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L'ultimo spenga la luce PDF Stampa E-mail

22 Gennaio 2017

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Da Rassegna di Arianna del 20-1-2018 (N.d.d.)

 

[…] Negli anni immediatamente precedenti della pubertà, ci sembrava frutto di vecchiaia e incapacità di comprendere il nuovo una frase ricorrente della nonna, stupita del fatto che tutti i giovani andassero alle scuole superiori: ma se studiano tutti, chi andrà a lavorare? Un’altra osservazione della vecchia signora – che iniziò a lavorare a 8 anni e aveva allevato figli e nipoti – la capivamo ancora meno. Nel laboratorio sociologico inconsapevole che era diventata Genova, iniziava a manifestarsi una certa denatalità, la tendenza ad avere uno, massimo due figli, in anticipo sul resto d’Italia e d’Europa. Nonna Luigia, lettrice scrupolosa del quotidiano locale, era al corrente di tutto, e commentava nel suo dialetto antico: se non nascono bambini, finisce il mondo! Aveva ragione su tutta la linea, dall’alto di più di 80 anni di vita e dal basso di un’istruzione fermatasi alla seconda elementare di fine secolo diciannovesimo. Adesso, i nodi sono venuti al pettine. L’Italia batte ogni anno record di denatalità, non è più così lontana o folle l’idea dell’estinzione biologica degli italiani di stirpe. Tutto ha un termine e l’eventuale fine del popolo italiano non sarà che un episodio nella storia umana. Si dà il caso, tuttavia, che si tratti della nostra storia, ed allora merita qualche riflessione in più, oltre l’indifferenza o il distratto de profundis di qualcuno. Mussolini usava affermare che il numero è potenza; forse sbagliava, ma il numero che scende è sicuramente impotenza. Non solo in termini culturali – una nazione il cui numero di membri cala disperde un patrimonio incalcolabile – e non solo in termini storici o sentimentali. Il nostro è il tempo del dominio dell’economia. Qui, davvero, il numero è potenza, il declino demografico impotenza. Proviamo ad osservare un paese dei tanti del nostro territorio. Il calo delle nascite produce la chiusura di reparti di ospedale per concentrare i cosiddetti “punti nascita”, ma, a catena, significa il ridimensionamento e poi la chiusura delle scuole. Entro pochi anni, l’invecchiamento della popolazione porta alla cessazione di molte attività commerciali, l’inverno demografico costringe a concentrare altrove servizi essenziali, come le poste, i servizi sanitari, le farmacie, chiudere i commerci di prossimità. Le attività produttive tendono ad abbandonare il territorio, gli abitanti devono trasferirsi, persino gli anziani sono costretti ad emigrare, impossibilitati a rimanere in zone prive di servizi. E poiché il moto è “in fine velocior”, i fenomeni si manifestano e esplodono all’improvviso. Intere province, anzi regioni intere, in Italia e in Europa, si vanno svuotando a ritmi accelerati. In molte città, chiudono i negozi e finanche diversi supermercati, sostituiti da attività gestite da stranieri, mentre si moltiplicano i negozi che vendono prodotti destinati agli animali domestici: figli no, canarini e amici a quattro zampe sì. L’immigrazione diventa l’unica possibilità di rigenerazione biologica, per quanto ci turbi ammetterlo. Pochi giorni fa, il presidente Gentiloni ha espresso una sgradevole e sgradita verità, a margine del vertice italo francese. Parlando dei flussi migratori, ha affermato “di quella gente avremo bisogno”.

 

È fin troppo evidente che le nostre classi dirigenti (politiche, culturali, economiche, finanziarie) sono le prime colpevoli di quanto stiamo vivendo, per cui non possiamo accettare i discorsi metà buonisti e metà rassegnati del primo ministro, ma dai fatti non si prescinde. Il 2018 che stiamo vivendo ci ricorda che è passato giusto mezzo secolo dal fatidico 1968, l’anno dell’ultima rivoluzione, sia pure incruenta, dei popoli europei e occidentali. Cinquant’anni sono tanti, tantissimi, in epoche caratterizzate dalla rapidità dei cambiamenti. Eppure, tutto cominciò lì, giusto una generazione dopo la fine di una guerra che mandò al potere il mercato e l’economia, l’apoteosi del secolo americano. Il ‘68 iniziò e prese forma nelle università californiane e sbarcò poi a Parigi. Anticapitalistico, antiautoritario e antiborghese, si trasformò nella vittoria schiacciante di un capitalismo nuovo, ansioso di liberarsi di ogni limite posto dalle idee del passato. Marcello Veneziani sottolinea il declino post-sessantottino della famiglia e dell’amor patrio, dell’autorità e dei sentimenti religiosi, un cambiamento radicale che ha svolto il lavoro sporco utile agli interessi del capitalismo, di una nuova cinica borghesia predatoria traslocata nel progressismo di maniera e nel sinistrismo salottiero. Il ‘68 fu parricida, ma, prosegue acutamente l’intellettuale pugliese: “dopo aver sognato la società senza padri, fondò la società senza figli. Nacque collettivista, corale, orgiastico, ma finì individualista, egocentrico, narcisista.” Cinquant’anni è anche il tempo entro cui la tradizione ebraica prescriveva la remissione dei debiti: sette volte sette, e tutto doveva ripartire da zero. Non è più possibile: siamo immersi nel debito e insieme nel presente. Non è un mondo per vecchi, ma neppure per bambini e ragazzi; un altro paradosso, mentre chiamiamo “il mio bambino” il cagnolino o il gatto di casa e ci auguriamo il rapido trapasso degli anziani della famiglia, tranne che la loro pensione mantenga noi, nostro figlio disoccupato o precario e qualcuno dei nostri capricci. Paolo Gentiloni alza le mani dinanzi all’invasione dall’Africa, ma è il capo di un governo che si è vergognato di un’iniziativa, magari improvvisata e un po’ sgangherata nella forma come il “fertility day” promosso da Beatrice Lorenzin, ministro della Salute. Rilevato il solito assurdo di italiani che parlano tra loro in lingua straniera, come se mancassero, nel vocabolario, parole e sintagmi in grado di promuovere l’idea della fecondità, quella è stata comunque l’unica iniziativa che ha posto nell’agenda politica il tema decisivo della natalità: primum vivere. Nella città di Genova, amministrata da pochi mesi dal centrodestra, l’assessore alla cultura, una giovane di sentimenti assai liberal, ha autorizzato i dipendenti municipali a portare in ufficio i loro animali. Nuova cultura… Per i bambini, per il figlio dell’uomo, nulla. Vorrà pur dire qualcosa il fatto che anche le comunità immigrate in Italia vedono diminuire drasticamente le nascite, segno che è la nostra civilizzazione quella che respinge la vita, ed il contagio raggiunge tutti. […] Nessuna politica fiscale a sostegno delle famiglie, scarsi o nulli diritti sociali, farmaci costosi, gli asili e le scuole scomode, poche e lontane, orari difficilmente compatibili con il lavoro, imprenditori, anzi padroni, che non vogliono impiegate in gravidanza o con figli, orari di lavoro di molti settori che rendono difficile occuparsi dei bambini. Il doppio risultato negativo è la scarsità delle nascite e la crescita di generazioni iperprotette o lasciate a se stesse, bulli o bambocci. Chi volesse una prole numerosa (ce ne sono ancora, incredibilmente) ha anche il problema di trovare una casa abbastanza grande, che il mercato non offre più, tranne, ovviamente, per chi ha ampia disponibilità economica. Un clima ostile alla vita unito all’indisponibilità diffusa ad assumere responsabilità a lungo termine. Pochi matrimoni, anche le convivenze sembrano in crisi, figurarsi se si accettano i figli, che, come i diamanti, sono per sempre e, ahimè, costano e durano più di cani e gatti. Nel fatidico 1968, Paolo VI scrisse la sua ultima enciclica, la Humanae Vitae. La Chiesa cattolica era stata sino ad allora la grande patrona e promotrice della famiglia, e il problematico papa bresciano, finito il concilio, intese ribadire gli insegnamenti di sempre, in materia di morale familiare e sessuale. La recezione dell’enciclica fu pessima, non solo nel mondo laico che si avviava a diventare antireligioso, ma nella stessa Chiesa, tesa all’inseguimento dello spirito dei tempi portato a termine mezzo secolo dopo dall’ex chimico argentino residente in Santa Marta con l’esito disastroso di chiese vuote, vocazioni in caduta libera e indifferenza generalizzata agli insegnamenti cattolici. Sbigottito, il povero Montini parlò poi del fumo di Satana penetrato dalla Chiesa, ma tacque sino alla morte avvenuta nel 1978, e l’enciclica rimossa è diventata il simbolo di un’istituzione che non crede più ai suoi principi. […]

 

Con l’equilibrato succedersi delle generazioni per riproduzione naturale e moderato aumento progressivo della popolazione, la presenza di manodopera locale avrebbe mutato profondamente il panorama sociale, costretto il sistema capitalistico a venire a patti, reso più difficile l’attuale condizione di bassi salari, concorrenza al ribasso, fuga delle imprese, senza contare il drammatico buco della previdenza, dovuto alla prevalenza numerica degli anziani sui giovani. […] Prima, con il ‘68, hanno screditato ed abolito ogni tradizione e autorità, poi l’hanno sostituita con il mito del progresso, dell’individualismo, del consumo, della liberazione da ogni vincolo. Come ha capito Veneziani, aboliti i padri, vengono meno anche i figli. Le migrazioni, poi, comunque le si valuti, provengono sempre da popolazioni giovani, più decise, portatrici di speranza e di vita. Esattamente il contrario del nostro angolo di mondo, ripiegato su se stesso, preda di paure, egoismi, incapace di guardare lontano. Per i giovani, il programma stabilito è quello del nomadismo come progetto di vita, dell’instabilità spacciata per opportunità, del consumo come valvola di sfogo. Consumo delle cose, delle persone, della vita. Il latino Terenzio scrisse nella commedia Phormio che la vecchiaia stessa è una malattia. Oggi sappiamo che è la verità non solo nella vita personale di ciascuno, ma anche nell’insieme delle comunità organizzate. Nell’Italia di oggi, la figura della badante è diventata centrale. Un esercito di donne povere, generalmente straniere, la cui occupazione è accudire una popolazione senescente e non più autosufficiente. È un cambiamento epocale, che lascerebbe sbalordite le nostre nonne, abituate piuttosto a bambinaie, ostetriche, giovani madri. […] Produzione, ma non riproduzione. Abbiamo un esercito di badanti perché viviamo più a lungo, certo, ma soprattutto perché figli e nipoti sono assenti o inesistenti. È interrotto, per usare il lessico del deserto morale, il ciclo della produzione dei nostri discendenti. Il sistema che ha promosso tale catastrofe antropologica ha la soluzione: l’importazione massiccia di altri esseri umani. Chiederanno poco, almeno per una generazione, saranno facilmente manipolabili e sono già adulti. L’oligarchia ha orrore di tutto ciò che è improduttivo, e i bambini lo sono più degli anziani. Devono essere accuditi per anni, sono un costo economico e sociale tremendo, diventano la ragione di vita dei genitori, che al contrario non devono essere distolti dalla lotta per la carriera e dal consumo. Meglio, molto meglio l’importazione di uomini e donne nel fiore degli anni. La logica devastante del denaro, del tornaconto, del bilancio agli azionisti non conosce vergogna. Ma il numero, quando crolla, è impotenza. Stanno spingendo al suicidio gaio i popoli che più possiedono il pensiero critico, l’idea di persona, il senso del diritto. Il futuro non tanto lontano è quello che Wittfogel chiamò il dispotismo asiatico: un esercito spersonalizzato di lavoratori e consumatori eterodiretti dalla tecnica, un universo iperproduttivo e soffocante simile alla Cina, la potenza dominante del secolo. In questa parte del mondo, i ranghi si assottigliano a ritmo crescente, i giovani italiani ed europei sono una rarità, presto diverranno soggetti da museo di antropologia. Non siamo i primi, non saremo gli ultimi a scomparire dalla scena del mondo. Certo, siamo gli unici a farlo con allegria o indifferenza, una scrollata di spalle e via. Nel passato, le popolazioni venivano decimate dalle carestie, dalle pestilenze, dalle guerre. Noi, più civilizzati, ce ne andiamo da soli, senza disturbare. In Svezia, metà della popolazione già vive e muore in perfetta solitudine, i figli, quando ci sono, si fanno i fatti loro, molti anziani lasciano in bella vista il denaro per le spese funerarie, che gli assistenti sociali faranno oggetto di apposita verbalizzazione e regolare ricevuta dell’ente competente. Il trionfo di un’ordinata impotenza: l’ultimo spenga la luce. Quella sì che è civiltà! Altrove, nel vasto mondo e grazie a Dio, la vita continua.

 

Roberto Pecchioli

 

 
C'è del buono nel Bitcoin? PDF Stampa E-mail

21 Gennaio 2018

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Da Comedonchisciotte del 18-1-2018 (N.d.d.)

 

La tecnologia blockchain e la nascita delle cosiddette criptovalute trovano radici in tre fattori: il progresso tecnologico; la manipolazione delle regole economiche e finanziarie globali; il persistente tentativo di indebolire le economie nazionali dei paesi che sfidano geopoliticamente il sistema americano. In questo primo articolo affronterò questi problemi da un punto di vista finanziario, nella prossima analisi intendo approfondire gli aspetti geopolitici ed ampliare la prospettiva su come Russia, Cina ed altre nazioni stiano approfittando di un sistema finanziario decentralizzato.

 

Molte economie nazionali sembrano aver iniziato il processo di protezione da ciò che sembra un’inevitabile tendenza economica. La de-dollarizzazione – dumping di dollari per altri beni di valore – è diventata popolare non solo per i paesi ma anche per la gente comune, come risultato della crescita tecnologica globale e del crescente accesso ad internet. Quasi tutti i mercati finanziari stanno riflettendo questa tendenza. Il dollaro USA è la valuta di riserva più dominante al mondo. Le regole di pianificazione e finanziarie che accompagnano questa situazione sono decise negli Stati Uniti, a beneficio di Washington e di alcuni dei suoi alleati. Ciò si è visto nella creazione del petrodollaro, nell’abolizione del gold standard e nella più recente crisi finanziaria del 2008, con l’insensato quantitative easing. Tutte queste decisioni economiche sono state prese al preciso scopo di prolungare il dominio americano sull’economia globale, sostenendo artificialmente un sistema finanziario insostenibile. Le conseguenze pratiche di questa insostenibilità hanno portato nel tempo a pensare ad un’alternativa pratica, sia per sfuggire al dominio del dollaro sia per riassestare l’economia al valore reale. La necessità di aggirare questa situazione è diventata particolarmente urgente per quei paesi con una gran quantità di debito denominato in dollari, o dove si prospetta la possibilità di essere esclusi dal sistema di pagamento internazionale SWIFT. Non è quindi un caso che paesi come Iran e Venezuela, ma anche Russia e Corea del Nord, abbiano fatto ricorso a metodi alternativi per operare nello spazio economico globale. La decisione di Washington del 2012, rimuovere le banche iraniane dallo SWIFT, ha fatto immediatamente scattare campanelli d’allarme in diversi paesi. La necessità di sfuggire alla possibilità di essere esclusi dallo SWIFT è divenuta urgente per i paesi minacciati da Washington. Un sistema di pagamento alternativo è così nato nel 2015, battezzato “Cross-Border Interbank Payments System” (CIPS)), fondato, non a sorpresa, dalla Cina. Sostanzialmente una copia dello SWIFT, serve come sistema di riserva dovessero gli americani cercare di escludere dallo SWIFT paesi recalcitranti. Una soluzione più radicale è stata cercata dal Venezuela, con la creazione di una propria moneta virtuale. Il presidente Maduro ha annunciato la creazione di una criptovaluta statale, basata sul valore del petrolio e sostenuta da barili del valore di oltre cinque miliardi di dollari. Il Venezuela è stato costretto a fare questo passo a causa della scarsità di dollari USA nel paese, provocato dalla guerra economica portatagli dagli Stati Uniti, riusciti nell’intento di portare il paese in una profonda crisi. Questa ricerca di nuova liquidità è una scommessa per Maduro, che spera di poter commerciare nella nuova valuta anche con paesi alleati, aggirando così i divieti internazionali. Si dice che anche la Corea del Nord usi bitcoin, eludendo così il sistema internazionale di divieti e blocchi. Le sanzioni contro la Russia e l’influenza che l’America esercita con il dollaro sul sistema economico globale hanno portato Mosca e Pechino ad un accordo di de-dollarizzazione, stabilendo un gold standard basato sullo yuan. La Russia vende idrocarburi alla Cina, che li paga in yuan, che poi la Russia converte immediatamente in oro allo Shanghai Gold Exchange, bypassando così le sanzioni di Washington. Questa situazione si sta replicando un paese dopo l’altro. Gli Stati Uniti aumentano la pressione finanziaria ed economica su altre nazioni tramite organismi internazionali come FMI e Banca Mondiale, per cui queste si stanno coalizzando per respingere le interferenze. La tecnologia ha facilitato questa strategia di decentralizzazione da Londra e Washington, il cuore finanziario e la causa principale di molti dei problemi globali attuali. Tra questi, la possibilità di stampare dollari in modo illimitato ha distorto le economie globali, gonfiando i mercati azionari e facendo aumentare a dismisura i debiti nazionali. Persino i mercati dell’oro sono manipolati, in virtù dell’abbondanza di denaro facile e di strumenti a schema Ponzi come derivati ​​ed altre forme di leva finanziaria. Come facilmente prevedibile, e come visto nel 2008, se tutto dovesse crollare, le banche centrali salverebbero i propri partner tramite quantitative easing, garantendo un flusso di cassa illimitato e scaricando il peso sui contribuenti e sui piccoli attori nei mercati finanziari. Probabilmente è troppo presto perché l’uomo comune capisca cosa sta accadendo, ma la realtà è che il dollaro si sta deprezzando rispetto ad alcuni beni più tangibili. L’oro però continua ad essere raccolto da meccanismi finanziari paralleli, ed altri strumenti vengono creati al solo scopo di manipolare i mercati su cui l’uomo comune cerca di fare guadagni modesti. Come per altri, il mercato dell’oro risente della forza combinata di dollaro USA, istituzioni finanziarie centralizzate e manipolazione del mercato. Entità come la FED (ed i suoi proprietari), colludendo in modo criminoso e collaborando con banche private, hedge fund, agenzie di rating e società di revisione, hanno fatto immense ricchezze, guidando il mondo in una truffa del debito che ha privato i normali cittadini del loro futuro. I mercati delle criptovalute stanno esplodendo non solo per la diffusione di internet, degli smartphone e della crescente capacità di operare nel mondo digitale, ma anche perché sono visti come un’isola felice, lontana da regolatori finanziari centralizzati e banche centrali; in altre parole, dal dollaro e dalle monete fiat in generale. Se il bitcoin si rivelerà un saggio investimento a lungo termine si vedrà, ma il concetto di criptovaluta è qui per restare. La tecnologia alla base dell’idea, la blockchain, è un modello definitivo per transazioni economiche decentralizzate, senza alcun intermediario che possa manipolare e distorcere il mercato a piacimento. È l’antidoto al virus del debito che sta uccidendo la nostra società e diffondendo il caos in tutto il mondo. Washington deve ora affrontare le conseguenze delle proprie folli azioni contro i suoi avversari geopolitici. La decisione di rimuovere l’Iran dal sistema SWIFT, e la guerra economica in corso contro Russia e Venezuela, hanno spinto la Cina a prevenire qualsiasi attacco diretto al proprio sistema finanziario, con un sistema economico alternativo. L’obiettivo è avvertire gli USA e relativi alleati che esiste un’alternativa economica ed è già operativa, pronta ad essere opposta al sistema euro-americano se necessario. Washington non sembra voler rinunciare al ruolo di manipolatrice e governatrice della finanza speculativa mondiale; per cui era consequenziale che si creasse un sistema finanziario che andasse contro quello attuale. La mancanza di anonimato e la centralità dei sistemi sono i due elementi fondamentali dell’attuale sistema che ruota attorno a Londra e Washington. Un sistema anonimo, decentralizzato e tecnologicamente affidabile potrebbe essere esattamente ciò che gli avversari geopolitici degli americani cercavano per porre fine all’egemonia del dollaro.

 

 Federico Pieraccini (traduzione di HMG)

 

 
Sudditanza PDF Stampa E-mail

20 Gennaio 2018

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Da Rassegna di Arianna del 18-1-2018 (N.d.d.)

 

Non c'è schiavo più indifeso di chi non riesca a vedere le proprie catene. Ricchi, poveri, vincitori e vinti di quest'ordine darwiniano che, da noi, prende il nome di Unione Europea: guardate i vostri polsi. Che siano pesanti e vistose come bracciali d'oro o trasparenti e impalpabili come fili di nylon, le manette restano sempre manette. E una prigione, anche se fornita di celle di prima e seconda classe, resta sempre una prigione. Ricorro a quest'immagine perché credo non vi sia dignità per nessuno, nemmeno per i privilegiati, in un Paese spogliato della propria libertà e nel quale persino la decisione solidale di soccorrerci l'un l'altro, con politiche di piena occupazione e riduzione della diseguaglianza, ci viene formalmente negata da ormai sette anni. Era il 5 agosto 2011 e io ricordo quella data come il giorno in cui la Bce espropriò il nostro Paese del diritto di decidere del suo stesso futuro. In questi giorni di campagna elettorale mi è capitato, del tutto casualmente, di rileggere quella lettera, firmata in coppia da Jean-Claude Trichet e Mario Draghi, e confesso di aver provato imbarazzo e vergogna nel constatare con quanta abnegazione, talvolta entusiasta, talaltra remissiva, ci siamo piegati ad obbedire alla lunga lista di quei diktat. Voglio ripercorrerla con voi per poi chiedervi, di nuovo, di guardare ai vostri polsi di “nati liberi”. Dopo aver chiarito che l'azione si rendeva “necessaria per ristabilire la fiducia degli investitori” - gli stessi gentiluomini, suppongo, che gonfiarono lo spread per poi sgonfiarlo a cambio di governo ottenuto - la lettera cominciava a descrivere, passo per passo, tutto ciò che avremmo dovuto fare per espiare il nostro peccato originale di capitalisti da compromesso storico. Cominciando, naturalmente, dalla più radicale e irreversibile di tutte le abiure: l'introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione. Varato dal Governo Berlusconi nel consiglio dei ministri dell'8 settembre 2011 (già nel '43 data di un'illusione di pace...), quando ancora la lettera della Bce non era stata resa nota all'opinione pubblica, il provvedimento venne poi approvato dal Parlamento italiano in soli sei mesi e con una maggioranza tale da neutralizzare il possibile ricorso al referendum confermativo popolare. L'azione fu così fulminea che molti di noi neppure se ne accorsero. Lo scassinamento della Costituzione con l'inserimento del pareggio di bilancio, tuttavia, era solo il primo degli ordini che ci venivano imposti e che noi abbiamo zelantemente eseguito. Ed ora ve li rammenterò tutti, uno per uno, ricordandovi cosa abbiamo fatto e cosa ancora ci resti da fare.

 

La Bce ci chiedeva di “rivedere le norme che regolano l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti” (legge Fornero più Jobs Act, fatto!), di “intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico” (legge Fornero, fatto!), di “ridurre i costi del pubblico impiego rafforzando le regole per il turnover e riducendo gli stipendi” (blocco del turnover, sospensione del rinnovo dei contratti, nuovi criteri di licenziabilità degli statali, fatto!), di introdurre “una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi di deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali” (clausole di salvaguardia, fatto!) e di mettere “sotto stretto controllo l'assunzione di indebitamento e le spese delle autorità regionali e locali” (consolidamento del patto di stabilità interno, fatto!). Ma non è finita qui. La lettera di Draghi e Trichet raccomandava inoltre che “le azioni elencate” fossero “prese il prima possibile per decreto legge” (fatto, rifatto e ri-rifatto!), suggerendo di procedere ad “una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio” (fatto!) nonché di “abolire o fondere alcuni strati amministrativi intermedi come le Province” (fatto!). Come indicazioni di principio ci veniva infine ingiunto di neutralizzare i sindacati, liberalizzare e, naturalmente, privatizzare. Ordini un po' più generici ma resi perentori e inequivocabili dalla sollecitazione a “riformare il sistema di contrattazione salariale collettiva” (lavori in corso) e a procedere alla “liberalizzazione dei servizi pubblici locali” e “a privatizzazioni su larga scala” (lavori in corso). Mi sembra il caso di aggiungere un altro particolare, spesso trascurato. Una cosa che non ho ancora detto, ma che mi sembra il caso di ricordare, è che la lettera della Bce sarebbe dovuta rimanere segreta. Noi cittadini italiani, insomma, non avremmo dovuto sapere che il nostro futuro era già stato scritto, fin nei minimi dettagli, all'ultimo piano di un grattacielo di Francoforte. Accadde però che il Corriere della Sera, un mese dopo l'arrivo della lettera sulle scrivanie di Palazzo Chigi, ne pubblicò integralmente il testo. Non desidero avventurarmi in interpretazioni dietrologiche ma mi sembra evidente che quella pubblicazione, che certo rispondeva all'imperativo deontologico del giornalista di divulgare ogni notizia di cui si viene a conoscenza, potesse sortire nel Paese solamente due tipi di reazioni, di forza eguale ma di segno contrario. Avrebbe potuto stimolare una più docile rassegnazione popolare alla saggia ineluttabilità di quelle riforme. Oppure avrebbe potuto suscitare ostilità contro quell'intimidazione sfacciata, autoritaria nella forma così come opinabile nei contenuti, in particolare economici. Prevalse, prevedibilmente, la rassegnazione. E la rassegnazione ha avuto un costo salato. Avevo detto che vi avrei chiesto di guardare nuovamente i vostri polsi. Fatelo adesso. Ora dovreste essere in grado di riconoscere le vostre catene. E di decidere se si può essere, al tempo stesso, cittadini italiani e sudditi europei.

 

Alessandro Montanari

 

 
I silenzi di Amnesty International PDF Stampa E-mail

19 Gennaio 2018

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Da Comedonchisciotte del 17-1-2018 (N.d.d.)

 

Ho ricevuto una lettera da Margaret Huang, direttrice esecutiva di Amnesty International. Sta raccogliendo fondi contro Trump per il suo “gelido disprezzo per i nostri cari diritti umani” ed il suo sfruttamento di “odio, misoginia, razzismo e xenofobia”, con cui ha “incoraggiato e potenziato i segmenti più violenti della nostra società”. Considerando l’ostilità della fazione Identity Politics verso il presidente, si può capire perché la signora Huang inquadri la sua raccolta fondi in questo modo. Ma sono i trumpiani ad essere i segmenti più potenti e violenti della nostra società o lo sono le agenzie di sicurezza, la polizia, i neocon, i media presstitute ed i partiti repubblicano e democratico?

 

John Kiriakou, Ray McGovern, Philip Giraldi, Edward Snowden ed altri ci informano che sono i loro ex datori di lavoro, le agenzie di sicurezza, che non devono rispondere a nessuno e sono violenti per natura. Le agenzie di sicurezza sono certamente incoraggiate da tutto ciò che hanno ottenuto impunemente, incluso il complotto noto come Russiagate. I crimini contro l’umanità che il governo americano ha compiuto da quando il regime Clinton ha attaccato la Serbia non sono stati commessi dai deplorevoli trumpiani. La violenza che ha distrutto in tutto o in parte otto paesi, uccidendo, mutilando e facendo emigrare milioni di persone, è stata commessa dai regimi Clinton, George W. Bush ed Obama, dai loro segretari di stato, tra cui Hillary, i loro consiglieri per la sicurezza nazionale, i loro establishment militari e di sicurezza, e da ambo i partiti al Congresso. L’omicidio di interi paesi è stato approvato dai media e dai capi di stato dei vassalli europei, canadesi, australiani e giapponesi. Trump ed i suoi deplorables ne hanno di strada da fare per pareggiare un tale elenco di violenza. Che lo capisca o meno, la signora Huang con la sua lettera sta spostando la violenza da dove è a dove non è. La conseguenza sarà aumentare la violenza e le violazioni dei diritti umani.

 

La fonte più pericolosa di violenza che al momento abbiamo di fronte è l’Armageddon nucleare, verso cui ci porta la ricerca neocon dell’egemonia statunitense. Dal regime Clinton in poi, ogni governo ha rotto ogni accordo di allentamento della tensione che le precedenti amministrazioni avevano raggiunto con Mosca. Durante il regime di Obama, le aggressioni gratuite e le false accuse contro la Russia sono state portate all’estremo. Perché Amnesty International non menziona gli atti spericolati ed irresponsabili del governo americano che stanno violando i diritti umani in numerosi paesi e spingendo il mondo verso una guerra nucleare? Ci sono stati invece momenti in cui Amnesty si è allineata alla propaganda di Washington contro le vittime di Washington. Saltando sul carro anti-Trump del military/security complex, le organizzazioni di diritti umani ed ambientali hanno aumentato le chance che i diritti e l’ambiente vengano persi in favore della guerra. Non c’è dubbio che Trump stia annullando alcune protezioni ed esponendo l’ambiente e la fauna selvatica ad ulteriori distruzioni. La peggiore distruzione tuttavia viene dalla guerra, specialmente quella nucleare. Le cose sarebbero diverse se la sinistra liberal-progressista si fosse radunata per sostenere Trump nel ridurre le tensioni con la Russia, nel normalizzare le relazioni ostili che Obama aveva stabilito con Mosca? Il sostegno della sinistra lo avrebbe aiutato a resistere alle pressioni dei guerrafondai neocon? In cambio di sostegno per il suo obiettivo principale, Trump avrebbe mitigato gli attacchi dell’industria all’ambiente e posto il veto al rinnovo del Foreign Intelligence Surveillance Act, che vìola i diritti umani? Non lo sapremo mai, perché la sinistra liberal-progressista non è riuscita a vedere al di là del proprio naso, non capendo cosa implichi per l’ambiente e per i diritti umani il fatto che le potenze nucleari siano bloccate in un reciproco sospetto. Visto che i media di sinistra non hanno capito l’importanza della posta in gioco, il military/security complex ha avuto gioco facile nell’allontanare Trump dal proprio programma. Il danno che possono apportare all’ambiente le aziende minerarie e le trivellazioni offshore è grande, ma impallidisce in confronto al danno causato dalle armi nucleari.

 

 Paul Craig Roberts (traduzione di HMG)

 

 
Legislatura che durerà PDF Stampa E-mail

18 Gennaio 2018

 

Da Appelloalpopolo del 15-1-2018 (N.d.d.)

 

Molti credono che la prossima legislatura durerà poco, perché dalle urne non uscirà nessuna maggioranza. Tutto è possibile ma le probabilità che duri poco sono pochissime. Magari non durerà cinque anni. Forse ne durerà tre. Ma le possibilità che si vada a votare dopo alcuni mesi, eventualmente dopo un governo del Presidente, sono davvero pochissime. Nella Seconda Repubblica, morti i partiti, Bossi fece una volta cadere Berlusconi. Ma eravamo soltanto all’inizio. Successivamente nessuno ha mai fatto cadere nessuno, salvo Mastella che chiese troppo, quando i senatori dei due poli erano pari e si era creato davvero il bipolarismo (liberali berlusconiani contro liberali antiberlusconiani). Invece la legislatura del 1996, quella del 2001, quella del 2008 e quella del 2013 sono tutte durate cinque anni. Nella Prima Repubblica non le trovate in vent’anni quattro legislature su cinque durate cinque anni, nemmeno con il binocolo. E sapete perché? Perché allora c’erano i partiti che ti avevano eletto e ti rimandavano a casa. Ora i partiti non hanno questo potere. Nei due finti poli i candidati in prima posizione nel proporzionale pagano centinaia di migliaia di euro per essere candidati; quelli in seconda posizione un po’ meno; quelli in collegi sicuri dell’uninominale pagano quanto i primi; quelli che tentano nei collegi a rischio pagano minimo 100.000 euro. Ognuno di essi, una volta eletto, deve portare a termine l’affare che “sa” e che gli consentirà (nella migliore delle ipotesi) di rientrare con le spese. Né ha alcuna certezza che verrà di nuovo candidato. Oggi i “partiti” (una decina di persone) dipendono dai peones.

 

Nel M5S addirittura gli eletti sanno che probabilmente non verranno ricandidati o che probabilmente non verranno rieletti. Gli eletti sono stati scaltri a riuscire a sistemarsi e non avranno nessuna voglia di tornare a casa.  Non tutti se ne sono accorti ma il maggioritario e il bipolarismo sono finiti. E io dico: per fortuna. D’altra parte, se si andasse a votare ogni volta dopo sette mesi, saremmo sempre nella medesima situazione, salvo modificare la Costituzione e reintrodurre un maggioritario che crei una maggioranza forzata reso costituzionale (ma ci vorrà tempo e non sarà facile). Un sistema serio, come il sistema parlamentare con legge tendenzialmente proporzionale, obbligherà partiti non seri, anzi pessimi, a comportamenti “seri”, ossi ad allearsi dopo le elezioni, sulla base dell’esito delle votazioni del popolo.

 

Stefano D’Andrea

 

 
Verso la fine del mondo PDF Stampa E-mail

17 Gennaio 2018

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Da Appelloalpopolo del 12-1-2018 (N.d.d.)

 

Il complesso industriale/militare ha fatto un altro passo verso la fine del mondo. Il Pentagono ha approntato una revisione dell’atteggiamento nucleare (NPR) che approva lo sviluppo di armi nucleari ‘utilizzabili’ minori e permette il loro uso in risposta a un attacco non-nucleare. Come Reagan e Gorbaciov compresero, ma i guerrafondai che si sono impadroniti dell’America non comprendono, ci sono già troppe armi nucleari. Alcuni scienziati hanno concluso che anche l’uso del 10% dell’arsenale russo o americano sarebbe sufficiente a distruggere la vita sulla Terra. Per Washington è avventato e irresponsabile prendere una simile decisione dopo anni di azioni aggressive contro la Russia. Il regime criminale dei Clinton ruppe la promessa di Washington che la NATO non si sarebbe mossa di un pollice verso est. Il regime criminale di George W. Bush si ritirò dal Trattato ABM e cambiò la dottrina di guerra statunitense per destinare l’uso delle armi nucleari al primo colpo anziché alla ritorsione. Il regime criminale di Obama organizzò un attacco propagandistico frontale contro la Russia quando Hillary lanciò la folle denuncia del presidente Putin come ‘nuovo Hitler’. In uno sforzo di scacciare la Russia dalla sua base navale in Crimea, il regime criminale di Obama rovesciò il governo ucraino durante le olimpiadi di Sochi e installò un fantoccio di Washington. Sono state costruite basi missilistiche statunitensi ai confini della Russia e la NATO conduce giochi di guerra vicino ai confini russi.

 

Tutto ciò è folle. Queste ed altre provocazioni gratuite hanno generato nel comando operativo dell’esercito russo la convinzione che Washington pianifichi un attacco nucleare a sorpresa contro la Russia. Il governo russo ha replicato a queste provocazioni dichiarando che la Russia non combatterà mai più una guerra sul suo territorio. Quelli come me e come Stephen Cohen, che sottolineano come il comportamento avventato e irresponsabile di Washington abbia trasformato in nemico un paese che faceva di tutto per essere amico, non attirano molta attenzione dei media prostituiti. Il complesso industriale/militare ha bisogno di un nemico sufficiente a giustificare il suo enorme budget e il suo potere, e i media occidentali hanno assecondato questo bisogno egoistico e pericoloso. La Russia oggi è molto più forte e meglio armata di quanto lo sia mai stata l’Unione Sovietica. La Russia ha anche un’alleanza con la Cina, una potenza economica e militare. Questa alleanza è stata creata dalle minacce di Washington contro entrambi i paesi.

 

L’Europa e il Giappone devono capire che hanno una responsabilità nella rinascita della guerra fredda in una forma molto più pericolosa di quella del XX secolo. Europa e Giappone, i cui capi politici sono proprietà di Washington, hanno preso denaro da Washington e venduto i loro popoli insieme al resto dell’umanità. Tutto il mondo occidentale è privo di guida politica intelligente. Questo lascia i paesi come la Russia, la Cina e l’Iran con la sfida di preservare la vita sulla Terra mentre il mondo occidentale spinge l’umanità verso la fine del mondo.

 

Paul Craig Roberts (traduzione di Paolo Di Remigio)

 

 
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