Avviso Registrazioni

Scusandoci per l'inconveniente, informiamo i nuovi utenti i quali desiderino commentare gli articoli che la registrazione deve essere fatta tramite Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

Login Form






Password dimenticata?
Nessun account? Registrati

Cerca


 
  SiteGround web hostingCredits
Ogni scelta comporta una rinuncia PDF Stampa E-mail

26 Marzo 2023

Image

 Da Rassegna di Arianna del 24-3-2023 (N.d.d.)

Proviamo a leggere la questione della maternità surrogata da un altro punto di vista, come una riflessione sulla commedia umana e i suoi paradossi. C’è una sparuta minoranza che cerca di avere un figlio anche se non può averlo: coppie omosessuali, donne single o in età avanzata, coppie eterosessuali con problemi di sterilità. E c’è una maggioranza che un figlio potrebbe averlo ma non lo vuole; perché sarebbe una rinuncia alla libertà, al lavoro, alla pienezza della vita, al benessere. Sullo sfondo c’è un modello culturale senza precedenti nella storia umana che penalizza l’idea di maternità, fertilità, fecondità, procreazione; che elogia l’autorealizzazione, incompatibile con la gravidanza, la nascita e la cura di un figlio. E invece esalta e agevola chiunque desideri una maternità pur non essendo nelle condizioni di averla, in particolare se omosessuali, prima che coppie “sterili”, single o anziani.

Cosa accomuna chi rifiuta la maternità pur avendo la possibilità di procreare e chi desidera la maternità pur non essendo nelle condizioni di procreare? Il rifiuto del limite, che è il rifiuto della natura e dei suoi confini. Una gravidanza indesiderata pone limiti alla mia libertà e alla mia esistenza, quindi la respingo, fino all’aborto; così, all’opposto, una gravidanza impossibile, ad esempio tra coppie dello stesso sesso, pone limiti al mio desiderio; quindi cerco di aggirarla, fino all’utero in affitto. Così accade il paradosso di una società che rifiuta i figli eccetto coloro che non possono averli. Un paradosso che fa il paio con un altro: il rigetto del matrimonio e della famiglia, nel nome di relazioni libere e convivenze senza vincoli nuziali; salvo per le coppie omosessuali di cui invece si pretende la codificazione in matrimonio.

Ora, distinguiamo due piani. Uno soggettivo e particolare, e l’altro sociale e generale. Sul piano soggettivo, conosciamo tutti persone e coppie che rientrano in quei differenti travagli: chi rigetta i figli perché complicherebbero la loro vita, chi rigetta i matrimoni perché incompatibili con la loro vita fluida e magari nomade, chi vorrebbe avere o ha avuto figli con maternità surrogata, siano essi omosessuali o single. Di ognuno conosciamo e rispettiamo la storia, conosciamo le sofferenze e le difficoltà, non ci permettiamo di ergerci a giudici, hanno tutta la nostra comprensione. Poi, però, guardiamo alla società, vediamo cosa resta della vita, del mondo. La famiglia vista come un male assoluto, soprattutto se legata a un aggettivo che evoca legami e continuità, come famiglia naturale o tradizionale. La sostituzione delle identità con la fluidità dei soggetti e dei loro desideri; lo spostamento assoluto del baricentro dal noi, dalla natura, dall’identità all’io, alla volontà soggettiva, al desiderio. La sostituzione della persona – che ha un’identità, un volto, una storia, un’eredità – con l’individuo, che è neutro e asettico, anzi è ciò che vuole essere, rigetta ogni limite. Le singole storie meritano rispetto e affetto, ma il risultato che ne sortisce da questo modello di società è la fine della comunità, e alla lunga della società stessa, della civiltà, dell’umanità; è l’avvento del transumano. L’umanità è una corda tesa tra la natura e la cultura, esiste finché c’è una dialettica tra la libertà e la responsabilità, le scelte e le rinunce, i diritti e i doveri, il desiderio e il destino. Le facoltà e i limiti. Nel momento in cui salta uno dei due termini, l’umanità finisce e si perde nell’infinito. Stiamo sognando un’umanità senza limiti, senza doveri, senza spirito di rinuncia, dunque un’umanità senza umanità. È la fine della civiltà, il punto di non ritorno dell’umanità, la sostituzione di ogni prospettiva comunitaria – da quella famigliare a quella sociale, religiosa e territoriale – con una radicale soggettivizzazione dell’esistenza. Io sono ciò che voglio essere, la realtà non vale; prevale il mio desiderio. Voglio un figlio ma senza una famiglia; al più un libero e fluido consorzio tra un Io e un altro Io, con la fabbricazione, anche a pagamento, di un terzo Io. Tre singoli senza il contesto storico, affettivo, radicato della famiglia. Tre volontà singole e illimitate senza identità, legami, eredità.

L’argomento principale in difesa di questo modello è sempre uno: niente ti impedisce di vivere con i tuoi canoni tradizionali e naturali, ma lascia agli altri la possibilità di vivere come meglio credono. Il discorso varrebbe se la società fosse solo un arcipelago di solitudini radicali, un occasionale e superficiale consorzio di soggetti autonomi e atomizzati. Esistiamo come target, come audience, come utenti, fruitori; ma non come popolo, comunità, nazione, civiltà. La società è finita, restano individui infiniti. Che non potendo essere realmente infiniti sono in realtà non-finiti, abbozzati, abortiti, indefiniti. È permesso dire che una società deve invece avere una sfera privata di libertà personali ma anche una sfera pubblica in cui valgono principi e criteri superiori a quelli puramente individuali? È permesso dire che se fai una scelta di vita poi non puoi pretendere scorciatoie e salvacondotti per godere dei risultati di altre vite? Ogni scelta comporta una rinuncia. Sei libero di vivere, ad esempio, la tua omosessualità ma non pretendere di avere dei figli noleggiando altrui maternità, usando uteri come bancomat di figli delivery, grembi come bucce, gusci o container, asserviti ai propri desideri, concessi solo a chi può permetterseli. Non puoi subordinare ai tuoi desideri la vita di un’altra persona, privandola di un padre e una madre. Capisco il punto di vista di chi desidera i figli pur avendo fatto una scelta incompatibile con averli; ma se usciamo dal suo ambito soggettivo, quel desiderio è sfruttamento, abuso, depredazione. Ci sono due modi per disumanizzarci: se perdiamo la libertà, con le sue scelte, o se cancelliamo la natura, con i suoi limiti. Non siamo angeli né bestie, solo umani. E chi si pretende angelo diventa bestia.

Marcello Veneziani

 
Il ritorno del protezionismo PDF Stampa E-mail

25 Marzo 2023

Image

 Da Appelloalpopolo del 23-3-2023 (N.d.d.)

Il protezionismo venne negli anni Trenta del ventesimo secolo, dichiaratamente per riequilibrare la bilancia dei pagamenti di molti Stati militarmente potenti. Negli anni Venti del ventunesimo secolo, è tornato per la stessa causa, in particolare per riequilibrare la bilancia dei pagamenti statunitense e in più per contrastare il successo di un’economia (quella Cinese) fondata sugli aiuti di Stato e ammessa ingenuamente (dagli USA) nel commercio mondiale. Infatti, le sanzioni (contro Cina e Russia), la guerra in Ucraina e il green, promossi dagli USA, sono soltanto le false motivazioni ideologiche, per coprire le esigenze statunitensi di riordino della bilancia dei pagamenti.

E chi se la piglia in saccoccia? L’Unione Europea, che ha elevato a “costituzione economica” il liberoscambismo, credendo eterna efficiente e morale la scelta, del tutto contingente, fatta dagli USA nei primi anni Novanta, perché creduta utile (per gli USA) ma rivelatasi perdente. Per noi socialdemocratici (e quindi) antieuropeisti italiani, le cose stanno andando alla grande. Meglio non potevano andare.

La necessità di continui PIANI, fondati sugli aiuti di Stato, che si diffonderanno e si moltiplicheranno ovunque, nel prossimo decennio, metterà fine all’insensatezza dell’Unione Europea. Non sarà l’euro a far saltare l’UE ma il ritorno del protezionismo e la necessità assoluta degli aiuti di Stato.

Stefano D’Andrea

 
Una parodia della democrazia PDF Stampa E-mail

24 Marzo 2023

Image

 Da Comedonchisciotte del 21-3-2023 (N.d.d.)

In fondo i padroni del vapore, gli oligarchi al potere, non ci nascondono nulla, fanno tutto alla luce del sole, ombreggiando solo un poco qua e là per non essere sfacciati, ma il solco degli avvenimenti è perfettamente tracciato, basta aver voglia di buttarci un occhio. Che la Meloni ed il suo partito dovessero vincere le elezioni e successivamente fare tutto il contrario di ciò che a suo tempo avevano detto che avrebbero fatto, era assolutamente chiaro e palese, esposto al pubblico. Più o meno tutti quelli che commentavano gli avvenimenti politici (non ovviamente i propagandisti che non sono pagati per commentare), lo avevano detto, ridetto, assicurato e previsto: lo sapevano tutti. Almeno tutti coloro che sono nelle condizioni di poter sapere qualcosa. Del resto i Cinque Stelle avevano appena fatto altrettanto nella legislatura precedente. Notevole osservare che ciò non ha comunque cambiato di una virgola il corso degli avvenimenti. Pare insomma che essere a conoscenza del trucco, o quantomeno poterne venire a conoscenza con puerile semplicità, non impedisca alla stragrande maggioranza di caderci mani e piedi, in pratica volontariamente. Un po’ come se le persone recitassero la parte di se stesse quali le vogliono i media. Si sentono su un palcoscenico.

Un esponente della “maggioranza silenziosa” come si diceva una volta, intervistato in proposito, potrebbe rispondere qualcosa come: “sì, certo, anche lei fa come quelli di prima, ma tanto, si sa, sono tutti uguali”. Come a dire l’inganno lo conosco, ma comunque ci casco lo stesso, d’altra parta cosa dovremmo fare? Questo è il gioco, questa la nostra parte nello spettacolo. Hollywood. Credono tutti di stare in televisione solo perché postano qualche foto sui social provando disperatamente a suscitare l’altrui invidia. Il governo eletto, mentre obbedisce in tutto a Washington senza discutere, fa la riforma fiscale, cioè diminuisce la progressività delle tasse: in parole povere trasferisce una certa quota della ricchezza nazionale dai meno ricchi ai più ricchi, cosa che, dobbiamo rendergliene atto,  questa volta è inequivocabilmente di destra. Improvvisamente i problemi veri dell’Italia non sono più l’indipendenza nazionale o l’invasione degli immigrati, ma un passo in più verso il liberismo, gli anarchici, i rave party. Il ponte di Messina ci salverà.

Nel frattempo, gli “avversari” del PD, cioè gli altri neoliberisti atlantici che coi loro governi avevano ugualmente contribuito ad aumentare la polarizzazione sociale, fanno finta di eleggere democraticamente il leader tra due candidati “accuratamente selezionati”, poi presentano al pubblico plaudente il nuovo modello di segretario studiato e costruito da schiere di esperti in propaganda, marketing e pubblici inganni. Richiamerei l’attenzione di chi non l’avesse notato sul fatto che chiamano le loro elezioni interne “primarie” esattamente come fanno gli americani per la “scelta” del candidato presidente: sinceramente mi meraviglio che il nome del partito sia ancora PD, cioè partito democratico anziché DP,  cioè democratic party che sarebbe senz’altro molto più cool e politicamente corretto. Ma qualcosa al folklore locale bisogna concederlo. Direi che col nuovo leader siamo nella gamma commerciale di gran successo che potremo chiamare linea “Macron”: non si tratta di politici che si sono fatti le ossa attraverso una carriera ed una gavetta nelle file di un partito per imparare il mestiere, che poi hanno lottato per anni con altri aspiranti capi, magari creando una propria corrente che si caratterizzasse in qualche modo, che sono naturalmente dotati di un certo carisma sul pubblico, ma di personaggi nuovi, completamente artificiali, costruiti dall’alto a tavolino, secondo i canoni che al momento sono più i favorevoli per promuoverne l’immagine. Si dice immagine non a caso: spesso, infatti, non c’è dentro nulla, si tratta solo della pura epifania di un leader. Il candidato premier avrà quindi modo di farsi conoscere dagli elettori entrandogli in casa ogni giorno ad ogni ora per mezzo della televisione che raccoglie religiosamente ogni sua parola, dovesse chiedere che ore sono. Così che quando giungerà il momento di metterlo in lizza con l’attuale premier per sostituirlo, sarà una presenza conosciuta e rassicurante per tutti, quasi uno di famiglia e verrà votato assicurando così l’alternanza, non tanto per meriti suoi, che ovviamente non ce ne saranno, ma per i demeriti del concorrente che nel frattempo risulterà invotabile per aver tradito completamente la fiducia dei propri elettori impoverendoli ancora di più e soprattutto non facendo nulla di quanto promesso. Questa parodia della democrazia è ciò che i media chiamano un “buon funzionamento delle istituzioni”, un’ alternanza, cioè, tra una maggioranza e un’ opposizione equivalenti. È il sistema all’americana con due partiti unici che è stato fortemente voluto e costruito a partire dagli anni Novanta con l’introduzione del maggioritario.

Il canone del nuovo modello Schlein è facilmente riconoscibile e direi assolutamente tipico: è relativamente giovane e di aspetto gradevole e rassicurante, almeno rispetto a quello dei politici tradizionali (Andreotti non è mai stato propriamente bello); è una donna ed è oramai assodato che le donne sono intrinsecamente superiori agli uomini che si sono imposti in passato esclusivamente a mezzo della prepotenza e unicamente per procurare disastri; non dice mai nulla di politicamente originale, ma ripete diligentemente tutte le banalità retoriche sui temi che più stanno a cuore alla plutocrazia dominante: il favore ai migranti per costruire ciò che Marx chiamava  “l’esercito di lavoratori di riserva”  utile a distruggere i diritti acquisiti in anni di conflitti da parte dei lavoratori europei; la lotta al cambiamento climatico rigorosamente di origine antropica che sta “distruggendo il pianeta”; l’opportunità di costruire gabinetti nelle università per un numero di sessi biologici variabile a piacere; l’attribuzione di un valore superiore a certe minoranze particolari attentamente scelte rispetto alla normale maggioranza; l’imposizione culturale dei propri principi ideologici da far passare come leggi di natura a mezzo della riprovazione sociale e del senso di colpa, se bastano o della legge penale se occorre. Inoltre è ebrea aschenazita, condizione che in occidente è passata rapidamente dall’essere uno stigma sociale al dare l’opportunità di far parte di una delle minoranze privilegiate di cui sopra i cui desiderata possono essere fatti passare come “diritti”. Se qualcuno la contraddice troppo duramente, si può sempre tirare in ballo l’antisemitismo che è uno dei più comuni peccati mortali di oggi, ironicamente proprio nel momento in cui l’antirussismo è invece una delle virtù cardinali. Ma chi bada più all’ironia, chi la vede più. La va sans dire che sia lei che la sua rivale al potere sono di strettissima obbedienza americana: a quanto mi risulta la Schlein è addirittura cittadina americana, ci manca solo che lavori per una delle innumerevoli “agenzie governative”. Seppure ci manca. Immagino sia anche una sostenitrice convinta della cucina insettivora che i media ossessivamente continuano a presentarci nei talk show, nei telegiornali e persino nei documentari di divulgazione “scientifica”, con tanto di conduttori asini, ma gagliardamente raccomandati, a far la parte dei saputelli. Una delle osservazioni  che immancabilmente ci ammanniscono a proposito del raccapriccio che la maggior parte del pubblico prova davanti ad un bel piatto di insetti in umido è che in fondo si tratta “solo” di un pregiudizio culturale:  e via col solito non mangiamo forse i gamberetti che pure sono bruttini? Mai avuto il piacere di ascoltare qualche obiezione, che so, magari far presente che anche evitare di mangiare i cani è con tutta evidenza un pregiudizio culturale, eppure ciò non ha impedito a lorsignori politicamente corretti di inorridire davanti ai cinesi che lo facevano tacciandoli di ignominiosa inciviltà. C’è raccapriccio e raccapriccio, insomma.  Il solito doppiopesismo sotto cui si nasconde la dogmatica dittatoriale di sempre: alcune idee sono giuste, quelle che abbiamo noi, altre, guarda caso le vostre, sono anatema e abominio. Il fatto è che le culture sono appunto costruite su … una serie di pregiudizi culturali e si dà la ventura che lorsignori (e lordame) politicamente corretti non vogliono affatto eliminare i pregiudizi culturali, vogliono semplicemente imporre i propri (qualche volta, i più gonzi, addirittura senza accorgersene) e possono farlo esclusivamente perché hanno in mano tutti i media e ne vietano l’accesso a chi la pensa diversamente.

Purtroppo la costruzione dei leader politici avviene oramai con le stesse modalità con le quali si costruisce la campagna pubblicitaria della Coca Cola (che, en passant, fa probabilmente altrettanto danno alla salute mondiale quanto il fumo di tabacco, ma non è attualmente nel mirino dei puritani), oppure una finta popstar di “protesta” come Greta, oppure un capo del “terrore” addomesticato come Osama Bin Laden,  oppure  una “rivoluzione colorata” come quella ucraina che ha fatto e sta facendo centinaia di migliaia di morti. Ovviamente attribuiti agli “altri”, a coloro che alla fine ne sono state le vittime. E le masse occidentali lo vedono, in fondo in qualche modo lo capiscono, o almeno lo percepiscono istintivamente, ma non se curano: mica è affar loro. Del resto la politica è una cosa sporca, meglio lasciarla perdere ed occuparsi di qualcosa di spiritualmente più elevato. Oh Lord won’t you buy me a Mercedes Benz! Cantava Janis Joplin.

Nestor Halak 

 
Avere un figlio non è un diritto PDF Stampa E-mail

23 Marzo 2023 

 Da Rassegna di Arianna del 21-3-2023 (N.d.d.)

Tra quelli alla perenne ricerca della sinistra che non c’è è tutto un fremere di fiducia per il nuovo corso che la Schlein sembra imprimere al Pd, vuoi vedere che si torna a sinistra? Un posizionarsi a “sinistra” che tra l’altro permetterebbe di recuperare (dai 5 stelle) quei voti che prima erano del Pd. Con questo spirito la neo segretaria liberal obamiana partecipa in piazza a Milano alla manifestazione indetta per rivendicare il “diritto” delle coppie arcobaleno a registrare all’anagrafe come propri figli i bambini nati con il ricorso all’ignobile e inumana pratica dell’utero in affitto, pratica che riduce la donna a puro contenitore. E non possiamo che dare ragione a Marco Rizzo quando dice che l’utero in affitto è una pratica degna di Mengele (il medico nazista che faceva esperimenti di eugenetica sui corpi umani). Questi bambini non possono essere registrati come figli, per il semplice fatto che la loro mamma biologica è altrove, pagata (e scaricata) come si può pagare un qualsiasi servizio. A questi sinistri urge ricordare che: - la vita nasce dall’incontro dello spermatozoo maschile con l’ovulo femminile, si mettano l’anima in pace, non si può ingannare la natura; - si ha diritto all’assistenza, al lavoro, alla previdenza, allo studio, ai trasporti…  non a un figlio.

Le innocenti creature nate dalle aberranti pratiche di manipolazione sono il frutto dell’egoismo di gente viziata dalla disponibilità di denaro e da un’ideologia (alimentata dal mercato della “gestazione per altri”) post umana. In Italia la legge, giustamente, lo vieta. Intanto, nella speranza che questo diventi reato universale, che si impedisca all’infima minoranza del mondo ricco e debosciato di affittare uteri di donne povere, rimane il fatto di come considerare allo stato civile questi bambini (poverelli!). La proposta di Marina Ferragni (storica esponente del femminismo italiano), mi sembra la migliore sulla piazza: l’adozione.

Antonio Catalano

 
Uno statista censurato PDF Stampa E-mail

22 Marzo 2023

Image

 Lo statista censurato di un’Italia a sovranità limitata

Da Rassegna di Arianna del 20-3-2023 (N.d.d.)

È passato inosservato un relitto ritrovato che dice molto della nostra storia repubblicana e pure del nostro presente. Si tratta di un articolo che viene dal passato remoto. È il 1978. L’autore è Aldo Moro, all’epoca presidente della Democrazia Cristiana, in procinto di varare il governo di compromesso storico con il Pci, che gli costò di lì a poco la vita. Non è un articolo come tanti, di ordinario politichese; e non è nemmeno un articolo nel gergo moroteo, di quelli felpati e incomprensibili, tipici del giurista bizantino. Ma, pur ovattato, contiene un messaggio chiaro e comprensibile: Moro denuncia l’ingerenza statunitense nella politica italiana e pur con molti equilibrismi la respinge. Ma l’aspetto più significativo e misterioso di quell’articolo, scritto da Moro per Il Giorno, a cui collaborava da alcuni mesi, è che non fu mai pubblicato, anzi fu rifiutato; il suo testo originale fu ritrovato nella borsa dello statista, in via Fani, nel giorno in cui fu rapito e fu sterminata la sua scorta. Presentando e pubblicando ora questo articolo, il Quotidiano nazionale, che riunisce tra le sue testate anche Il Giorno, sottolinea che lo scritto non fu pubblicato dalla testata perché era “troppo pesante”, usava “toni inusitatamente duri, che la direzione di allora rifiutò”; conteneva una “presa di posizione così netta, dura, contro l’alleato americano” e contro “le pressioni politiche dirette degli Stati Uniti contro la nascita di quel governo con il Pci”. E l’aggettivo duro, ripetuto, stride fortemente con la notoria morbidezza di Moro (era molle anche nel dare la mano).

Il Giorno era diretto all’epoca da Gaetano Afeltra; era di area governativa, anzi “parastatale”; lo aveva fondato Enrico Mattei, alla guida dell’Eni e rifletteva la linea morotea, di centro-sinistra che guarda al Pci. Colpisce che un articolo dello statista all’epoca più potente d’Italia, presidente del partito di maggioranza, principale artefice e regista del governo di unità nazionale che stava nascendo, fosse censurato da un quotidiano, per giunta di area governativa e statale. Immaginare che un direttore del Giorno potesse rifiutare un articolo del suo “editore di riferimento”, lascia un po’ sbigottiti. Come poteva, in nome di chi o di cosa un giornale censurare l’opinione espressa dal numero uno del Palazzo, il leader della Dc, il principale uomo delle istituzioni dell’epoca? Era peraltro uno scritto giornalisticamente rilevante, era di per sé una notizia importante, che aveva dirette implicazioni sulla vita pubblica del paese e sui rapporti internazionali. Cos’era scritto nell’articolo di Moro? Che le pressioni americane aperte, rese pubbliche, creano “disagio” e “limitano la libertà di manovra politica”. Ma, ribadiva Moro, l’autonomia della decisione resta un diritto e un dovere. Ovvero gli statunitensi non avrebbero fermato il cammino di quell’intesa e il nascente governo di solidarietà nazionale. Moro si barcamenava, com’era nel suo stile, cercava di bilanciare la sua tesi, considerava il quadro internazionale, la Nato, l’Urss, l’amicizia con gli Usa e reputava normale la preoccupazione dell’Alleato. Ma poi ribadiva che nel nome dell’eccezionalità della situazione che stava vivendo il nostro Paese, era necessario proseguire su quella linea di larghe intese, aperta al Pci di Berlinguer. Era necessario, diceva, che l’Italia decidesse in piena autonomia. Di lì a poco, mentre il governo Andreotti, voluto da Moro, si accingeva a chiedere la fiducia in Parlamento, veniva rapito e poi ucciso Aldo Moro. Ora è inutile imbarcarsi nella dietrologia e alimentare il sospetto che ci fosse lo zampino americano dietro il sequestro e poi l’uccisione di Moro da parte delle Brigate rosse; molto si è detto, scritto e “filmato” in questa chiave, ma sono congetture senza prove. Ombre e interferenze si allungano semmai sul mancato salvataggio di Moro. In ogni caso è vero che la linea di Moro era sgradita sia agli Usa che all’Urss, ostili per motivi simmetrici all’alleanza col Pci. Che poi, infatti, naufragò. La spartizione di Jalta del 1945 non poteva essere messa in discussione.

Di recente in Rai è stata riproposta un’intervista memorabile fatta a Mixer da Giovanni Minoli a Henry Kissinger, che avrebbe all’epoca minacciato di persona Moro per la sua apertura ai comunisti. Minoli incalzava l’ex segretario di stato americano lanciandogli trasparenti accuse e Kissinger non si scomponeva ma non dissipava affatto le ombre che seguivano a quelle minacce. Se mettiamo insieme l’aperto dissenso americano verso l’alleato italiano, le pressioni che anche Moro riconosceva di aver subito e l’articolo censurato in cui Moro reagiva al pressing americano, si ha la netta conferma di un Paese a sovranità limitata. Qualcuno dirà che era un bene vivere sotto l’ombrello americano, o perlomeno era necessario; molti temevano il compromesso storico e l’ingresso dei comunisti nell’area di governo; dunque, per loro l’azione americana era benemerita. Ma ciò non toglie che era una prova ulteriore della nostra perdurante dipendenza coloniale dagli Stati Uniti e dalle basi Nato. La stessa dipendenza, probabilmente, aveva avuto un ruolo anni prima nel caso Mattei (anche se sulla caduta del suo aereo emersero due piste, una americana e una francese). Poi, le stesse vicende di Tangentopoli, i processi a Craxi e Andreotti e la loro caduta, sembrano comunque avere un nesso con la loro politica filo-araba e filo-palestinese dei nostri governi (era pure la linea di Moro), fino alla vicenda clamorosa di Sigonella. Insomma, gli Stati Uniti non furono solo i liberatori in guerra e i tutori del dopoguerra (tra basi Nato e piano Marshall) ma lo restarono anche trenta, quarant’anni dopo. E pure dopo la caduta dell’Urss. Anzi, la loro influenza sulla politica italiana è ancora forte oggi, come dimostra l’allineamento totale alla posizione americana nella crisi Ucraina, da destra a sinistra, passando per il centro e per Draghi. Ma la scatola nera del Caso Moro resta incartata in quel suo articolo censurato.

Marcello Veneziani

 
Megalomania demente PDF Stampa E-mail

21 Marzo 2023

Image

 Da Rassegna di Arianna del 19-3-2023 (N.d.d.)

La Silicon Valley Bank è andata in malora per un motivo generico e generale: il sistema capitalistico e industrialista è nella m.… fino al collo e prosegue nello sprofondamento. È il sistema di cui tutti facciamo parte, perché ormai gli unici a non farne parte sono quei rari e minacciati popoli ancora selvaggi, quei rari e minacciati popoli ancora contadini e autosufficienti. In sintesi: un capitalismo ormai imperiale, dopo aver conquistato con la globalizzazione i paesi del terzo mondo, schiavizzato i loro popoli e prodotto laggiù ogni genere di merci a basso costo, spostandovi pressoché tutta la produzione; dopo avere di conseguenza distrutto l'industria e l'agricoltura nei paesi ricchi, rischiando così di eliminare i "suoi" consumatori, ha spinto un'economia fondata sul debito e sul superfluo per continuare a mantenere un'effimera ricchezza e un consumismo demenziale nei paesi dominatori. Quando il debito globale di privati, aziende, Stati, essendo ormai in gran parte debito insoluto, stava per scoppiare lanciando in ogni dove i suoi frammenti bruciacchiati (uno scoppio assordante si era già sentito nel 2008), il capitalismo globale, lanciato ormai come un fuoco d'artificio in un'apoteosi di follia, ha messo in atto quel tentativo di dittatura globale chiamato covid pandemia.

Nel delirio di chi è ormai completamente alienato dalla realtà della vita, i globalcapitalisti e i loro "pensatori" ritenevano di poter modellare la storia e la società umana come se si trattasse di un impasto d'argilla. Non per niente nei documenti del Forum Economico Mondiale, nel periodo della pandemenza, la prima parola del titolo era sempre "shaping": modellare. Forse perché, quando erano bambini, gli venne raccontata quella favoletta in cui Dio crea l'uomo pasticciando col fango, e sentendosi i detti globalcapitalisti uguali agli dèi... Con la pandemenza, che nei loro sogni doveva rendere i popoli inerti come calcinacci, volevano accelerare la Quarta Rivoluzione Industriale, che, oltre a prevedere il dominio assoluto di un'oligarchia sovranazionale travestita da "istituzioni internazionali", prevedeva e prevede il dominio delle "macchine intelligenti" e della cibernetica in ogni aspetto della vita e della società; prevede l'uomo artificiale, geneticamente modificato e "migliorato", coi circuiti elettronici nel cervello e i nanocip nel corpo, studiato in modo da renderlo adatto alle mansioni preposte (tipo la guerra, la conquista dello spazio e degli abissi marini e via delirando) o eliminabile, se non ci sono mansioni da assegnargli.

Dopotutto, il nazismo non è stato un incidente di percorso ma il rivelarsi delle aspirazioni più profonde e genuine del capitalismo: solo un po' troppo precorritrici e "ingenuamente" e sfrenatamente dichiarate.

 

Comunque, così come folle era il nazismo, e dopo aver fatto tutti quegli sfracelli è affondato nella palude del suo orrore, così è folle l'attuale progetto del globalcapitalismo e, dopo aver fatto sfracelli altrettanto orrendi ma meno evidenti (è maturato, in tutti questi anni, anche se non è rinsavito), sta affondando nella palude della sua megalomania demente. La dittatura globale è fallita, nonostante il contorto e distruttivo progetto pandemente, poiché tutti i popoli e buona parte dei governi del mondo (non quelli dell'Europa occidentale, statene sicuri) non hanno eseguito gli ordini, magari hanno fatto finta per un po'; la Quarta Rivoluzione Industriale arranca. I capitalisti allora, come marmocchi spaventati, si sono attaccati alla mammella dei soldi pubblici e stanno succhiando come forsennati. Così è cresciuta l'inflazione, si è sviluppato ulteriormente il debito, e sono diminuiti i consumi che costituiscono il loro carburante. Finalmente ci siamo?

Le migliaia di start-up (aziende che inventano affari da quarta rivoluzione industriale) abortiscono; un'umanità già satura di alienazione da scemofòni (detti volgarmente "smart") non si appassiona al metaverso, e quelli che lo hanno fatto sono già ricoverati in cliniche psichiatriche; gli africani rifiutano i "nostri" vaccini e russi e cinesi si producono da sé i loro veleni; tutte le imprese fallite per la pandemenza non fanno più pubblicità su internet (non ci avevano pensato!); facendo qualche calcolo si è visto che per attuare la "quarta rivoluzione industriale" non basterebbero il petrolio, il rame, il coltan, l'oro, il litio, lo zinco, il ferro, il silicio e altre dieci-dodici cosette, di tre pianeti come il nostro... e, infine, aumentando ormai i debiti globali di un miliarduccio di dollari alla settimana o su di lì... forse siamo allo scoppio finale? E meno male. Se il capitalismo proseguisse, arriveremmo alla fine della vita come la conosciamo sul pianeta, dopo la fine di noi umani come ci conosciamo: non più uomini e donne, non più corpo e anima, non più cervello e cuore, non più sentimenti e affetti, non più genitori e figli, padri e madri, nonni e nipoti; non più arte, non più poesia, non più foreste e campi, montagne e neve, deserti e sabbie. Il capitalismo del ventunesimo secolo delira di modificare la vita naturale in tutti i suoi aspetti, riuscendo solo a distruggerla. […]

E, se vogliamo che il collasso non ci travolga tutti, svegliamoci perché, parafrasando Gramsci, avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza per riapprendere a vivere da comunità umane in armonia con il proprio ambiente naturale, per riapprendere tutte quelle abilità e capacità che la società industriale ha spazzato via, per ripristinare la salute della natura e la nostra. Non aspettiamo un minuto di più per ritessere quei legami di solidarietà, collaborazione, affetto, aiuto reciproco che soli ci possono salvare; per imparare ciò che è veramente necessario alla nostra sopravvivenza. Non aspettiamo un minuto di più per mobilitarci e lottare uniti contro le mostruose imprese che il capitalismo sta portando avanti, dalla guerra e dall'aumento degli armamenti fino a una falsa transizione energetica che rade al suolo le foreste di mezzo mondo per trasformarle in biomasse da bruciare nelle centrali elettriche e si propone di costruire centrali nucleari a ogni crocicchio, fino alla biosintesi che crea mostruosi microrganismi per produrre farmaci tossici o cibi artificiali, e l'elenco potrebbe andare avanti all'infinito ma voi non lo leggereste all'infinito. […]

Sonia Savioli

 
<< Inizio < Prec. 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 Pross. > Fine >>

Risultati 225 - 240 di 3744