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La sessualitā del futuro? PDF Stampa E-mail

6 Gennaio 2018

 

Da Rassegna di Arianna del 3-1-2018 (N.d.d.)

 

Siamo nel 2034. Le bambole meccaniche di Cartier della serie Eva Futura rappresentano l’oggetto più desiderato dai nuovi ricchi della Rivoluzione informatica: sono state costruite per soddisfare ogni piacere e perversione maschile. Queste robot-schiave, dotate di intelligenza artificiale, hanno però il difetto di infettare, e di conseguenza modificare, il DNA umano: contagiano gli uomini che, a loro volta, contagiano le mogli facendole diventare “ginoidi”, bambole meccaniche. I figli che nasceranno saranno degli ibridi: l’umanità sembra condannata all’estinzione a meno che non si riesca a circoscrivere l’epidemia… È la trama di Virus ginoide (Dead Girls), il romanzo cyberpunk di Richard Calder pubblicato nel 1993. Il racconto è ricco di diversi spunti, dal tema della costante reificazione femminile (la donna che diventa mero oggetto del piacere maschile) alla sempre più attuale automazione e ibridazione uomo-macchina. Perché ne parlo? Quando avevo letto una decina d’anni fa non avevo pensato alle possibili implicazioni pratiche del racconto. Devo ricredermi. Dopo aver concordato col direttore di scrivere un pezzo sulla digisessualità ho intercettato per caso un articolo in inglese il cui titolo in italiano può essere reso come: Uomini e robot possono avere figli creando una nuova specie di ibridi. Pubblicato sul sito del Daily Star (https://www.dailystar.co.uk/news/latest-news/667906/Human-robot-baby-cyborg-hybrid-species-AI-artificial-intelligence-Dr-David-Levy-love-sex) espone le ricerche nel campo dell’Intelligenza Artificiale del dr. David Levy, già autore del saggio Love and Sex with Robots, secondo cui nel prossimo futuro sarà possibile “creare” degli ibridi manipolando il dna umano con cromosomi robot. Il riferimento a Calder è stato immediato. Levy ritiene inoltre che la legislazione dovrà adattarsi ai mutevoli rapporti con la tecnologia e che i cambiamenti arriveranno più velocemente di quanto possiamo immaginare, auspicando persino il matrimonio tra uomini e robot: «Man mano che sempre più persone accetteranno il concetto di amore e sesso condiviso con i robot, la società dovrà sviluppare leggi per regolare i rapporti robot/essere umano. Cadranno le restrizioni, proprio come è successo con il matrimonio interrazziale negli anni ’60 e il matrimonio omosessuale dell’ultimo decennio» (https://focustech.it/sex-robot-digisexuals-preferiscono-le-bambole-sessuali-personalizzabili-163326).

 

Non meravigliatevi: è la nuova tendenza. Se non vi eravate ancora abituati al poliamore, eccovi serviti la digisessualità. Chi sono quindi i digisexual? Sono coloro che scelgono di fare sesso solo con i robot dalle sembianze umane senza quindi avere rapporti con persone “vere”. Sembra, lo ripeto, un’esagerazione, la trama di un racconto cyberpunk o il plot di qualche serie tv americana, invece le derive post-umane si stanno concretizzando sempre di più, semplicemente ne siamo all’oscuro. Da Blade Runner a Her, da Ex Machina a Westworld in poi il cinema, le serie tv e la letteratura ci hanno infatti “abituato” a questo scenario distopico. Solo che immaginare che possa avere un risvolto “reale” è straniante. Invece, le future relazioni tra esseri umani e robot potrebbero avere questo risvolto imprevisto, ma il cui impatto potrebbe essere significativo quanto quello in altri ambiti (lavorativo per esempio). Se n’era già parlato infatti in un rapporto pubblicato in Gran Bretagna dalla Fondazione per la Robotica Responsabile. Intitolato “Il nostro futuro sessuale con i robot” e ripreso anche dalla rivista «Nature» sul suo sito, il rapporto intende aprire il dibattito sugli scenari che potrebbero presentarsi già nei prossimi 10 o 15 anni in Occidente, alla luce di quanto sta già accadendo in Asia, con la diffusione di bambole-robot fatte a immagine delle donne e destinate al sesso. Che cosa sta accadendo soprattutto in Giappone? Ce lo spiega un articolo del 7 luglio scorso de «La Stampa». Secondo le ultime statistiche le complicazioni dei rapporti sentimentali e sessuali di un numero sempre crescente di giapponesi hanno portato alla crescita della percentuale di vergini quasi quarantenni. Poi, le coppie sposate tra i 35 e i 50 anni hanno pochissimi amplessi. Per ovviare ai rapporti umani e alle loro “complicazioni”, spopolano le waifu, mogli virtuali dei nerd che vivono incollati allo schermo. Aumentano anche le storie di mariti che convivono (spesso in triangolo) assieme ai manichini, mentre le donne in carriera che lavorano dopo aver fatto figli sono condannate dall’opinione pubblica maschilista, spingendo il 70 per cento delle neo-mamme a non tornare al lavoro. Nell’immaginario di un numero crescente di maschi le bambole/robot hanno poi l’immagine dell’eroina manga adolescente, maliziosa ma meno aggressiva e impegnativa di qualunque donna adulta “reale”…questa la dice lunga sull’uomo contemporaneo e sull’apparente emancipazione femminile. Meglio i manichini o i fumetti e a breve i robot che possono soddisfare qualunque desiderio e possono poi essere spenti con un click come le bambole di Eva Futura di Virus ginoide. Le ricerche scientifiche che indagano le implicazioni sociali, legali e morali delle relazioni con i robot sono pochissime, secondo la rivista «Nature», perché ritenute volgari e sensazionalistiche dal mondo accademico. Quindi, mentre in Asia la tecnologia corre e i costumi cambiano, da noi si tende a nascondere la polvere sotto il tappeto e a far finta di nulla, come se il problema non esistesse. Come se non bastasse la digisessualità, ecco che con il dr. Levy e colleghi si aprono gli scenari per proporre apertamente l’ibridazione uomo-macchina e la creazione di una genia di ibridi. Non scandalizzatevi, dovreste avere ormai imparato che qualunque idea, anche la più strampalata, ha una finestra di opportunità per essere discussa e divenire realtà, come insegna la Finestra di Overton. Ci pensa Hollywood a inondare di messaggi ben calibrati le masse abituandole “per gradi” agli scenari che si vogliono imporre. Siamo sull’orlo di una nuova trasformazione culturale e antropologica, una vera e propria rivoluzione che intende snaturare l’Uomo della e dalla propria umanità per renderlo una “macchina”, un automa spersonalizzato, facilmente controllabile e “programmabile”. Sulle ceneri del vecchio mondo in agonia sorgerà un mondo nuovo che offrirà paradisi artificiali in cui rifugiarsi, «pane e circensi, miracoli e misteri» sempre più virtuali. Quindi non solo sono destinati a sparire i vecchi lavori, i vecchi ruoli, i vecchi “generi”, i vecchi valori, ma lo stesso uomo come lo conosciamo.

 

Enrica Perucchietti

 

 
Obbligo del politicamente corretto PDF Stampa E-mail

5 Gennaio 2017

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Da Rassegna di Arianna del 3-1-2018 (N.d.d.)

 

C’è un oscuro desiderio di censura che attraversa l’Occidente, i suoi media, le scuole e le università. È una censura liberal o radical, nel segno del progresso e della libertà. Si accanisce non con estremisti e malfattori ma con fior di scrittori, poeti e letterati del passato, come Shakespeare, Dante, Ovidio, Euripide. O con artisti che ebbero vite violente o descrissero scene violente. All’università di Cambridge, per esempio, alcuni grandi classici, incluso Shakespeare, sono stati dotati di un bollino rosso. L’obiettivo? Ammonire gli studenti per evitare che rimangano sconvolti dalla lettura di «rappresentazioni della violenza sessuale». Ma da Cambridge alla Columbia University, da Parigi alle sedi nostrane della cultura e della letteratura, contagia teatri e musei, scuole e cinema. Il peccato punito dalla nuova Inquisizione è aver violato il catechismo vigente, la political correctness e aver scritto, detto, fatto cose inaccettabili agli occhi di oggi su donne, neri, ebrei, disabili, omosessuali e minoranze oggi protette. Bollino rosso o segnalazione di pericolo, trigger warning per gli autori irriverenti accusati di sessismo, razzismo, xenofobia, omofobia o violenza. I censori del Bollino Rosso giudicano i classici con le lenti del presente e con infinita presunzione pensano che tutte le generazioni passate abbiano avuto convinzioni sbagliate; solo noi sappiamo come stanno davvero le cose, cosa è giusto dire e cosa no. La grandezza di un autore o di un’opera è così subordinata alla sua conformità ideologica al presente o al suo comportamento in vita; non conta il valore ma la correttezza. E se non risponde ai canoni scatta il bollino rosso. Vietato vietare fu lo slogan che i censori di oggi gridavano nelle università e nelle scuole di un tempo contro la repressione, l’oscurantismo e la censura. Ora si rovescia il canone con risultati paradossali: si può usare il turpiloquio ma non la poesia politically uncorrect, si può fumare la cannabis ma non leggere certi sonetti di Shakespeare, si può fare sesso in aula e magari riprenderlo con lo smartphone ma non leggere in aula passi “sessisti” di Ovidio.

 

La rimozione non riguarda solo l’alta cultura ma anche il pop. Al cinema un film per avere l’imprimatur di Hollywood, la nomination per un premio o ricevere un finanziamento pubblico per alto valore culturale deve avere almeno uno dei seguenti requisiti: raccontare una storia contro il razzismo in cui la vittima, il personaggio positivo, è sempre di colore; o storie di migranti, dove i cattivi sono sempre i “nostrani”, “arrivano i nostri” dei film western si capovolge in “arrivano loro”, gli stranieri; oppure una storia di omosessualità perseguitata e liberata, di femminismo oltraggiato o violentato, dove la famiglia, il prete o il padre è il male. Se è un film storico il tema privilegiato sarà i nazisti e gli ebrei o i fascisti e i partigiani; silenzio su ogni altro orrore o pagina di storia. I tg, la scuola, l’università, i giornaloni ogni giorno decretano il catechismo dell’accoglienza e del rifiuto, dei divieti e delle trasgressioni ammesse, il semaforo del prescritto e del proscritto. Eccoli i nuovi bigotti coi loro parrucconi dell’ipocrisia.

 

Marcello Veneziani

 

 
Ragazzini attempati PDF Stampa E-mail

3 Gennaio 2018

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Scusate, forse vi sembrerò cattiva, ma credo che i 45-50-60enni che di botto lasciano famiglia e affetti, iniziano una "nuova vita", spesso fregandosene di tutto ed incentrando la propria esistenza su se stessi - e le proprie bestie - ricominciando a fare i ragazzini (discoteche, storie "sentimentali" come priorità assoluta, cura eccessiva nonché maniacale dell'immagine) rappresentino un fenomeno sociale preoccupante e per certi versi necessitano di cure psicologiche profonde e radicali. Sia uomini che donne. Ed è molto diffuso.

 

Martina Carletti

 

 
In un vicolo cieco PDF Stampa E-mail

1 Gennaio 2018

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Nella tradizionale benedizione di Natale ‘Urbi et orbi’ Papa Francesco, oltre ad aver sciorinato la scontata quanto inutile lista dei bambini uccisi o martoriati dalla guerra e dalla fame, una cosa di sostanza però l’ha detta: “un modello di sviluppo ormai superato continua a produrre degrado umano, sociale e ambientale”. Naturalmente i media, non certo a caso, hanno preferito concentrarsi sulla parte pietistica del discorso di Francesco evitandone il nocciolo duro, cioè l’attacco all’attuale modello di sviluppo. Io non sono il Papa però queste cose le vado scrivendo da più di trent’anni, da quando pubblicai, ignorato o deriso, La Ragione aveva Torto? (1985). Per la verità anche Benedetto XVI, quando era ancora cardinale, aveva scritto: “il Progresso non ha partorito l’uomo migliore, una società migliore e comincia ad essere una minaccia per il genere umano”. Ma anche questo monito, autorevolissimo, venne ignorato.  Adesso pure Papa Francesco scopre che “c’è del marcio nel Regno di Danimarca”. Però non è che questo modello sia “superato” come dice Papa Francesco facendo intendere che bisogna oltrepassarlo e quindi andare pur sempre in avanti. Invece di un ottimistico “superamento” si tratta, al contrario, di un ‘tornare indietro’ perché questo modello era sbagliato in origine da quando, con la Rivoluzione industriale, l’uomo abbandonò la quiete e l’equilibrio di una società sostanzialmente statica, in cui fino ad allora era vissuto, per imboccare la via di una società dinamica, la più dinamica che sia mai apparsa sulla scena del mondo, con l’occhio perennemente fissato sul futuro, e diventare ‘homo oeconomicus et technologicus’ e, nei tempi più recenti, come logica conseguenza, anche digitale e virtuale.

 

Non si tratta quindi di modificare il modello in questo o quel punto, con qualche ritocco migliorativo, ma di scardinarlo, di reciderlo alle radici. Perché in questo modello ‘tout se tient’ e ogni elemento è legato indissolubilmente a tutti gli altri. Prendiamo, per esempio, produzione e consumo che sono due dei fattori principali su cui si basa l’attuale modello. Noi non possiamo ridurre il consumo senza ridurre anche la produzione. Ma questo, in un sistema basato sulla crescita, è impossibile. Perché meno produzione significherebbe un’ulteriore contrazione dei consumi e quindi, ancora, meno produzione in una vertiginosa spirale che lascerebbe tutti col culo per terra. Prendiamo, per fare un altro esempio, le tecnologie digitali e la robotica che stanno espellendo milioni di persone dal mondo del lavoro. Certo, noi possiamo pensare che con l’”innovazione” (parola diventata oggi magica e taumaturgica) le tecnologie riescano a creare altre, e più moderne, occupazioni che assorbano, in tutto o in parte, la mano d’opera cacciata dalla porta facendola rientrare dalla finestra. Ma anche l’innovazione tecnologica troverà prima o poi, come ogni altra cosa, un limite, un tetto da cui precipiterà vorticosamente sul pavimento.

 

Ci siamo cacciati in un vicolo cieco. Possiamo venirne fuori? Sì, rinculando lentamente e gradualmente. È la linea di pensiero, oltre che mia (eh sì, ora che ‘sun dré a murì’, mi sono anche stufato dell’understatement e del fatto che altri prendano a piene mani da ciò che vado scrivendo da più di un quarto di secolo come se fosse farina del loro sacco, senza nemmeno avere la bontà, direi la decenza, di citare la fonte) di due correnti filosofiche americane, il bioregionalismo e il neocomunitarismo, che, detto in estrema sintesi, propugnano “un ritorno graduale, limitato e ragionato a forme di autoproduzione e autoconsumo, che passano necessariamente per un recupero della terra, dell’agricoltura, e per una riduzione drastica dell’apparato industriale, tecnologico, digitale e finanziario”. Non si tratta di farsi infinocchiare come finora è sempre avvenuto: dalle biotecnologie o, quando qualcuno in Occidente, in una società totalmente materialistica ha avvertito l’esigenza di un recupero della spiritualità, di trasformare tale esigenza in ‘new age’ e cioè, ancora, in produzione e consumo della spiritualità, oppure di altre stronzate del genere di cui potremmo fare un lunghissimo elenco che risparmiamo al lettore. Si tratta di mettere in moto una rivoluzione copernicana. Alla rovescia. Ma questi smottamenti culturali, a meno di qualche imprevisto, sono storicamente lenti e questo modello di sviluppo, che ho definito ‘paranoico’, ci ricadrà addosso di colpo prima che qualcuno abbia potuto metterci mano. E a noi, dall’oltretomba, rimarrà la magra soddisfazione di dire via medium: ve l’avevo detto.

 

Massimo Fini

 

 
Il gioco delle tre carte PDF Stampa E-mail

30 Dicembre 2017

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Alcuni ingenui credono che al governo ci sia il PD e che togliendolo dal governo le cose possano cambiare. Gli ingenui ignorano che al Governo c'è la componente piddina del partito unico liberale (componente che si caratterizza per essere un diverso centro di potere, non per aver seguito una linea politica distante da quella dell'altro centro di potere) e soprattutto non capiscono che il Governo non serve a un cacchio, perché l'Unione europea funziona con il pilota automatico (Maastricht e quindi l'euro). E il controllo del funzionamento del pilota automatico è attribuito a Draghi.

 

I critici del PD, ossia coloro che criticano il PD più degli altri partiti, sono ingenui. Sono venti anni che si fanno prendere in giro dal gioco delle due correnti del partito unico, gioco che ora, con l'invenzione del M5S, è diventato il gioco delle tre carte.

Stefano D’Andrea

 
Dopo Putin PDF Stampa E-mail

28 Dicembre 2017

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Da Comedonchisciotte del 26-12-2017 (N.d.d.)

 

La macchina del fango russofoba ospitata presso i media europei si è appena rimessa in moto. I campioni di fake news veri, Repubblica, Corriere, Ansa ecc. ecc, titolano che il leader dell’opposizione a Putin – Alexei Navalny – non potrà correre per le presidenziali russe del 2018 perché la commissione elettorale ne ha bloccato la candidatura. E ci lasciano pensare: “Buuuuuu. Vergogna!” Nello sparare la notizia omettono due cose fondamentali. La prima: Navalny non è leader dell’opposizione manco per il cazzo! La sua importanza nel mondo della politica russa è rilevante come quella di Civati in quella italiana. Quindi è impossibile che Navalny, ancorchè candidato, potesse minacciare minimamente la leadership di Vladimir Putin. Navalny non è stato candidato perché ha commesso più reati di Toni Negri. Punto. Ma, soprattutto, quel che non si dice è che finalmente Putin lavora per la costruzione di una vera classe dirigente in Russia, e questo è il reale motivo della sua quarta candidatura. Questa sì che è una news. Putin, infatti, non è stato un mago su tutto, ed ha fallito finora nel tentativo di costruire una élite competente ed un successore credibile alla sua Presidenza.

 

Sia chiara una cosa. Anche se ho studiato per anni la figura di Putin, ho smesso da un bel pezzo di mettere le persone sul piedistallo, di idealizzarle. Perché si prendono delle randellate nel muso a piena potenza: gli eroi non possono essere umani, quando scoprite che invece lo sono, questa triste realtà può essere shoccante: gli eroi hanno i difetti di tutti gli esseri umani, perché… sono umani. Perciò, amare o odiare sono due lati dello stesso eccesso. Io analizzo Putin, poi ragiono con la mia testa e cerco di prenderne il meglio. Fatta questa precisazione rimane da capire cosa si intende per creazione di una élite in Russia. Facciamo eco a Giulietto Chiesa che sulle pagine di Sputnik Italia dice:

 

Putin non ha ancora completato, dopo sedici anni, la formazione della propria élite. Ma intende farlo adesso. Nel frattempo fissa gli obiettivi per quella élite che sta costruendo a sua immagine e somiglianza. E, certo, si spiega così il fatto che egli non abbia cercato investitura in nessuno dei partiti che occupano l’attuale Duma. Infatti il suo “vero” discorso d’investitura lo ha pronunciato davanti all’assemblea del Fronte Popolare Panrusso… il Presidente sarà espressione del popolo e non di questa o quella coalizione politica, di questo o quello schieramento. E viene ribadito ora con una piattaforma politica “triangolare”, assolutamente interclassista, apparentemente a-ideologica. Ecco che risulta così più chiaro l’intento di Putin, che è quello di abbandonare progressivamente le forme partitiche nel tentativo di formare statisti che non siano interessati a salvaguardare l’interesse di un gruppo sociale, ma della Russia intesa nel suo insieme. Lo sappiamo tutti che, al di là delle chiacchiere, in Europa la classe dirigente non si è formata, ma si è semplicemente “trovata” a tutelare gli interessi di una parte dei cittadini, di norma quelli più ricchi. Il lavoro reale che la politica europea ha fatto è stato quello di ridimensionare la classe media, cioè la classe che sintetizza tutti i livelli di reddito e di rendita, per favorire una separazione sempre più netta tra ricchi e poveri. Putin, invece, nel cuore e nella testa, ha il problema opposto: deve creare una numerosa e forte classe media. Lo stesso problema c’è in Cina ed in molti paesi della galassia eurasiatica, ma mentre altrove la questione non è affrontata in modo esplicito e coerente. In Russia sì. Ancora molto c’è da fare “per ridurre le disuguaglianze e la povertà” — ha detto infatti Putin nel suo ultimo discorso programmatico, segno che questo è un problema considerato centrale per il Capo del Cremlino, consapevole che gran parte del mondo, in assenza di classe media, rischia di precipitare verso un declino sudamericano. Ma c’è un punto importante sul quale NON concordiamo con l’analisi proposta da Giulietto Chiesa, quando scrive che nel 2022 a scadenza del prossimo mandato Putin avrà allora 70 anni, ma che sarà ancora troppo giovane per lasciare il potere. Questo è un registratore rotto che si sente da tanto tempo. Secondo gli opinionisti Medvedev è un inetto e corrotto che non ha le qualità di Putin, mentre Lavrov è già troppo vecchio ora, e dunque, dopo di Putin non ci sarà niente di papabile per una Russia che è tornata a ricoprire un ruolo da potenza mondiale. A mio modo di vedere il successore di Putin sarà un nome completamente nuovo, come lo fu lui durante l’era Eltsin. Nessuno lo aveva mai sentito nominare fuori dalla Russia prima del 1999, ma aveva una qualità indiscutibile, in quanto proveniva dal Kgb, la cui scuola ha sempre formato menti eccelse ed altamente patriottiche. Putin a mio modo di vedere andrà ad attingere ancora a quel mondo, ovvero a quello della sicurezza e dell’ingegneria militare, ove la formazione della persona in senso patriottico è fuori discussione (in Russia…). E se scendiamo in quel campo da gioco, i players allora non sono certo pochi. Alexey  Dyumin, ad esempio, ha 45 anni ed è governatore dell’oblast di Tula. Nella sua carriera è arrivato ai massimi vertici all’interno delle forze di sicurezza e secondo lo stesso Putin «ha dimostrato di essere un uomo al quale si può affidare un incarico di massima importanza e delicato ed essere sicuro della sua esecuzione». Non resta allora che attendere il 2022 e constatare se la previsione si dimostrerà o meno corretta.

 

Massimo Bordin

 

 

 
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