Avviso Registrazioni

Scusandoci per l'inconveniente, informiamo i nuovi utenti i quali desiderino commentare gli articoli che la registrazione deve essere fatta tramite Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

Login Form






Password dimenticata?
Nessun account? Registrati

Cerca


 
  SiteGround web hostingCredits
Il principio della non ingerenza PDF Stampa E-mail

8 Febbraio 2017

Image

Le parole di Trump per ora restano soltanto parole. Tuttavia, se alcune (protezionismo, lavoro agli americani) possono o devono essere considerate da noi italiani "positive" per le conseguenze geopolitiche ed economiche che potrebbero generare a nostro vantaggio (almeno nel senso di creare possibilità che altrimenti non si materializzerebbero), altre sono non soltanto negative ma pericolosissime. In particolare è pericolosissima l'idea idiota che gli Stati Uniti non soltanto debbano smettere di destabilizzare governi autoritari, come hanno fatto in Iraq, in Libia e in Siria (ma in realtà hanno destabilizzato anche Ucraina e Jugoslavia, dunque due democrazie), ma debbano intraprendere una dura lotta "contro l'islamismo" o "contro il fondamentalismo islamico" o contro lo Stato Islamico.

 

Questo programma, infatti, implica che le guerre aumenteranno e non diminuiranno, che il terrorismo dei bombardamenti aerei si moltiplicherà e non diminuirà; che gli Stati Uniti, non soltanto continueranno a bombardare in Afghanistan, in Libia, in Iraq e in Siria, ma inizieranno a bombardare in Yemen, nel Sinai, eventualmente in Mali, in Nigeria, nel Maghreb, nel Sudan e via via in una decina di altri Stati.  Ora, siccome è certo che le rivolte degli islamisti sunniti aumenteranno, la più criminale delle idee che un presidente statunitense possa avere è quella di andare a condizionare i verdetti dei campi di battaglia, tramite interventi militari diretti, peggio ancora se l'intervento implicherà l'uso del solo strumento costituito dal bombardamento aereo terroristico. La politica estera seria, ossia non guerrafondaia e criminale, consiste, da un lato, nel non agire per destabilizzare governi di qualsiasi tipo e colore, dall'altro, nel non intervenire militarmente nelle guerre civili o nelle rivolte o rivoluzioni, lasciando che sia il campo di battaglia a generare il nuovo equilibrio.

 

Stefano D’Andrea

 

 

 
La vera contrapposizione PDF Stampa E-mail

7 Febbraio 2017

 

Da Appelloalpopolo del 5-2-2017 (N.d.d.)

 

L’oligarchia dominante non riesce più a influire sulla volontà del popolo, che comincia ad accedere alle informazioni tramite circuiti alternativi e a scoprire le bugie e anche le paure, le debolezze e i motivi che hanno spinto gli impostori a dirle. Ma questo vertice autoritario di buro-tecnocrati non tollera il dibattito democratico e dunque, per proteggere la sua “democrazia” dalla minaccia delle forze antagoniste, comincerà a censurare chi diffonde “falsità” nei siti di controinformazione, inventandosi moderni minculpop e commissioni che stabiliscano cosa è vero e cosa è falso. Questo vaneggiamento politico-mediatico, sintomo di inquietudine strisciante, conferma la scissione in corso e probabilmente irreversibile fra le oligarchie politico-finanziarie e i popoli dei paesi occidentali, mentre fino a pochi mesi fa irreversibile e inevitabile sembrava la globalizzazione, o almeno così era ed è ancora presentata dai politici e dai media-sostenitori dell’attuale ordine globale. La crescente massa di cittadini che ha colto gli inganni della versione dominante, tenta faticosamente di liberarsi dal condizionamento ideologico dei centri di potere politico-finanziari. Nel caso della Brexit e del referendum italiano la maggioranza del popolo ha saputo ben resistere alle oscure minacce di banche e di governi stranieri sulle irreparabili sventure che le risoluzioni popolari avrebbero causate. In particolare per l’Italia sembra ripetersi l’estraneità tra paese legale e paese reale che occupò il dibattito politico nella prima metà del secolo scorso e che oggi si manifesta come contrasto tra paese illegittimo – ceto politico elitario e non-eletto – e paese reale – la cittadinanza impedita a esprimersi e dunque non rappresentata politicamente. Con idee diverse e con provenienze politiche le più varie, milioni di cittadini, in fuga dalla gabbia mentale della reinventata e artefatta dicotomia destra/sinistra, stanno attraversando le nebbie della confusione e dell’incertezza delle nuove targhette (populismo, complottismo, ecc.), sulle quali si sofferma fuorviante il dibattito attuale. Il chiacchiericcio poco alla volta si smorzerà per lasciar emergere la nuova e autentica contrapposizione politica, quella tra il globalismo e il sovranismo.

 

I cittadini che hanno perso fiducia nella narrativa ufficiale diffusa da telegiornali e dalla cosiddetta grande stampa, non godono ancora di rappresentanza politica e, ritrovandosi tutti dentro un nuovo immenso spazio politicamente inespresso, fiutano l’opportunità di essere rappresentati da forze organizzate. Né il M5S né altre simili masnade di finta opposizione possono proporsi a rappresentare credibilmente l’esteso magma dei disingannati, poiché questi gruppi fanno parte e orpello “democratico” della grande menzogna politico-affaristica del globalismo, come fu palese allorquando ratificarono proditoriamente i trattati e approvarono tutti i diktat europei. Costoro si sono assunti il compito, neanche tanto occulto, di impedire il risveglio dal sonno della ragione e dalle tante piccole e quotidiane bugie figliate dall’inganno principale; giocano il tentativo di riciclarsi per gestire il dopo-euro al grido di sovranità monetarie soltanto declamate e di confusi programmi di ripristino dello stato sociale, ambigui, velleitari e tutto sommato irrealizzabili perché non conseguenti a una totale e inequivoca abiura dei Trattati europei. Rispetto al destino di altri popoli quello italiano è ancora più tragico ed esige una determinazione a organizzarsi molto più forte e sentita che in altri paesi europei dove la carta fondamentale non è stata ancora del tutto stravolta, mentre la struttura istituzionale della Repubblica Italiana non rispetta più l’impianto originario di funzioni e poteri sancito dalla prima Costituzione, ma è un prodotto dell’ordine globalista imposto dall’Unione europea. E inoltre, questo ceto politico e finanziario, che nell’ultimo ventennio ha espresso i governi i più servili e più venduti all’amministrazione USA, manca totalmente di sentimento patrio e brilla per l’assoluta assenza di una visione strategica degli interessi nazionali e della loro difesa. Mentre il muro di menzogne sta lentamente crollando, assistiamo a una transizione di carattere storico, dopo la quale non è ben chiaro che cosa ci aspetta. Non sappiamo quanto questi gruppi dominanti siano capaci di adattarsi alle conseguenze, ancora tutte da vagliare storicamente, della Brexit, delle presidenziali americane e del referendum italiano sulla Costituzione. Non sappiamo fino a quando questa dominanza politica che, esausta si barrica in un governo segnaposto, riuscirà a resistere muovendosi secondo le vecchie logiche prima di soccombere definitivamente. Comunque vada, una vasta area della comunità nazionale, che si sta emancipando dai condizionamenti e dalle influenze delle élite politiche e mediatiche, chiederà di essere rappresentata. Si avvicina il momento di verificare l’esistenza di un nuovo ceto dirigente e di misurarne la volontà e la risolutezza ad accettare la sfida di ricostruire lo Stato in vista della priorità degli interessi nazionali e di rifondare la Nazione sulla base di un riferimento costante all’origine popolare del potere. Fino a oggi gli Italiani hanno subìto la versione dominante dell’autorazzismo, che li descrive come anarcoidi, egoisti, indisciplinati e antisociali; ora è tempo che prendano coscienza ed esprimano il loro autentico carattere nazionale fatto di qualità innegabili. Il popolo deve riscoprire come pregi collettivi la capacità di affrontare i sacrifici, la tenacia, la pazienza, lo spirito di resistenza e metterli al servizio dell’unione, dell’organizzazione politica e della sua stessa liberazione.

 

Luciano Del Vecchio

 

 
Errori e orrori PDF Stampa E-mail

6 Febbraio 2017

Image

 

Da Rassegna di Arianna del 4-2-2017 (N.d.d.)

 

Se ci fosse Oriana Fallaci starebbe oggi con Trump? Bella domanda, molto sconveniente. Coerente con l’impegno assunto coi suoi elettori, Trump ha chiuso le frontiere per tre mesi agli islamici provenienti da sette paesi. L’occidente progressista e mondialista è insorto indignato, ma fino a ieri accettava senza scomporsi le bombe pacifiste e le guerre umanitarie dei Bush e dei Clinton, di Blair e di Obama lanciate su quei paesi. Bombardavano gli islamici in casa loro per abbattere regimi autoritari ma colpendo anche popolazioni, a cui imponevano odiose sanzioni. E spianavano così la strada a fanatici e terroristi, guerre tribali, distruzioni immani e giganteschi flussi migratori. Trump ha invece preferito partire dall’opzione opposta, tutelare il suo paese e i suoi confini. Almeno in via di principio mi pare più sensato. Ma gli orrori degli uni non giustificano gli errori dell’altro. E il conformismo a favore dei primi non deve spingerci per reazione a sposare le azioni dell’altro. Non vediamo il mondo in bianco e nero. La scelta di Trump colpisce tanti per colpire solo alcuni. E colpisce obbiettivi sbagliati. Per esempio l’Iran non è dalla parte dei terroristi, non esporta masse di migranti e non va confuso col sultanato dell’Isis. Perché farsi nemico un grande paese come l’Iran? È grottesco ma restano ottimi i rapporti degli Usa coi paesi arabi che finanziano il terrorismo e si colpiscono popoli e paesi che subiscono il terrorismo o ne sono estranei. Comunque non c’è da scandalizzarsi, se si considera che perfino negli otto anni dell’umanitario Obama gli Usa hanno espulso una media di 400 mila stranieri all’anno. Ma se li caccia il dem nero, è ordinaria amministrazione…

 

È necessario allora fare un discorso più ampio e realistico sull’Islam, uscendo dalle semplificazioni e dalle suggestioni alla Oriana Fallaci. Sulla faccia della terra ci sono più di un miliardo di islamici praticanti. Una popolazione enorme che per giunta figlia molto più di noi. Chi sostiene che siamo in guerra con l’Islam perché ci odia ed è nostro nemico, compie in una sola battuta due colossali errori: primo, non distingue tra chi ci odia e chi è solo un praticante islamico; secondo, regala ai terroristi l’egemonia dell’intero Islam, sciita e sunnita, cioè oltre un miliardo di persone. Un errore simmetrico compie chi sul versante opposto riduce l’odio verso l’Occidente a pochi lupi solitari o ai soli fanatici dell’Isis. Il ragionamento più realistico da fare è un altro: se, poniamo, i nove decimi degli islamici non vogliono affatto una guerra con l’Occidente e non ci considerano come infedeli da uccidere, quella “piccola minoranza” che ci odia è pur sempre costituita da svariati milioni di persone. Poniamo che sia solo il 10 per cento delle popolazioni islamiche ad approvare il jihad, e che solo uno su cento islamici è pronto a uccidere e solo uno su mille islamici sta già incamminandosi sulla via del terrorismo. Tutto questo sarà ultra-minoritario sul piano della statistica ma nella realtà si traduce in numeri imponenti: se davvero “solo” il dieci per cento di islamici tifa per il jihad, stiamo parlando di oltre cento milioni di persone; se davvero “solo” l’un per cento è pronto a uccidere per l’Islam, sono dieci milioni di persone; se davvero è già passato al terrorismo “solo” l’uno su mille di loro, si tratta d’un milione di terroristi sparsi nel pianeta, America ed Europa inclusi. Le dimensioni sono quelle di una guerra mondiale, mica di una questione di polizia internazionale. Una guerra molecolare, e quindi non facilmente affrontabile perché dispersiva, confusa nella miriade di popolazioni, inevitabilmente protetta da alcune reti elementari, di tipo familiare e tribale.

 

La seconda questione riguarda la religione. Possiamo davvero dire che la colpa di tutto è la religione? A me sembra una sciocchezza perché nel nome della religione, islamica oggi ma anche cristiana ieri – e sottolineo lo scarto temporale tra l’oggi e lo ieri – sono stati commessi crimini orrendi e nefandezze assolute, ma anche opere grandiose di carità, di misericordia e abnegazione. La religione attiva nell’uomo risorse eccezionali, nel bene come nel male; moltiplica, ingigantisce la natura umana, negli orrori come nella santità. Altrettanto superficiale è la tesi di chi giudica trascurabile e pretestuosa la religione, ritenendo che si tratti solo di un alibi che copre interessi materiali, economici e di potenza, velleità politiche o egemoniche, atti di forza e di prevaricazione dissimulati dietro paraventi ideologici e para-religiosi. In realtà la storia dell’uomo mostra un inseparabile incastro di motivazioni religiose, ultraterrene, e di ambizioni umane, se non bestiali, comunque arciterrene. La religione, certo, fornisce ai suoi credenti una formidabile motivazione che li spinge alla scommessa assoluta, fino a mettere in gioco la vita propria (e qui siamo al martirio) e la vita altrui (e qui entriamo nel fanatismo). Ma la scelta non discende dalla religione, è frutto degli uomini che abbracciano una fede come imbracciano un’arma. Vi sono, è vero, religioni che offrono più generosi alibi alla violenza e all’orrore e altre che sono meno aggressive. Vi sono testi sacri come la Torah e il Talmud, il Vecchio Testamento e il Corano che contemplano azioni terribili nel nome di Dio; e ci sono testi sacri come le Upanishad e il Mahabaratha, i canoni buddisti, i Vangeli, che istigano meno alla violenza religiosa e più alla mite bontà. Ma come vengono tradotti i precetti religiosi dipende dagli uomini, dai regimi e dalle epoche. La ferocia non deriva dalla religione ma da chi la usa come una spada dell’assoluto e si arroga di poter decidere in nome di Dio, in sua vece, chi merita di vivere e chi di morire. Voi direte: ma non stiamo a sottilizzare, ci sono i terroristi alle porte. Certo, è tempo di agire in modo efficace, ma le azioni e le reazioni alla cieca o solo di pancia non mirano giusto e producono di solito effetti peggiori.

 

Marcello Veneziani

 

 
Quando CasaPound ha ragione PDF Stampa E-mail

5 Febbraio 2017

Image

 

Da Lettera43 dell’1-2-2017 (N.d.d.)

 

Di fronte a un'emergenza migranti che non sembra conoscere fine, fa discutere l'iniziativa di CasaPound che, all'alba del 31 gennaio, ha tappezzato un centinaio di città italiane di striscioni che prendono di mira profughi e rifugiati sbarcati sulle coste italiane.

 

«NON SI POSSONO METTERE SULLO STESSO PIANO». «Chi scappa dalla guerra, abbandonando genitori, moglie e figli non merita rispetto», recita il messaggio scolpito con i tradizionali colori del movimento di centrodestra. «In tanti potranno giudicare il nostro un messaggio choc» - si è giustificata CasaPound in una nota - «ma chi non ha fatto dell’ipocrisia la propria bandiera sa che non è possibile mettere sullo stesso piano chi abbandona Paese e famiglia al proprio destino per scappare in Europa in cerca di benessere e chi sceglie di resistere e combattere per la libertà del suo popolo».

 

«RISPETTO SOLO PER CHI SI BATTE PER ASSAD». «È per questo», conclude la nota, «che il nostro rispetto va ai siriani che vediamo combattere ogni giorno nell'esercito regolare del presidente Bashar al Assad per difendere la loro nazione dall'oscurantismo dell’Isis più che ai tanti ‘migranti’ in fuga in Italia alla ricerca di sussidi e assistenza che nel loro Paese non hanno lottato per ottenere».

 

 
Fine della globalizzazione PDF Stampa E-mail

4 Febbraio 2017

 

Da Rassegna di Arianna del 31-1-2017 (N.d.d.)

 

Quando trasmisero il Live Aid ricordo che, appena maggiorenne, assistetti a tutta la kermesse. C'erano i gruppi più amati, in particolare quelli della new wave degli anni '80, tra cui anche il gruppo di “Bono”, allora tra quelli più innovativi in ambito musicale. “Bono” era destinato a diventare figura molto umanitaria, in virtù della quale si guadagnò amicizie molto ma molto altolocate. Pur essendo attratto dalla musica e incapace di formulare un giudizio politico-culturale, ricordo che però rimasi perplesso di fronte a tanta bontà, essendo stato fin da ragazzo incline allo scetticismo. Il Live Aid era il lancio dell'ideologia della globalizzazione, in anticipo sul crollo dell'Unione Sovietica che fu poi l'evento epocale causa della sua nascita, ma evidentemente esso era nell'aria e più o meno previsto da chi ha conoscenze che vanno al di là di quelle dei comuni mortali (ovviamente non intendo in senso ultraterreno, ma quel tipo di conoscenze hanno agenzie specializzate). Nasceva la cultura della globalizzazione che si innestava sulla precedente cultura peace & love, rivolta soprattutto a quei giovani che poi saranno gli adulti degli anni successivi. Il mondo era(no) loro. Non ci dovevano essere più frontiere e chi non era d'accordo era razzista (un essere abietto, sbagliato, da correggere, al di fuori della comune umanità). Non ci dovevano essere barriere alla penetrazione del capitale, accompagnato dal volto seducente e ribelle della cultura mediatica statunitense e occidentale. In breve, la globalizzazione era la strategia di dominio globale degli Usa. Certo, ogni tanto gli Usa dovevano mostrare il volto meno buono, mostrando la loro onnipotente capacità di “riportare all'età della pietra” gli stati riottosi (“stati canaglia”), ma in genere questo era compito dall'ala destra, nel complesso l'ideologia della globalizzazione è stata un''ideologia universalista di sinistra. E quando la sinistra ha dovuta anch'essa bombardare è stato per ragioni strettamente umanitarie (“bombardamenti umanitari”).

 

C'è stato un periodo in cui gli Stati Uniti potevano ragionevolmente pensare di diventare l'unica potenza mondiale, durante l'era Eltsin e quando la Cina era ancora agli inizi del suo esploit economico. Ma la sola penetrazione finanziaria e culturale non basta, gli Stati Uniti dimenticavano il ruolo dello Stato (pur disponendo di ottimi studi prodotti dal mondo accademico sul ruolo dello Stato nella nascita del mondo moderno). La Russia risaliva la china anche grazie al ruolo di un uomo sorto dagli apparati dello Stato più coercitivi. La Cina, pur approfittando degli investimenti esteri, manteneva il controllo attraverso lo Stato sulla propria economia. Mentre negli Usa la fuoriuscita dei capitali, indeboliva la potenza industriale statunitense e finanziarizzava l'economia senza ottenere gli sperati risultati geo-politici. Allora si è imposta la grande svolta protezionista, fine della globalizzazione, da oggi due grandi regole: “si assume e si compra americano”. Nella misura in cui tale svolta implica il riconoscimento dell'esistenza di altre potenze ritengo che contenga un elemento razionale e che sia sostanzialmente positiva. Pare inoltre che tra gli ispiratori ci sia Kissinger, il quale seppur sia stato nel suo periodo d'oro non esattamente uno stinco di santo (non “tanto buono” come Obama), fu uno degli artefici del “mondo bipolare”, al quale, considerata l'instabilità dell'epoca successiva, non possiamo che guardare con nostalgia. La Clinton e Bush figlio si sono incontrati, hanno preso il caffè insieme in intimità, hanno scoperto di aver maggior affinità rispetto a quanto pensavano prima e hanno cercato di unire le forze, ma non è servito. La svolta è stata accolta male, molto male, dal mondo mediatico e dal mondo politico. In Europa, Napolitano appena dopo la vittoria di Trump ha suonato subito i tamburi di guerra, il papa dei migranti ha paragonato Trump ad Hitler. Sono gli strepiti di una classe politica e mediatica formatasi durante l'epoca della globalizzazione e ora destinata ad essere dismessa, oppure ci sono conflitti più profondi? Per dirlo con maggiore certezza ci vorrebbero ancora quel tipo di conoscenze non disponibili ai comuni mortali, però credo sia più probabile la prima ipotesi, visto che anche i “mercati” hanno accolto in modo positivo la svolta. Nell'ipotesi contraria, assisteremo alla invasione live degli zombies. In ogni, caso ritengo che questa svolta non potrà essere del tutto indolore. La deriva dei globalisti era diventata molto ma molto preoccupante con le continue provocazioni contro la Russia (anche se ovviamente fatte a fin di bene), quindi salutiamo la nuova epoca, consapevoli però che non mancherà di innescare nuovi conflitti, per affrontare i quali si spera provvederemo ad essere meglio attrezzati.

 

Gennaro Scala

 

 
Fuori dalle opposte tifoserie PDF Stampa E-mail

3 Febbraio 2017

Image

 

Su, rassicuratemi. Ditemi che non appartenete a nessuna delle due schiere – delle due tifoserie – che si sono formate intorno alla figura (e alle opere…) del neo presidente degli USA. Ditemi che non siete tra quelli che lo additano come il Nuovo Babau Fascista e come il Barbablù dei Diritti Civili, laddove madamina Hillary sarebbe stata – se non proprio la Biancaneve della Solidarietà interna e planetaria – quantomeno la Florence Nightingale dei poveri locali e dei bisognosi d’ogni dove.

 

Ma ditemi pure che non siete di quelli che si sono lasciati incantare dal suo nazionalismo spavaldo da sceriffo texano che ha deciso di ripulire The Town nel più breve tempo possibile. Con le buone o, preferibilmente, con le cattive. Occhio, amigos. Il problema non è il modello Trump. Il problema è il modello USA.

 

Federico Zamboni

 

 
<< Inizio < Prec. 121 122 123 124 125 126 127 128 129 130 Pross. > Fine >>

Risultati 2065 - 2080 di 3745