 (N.d.d.)

 

Adesso forse sì che avremo un Governo, visto che ci dobbiamo attrezzare alla guerra di Usa-Francia-Regno Unito alla Russia per interposta Siria. Un Governo del Presidente, magari, con tutti dentro, perché l'ora è solenne, il Paese non può restare senza guida, il funzionamento delle Camere e bla bla bla. Il che, naturalmente, equivale ad ammettere che l'Italia la governano altri e che l'agenda di Washington ci mette in riga anche quando siamo divisi su tutto. Ma pazienza. Così va spesso il mondo... voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo, com'era scritto nelle pagine dei Promessi sposi che lo stesso Manzoni aveva definito “la notte degli imbrogli e dei sotterfugi”. Una notte come questa, in cui quei tre grandi Paesi impugnano la bandiera della civiltà, ormai logora e sfrangiata, per insegnare a suon di missili la modestia al Cremlino, che a sua volta accarezza l'idea di accettare il confronto per mostrare al mondo che la Russia è tornata, c'è. Da noi, invece, l'imbroglio sta nel ragionamento che la derelitta sinistra moderata italiana, in fase reattiva contro Matteo Salvini, avanza in queste ore, desiderosa forse di chiuderla con l'agonia e compiere il harakiri finale. Il leader della Lega Nord aveva detto: «Chiedo al presidente Gentiloni una presa di posizione netta dell’Italia contro ogni ulteriore e disastroso intervento militare in Siria». Anche il Pd, allora, ha lanciato i suoi missili: «Salvini vuole cambiare le alleanze internazionali del nostro Paese?», copyright Maurizio Martina, il segretario reggente. E l'onorevole Andrea Romano, di rincalzo, ricordava che “per la prima volta nella storia del secondo Dopoguerra l’Italia rischia una posizione isolata perché c’è un signore che si chiama Salvini”.

 

Purtroppo il punto non è questo. È chiaro a tutti che gli Usa continueranno a essere il nostro principale alleato in Occidente, che la Nato resterà il nostro principale riferimento nell'ambito della difesa, che la Ue sarà a lungo la nostra casa comune. Certi ancoraggi non si smantellano dall'oggi al domani, anzi: non si smantellano proprio. L’Italia la governano altri e che l'agenda di Washington ci mette in riga anche quando siamo divisi su tutto. Ma ci sono molti modi per stare dentro le alleanze, soprattutto quando gli alleati non vedono l'ora di menare le mani. Se, come sembrano pensare Martina, Romano e molti altri, l'importante è starci, allora ci dicano se dobbiamo essere felici e contenti dei 30 soldati italiani morti in Afghanistan per partecipare alla spedizione Usa e Nato del 2001, il cui risultato è, finora, di circa 300 mila morti, con 10 mila civili morti o feriti nel solo 2017, roba da leccarsi i baffi perché in calo del 9% (dati Onu) rispetto al 2016 che, quanto a perdite di civili (e bambini, altro che Douma), ha fatto segnare il record. Del dramma afghano non si vede la fine ma va bene così, no? L'importante era restare fedeli alle alleanze. Allo stesso modo dovremmo essere del tutto sereni sulla partecipazione italiana all'invasione dell'Iraq nel 2003. Che fu partecipazione vera, perché all'inizio non piantammo gli stivali nel deserto ma da subito fornimmo appoggio politico e logistico agli invasori, così bene che gli Usa ci inserirono tra i membri della Coalition of the Willing. Appena quel genio del presidente Bush disse che era tutto finito (“Mission accomplished!”, 1° maggio 2003), ci affrettammo a spedire in Iraq un contingente di 3.200 uomini, dei quali 24 (tra Nassiriya e altri scontri) non tornarono più. Anche l'Iraq produsse splendidi risultati, tipo un'ondata di attacchi terroristici superata poi solo dalle atrocità dell'Isis e, secondo le stime più conservative, circa 400 mila morti, dei quali circa 300 mila civili. Ma noi, come sembrano pensare Martina e Romano, eravamo coi nostri alleati di sempre, quindi tutto bene. Anche nel 2011, nella guerra contro Gheddafi condotta dalla Nato, tenemmo fede alle alleanze. E non solo concedendo l'uso delle basi militari ma spedendo i Tornado e pure i cacciabombardieri della portaerei “Giuseppe Garibaldi” a scaricare bombe sulla Libia. Roba di cui andare fieri, visti i circa 30 mila morti, la distruzione di un Paese che era il più sviluppato dell'Africa, il caos che ne è derivato, le immense grane che in particolare l'Italia ha ricavato in termini di flussi migratori e le tante altre migliaia di persone che sono morte nel Mediterraneo salpando appunto da una Libia diventata paradiso per i trafficanti di uomini. Se stare nelle alleanze è ciò che davvero conta, allora dovremmo vantarci di quei disastri, ai quali abbiamo partecipato a titolo pieno o quasi pieno. C'è qualcuno che se la sente di dire che sì, Afghanistan, Iraq e Libia vanno bene così, perché non abbiamo tradito gli alleati? Martina, Romano altri, che ci dite in proposito?

 

Piantiamola, quindi, di discutere di fantomatiche alleanze con la Russia o di tentare il ricattino morale per cui se non segui la corrente sei un traditore dell'Occidente. Il problema non è se stiamo o no coi soliti alleati ma il modo in cui ci stiamo. Come dei servi sciocchi che si fanno coinvolgere ma non osano aprir bocca o come un Paese degno di questo nome, un Paese che ha un'idea del suo posto nel mondo, dei rapporti internazionali e di come questi rapporti influiscano sul suo interesse nazionale? L'unica ipotesi che ci deve interessare è la seconda. Ed è quella che ci impone di riconoscere che tutte le ultime “imprese” dei nostri tradizionali alleati sono state un fallimento, un enorme spreco di risorse (l'Italia ha speso in Afghanistan quasi 8 miliardi; tenere un marine laggiù per un anno, anche se non esce mai dalla base e non spara un colpo, costa ai contribuenti Usa 4 milioni di dollari) e un gigantesco massacro di vite umane, soprattutto presso i popoli che volevamo beneficare. È sovversivo o populista riconoscere tutto questo? Sovversivo e populista, oggi, è far finta di niente. Far finta che si possa ancora andar dietro agli Usa e alla Nato tenendo gli occhi chiusi e le orecchie tappate. Far finta che non ci sia, in questo, un problema morale non meno lacerante dell'uso vero o presunto delle armi chimiche in Siria o altrove. Tanto più che star dentro le vecchie alleanze in modo non supino né meschino è possibile. La Germania ha detto che non bombarderà la Siria e nessuno si è sognato di tacciare la Merkel di quinta colonna di Vladimir Putin o di traditrice dell'Occidente. Si dirà: si, vabbè, ma la Germania è la Germania. Certo. Ma noi siamo l'Italia, un Paese pieno di basi Nato e di bombe atomiche americane. Siamo noi quelli distesi nel Mediterraneo, a un passo dall'area del potenziale conflitto tra Usa e Russia. Dovremmo essere i primi ad avere un'opinione forte, seria e precisa. E invece siamo ai soliti sofismi, ai giochi di parole che servono a dire nulla perché per dire qualcosa serve un minimo di palle. La grande trovata è che non bombarderemo ma garantiremo alle basi americane di funzionare. Il che tecnicamente equivale a: io non sparo ma ti carico la pistola e te la faccio trovare bene oliata. Politicamente invece significa: ti do una mano con la guerra ma per favore non lo dire in giro. Una pena.

 

Fulvio Scaglione

 

 
Tramonto PDF Stampa E-mail

16 Aprile 2018

Image

 

Da Comedonchisciotte del 14-4-2018 (N.d.d.)

 

“Allora capo, facciamo che prendiamo tre palazzine vuote di periferia e ci picchiamo sopra un centinaio di missili che fanno BUM! BUM! BUM! dicendo che sono centri di ricerca sui gas venefici. Facciamo tipo alle 3 ora locale così è buio, la gente sta a casa e non corriamo rischi, i fotografi immortalano le scie dei missili perché una immagine vale più di cento parole. Lei va in televisione e fa il pezzo da padre severo ma giusto, io chiamo russi ed iraniani e gli do le coordinate dei lanci pregandoli di star calmi che se manteniamo tutti le palle ferme, nessuno si fa male e ne usciamo tutti alla grande, ok?” Così, alla fine deve esser andata e meno male. Avrebbero potuto farlo già due giorni dopo il presunto attacco quando è arrivata la Cook ed avrebbero dimostrato la stessa cosa ed in più anche di esser svegli e sempre sul pezzo. L’hanno invece fatto quando la faccenda s’era intricata assai e si rischiava di non saper più come uscirne senza perdere la faccia. Vedremo nei prossimi giorni ma l’impressione, anche leggendo i pezzi dei giornali mattutini, è che qualcuno voleva il colpo grosso, qualcuno voleva trascinare gli USA al first strike per iniziare una escalation da manovrare in un senso ben più ampio, rischioso e drammatico. Invece del first strike hanno avuto l’one shot, Armageddon è rinviato, anche questa volta la terza guerra mondiale non è iniziata, delusione. Delusione dei commentatori e pioggia di penne occidentaliste avvelenate su Trump, pallone gonfiato da sgonfiare con pennini appuntiti che fa quello che non dovrebbe e non fa mai quello che dovrebbe. Immagino le telefonate tra Netanyahu, May, Macron e gli amici americani che vedevano sgonfiarsi il trappolone messo in scena, anche stavolta è andata male. L’impressione è che, per l’ennesima volta, noi si sia sopravvalutata l’intelligenza e la sofisticatezza delle élite occidentaliste.

 

Solo pochi giorni fa abbiamo espulso ben 150 diplomatici russi per una ragazza poi dimessa dall’ospedale ed il padre che oggi mangia, legge il giornale e piano piano si sta rimettendo chissà da cosa visto che il presunto gas a cui si è sostenuto fosse stato esposto è incurabile e letale al 100%. Dopo quella bella prova di improvvisazione e cialtroneria, si è ripetuta la scena questa volta muovendo intere flotte, concitati Consigli di Sicurezza, giorni del giudizio e gli Avengers che a proposito escono con il nuovo episodio nelle migliori sale il prossimo 25 Aprile. L’ora più buia è quindi quella in cui sta sprofondando l’Occidente, una gloriosa civiltà che sembra aver le idee sempre più confuse, che mena fendenti a vuoto, che scambia la realtà per il cinema come neanche l’ultimo dei Veltroni, che combatte coi selfie ed i tweet e non si raccapezza più in un mondo che gli sta inesorabilmente sfuggendo di mano. Intanto pare che a Parigi sia morto Haftar, e Macron che ha due TGV fermi su tre e ha rischiato di diventare un meme eterno della vasta collezione delle figure di m. stile Powell, ora si trova con un problema in più. Anche il neo rieletto al Sisi e lo stesso Putin, perdono il loro campione nel teatro libico e vedremo come si riaprono i giochi colà. Il conflitto titanico permanente tra West and the Rest, continua. L’ora più buia è quella che precede il sorgere del sole. Peccato che il sole, notoriamente, sorge ad Oriente e che l’Occidente sia il luogo del tramonto.

 

Pierluigi Fagan

 

 
Nazioni scomode PDF Stampa E-mail

15 Aprile 2018

Image

 

Cerchiamo di capire cosa si nasconde dietro il caso Skripal e le accuse al regime siriano. Per fare questo è necessario una premessa. I conflitti moderni sono “guerre ibride”, confronti, dove si mescolano forme diverse di guerra: convenzionale e irregolare (Siria e Ucraina), cibernetica (russiagate) economica (le manovre speculative sul prezzo del gas, del petrolio e sul valore del rublo) mediatica (le immagini delle vittime civili dei bombardamenti russi in Siria, l’uso delle armi chimiche da parte del regime siriano) politica (le Rivoluzioni Arancioni nell’est Europa, il presunto sostegno di Mosca ai “populisti” europei). Nella “guerra ibrida” il fattore mediatico è decisivo, tanto o più di quello militare.

 

Il caso Skripal e il “gas” di Assad mi ricordano la sceneggiata delle armi chimiche di Saddam. Esempi di guerra mediatica, dove non ci sono limiti alla decenza e nemmeno spazio per la verità. Nel marzo del 2003, gli Stati Uniti per bocca del Segretario di Stato Colin Powell, sostennero di avere “solide prove” sul possesso di armi chimiche da parte dell’Iraq. Questo giustificò la “guerra preventiva”, l’invasione del Paese da parte degli anglo-americani. Le armi chimiche non furono trovate, ma gli Stati Uniti e la Gran Bretagna avevano raggiunto il loro scopo: abbattere Saddam e prendersi l’Iraq.

 

Il caso Skripal.

 

Il governo inglese accusa la Russia di aver avvelenato l’ex spia sovietica Sergey Skripal e sua figlia Yulia con il gas nervino Novichock (Salisbury 4 marzo 2018). Un’accusa che mi lascia perplesso per vari motivi.

 

Primo il movente. Non vedo quale interesse hanno i servizi segreti russi a eliminare un’ex spia inattiva da anni e quindi innocua. Un vecchio che sopravvive con la pensione del governo britannico. Forse una vendetta? Se questo era il movente, Skripal poteva essere eliminato in modo discreto, senza lasciare traccia; non avvelenandolo con un agente tossico prodotto in passato nei loro laboratori sovietici. I servizi segreti russi non sono così stupidi.

 

Secondo la mancanza di prove. Londra accusa Mosca ma non fornisce le prove, solo supposizioni, ipotesi da dimostrare. In un’intervista concessa a Sky News Gary Aitkenhead, il capo esecutivo dei laboratori governativi britannici ha dichiarato che non è possibile definire in quale Paese possa essere stata prodotto il Novichock. La formula di tale agente chimico è di pubblico dominio dagli anni 90, da quando uno dei suoi creatori, Vil Mirzanyanov fuggì negli Stati Uniti.

 

Terzo, la dura reazione di Londra e degli alleati atlantici. Dall’Europa e dagli Stati Uniti sono stati espulsi 150 diplomatici russi. Una reazione sproporzionata che la Gran Bretagna non ebbe nel caso Litvinenko, l’ex agente del KGB ucciso a Londra nel 2006 con il Polonio radioattivo.

 

Alle espulsioni di Londra, Mosca ha reagito espellendo altrettanti diplomatici, tra questi anche due italiani. Il nostro governo privo di autorevolezza e dignità si è accodato alle decisioni di Londra e di Washington, ha espulso due diplomatici russi; senza appurare la colpevolezza di Mosca e senza chiedersi se fosse conveniente inasprire i rapporti con la stessa.

 

Assad e le armi chimiche.

 

I ribelli accusano il regime siriano di aver usato le armi chimiche a Douma sobborgo di Damasco; ma anche in questo caso mancano il movente e le prove.

 

Manca il movente, Assad non ha interesse a usare le armi chimiche contro i ribelli proprio adesso che sta vincendo la guerra; armi che possano provocare solo un intervento americano, o aumentare l’isolamento politico del regime siriano. Assad non è uno stupido, usando le armi chimiche farebbe il gioco dei suoi nemici: i ribelli, che sperano nell’intervento militare straniero per vincere una guerra perduta; le nazioni ostili al regime siriano, che attendono un casus belli per attaccare la Siria.

 

Mancano le prove. Non è la prima volta che il regime siriano è accusato di aver usato armi chimiche contro i ribelli; ma in questo come in altri casi, i responsabili non sono stati identificati. Il 21 agosto 2013, a Ghouta quartiere est di Damasco, fu compiuta una strage usando il gas nervino Sarin, morirono oltre 1300 persone tra cui molti bambini. La responsabilità della strage fu attribuita ad Assad, che si dichiarò innocente e per evitare future accuse decise la distruzione dell’arsenale chimico, la Russia si fece garante dell’operazione; una parte consistente di detto arsenale (560 tonnellate) fu inviato in Italia per essere smaltito, arrivò nel Porto di Gioia Tauro (RC). Il rapporto ONU sulla strage Ghouta non ha mai identificato gli autori, si presume che la strage sia stata provocata dall’imperizia dei ribelli nel manipolare le armi chimiche. Nell’aprile del 2017 la situazione si ripete nella cittadina di Khan Shaykhun (Idlib) al confine turco, l’aviazione siriana è accusata di aver usato armi chimiche; in realtà i caccia siriani colpirono delle palazzine, dove erano stoccati prodotti chimici provocandone la diffusione nell’ambiente, ci furono 86 morti, uno su tre era un bambino.  

 

Tante ipotesi una certezza, Russia e Siria sono nazioni “scomode” agli Stati Uniti e ai loro alleati.

 

La Russia è una rinata potenza globale che sfida l’ordine unipolare imposto dagli Stati Uniti. Londra con il caso Skripal ha agito in difesa degli interessi atlantici, il Regno Unito è una “piccola” potenza, l’alleato più fedele degli Stati Uniti in Europa dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Putin è troppo forte per essere rovesciato con una “rivoluzione arancione”; improponibile abbatterlo manu militari come avvenuto con Saddam o con Gheddafi, resta la carta dell’isolamento internazionale. Gli Stati Uniti e i loro alleati vogliono isolare la Russia affinché i vertici russi abbandonino Putin. Il caso Skripal è parte di questa strategia.

 

La Siria alleata della Russia e dell’Iran ostacola gli interessi degli Stati Uniti e dei loro alleati in Medio Oriente. Per gli americani il conflitto siriano è stato un disastro: Assad sta vincendo la guerra grazie al sostegno russo-iraniano; dai colloqui di Pace sulla Siria sono stati esclusi gli Stati Uniti e l’Europa (vertice di Astana in Kazakistan, gennaio - giugno 2017); la Turchia ex alleata degli Stati Uniti è stata costretta a scendere a patti con Assad e ora combatte i curdi appoggiati dagli americani. Gli Stati Uniti non vogliono perdere il controllo del Medioriente, puntano su un forte intervento militare per modificare la situazione a loro favore; ma tale intervento deve essere giustificato all’opinione pubblica nazionale e internazionale, l’uso armi chimiche da parte del regime siriano fornirebbero il casus belli alla Casa Bianca.

 

Gli Stati Uniti non saranno soli, avranno accanto a sé i francesi, come assicura il Presidente Emmanuel Macron; l’Africa e il Medio Oriente, sono lo spazio geopolitico in cui agisce la Francia, potenza neocoloniale europea. A sostenere l’intervento americano ci saranno anche Londra e l’Arabia Saudita.

 

In Siria Trump è spinto a intervenire non solo per ragioni di politica estera ma anche per ragioni di politica interna: l’8 novembre si terranno le elezioni di medio mandato (Mid Term Elections). Trump vittima del russiagate potrebbe sfruttare la situazione siriana per dimostrare al Paese che con la Russia non ha alcun legame. Nulla di nuovo sotto il sole: nel 2011, il consenso interno fu uno dei motivi che indussero il presidente francese Sarkozy ad attaccare la Libia. Ora si tratta di capire se l’intervento americano sarà di facciata, come quello dell’aprile del 2017 sull’aeroporto siriano di Shayrat - Homs (gli americani distrussero solo dei vecchi Mig siriani e non colpirono le truppe russe); oppure scatenerà una guerra, come in Kosovo nel 1999 quando la Nato attaccò la Serbia. In quest’ultima ipotesi le conseguenze potrebbero essere gravi: un conflitto tra superpotenze dagli esiti imprevedibili, l’acuirsi dei conflitti in Medio Oriente, la crescita della minaccia islamista. Questo ipotetico conflitto coinvolgerebbe l’Italia: a causa della posizione strategica che occupa nel Mediterraneo e a causa delle basi americane presenti sul nostro territorio. Come in Libia sarà una guerra dove avremo tutto da perdere e niente da guadagnare.

 

Giorgio Da Gai

 

 
Non debito pubblico ma credito alla società PDF Stampa E-mail

14 Aprile 2018

 

Da Appelloalpopolo dell’11-4-2018 (N.d.d.) 

 

Quando si racconta una storia, anche ai nostri figli, abbiamo un determinato modo di raccontarla. Ogni storia ha il suo modo. Il motivo sta principalmente nel fatto che vogliamo che la storia faccia riflettere su determinate cose, muova certi angoli dell’anima, lasci una determinata impressione, buona su certi aspetti, fatti o personaggi, meno su altri. Non è diverso per le storie che ci raccontano in televisione e sui giornali: chi racconta la storia vuole esattamente le stesse cose. Non c’è bisogno di pensare a complotti o chissà cosa; dal momento che chi racconta la storia sono alcuni e non altri, la storia esce in un certo modo e non in un altro. E dal momento che questi rappresentano tutti i medesimi interessi, la storia esce identica, sempre la stessa, con minime sfumature, come se a raccontarla fosse lo stesso genitore allo stesso figlio. La storia che ho in mente adesso è quella che narra del credito al consumo e del debito pubblico. Già i personaggi sono tratteggiati in modo perfetto.

 

Credito è attivo di bilancio (attivo, azione, efficienza), parte buona, dimostrazione di sana e robusta costituzione economica, è parola che puoi pronunciare con sicurezza, col sorriso sulle labbra, senza paura. Se il credito è al consumo l’immagine si arricchisce moltiplicando il suo contenuto positivo. Il credito al consumo ti fa vivere appieno la nuova natura di consumatore che la società ti ha assegnato. Potrai comprare quel televisore 4K 65 pollici, godere di quella vacanza ai Caraibi o del SUV che hai sempre sognato. Il credito al consumo è di per sé bello, in questa storia. Debito è passivo di bilancio (passivo, stasi, blocco, impotenza), cosa di cui vergognarsi, da non far sapere in giro, peccato da espiare. Pubblico, diventa poi sinonimo di inefficienza, burocrazia, lentezza; pare quasi che la parola stessa lo generi, il debito.

 

Se proviamo a guardarli meglio, questi personaggi, saltano subito all’occhio un po’ di contraddizioni e di forzature nella narrazione. Il credito al consumo. Sì, il credito; ma se il credito è al consumo, il debito è il tuo. Il tuo come individuo singolo, con un lavoro probabilmente precario e una famiglia da mantenere; il credito invece, è di una banca. Hai poi mai letto che devi rispettare un rapporto debito/reddito? O che devi stare attento a non vivere sopra le tue possibilità? Che il debito che contrai, tu, verso una banca, ricadrà sui tuoi figli? Che devi essere virtuoso? No? Nemmeno io l’ho mai letto. Eppure è vero, per te. Pensa, non sei neanche uno Stato. Che tu ci creda o no, non hai una banca centrale che in teoria potrebbe crearti i soldi con cui pagare i debiti. Non essendo uno Stato, non puoi neanche dotarti di quegli istituti normativi tali da rendere il tasso di interesse sul tuo debito, completamente sostenibile. Eppure nessuno dice niente, a te. Pensa, i tassi di interesse che paghi sono multipli dell’inflazione, ma non pare che qualcuno si preoccupi di avvisarti o ammonirti. Mi pare invece, perché a me arrivano, che ti arrivino a casa dei volantini in cui i soldi te li offrono a tassi agevolati (agevolati? imperdibili!) del 6-7% annui. Tassi sicuramente convenienti, non è vero? Per loro che li riscuotono sicuramente. Ti avvertono? Ti fanno sermoni? No, non te li fanno. Chissà perché… Noi siamo avidi di questo credito, lo vogliamo, ci adontiamo se non ci viene concesso. Lo cerchiamo in tutti i modi. Non sempre è una ricerca voluttuaria, perché il bisogno è reale. Il loro credito, privato, che è il tuo debito, è in fin dei conti l’unico modo con cui puoi andare avanti in questa società fatta di svalutazione dei salari, povertà dei lavoratori, precarietà. La lotta per la sopravvivenza contempla giornate passate a cercare di abbassare un interesse su un mutuo dello 0,1%. Le tue giornate, il tuo tempo, la tua vita.

 

E il debito pubblico? Quello non serve per te come consumatore. Serve invece per te, cittadino, lavoratore, uomo, donna, padre o madre di famiglia. Con quello puoi avere un ospedale vicino a casa, mantenere un punto nascita. Puoi avere una giustizia dotata di organici e mezzi per garantirla in tempi idonei. Puoi mettere in sicurezza il territorio da eventi catastrofici. Puoi avere scuole dignitose con organici di docenti preparati. Puoi pagare la pensione ai lavoratori ad un’età che consenta loro di vivere serenamente e dignitosamente la vecchiaia. Puoi comprare alle madri (e ai padri) il tempo necessario per prendersi cura dei figli. Sostenere i settori economici strategici della nazione, aziende, figuriamoci, che pagano le tasse in Italia.  E pensa: contrariamente al SUV, al televisore o al tagliaerba, che con quasi assoluta certezza vanno a pagare e creare lavoro cinese o coreano o tedesco, tutte quelle cose elencate sopra, creano lavoro italiano e pagano lavoratori italiani; magari consentono di tenere in Italia tanti giovani oggi costretti a emigrare dopo l’università; probabilmente permettono alle famiglie di avere figli, tanti figli e non allo scopo di “pagarci le pensioni”. In una parola, il debito pubblico, crea ricchezza privata e la crea in modo ben distribuito, diminuendo le disuguaglianze economiche e sociali. Con quella ricchezza, che è risparmio e sicurezza del futuro, potresti anche comprarti un televisore, ma col tuo salario e col tuo risparmio, non con i debiti verso le banche. Eppure la storia che ci raccontano dice questo: che il debito pubblico è brutto; che il debito pubblico deve essere ridotto, e non negli interessi pagati su di esso, ma facendo in modo che le spese dello stato siano al di sotto delle entrate. Penso che capiate cosa significa questo. Significa un ospedale in meno, una scuola inagibile in più, uomini e donne costrette a lavorare fino alla soglia dei 70 anni, strade fatiscenti e pericolose, fiumi che esondano e boschi che bruciano, giovani che fuggono, figli che non nascono… Ma continuano a dire che è brutto e va ridotto, annientato, spazzato via, temuto come la peste. Come mai? Come mai, riflettete su questo, quando ci dicono che lo Stato deve comportarsi come una famiglia, attribuiscono alla famiglia quel comportamento economicamente virtuoso che poi non chiedono alle famiglie stesse, esortandole a fare esattamente l’opposto? Come mai dimenticano di dire che lo Stato, contrariamente alle famiglie, in tutto il mondo, è dotato di una Banca Centrale che fornisce al governo il fabbisogno di denaro per fare tutte quelle belle cose utili, acquistando titoli emessi dal governo nella stessa valuta? Perché si dimenticano di ricordare che anche da noi funzionava così? Che eravamo dotati di istituti e leggi che consentivano di finanziare le spese dello stato in questo modo a tassi di interesse reali negativi? Perché non ci rammentano che uno Stato che emette debito nella valuta che controlla non può fare mai default? Perché? Già, perché… Come un usuraio ricerca prede vulnerabili o, mediante i suoi ambienti, si garantisce la sua vulnerabilità, portandogli via i mezzi di sussistenza, così il capitale e i gruppi finanziari si assicurano che lo stesso accada agli Stati. Togliendo allo Stato la sovranità monetaria (che è la possibilità di emettere debito sempre solvibile perché emesso nella propria valuta) riducendolo a preda, gli usurai della finanza internazionale, complice una classe politica connivente o incompetente, hanno stretto la corda al suo collo, al tuo collo. La corda degli interessi sul debito, diventato improvvisamente rischioso, perché emesso in una moneta estera, ha innescato il ricatto, trasformando l’economia dello Stato in quella di una famiglia. L’usuraio vuole sempre i suoi interessi, quindi l’unica cosa da fare è ridurre le spese correnti. Ho già scritto cosa significa ridurre le spese dello Stato nella parte corrente, in termini di distruzione dei servizi e dello Stato sociale. A cosa è servito, a loro? È abbastanza semplice: a prendersi tutto, con la garanzia che tu facessi il tifo per loro.  Prima le imprese pubbliche, “poco produttive”, “incapaci di stare al passo con le sfide della modernità”, “corrotte e colluse con la partitocrazia”. Poi, ed è la seconda fase, ancora in corso, è la volta dei servizi pubblici, sanità, scuola, previdenza; ridotti i finanziamenti, lasciati andare alla deriva, spolpati, malfunzionanti, carenti di personale e mezzi, sono i cittadini a invocare la mano privata. Ma privato vuol dire che chi ha i soldi può avere quello che vuole, pagando. Chi non li ha, perde tutto. Oppure, si indebita, lui, personalmente.

 

Eravamo partiti da lì, mi pare. E questo è il secondo obiettivo. Il primo era spogliare lo Stato dei suoi beni, delle sue aziende e sostituirlo come fornitore di servizi essenziali per poterci lucrare sopra. Il secondo sei tu. Il tuo risparmio. Per perseguire questo secondo obiettivo entra in scena un altro attore della storia narrata: le tasse. Perché in uno Stato la cui economia è ridotta ad essere economia domestica, le tasse servono a finanziare il fabbisogno di spesa. Invece, in uno Stato dotato di sovranità monetaria, le tasse non servono a questo: servono a realizzare politiche redistributive (con le aliquote) e a controllare l’inflazione (con il livello complessivo). Pare impossibile anche pensare che non servano a finanziare le spese, visto cosa raccontano le televisioni o gli esperti dagli articoli delle più grandi testate nazionali. Invece è proprio così. Se avete seguito il ragionamento, sapete anche il motivo, ma lo ripeto: i soldi per la spesa pubblica vengono dalla sovranità monetaria e dagli istituti che la regolano. Ma una volta che il cappio è stato stretto, la cessione della sovranità monetaria, il debito emesso in moneta estera, le tasse invece servono proprio per finanziare le spese e sono ovviamente alte, molto alte, talmente alte che non ce la devi fare più a pagarle. Allora ti indebiti, con le banche o verso il fisco, convinto che non ce l’hai fatta perché non sei stato abbastanza bravo e competitivo, maledicendo lo Stato ladro. Perdi tutto, invocando la fine dello Stato. Il cerchio si chiude; secondo obiettivo raggiunto. Questo accade da quarant’anni, in tutto il mondo, in ogni paese la cui ricchezza pubblica o i risparmi dei cittadini vengono messi nel mirino del capitale privato e della finanza.

 

Mi sono chiesto allora cosa succederebbe se la storia, con questi pochi elementi che abbiamo, provassimo a raccontarcela da soli, o semplicemente a prendere il libro e leggerlo, senza permetter loro di intonare le solite cantilene, usare le stesse espressioni, tratteggiare le stesse immagini, sempre le solite. Non è facile, perché anni di favole ci hanno condizionato pensieri e riflessi. Proviamo a fare allora questo esercizio. Smettiamo di parlare di debito pubblico. È inutile e dannoso. Ci fa male anche il suono dell’espressione; non ci riesce smettere di odiare una cosa del genere. Proviamo a chiamarlo “credito alla società”, indipendentemente dalla correttezza tecnica dell’espressione. Pensiamo a questo credito come qualcosa che potremmo avere, noi tutti, nella nostra vita di ogni giorno, senza troppa fatica e ricatti di alcun genere, se solo ritrovassimo la sovranità perduta. Se non riusciamo a non odiare il “debito pubblico”, riusciremo invece ad amare il credito alla società. Amare il credito alla società significa amare la sovranità. Ci libereremo.

 

Iacopo Biondi Bartolini

 

 
Capitalismo di sorveglianza PDF Stampa E-mail

13 Aprile 2018

Image

 

Da Comedonchisciotte dell’11-4-2018 (N.d.d.)

 

La prassi è ormai consolidata, si strumentalizza una notizia clamorosa per demonizzare il web e la sua libertà di informazione, si prende l’episodio Facebook – Cambridge Analytica e lo si gonfia come un caso clamoroso, con le sue menzogne, fake news, condizionamenti del consenso elettorale. Ma dietro al caso c’è lo scontro di potere tra le potenti élites del regime tecnoligarchico globale. Dice il Financial Times che Bruxelles si prepara a reprimere le società di social media, accusate di diffondere «fake», perché nutre forti perplessità sul fatto che scandali come la vendita di profili Facebook stia rischiando di «sovvertire i nostri sistemi democratici». La Commissione europea teme che le elezioni del prossimo anno al Parlamento europeo possano essere alterate dalla «disinformazione euroscettica» che sta prevalendo online. La preoccupazione di Bruxelles sembra essersi acuita dopo il caso di CA e la sua raccolta d’informazioni personali su circa 50 milioni di utenti Facebook, durante le elezioni presidenziali americane. Julian King, commissario europeo per la sicurezza, chiede «regole chiare» per disciplinare i social media durante periodi di «elezioni delicate», a partire da quelle del Parlamento europeo del maggio 2019. Una lettera di Sir Julian a Mariya Gabriel, commissario per l’economia digitale, richiede maggiore trasparenza sugli algoritmi interni delle piattaforme, limiti sulla «raccolta di informazioni personali» per scopi politici e divulgazione da parte di aziende tecnologiche di chi finanzia «contenuti sponsorizzati» sui loro siti web. Strumentalizzare le rivelazioni di Cambridge Analytica è stato l’immediato intento dei funzionari dell’UE, che hanno caricato a dismisura il problema, per paventare i forti rischi che la pseudo-democrazia europea starebbe correndo e riuscire di conseguenza a mettere il bavaglio al web.   Le «attività di targeting psicometrico» come quelle di Cambridge Analytica, una società di analisi dei dati, sono solo una «anticipazione degli effetti profondamente inquietanti che tale disinformazione potrebbe avere sul funzionamento delle democrazie liberali», ha scritto Sir Julian nella lettera del 19 marzo. «È chiaro che la minaccia per la sicurezza informatica che stiamo affrontando sta cambiando, da un sistema principalmente mirato a uno che è sempre più diffuso come cyberspazio per manipolare il comportamento, approfondire le divisioni sociali, sovvertire i nostri sistemi democratici» aggiunge la lettera. […]

 

Nel panottico digitale del nuovo millennio si viene twittati o postati, il soggetto e la sua psiche diventano produttori attivi di pensieri e beni immateriali, i dati personali e le emozioni sono costantemente monetizzati e commercializzati. È il «surveillance capitalism», divulgato dalla docente di economia aziendale di Harvard, Shoshana Zuboff in «The Age of Surveillance Capitalism», espressione di un nuovo genere di capitalismo che monetizza i dati acquisiti attraverso la sorveglianza sul web. […] Zuboff afferma che il mondo online, diversamente da una specie di «nostro mondo», è ora il mondo dove il capitalismo si sta sviluppando in nuovi modi, mediante l’estrazione dei dati piuttosto che la produzione di nuovi beni, generando così intense concentrazioni di potere e minacciando valori fondamentali come la libertà e la privacy. Il capitalismo di sorveglianza produce una nuova espressione di potere largamente incontrastata, che riesce ad alienare in modo efficace le persone dal loro stesso comportamento, mentre produce nuovi mercati di predizione e modifiche comportamentali, tale da sfidare le norme democratiche e allontanarsi in termini decisi dall’evoluzione secolare del capitalismo di mercato. Bloomberg Business Week per esempio rileva che il sistema automobilistico vuole offrire agli assicuratori la possibilità di aumentare le entrate vendendo loro i dati dei clienti. Thomas Wilson, il CEO di Allstate Corporation vuol fare come Google «Ci sono molte persone che oggi stanno monetizzando i dati. Vai su Google e sembra che sia gratis. Non è gratis, perché stai dando loro informazioni e loro vendono le tue informazioni. Potremmo, dovremmo vendere queste informazioni? È un gioco a lungo termine».

 

Google è il punto zero di una nuova sottospecie del capitalismo, in cui i profitti derivano dal monitoraggio unilaterale e dal cambiamento del comportamento umano. Quali sono i segreti di questo nuovo capitalismo di sorveglianza, e in che modo tali società producono una tale ricchezza mozzafiato? Non si tratta di un romanzo distopico, nessuna osservazione di un manager nella Silicon Valley e nemmeno un membro della NSA, il sistema è già in uso e in fase di continua evoluzione. Stiamo assistendo a una ridistribuzione rivoluzionaria del potere, e dopo le campagne per Brexit, Trump e in seguito M5S, ci si è accorti di quanto siano ampiamente utilizzati strumenti come social media o il micro-targeting, i robot e la sorveglianza commerciale per ottenere un vero potere politico/economico vincente. Mentre il vecchio mondo trema, ne sta emergendo uno nuovo, le piattaforme stanno cominciando a comportarsi come stati e gli attivisti digitali stanno scuotendo i partiti politici. Quello che una volta sembrava essere uno stato di emergenza digitale sta diventando la nuova normalità. […]

 

Ma questa storia viene inquadrata in modo fuorviante, si esamina Cambridge Analytica come fosse del tutto al di fuori del sistema, come se il problema principale fosse che i cattivi attori della società avessero attraversato i fili di trasmissione di Facebook nel modo prometeico di Victor Frankenstein, rubando agli dei per condizionare le coscienze globalizzate. Quindi, per fare un’analisi obiettiva di tutta la storia, bisogna ammettere che l’uso di tecniche di marketing e pubblicità manipolate per venderci prodotti, stili di vita e idee è stato il fondamento della moderna società americana, tornando ai tempi del sedicente inventore delle pubbliche relazioni, Edward Bernays. Il vero santo graal dell’era digitale, risalente ormai a mezzo secolo fa, anche quando si tratta di commercializzare candidati e messaggi politici, usare i dati per influenzare le persone e plasmare le loro decisioni. […] Questo commercio di dati degli utenti ha permesso a Facebook di guadagnare $ 40 miliardi l’anno scorso, mentre Google ha incassato $ 110 miliardi. Praticamente tutto ciò che inseriamo nelle numerose piattaforme di Google, dalla corrispondenza e-mail alle ricerche Web e alla navigazione in internet, viene analizzato e utilizzato per profilare gli utenti in modo estremamente invasivo e personale. La corrispondenza e-mail viene analizzata per significato e argomento, i nomi sono abbinati a identità e indirizzi reali, gli allegati di posta elettronica, estratti conto bancari o risultati di test di laboratorio medico, vengono raschiati per ottenere informazioni. Dati demografici e psicografici, inclusa la classe sociale, estraggono il ​​tipo di personalità, età, sesso, appartenenza politica, interessi culturali, legami sociali, reddito personale e stato civile. Nel complesso, la filosofia di profilazione di Google non è diversa da quella di Facebook, che costruisce anche «profili ombra» per raccogliere e monetizzare i dati, anche se non hai mai avuto un account registrato di Facebook o Gmail. Include persino giochi divertenti come Angry Birds, sviluppato dalla finlandese Rovio Entertainment, che è stato scaricato più di un miliardo di volte. La versione Android di Angry Birds è stata usata per estrarre dati personali sui suoi giocatori, tra cui etnia, stato civile e orientamento sessuale, comprese le opzioni di categorie per single, sposato, divorziato, fidanzato e scambista. Nel lancio di Android, Google ha scommesso sul fatto che, rilasciando gratuitamente il proprio sistema operativo ai produttori, sarebbe poi stato in grado di controllare l’intera telefonia mobile, rendendola il miglior gatekeeper delle molte interazioni monetizzate tra utenti, app e inserzionisti. Oggi Google monopolizza il mercato degli smartphone e domina il business della sorveglianza mobile per il profitto. […] Naturalmente, nell’ultimo decennio sono sorti un gran numero di compagnie e agenti operativi sulla scena elettorale globalizzata sempre più incentrata sui dati, da collegare a queste fantastiche macchine d’influenza. C’è un’intera costellazione di diversi tipi di strategie: il targeting degli elettori tradizionali, i moti vorticosi della propaganda politica, gli eserciti dei troll e i robot. Alcune di queste aziende sono politicamente agnostiche, lavorano per chiunque abbia denaro, altri sono invece molto faziose. […]

 

La Silicon Valley non offre solo campagne con piattaforme neutrali, lavora anche a stretto contatto con i candidati politici al punto che le più grandi compagnie di internet sono diventate un’estensione del sistema politico americano.  Facebook, Twitter e Google vanno oltre la promozione dei loro servizi e facilitazione degli acquisti pubblicitari digitali, modellando attivamente la comunicazione della campagna attraverso la loro stretta collaborazione con lo staff politico, servono appunto come consulenti digitali per le campagne, plasmando strategie, contenuti ed esecuzione. Nel 2008, il giovane e alla moda Blackberry Barack Obama è stato il primo candidato di partito importante sulla scena nazionale a sfruttare appieno il potere di agitprop mirato su Internet. La prima campagna Obama ha costruito un’iniziativa innovativa di micro-targeting per raccogliere enormi quantità di denaro in piccoli pezzi direttamente dai sostenitori di Obama, che è salito al potere grazie anche alla tecnologia di profilazione e targeting di Facebook. Per ora non esiste alcuna legge che impedisca a Facebook di fare tutto ciò, influenzare il feed di un utente in base a obiettivi politici, per obiettivi aziendali, per finanziamenti di gruppi politici, anche fossero le preferenze personali di Mark Zucchino. Il fatto è che aziende come Facebook e Google sono sistemi di comunicazione pubblici che funzionano sulla profilazione e la manipolazione per il profitto privato, senza alcuna regolamentazione o controllo democratico. Ma certo, meglio denunciare lo scandalo di Cambridge Analytica, o meglio dare la colpa ai russi. Cambridge Analytica è stato uno degli spauracchi minori per la vittoria di Trump. Nel marzo 2017, il New York Times, che ora strombazza la saga della rapina di Facebook da parte di Cambridge Analytica, ha messo in dubbio la tecnologia della società e il suo ruolo politico di propaganda. «Un telefono cellulare ha occhi, orecchie, una pelle e conosce la tua posizione. Occhi, perché non ne vedi mai uno che non abbia una macchina fotografica. Orecchie, perché hanno tutti i microfoni. Pelle perché molti di questi dispositivi sono touch screen. E il GPS gli consente di conoscere la tua posizione».  (Vic Gundotra, ex vicepresidente social di Google, su Android)

 

 Rosanna Spadini

 

 
Schiavi senza catene PDF Stampa E-mail

12 Aprile 2018

Image

 

Da Rassegna di Arianna del 10-4-2018 (N.d.d.)  

 

In una lettera del 21 ottobre 1949, lo scrittore Aldous Huxley ringraziava l’ex allievo dell’Eton College, George Orwell, per avergli spedito una copia del suo nuovo romanzo, 1984. Huxley si mostrava entusiasta del manoscritto ma si permetteva di notare la differenza sostanziale tra il modello di dittatura “dolce” immaginato da lui 17 anni prima nel romanzo distopico Il mondo nuovo, e quello invece cupo e “sadico” descritto da Orwell, spiegando cosa, secondo lui, sarebbe avvenuto nel prossimo futuro: «Credo che le oligarchie troveranno forme più efficienti di governare e soddisfare la loro sete di potere e saranno simili a quelle descritte in Il mondo nuovo». Huxley si mostrava convinto che i governanti avrebbero assunto la forma della dittatura “dolce”, in quanto avrebbero trovato nell’ipnotismo, nel condizionamento infantile e nei metodi farmacologici della psichiatria un’arma decisiva per piegare le menti e il volere delle masse. Un’ipotesi che il romanziere inglese avrebbe confermato nel 1958 nel suo saggio Ritorno al mondo nuovo. In estrema sintesi, il potere si sarebbe presto convinto a ricorrere all’ipnosi e alle tecniche di condizionamento farmacologico per controllare e manipolare le masse, in modo da attuare quella che Huxley definiva «the ultimate revolution»: «Entro la prossima generazione chi tiene le redini del mondo scoprirà che […] la sete di potere può essere soddisfatta nella sua pienezza inducendo le persone ad amare il loro stato di schiavitù, piuttosto che ridurle all’obbedienza a suon di frustate e calci. Insomma, penso che l’incubo descritto in 1984 sia destinato a evolversi in quello descritto in Il mondo nuovo, se non altro come esito di una necessità di maggiore efficienza».

 

Ai metodi repressivi oggi si preferisce (ancora) affiancare la manipolazione “dolce” volta a far credere ai cittadini, secondo la lezione di Huxley, che costoro siano liberi di scegliere quando invece tutte le loro decisioni vengono decise e orientate dall’alto. In entrambi i modelli di totalitarismo, cupo e dolce, è però fondamentale la propaganda di cui i media mainstream si fanno docile cassa di risonanza. Nessun regime può infatti sostenersi senza di essa, così come, paradossalmente, le democrazie occidentali fanno ricorso proprio alla manipolazione capillare dell’opinione pubblica.  Nella società democratica le opinioni, le abitudini e le scelte delle masse vengono cioè indirizzate, come spiegava nel 1928 Edward Bernays – considerato il fondatore delle Pubbliche Relazioni −, da un «potere invisibile che dirige veramente il Paese». Secondo Bernays la propaganda è fondamentale per “dare forma al caos”. Le tecniche usate dal potere per plasmare l’opinione pubblica sono state inventate e sviluppate negli anni, spiegava Bernays, «via via che la società diventava più complessa e l’esigenza di un governo invisibile si rivelava sempre più necessaria».

 

Quello che cambia nell’attuale società rispetto a quella immaginata da Orwell o dal sistema di controllo panottico, è che il controllo sociale, grazie da un lato alla sorveglianza tecnologica (ne abbiamo avuto qualche assaggio con lo scandalo di Cambridge Analytica) e dall’altro a tecniche di propaganda sempre più sofisticate, si è reso invisibile, permanente e capillare e investe tutti in quello che il sociologo Marshall McLuhan ha denominato il “villaggio globale”. Oggi, grazie a una fitta rete di controllo che avviene anche grazie al web, ogni individuo può spiare il prossimo arrivando persino a “segnalarlo” e a tradirlo schierandosi di fatto col potere invisibile (come nei regimi). Tutti controllano tutti e di fatto si mantiene l’ordine anche grazie all’omologazione dei cittadini che non si rendono conto di essere solo le pedine di uno schema di controllo più grande di loro. Con l’avvento della moderna società di massa il potere ha dovuto esercitarsi su un numero sempre maggiore di persone. L’arte del controllo ha finito per divenire scienza delle Pubbliche Relazioni o, meglio, una “scienza della manipolazione” di sconcertante raffinatezza che riesce a influenzare comportamenti e modi di essere, a volte senza nemmeno dover fare uso della coercizione fisica (pensiamo al fenomeno degli spin doctors). Come anticipato, Bernays parlava di «tecniche usate per inquadrare l’opinione pubblica» portate avanti da un “governo invisibile”, facendo eco a quanto aveva già dichiarato nel 1884 il primo ministro britannico Benjamin Disraeli: «Il mondo è governato da tutt’altri personaggi che neppure immaginano coloro il cui occhio non giunge dietro le quinte».  Il potere oggi, per risultare maggiormente efficace, preferisce infatti rimanere “nell’ombra”, palesandosi il meno possibile. Un potere nascosto, ha l’indubbio “pregio” di rimanere praticamente inattaccabile. Può anche, se vuole, favorire ora l’uno ora l’altro dei “poteri visibili” e persino, se lo ritiene necessario, favorire contemporaneamente due schieramenti apparentemente opposti che potranno così, più o meno incoscientemente, perseguire in maniera diversa l’unico fine a cui mira tale Potere (il metodo del Divide et Impera).  Infine, un potere nascosto (o comunque non immediatamente identificabile dai più) ha la possibilità di fare quello che nessun governo o potere visibile può compiere fino in fondo: manipolare quasi alla perfezione i sentimenti e la mentalità di massa senza dare l’impressione di farlo; controllare i popoli entrando nel loro immaginario, plasmando cioè le menti, le coscienze degli individui.

 

La questione del controllo attraverso la manipolazione dell’immaginario e dell’emotività delle masse di cui parlo in Fake news (Arianna Editrice) è fondamentale per comprendere gli attuali attacchi alla libertà individuale di cui siamo testimoni in quest’epoca.  In questo scenario si inserisce infatti l’attuale battaglia mainstream contro le cosiddette fake news che sembra riecheggiare l’operato del Miniver orwelliano e sembra riproporre una nuova forma di Maccartismo 2.0: si tratta cioè di una articolata caccia alle streghe che ha come obiettivo la repressione del dissenso. Essa strumentalizza la questione del cyber bullismo da una parte e il dilagare di bufale sul web per portare all’approvazione di una censura della Rete arrivando a ipotizzare l’introduzione del reato d’opinione, una forma moderna di psicoreato.  Lo scopo è quello di continuare a manipolare l’opinione pubblica e in particolare coloro che sono considerati “semplici spettatori”, ossia quel gregge (noi, il popolo) che va orientato nelle proprie scelte in modo che non si svegli e soprattutto che non esprima il proprio pensiero in modo libero e critico. Lo scopo, citando ancora Chomsky, è che «il gregge disorientato continui a non orientarsi».

 

Enrica Perucchietti

 

 
<< Inizio < Prec. 101 102 103 104 105 106 107 108 109 110 Pross. > Fine >>

Risultati 1681 - 1696 di 3745