Avviso Registrazioni

Scusandoci per l'inconveniente, informiamo i nuovi utenti i quali desiderino commentare gli articoli che la registrazione deve essere fatta tramite Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

Login Form






Password dimenticata?
Nessun account? Registrati

Cerca


 
  SiteGround web hostingCredits
Francia ipocrita sul burkini PDF Stampa E-mail

29 Agosto 2016

Image

 

Da Rassegna di Arianna del 21-8-2016 (N.d.d.)

 

Il sonno della ragione dei politici europei, impegnati a rincorrere qualunque retorica pur di speculare su qualche voto, produce mostri come la polemica francese sul burkini. A sua volta preziosa perché, letta in controluce, spiega tutto non solo della Francia, afflitta da una classe di governo di rara mediocrità, ma dell’Europa intera e, alla fin fine, di questo Occidente insopportabilmente pigro dal punto di vista morale e ipocrita. Qualche fatto. Pochi giorni fa il sindaco di Cannes, David Lisnard, ha emesso un’ordinanza per vietare sul territorio del suo comune l’uso del burkini, l’orribile costume da bagno che copre tutto il corpo della dona, capo compreso, ed è usato da certe donne musulmane. Nell’ ordinanza, Lisnard si richiama alla necessità di difendere “i buoni costumi” e “la laicità” e “di far rispettare le regole d’ igiene e sicurezza”. L’ ordinanza, ovviamente, è stata subito replicata dai sindaci di altri comuni della Costa Azzurra ed è poi finita davanti al magistrato per gli altrettanto ovvi ricorsi. A dispetto del nome, il burkini c’ entra poco col burka. In Italia il burka, che copre anche interamente il volto, è fuori legge… per legge: la legge Reale del 1975, che disciplina la tutela dell’ordine pubblico e proibisce, appunto, di rendersi irriconoscibili coprendo il volto. Ma il burkini, che in definitiva somiglia a una muta completa da subacqueo, da noi dovrebbe essere proibito con un provvedimento ad hoc. Detto questo, ci sono alcune ragioni precise che rendono l’operato dei francesi non solo una farsa ma una farsa pericolosa.

 

Frequento da anni la Costa Azzurra, alla maniera di tanti altri piccoli borghesi del Piemonte e della Lombardia. Mini appartamento a Mentone (in società con mia madre e mio fratello), poi da lì si va qua e là. In questi anni di burkini ne avrò visti, a dir tanto, tre. Mi sfugge quindi come il sindaco di Cannes (75 mila abitanti, d’ estate almeno oltre i 100 mila) possa sentire minacciati, tutti insieme, i costumi, la laicità, l’igiene e la sicurezza del suo ricco Comune. Soprattutto mi pare incredibile che il sindaco non noti una contraddizione. Lui vieta i burkini in spiaggia, ma nel centro si vedono donne abbondantemente velate (le stesse che hanno finito di fare il bagno?) che, pasturando stuoli di bambini e restando disciplinate nell’ ombra dei mariti entrano nei ristoranti, escono dalle boutique con mazzi di pacchetti, vanno a curiosare nelle agenzie immobiliari, fanno acquisti in gioielleria e così via. In quei casi, a quanto pare, il sindaco Lisnard non vede alcun pericolo per la laicità e l’igiene, anche se le donne sono coperte proprio come se avessero il burkini. Che sia una questione di quattrini? Veli e coperture vanno bene tra i negozi, perché da sotto quei veli escono gli euro. E non vanno bene in spiaggia, dove qualche turista potrebbe adontarsi e portare i propri euro lontano dal comune di Cannes? Si diceva prima del magistrato e dei ricorsi che si è trovato a esaminare. L’ ordinanza del sindaco Lisnard è stata sdoganata. Anche alla luce, ha sentenziato il magistrato, dello stato di emergenza proclamato dopo la strage di Nizza del 14 luglio. Curioso anche questo: Mohamed Bouhlel, il camionista che uccise 84 persone investendole sul lungomare, era uno psicopatico violento che andava a donne, beveva, non frequentava la moschea e non osservava il Ramadan, il mese del digiuno che è uno dei cinque precetti che definiscono il musulmano. Quel che è peggio, però, è che sulle stesse posizioni si è allineato anche il premier Manuel Valls, che si è lanciato in frasi importanti. “Il burkini è incompatibile con i valori della Francia e della Repubblica, ed è l’espressione di un’ideologia basata sull’ asservimento della donna”. Forse il burkini è incompatibile con la Francia, ma tutto il resto no. Voglio dire: il burkini offende la Repubblica e le donne ma ciò che produce il burkini e, soprattutto, produce quella visione estrema dell’islam, l’asservimento delle donne e molte altre cose al premier Valls va benone. Anzi: lui lo ama, lo ritiene indispensabile.

 

Fu proprio Valls, qualche mese fa, a dire che la Francia ha con l’Arabia Saudita una “relazione strategica”. Quindi importante, anzi irrinunciabile. Eppure Valls sa come sono vestite le donne saudite. Sa che non possono guidare. Sa che per mandare una donna a correre alle Olimpiadi di Rio, anche lei per altro vestita con una sorta di burkini su cui nessuno ha protestato, hanno dovuto trovarne una che fosse accompagnata in Brasile da un parente maschio e avesse il permesso di padre e marito. Sa anche, Valls, che il wahabismo saudita è la forma più radicale e conservatrice di islam oggi praticata nel mondo. E che i wahabiti, usando i petrodollari, propagandano quella visione dell’islam in tutto il mondo, finanziando scuole coraniche radicali, gruppi estremistici, financo gruppi terroristi. Ma ciò che offende e indigna Valls è il burkini. Di più. La frase sulla “relazione strategica” fu pronunciata subito dopo che il presidente Hollande aveva concesso la Legion d’ Onore, massima onorificenza francese, a Mohammed bin Nayef, principe ereditario della monarchia saudita e ministro degli Interni. In quel momento del 2016, Bin Nayef aveva già firmato 70 condanne a morte (una fu eseguita due giorni dopo il ritiro della Legione) e, come ministro degli Interni, è responsabile proprio di quel sistema perverso di leggi civili e leggi religiose che tiene le donne saudite nello stato in cui sono, quasi prive di diritti e, ovviamente, obbligate a indossare il burkini. Ma Valls non era turbato dal fatto di onorare un tale personaggio. No, lui si turba per il burkini.

 

D’ altra parte i politici francesi sono tipi particolari. Nel 2015 per ben tre volte i vertici del sistema politico d’ Oltralpe si sono recati in Arabia Saudita, il Paese dove l’asservimento delle donne è più palese, a omaggiarne i dirigenti. Due volte Hollande e una lo stesso Valls il quale, il 12 e 13 ottobre, ha firmato contratti per 10 miliardi di euro. Quei soldi coprivano anche un’abbondante fornitura di armi prodotte in Francia. Il che significa solo una cosa: che per un po’ di denaro, il buon Valls e il buon Hollande andavano a rafforzare il regime che fa della negazione della laicità e dell’asservimento delle donne due caposaldi della propria visione del mondo. Per non parlare del fatto che molte di quelle armi saranno probabilmente passate a gruppi armati fondamentalisti, per esempio l’Isis. Tutto questo però non è incompatibile con i valori della Repubblica francese. Tutto questo non sconvolge Valls. A lui lo sconvolgono solo i burkini. Alla fin fine, è sempre la solita storia. Siamo moralmente pigri e miseri, per quattro petrodollari diamo via l’anima e altro. Quindi proprio non possiamo prendercela con le centrali che alimentano nel mondo, concretamente, il fanatismo, il radicalismo islamico, il terrorismo. Così ce la prendiamo coi simboli. Il che è una vera stupidaggine. Perché i simboli appartengono a tutti i musulmani, Il terrorismo e le armi solo a una parte di loro. Per denaro, quindi, preferiamo prendercela indistintamente con l’islam, scontentando quindi tutti i musulmani, e lasciare in pace chi, in definitiva, ci spara addosso. È il marchio di fabbrica di questa Europa imbelle, senza nerbo e senza visione. E il trionfo delle teorie dello “scontro di civiltà” partorite dai neocon americani e da quelli che li hanno seguiti. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: dal 2000 a oggi le vittime di atti terroristici sono aumentate di nove volte. Come diceva Nanni Moretti. Continuiamo così, facciamoci del male.

 

Fulvio Scaglione

 

 
Ciņ che non si dice del Manifesto di Ventotene PDF Stampa E-mail

28 Agosto 2016

 

Cari Renzi, Merkel e Hollande, vorrei ricordarvi che nel Manifesto di Ventotene c'è scritto che:

 

a)  le industrie strategiche, o monopolistiche, o che impiegano grandi quantità di capitali e operai (nello specifico le banche sono citate) vanno nazionalizzate, "su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti";

 

b) i "ceti parassitari" vanno eliminati restituendo i mezzi di produzione ai lavoratori e rivedendo i diritti di successione (quindi eredità redistribuite tra i giovani "per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita");

 

c)  la scuola dovrebbe essere giusta e selettiva, mandando avanti "i più idonei, invece che i più ricchi"

 

d)  bisognerebbe dare ai poveri una sorta di reddito di cittadinanza ("una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente").

 

Daniele Scalea

 

 
Terremoto unica emergenza italica PDF Stampa E-mail

27 Agosto 2016

Image

 

Da Rassegna di Arianna del 25-8-2016 (N.d.d.)

 

Tra le innumerevoli emergenze fabbricate in provetta, gonfiate o semplicemente inventate dai media di cui le cronache italiane sono piene da decenni, una sola è autentica, concreta, indiscutibile, “vera”, insomma: il terremoto. Il terremoto non è l'emergenza aviaria, che forse arriva o forse no; non è l'emergenza sbarchi, tenuta su dagli strilli di chi la denuncia; non è l'emergenza spazzatura, che poi in dieci giorni sparisce non si sa come. Il terremoto è tangibile. Ricorrente. Incombente, sempre mortale, nelle larghe parti della Penisola dove il rischio sismico è connaturato all'ambiente. Il terremoto è, in qualche modo, predestinazione italiana e lo sappiamo da sempre: oltre un terzo dei 1.300 terremoti distruttivi avvenuti nel secondo millennio nel Mediterraneo sono successi in Italia, e ci sono zone – pensiamo al Belice, o più di recente all'Aquila – che quasi si identificano con la parola, ne sono diventate una sorta di aggettivazione. Eppure questa sola, unica, certa emergenza è anche quella davanti alla quale restiamo storicamente disarmati, tantoché fa quasi impressione sentire ripetere dopo ogni scossa le identiche parole su mancato adeguamento, mancata cura, mancato rispetto delle precauzioni fissate dalla legge e dal buonsenso, e leggere per la decima volta le stesse statistiche dei geologi sulla ricorrenza del fenomeno (un terremoto del sesto grado ogni 15 anni circa), le stesse lagne sull'inconsistenza dei fondi per la prevenzione del rischio sismico (che per la cronaca è diminuito dai 145 milioni di euro del 2015 agli attuali 44 milioni, un quinto della cifra stanziata per il famoso bonus giovani).

 

Oltre le emozioni del momento, che invitano a sospendere ogni polemica – perché è maramaldesco cercare il litigio quando c'è ancora gente che scava con le mani, piange un figlio morto, ha perso le sicurezze costruite in una vita – c'è da chiedersi se non ci sia uno specifico limite della cultura nazionale in questa costante sottovalutazione del solo rischio certo che il nostro Paese corre, da sempre. E se questo limite non sia riconducibile a un'idea fuorviante di identità, che collega questa fatidica parola, così di moda ultimamente, agli usi e ai costumi delle persone, al loro modo di mangiare, di pregare, di condursi, al limite al loro abbigliamento, anziché allo straordinario tessuto del nostro territorio: un tessuto dove anche piccoli paesi come Amatrice, poco più di duemila abitanti, sono borghi-gioiello di grazia impareggiabile, luoghi del cuore non solo per chi ci abita ma per chiunque ci sia passato almeno una volta. E' il mancato riconoscimento di questa bellezza, di questa insostituibilità – chi ridarà mai all'Italia la dolce vita di una passeggiata nel corso dell'Aquila, l'incanto da presepe di Colfiorito, gli affreschi sbriciolati di Gubbio, certi scorci di Norcia e Cascia – ad animare da mezzo secolo il disinteresse per i centri storici italiani, abbandonati al loro destino, alle scarse risorse dei loro abitanti, degli anziani che ci resistono e dai quali non si può certo pretendere la lungimiranza dell'adeguamento antisismico. Le risorse, pubbliche e private, sono tutte investite nella superfetazione di periferie senz'anima né bellezza: le famose case nuove che non crollano, ma fanno schifo. Tutela del territorio e del patrimonio culturale? Zero. Tutta l'Europa civile ha rovesciato questo paradigma. Ha affidato la difesa della sua identità ai luoghi e alla loro capacità di forgiare atteggiamenti, stati d'animo, cultura. È inimmaginabile in Francia costruire casermoni intorno ai borghi storici della Provenza. Sono impensabili edifici funerari e infissi di alluminio dorato intorno ai paesi della Foresta Nera. E non troverete certo capannoni industriali gialli o arancioni abbandonati nella campagna dello Yorkshire. La cura del territorio, inteso come interconnessione di persone, case, natura, attività economiche, ambiente, è una attività di ordinaria amministrazione ovunque tranne che qui, nell'Italia che si riempie la bocca della parola “identità” ogni volta che arriva un barcone di stranieri ma non sa riconoscerne l'essenza, né difenderla sul serio. È anche per questo che nei bilanci pubblici, da sempre, la prevenzione dei disastri – terremoti, inondazioni, piene – occupa spazi microscopici, e probabilmente gli ottomila Comuni italiani spendono più per le feste della porchetta o del fagiolo che per la tutela del loro micromondo. Non è che siamo troppo poveri per poterci permettere “il lusso” di un approccio diverso. È che quel “lusso” non lo riconosciamo, e lo andiamo a cercare altrove, nelle mille orribili incompiute che costellano il Paese, negli stadi mai finiti, negli auditorium mai aperti, negli ospedali mai inaugurati, nelle strade mai collaudate, monumenti all'imbecillità che in giorni come questi, mentre si contano i morti e i senzatetto, gridano vendetta più del solito.

 

Flavia Perina

 

 
Doni di mele avvelenate PDF Stampa E-mail

26 Agosto 2016

Image

 

Da Appelloalpopolo del 23-8-2016 (N.d.d.)

 

Il grande capitale ha bisogno di un tipo di “uomo”, il cliente-consumatore-spettatore, infantile, narcotizzato, sedotto, sprovvisto di volontà, di determinazione, di capacità di stare solo senza consumare (anche immagini, letture e suoni), carente di senso di auto-responsabilità e di pazienza; un essere ovviamente incapace di esser parte di un progetto umano che lo trascenda. Per questa ragione l’epoca del neo-liberismo, se si preferisce dell’ordo-liberismo, è stata l’epoca della tutela del consumatore contro la pubblicità ingannevole, del riconoscimento del “diritto ad essere informati” dalle controparti contrattuali (grandi capitalisti) e del diritto al risarcimento monetario del danno non patrimoniale (mercificazione di beni sacri, non commerciabili e non valutabili monetariamente), della tutela dei clienti-“investitori finanziari” contro gli intermediari finanziari, della concessione della possibilità di vedere spettacoli televisivi organizzati dal capitale, gratis o quasi, 24 ore su 24, del diritto ad una bassa inflazione (generata dalla concorrenza, interna e internazionale), della possibilità di mutui immobiliari trentennali e di credito al consumo, del diritto di non fare il militare di leva né il servizio civile alternativo, del diritto di scommettere in ogni momento della giornata in ogni tabaccaio e in ogni angolo delle strade cittadine, del diritto a non vedere esposti i voti negativi scritti in rosso nei quadri scolastici, del diritto a non essere bocciato, e così via.

 

Tutti diritti e poteri che hanno la funzione di trasformare gli uomini in larve. Essi sono stati concessi dalle élites senza che vi siano mai stati movimenti di massa che chiedessero la concessione di simili diritti e poteri. Sono stati regalati, non conquistati. Mentre venivano cancellate dall’ordinamento le tutele vere, alla stabilità del rapporto di lavoro, al salario dignitoso, alla piena occupazione, alla casa, ad un canone locatizio equo, ecc., il grande capitale regalava ai cittadini una serie di tutele volte ad indebolirli, a renderli irresponsabili, a chiuderli in casa o nei retro-bar, a “drogarli” con doni di mele avvelenate: a conformarli come consumatori-clienti-spettatori.  Le innumerevoli tutele regalate dal moderno capitalismo sono pura vasellina. La tutela del diritto al lavoro, del diritto alla casa e degli altri diritti sociali sono tutele dell’uomo. Il consumatore indebitato cronico per consumi non necessari, drogato di scommesse, senza obblighi verso lo stato e la nazione, irresponsabile di azioni (che compie con coscienza e volontà), che si arricchisce se subisce un sinistro, chiuso in casa e messo in pantofole davanti agli schermi, forse non le merita: forse merita di essere schiavo. Accanto alla battaglia per la riconquista dei diritti sociali deve stare la battaglia per la liberazione dai “diritti” e dalle possibilità droganti, inebetenti, narcotizzanti. Bisogna rifiutare il sistemico dono della vasellina elargito dal grande capitale. Si deve tornare a scommettere quanto, dove e come si scommetteva nella prima repubblica; il credito al consumo va limitato; i mutui immobiliari devono essere al massimo ventennali (i prezzi degli immobili e i costi per i costruttori si adegueranno); i canali televisivi privati devono essere pagati per intero dagli spettatori (al capitale marchio non va concesso di regalare a questi ultimi mele avvelenate); chi acquista azioni o obbligazioni societarie deve tornare a farlo a suo rischio e pericolo: se non si intende di finanza acquisti i titoli del debito pubblico e si vergogni di voler produrre denaro con denaro senza investire nella produzione di beni e servizi reali. Riconquistare i diritti sociali e liberarci dalle tutele vasellina stanno e cadono insieme. O si è uomini degni di tutela o si è larve che, seppure astrattamente meritevoli di tutele sociali secondo certe concezioni discutibili, non ri-otterranno mai le tutele sociali.

 

Contestare il neo-liberismo soltanto per ciò che ci ha tolto e non per gli innumerevoli diritti e poteri che ci ha donato è una posizione politica presuntuosa, velleitaria, certamente perdente; e in fondo, forse, anche immorale.

 

Stefano D’Andrea

 

 
Acque inesplorate PDF Stampa E-mail

25 Agosto 2016

Image

 

Da Rassegna di Arianna del 23-8-2016 (N.d.d.)

 

A volte i "padroni universali" (così li chiamò, qualche tempo fa, il premio Nobel per l'economia Paul Krugman) lanciano messaggi chiari. Di regola si informano, tra loro, in modo criptico. Ma questa volta due cose sono evidenti: 1) chi parla è uno di loro; 2) la situazione è critica. Chi è che parla? Il RIT, ovvero il Rothschild International Trust, il cui presidente è Jacob Rothschild. Sul sito del RIT è apparsa nei giorni scorsi una nota che dire sorprendente è poco. "I sei mesi che stiamo esaminando hanno dimostrato che i banchieri centrali continuano a portare avanti il più grande esperimento in politica monetaria della storia del mondo". Così scrive il rapporto. È tuttora in corso un "esperimento" che non ha precedenti nella storia moderna. Questo "esperimento" (è la prima volta che il termine appare a quei livelli) è realizzato da un pugno di uomini, cioè i "banchieri centrali". I quali si sono ben guardati fino ad ora dal comunicarlo ai miliardi di persone che ne subiscono le conseguenze. È qui palese che costoro hanno un potere sterminato e potenzialmente mortifero, e lo esercitano al di fuori di qualsiasi criterio democratico. Sappiamo che un tale "esperimento" è in corso da diversi decenni, e che ha preso un andamento accelerato negli ultimi otto anni circa, cioè dal momento della crisi di Lehman Brothers, che ha a sua volta mandato in fallimento tutte le principali banche dell'Occidente. Rothschild sembra comunicarci un'ovvietà: l'esperimento è "tuttora in corso". Ma non sembra contento. Probabilmente vuole farci sapere che è ora di portarlo a termine. Ma come non ce lo dice. Intanto Jacob Rothschild ci informa che le sue banche hanno cominciato a investire in metalli preziosi (leggi oro, platino etc.) e a ridurre i loro investimenti in certificati di credito del Tesoro US. Anche la sterlina viene abbandonata al suo destino. Ci fornisce anche, con straordinaria chiarezza, la diagnosi: "Noi ci troviamo ora in acque inesplorate, ed è impossibile prevedere gli effetti indesiderati di tassi d'interesse molto bassi, che si accompagnano a circa il 30% del debito globale degli Stati con rendimenti negativi, combinato con un quantitative easing su dimensioni gigantesche".

 

"Acque inesplorate", dunque. Fino ad oggi è andata bene ("has been successful"). Ma "la crescita rimane anemica, in presenza di deflazione in molte aree del mondo sviluppato e con una domanda debole". Sembra la continuazione di un discorso, avviato qualche mese fa da Laurence Summers, uno dei più importanti banchieri americani, consigliere di presidenti. Summers, tagliando drasticamente le troppo ottimistiche previsioni dei FMI, scrisse che, per gli stessi motivi indicati da Jacob Rothschild, dobbiamo prevedere nel prossimo quinquennio un tasso di crescita del Pil mondiale vicino allo zero. E diceva apertamente che non si poteva uscire da questa situazione, con tassi così bassi, con una manovra monetaria o fiscale. Cioè invocava un "nuovo sapere economico", che non c'è. Ecco le "acque inesplorate". E, a differenza di Summers, che fa solo il banchiere, Rothschild si occupa di politica. E lancia un altro allarme: "la situazione geopolitica - scrive - si è deteriorata, con l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea; con elezioni americane, a novembre, insolitamente spinose; con una Cina che rimane 'opaca', e con un rallentamento della crescita che comporterà problemi" (qui in pieno accordo con Summers). I signori del pianeta sembrano non avere ricette e cominciano a essere impensieriti circa il controllo della situazione. Rothschild non nomina la Russia; non sappiamo cosa ne pensa. Ma il silenzio non è indice di sicurezza. In Siria i piani dell'Occidente sono in pezzi, e la Russia, sotto sanzioni, ha deciso la fine di Daesh. Tutta la loro dottrina economica sembra improvvisamente divenuta molto precaria, come quella immensa massa di denaro e di derivati con cui hanno infettato il mondo intero. Che abbiano in mente qualche colpo di scena? È probabile che lo abbiano. Non si fanno giganteschi "esperimenti" senza prevedere una qualche uscita di sicurezza. A meno che non siano stati così stupidi da avere ignorato il problema. E allora sarebbero i restanti sette miliardi di individui a dover essere impensieriti.

 

Giulietto Chiesa

 

 
Guerra psicologica PDF Stampa E-mail

24 Agosto 2016

Image

 

Da Rassegna di Arianna del 21-8-2016 (N.d.d.)

 

Un'immagine di un bimbo ferito viene promossa negli screditati media mainstream insieme a una tragica storia di 'attivisti' in un quartiere collocato nella Aleppo Est occupata da Al-Qa'ida. Secondo i media imbeccati dai governi, è agli «attacchi aerei russi o del regime siriano» che va imputata la colpa di questo atto di brutalità contro un bambino innocente. Un bimbetto traumatizzato, apparentemente ferito, si siede tranquillamente in un'ambulanza nuova fiammante. A un certo punto si tocca una ferita sulla propria testa. Non reagisce a quel tocco. Il video di due minuti da cui il fermo immagine è estrapolato mostra il bimbo mentre viene consegnato da una posizione buia a una persona "ufficiale" e portato dentro l'ambulanza. Lì sta seduto silenziosamente mentre le macchine fotografiche vanno avanti a confezionare questa operazione di guerra psicologica.

 

La narrazione dei media principali è la seguente: Mahmoud Raslan, un fotoreporter che ha catturato l'immagine, ha riferito all'Associated Press che i soccorritori e giornalisti hanno cercato di aiutare il bambino, identificato come Omran Daqneesh, di 5 anni, insieme con i suoi genitori ei suoi tre fratelli, che hanno 1, 6 e 11 anni. «Passavamo lì da un balcone all'altro», ha dichiarato Raslan, che ha aggiunto: «Abbiamo inviato subito i bambini più piccoli all'ambulanza, ma la ragazzina di undici anni ha aspettato affinché sua madre venisse salvata. La sua caviglia era bloccata sotto le macerie». Da una ricerca su Internet sul nome di "Mahmoud Raslan", il presunto "fotoreporter", non risultano altre immagini o video attribuiti a tale persona.

 

Al momento ci sono cinquanta guerre in corso lungo tutto il sanguinante pianeta Terra. I bambini diventano vittime della guerra in ciascuna ora di ogni santo giorno. Chiedetevi perché non vedete mai i bambini vittime degli attacchi aerei USA, o dei bombardamenti dei nostri alleati. Quando fanno un servizio speciale su un bambino morto o ferito e lo trasmettono a ripetizione, c'è un preciso ordine del giorno. Di solito, l'obiettivo è quello di suscitare le emozioni necessarie a manipolare il vostro consenso per una nuova guerra. Le parti di voi che disprezzate sono proiettate su un bersaglio mentre i vostri demoni privati diventano nemici pubblici, così che lo Stato può ammazzare impunemente, trasformando l'assassinio in patriottismo. Probabilmente non c'è immagine più efficace per attingere alla nostra psiche tribale rispetto a quella di un bambino ferito o morente.

 

Come possiamo aiutare questo povero bimbo? Lo Stato ha una risposta preconfezionata. Centinaia di migliaia di bambini sono stati uccisi o feriti dai bombardamenti statunitensi solo in questo secolo. Quanti di questi avete visto nelle "news"? Avete visto una sola foto dei bimbi uccisi dalle aggressioni degli Stati Uniti in Afghanistan, Pakistan, Yemen, Siria, o Somalia, comparire in un giornale mainstream che giustifica la guerra? Nel 1972, una foto scioccante di una bimba che era stata vittima di un raid con bombardamenti al napalm su Trang Bang, in Vietnam, apparve sulla prima pagina del New York Times. La foto di Kim Phuc che vinse il premio Pulitzer, scattata da un fotografo dell'Associated Press, Nick Ut, si dimostrò efficacissima nell'esporre l'autentico orrore e l'immoralità della guerra del Vietnam e contribuì a mutare il sentimento pubblico contro l'aggressione USA nel paese. Una foto del genere riuscirebbe forse a farsi strada in questa potente piattaforma mediatica anche nell'odierno paesaggio dei media egemonizzati da governo e grandi aziende? (Ricordate, il New York Times ha contribuito a promuovere le bugie che ci hanno portato alla guerra in Iraq.) La pubblicazione di tali immagini scioccanti, cariche di emozioni, può essere utilizzata per contribuire a porre fine a una guerra, ma - molto più frequentemente - è utilizzata per demonizzare un nemico e fornire pretesti per una nuova guerra da giustificare con motivi "umanitari". Non vedremo mai i risultati di una carneficina inflitta dagli USA, in quanto una delle principali funzioni dei media che promuovono le guerre è quella di rimuovere ogni colpa e responsabilità morale dalle azioni del nostro paese per addossare invece la colpa e il male altrove. La scusa per cestinare questi documenti visivi di guerra nel dimenticatoio consiste spesso nel dire che le immagini sono "troppo provocatorie"; eppure gli stessi organi di informazione promuovono con entusiasmo certe sequenze in cui si vedono dei malfattori che compiono atti malvagi, quando ciò fa comodo alla loro gerarchia delle notizie.

 

Quando vedete un bimbo morto o ferito nei media, che ci sono nemici, fate attenzione!

 

Anthony Freda

 

 
<< Inizio < Prec. 131 132 133 134 135 136 137 138 139 140 Pross. > Fine >>

Risultati 2225 - 2240 di 3745