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Europa senza strategia PDF Stampa E-mail

8 Giugno 2016

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Da Rassegna di Arianna del 5-6-2016 (N.d.d.)

 

L’Eu è unita solo a parole. La retorica della cooperazione e della solidarietà collettiva copre malamente la rissa tra galletti battibeccanti per l’egemonia infra-continentale che però si piegano vilmente alle influenze atlantiche, impedendo all’Europa intera di farsi carico del suo destino. Francia e Germania, de vobis fabula narratur. Se il conflitto per la predominanza in Europa sfocia in un caos disorientante è perché i contendenti non hanno ancora le idee chiare sul futuro comunitario nel contesto multipolare. La lotta per le zone d’influenza interne decade in zuffa per mancanza di progettualità strategica e comprensione delle trasformazioni geopolitiche che stanno riconfigurando i rapporti di forza tra formazioni mondiali. Gli europei non riescono ancora a liberarsi del loro complesso d’inferiorità politica verso gli americani ed esitano a rompere catene divenute ampiamente anacronistiche. Eppure, il mondo unipolare sta svanendo, messo in discussione dall’emergere di nuovi poli ad oriente che iniziano a innalzarsi al rango di potenze più che regionali. Collegarsi con queste aree dovrebbe essere la priorità di Bruxelles, per esprimere meglio il proprio potenziale economico e politico e ricostruire una sovranità degna di questo nome.

 

Invece, i tentennamenti delle nazioni che pretendono di essere guida europea, evitando però di staccarsi dal rimorchio straniero, assumendosi con ciò le proprie responsabilità, accrescono le divisioni intestine, aumentano le soperchierie contro i membri più deboli e periferici della famiglia europea (vessati da dentro e da fuori l’Europa) ed espongono i governi a pressioni internazionali sempre più destabilizzanti. Occorrerebbe fondare un asse tra Francia e Germania, con la Russia, per rintuzzare i piani statunitensi che puntano a fare dell’Europa un teatro di battaglia dell’inevitabile sfida russo-americana dei prossimi anni. Ma francesi e tedeschi, anziché evitarlo, cercano di accaparrarsi l’approvazione degli yankees per avere un vantaggio sul vicino e far pagare al resto della compagnia il prezzo di tale contesa suicida. A Washington temono come la peste un super-stato franco-tedesco che possa coinvolgere pure Roma ed orientarsi verso Mosca. Questo dovrebbe essere il vero obiettivo europeo, non le chiacchiere su ulteriori allargamenti coi quali ci portiamo dentro i confini infidi esecutivi filo-americani dell’est che indispettiscono il nostro confinante russo. È certamente una necessità che non potrà essere raggiunta dall’oggi al domani (data anche l’ingombrante presenza Nato sul nostro suolo) ma bisogna porre adesso le basi per avvicinarsi allo scopo. Iniziando, per esempio, con una Ostpolitik in direzione del Cremlino, come recentemente dichiarato dal Ministro degli Esteri tedesco. Se non si percorrerà questa strada l’Europa sarà semplicemente spazzata via tra mille sofferenze di cui già si vedono tutti i segnali.

 

Gianni Petrosillo

 

 
Comunità che si autorigenera PDF Stampa E-mail

7 Giugno 2016

 

 

Da Rassegna di Arianna del 5-6-2016 (N.d.d.)

 

Se viveste all’interno di una delle case che fanno parte dell’insediamento in fase di costruzione alla periferia di Amsterdam, la vostra sala da pranzo potrebbe dare su un giardino o un orto coperto. All’esterno avreste un altro orto o giardino. Lungo la strada, quasi tutto ciò che volete mangiare  starà crescendo in fattorie verticali ad alta tecnologia. L’insediamento è il primo Villaggio ReGen, un nuovo tipo di comunità concepita in modo da essere completamente autosufficiente, in quanto coltiva i suoi alimenti, produce autonomamente l’energia di cui ha bisogno, e gestisce i suoi rifiuti in un circuito chiuso. Qualunque rifiuto di una abitazione familiare può essere trasformato in un compost che potrà alimentare del bestiame o dei particolari insetti; questi, a loro volta, alimenteranno dei pesci, e i rifiuti dei pesci arricchiranno di elementi nutritivi un sistema idroponico, che produce frutta e verdura per le abitazioni. Giardini con prodotti di stagione saranno resi fertili dal letame prodotto dal bestiame. Utilizzando i metodi più avanzati per produrre degli alimenti – una combinazione di aeroponica, idroponica, permacultura, alberi da frutto e aziende biologiche ad alto rendimento – l’insediamento produrrà dieci volte più alimenti di una azienda agricola delle stesse dimensioni, impiegando meno risorse. L’idroponica, ad esempio, può produrre dieci volte di più di un terreno delle stesse dimensioni, usando il 90 per cento in meno di acqua.

 

“Noi prevediamo letteralmente tonnellate di abbondante cibo biologico ogni anno – da vegetali, frutta, frutti in guscio, pesci, uova, galline, latticini prodotti da piccoli animali e proteine – che possono essere ogni anno fatti crescere ed essere prodotti nei sistemi di giardini e orti verticali come produzione supplementare rispetto a quella degli orti e delle coltivazioni sui terreni adiacenti,” dice James Ehrlich, dirigente dei Villaggi ReGen, che si stanno sviluppando in California, e che dirige anche la vicina fattoria complementare. L’impresa è socia di Effekt, una società di architetti danese, che collabora per la progettazione. La comunità produrrà anche l’energia di cui ha bisogno, usando una combinazione di energia geotermica, solare, solare termico, eolico e da biomasse. “Noi stiamo pensando a delle tecnologie molto interessanti, in particolare a piccoli impianti a biomassa a basse emissioni, che può utilizzare i residui delle aziende agricole dei dintorni e trasformarli in una significativa fonte di energia, in modo che possa alimentare le comunità del Nord Europa anche nel cuore dell’inverno” dice Ehrlich. Una rete intelligente distribuirà l’energia in modo efficiente, inviandola anche ad una tettoia che accoglie le auto, per rifornire le auto elettriche condivise ogni volta che è necessario. Un impianto di biogas trasformerà qualunque rifiuto delle abitazioni, non utilizzabile per il compostaggio, in energia e acqua. Un sistema di raccolta dell’acqua raccoglierà l’acqua piovana e l’acqua grigia, e la redistribuirà secondo le esigenze dei giardini e degli orti stagionali e dei sistemi idroponici. Questo costituisce il primo di una rete di comunità analoghe, che ReGen ha in mente di realizzare in tutto il mondo. “Stiamo realmente operando in una prospettiva globale”, racconta Ehrlich. “Stiamo elaborando una nuova definizione dello sviluppo residenziale immobiliare, creando questi insediamenti che si autorigenerano, guardando in primo luogo questi campi come parti di una fattoria dove possiamo produrre più cibo biologico, più acqua potabile, più energia senza effetti collaterali e far scomparire più rifiuti di quanto si riuscirebbe a fare  lasciando che la stessa estensione di terra produca alimenti biologici o adottando metodi di permacultura”.

 

Il primo villaggio di cento abitazioni sta sorgendo nei dintorni di Almere, una cittadina in rapida espansione che dista venti minuti di treno da Amsterdam. All’interno di Almere, la società sta anche costruendo una versione più ridotta che comprende trentacinque unità condominiali. La società ha anche in programma altri progetti in paesi come la Svezia, la Norvegia, la Danimarca e la Germania, ma pensa di espandersi dovunque si presenti l’occasione.  “In realtà noi ci consideriamo come la Tesla (l’auto elettrica) degli ecovillaggi”, dice Ehrlich, “Questa è la nostra idea. Noi stiamo  progettando queste strutture  con delle finalità un po’ più adatte ai paesi del Nord Europa”. Ma in seguito la società intende adattare il sistema ai climi aridi come quelli del Middle East.  “Per ora stiamo lavorando su due aree con un clima più rigido, poi dopo di questa sperimentazione  affronteremo situazioni a scala globale – l’India rurale, l’Africa a sud del Sahara, dove noi sappiamo che le popolazioni continueranno ad aumentare e tendono a muoversi verso le classi intermedie. Se tutti in India e in Africa vorranno lo stesso tipo di periferie estreme che noi abbiamo realizzato finora, il pianeta non potrà sopportarlo”. Ehrlich, che lavora anche come “imprenditore nell’edilizia abitativa” alla Stanford University e come un tecnologo senior nella stessa università, si è ispirato ad un Rapporto dell’Onu del 2013, che sosteneva la necessità di creare comunità autosufficienti. Ad Almere, il villaggio sarà in grado di crescere circa la metà di ciò di cui la comunità ha bisogno per mangiare, anche se non coltiverà caffè o banane, ad esempio. Restituirà anche energia alla rete locale. Ma in alcune situazioni la società è convinta che l’insediamento potrà essere completamente autosufficiente. La comunità di Elmere vedrà la luce la prossima estate e sarà completata entro il 2017.

 

Adele Peters

 

 
Il superenalotto della democrazia PDF Stampa E-mail

6 Giugno 2016

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Da Comedonchisciotte del 3-6-2016 (N.d.d.)

 

Le probabilità di fare 6 al Superenalotto sono di 1 su 622.614.630. E di un 5+1? 1 su 103.769.105. E di un più umile 5? 1 su 1.235.346. Il banco, insomma, vince sempre. E perché? Perché è il banco a dettare le regole. Credete che i gonzi si scoraggino per questi incontrovertibili dati sulle probabilità? Manco per idea. Gli Italiani sono i più accaniti giocatori europei. Miliardi di euri, ogni anno, affluiscono nelle casse del banco senza più fare ritorno. Se non in minima parte. La speranza è una droga potente ed è arduo rinunciarvi a favore di un ragionamento logico. Anche il conformismo è una droga potente: gli Italiani ci credono nelle regole del banco. Prima o poi toccherà anche a noi di vincere! Ovviamente sragionano.

 

 C’è poca differenza, ormai, fra il Superenalotto e la democrazia. Il voto democratico, quale speranza di cambiamento, riposa, come nel gioco d’azzardo, su speranza e conformismo. Vale a dire: sul nulla. Inoltre le regole del voto democratico sono decise dal banco. Inutile sedersi al tavolo democratico con un full: loro già hanno in mano la scala reale. Il banco vince sempre. Le minime differenze fra azzardo e democrazia sono queste: la democrazia è truccata, il Superenalotto forse no (non perché sia gestito da un’opera pia: è che le leggi statistiche, a lungo termine, regaleranno necessariamente la vincita al banco). Altra differenza: se io mi gioco la pensione al Superenalotto non mi passerà mai per la capa di incolpare il tabaccaio, che è solo un tizio che lucra vendendo speranze matematizzate da altri. In politica, invece, si dà la colpa al tabaccaio. Se applicano il Jobs act, o tagliano le pensioni la colpa, infatti, non è dei tabaccai Renzi o Monti. O meglio: lo è solo in minima parte. Essi non sono che camerieri del potere; conniventi; venduti; sicari. La mente è altrove. Quando sento che, forse, “Renzi cadrà” mi viene da ridere. Renzi, Obama, Merkel. Morto un tabaccaio se ne fa un altro. Bisognerebbe chiuderle tutte le rivendite, o, meglio, smettere di giocare. Certo, è dura. Il fatto è che noi continuiamo a giocare con queste regole. S’intende: con queste regole a volte si può anche vincere, non lo metto in dubbio. Purtroppo il banco democratico, quando gli presentate il tagliando vincente, ultimamente si rifiuta di pagare. E comunque il banco (sempre lui) sa con assoluta certezza due cose: 1. Non esiste gioco alternativo. 2. A lungo termine la vittoria sarà sempre sua. Vi ricordate Sordi e la Mangano ne Lo scopone scientifico? Vincevano partita su partita contro i ricconi americani (Bette Davis e Joseph Cotten): sul tavolo avevano accumulato duecento milioni. Però giocavano con le regole dei ricchi: al raddoppio … e alla fine una sola sconfitta gli fu fatale … e tornarono a casa pezzenti come prima … con tanti complimenti. E credete che i due straccioni se la siano presa con i due sadici miliardari? Macché, niente affatto, ancor più pezzenti di prima (si son venduti la baracca) sperano nella prossima partita … Si gioca al raddoppio: Monti, Letta, Renzi … e poi ancora Monti: i tabaccai non mancano. Speriamo che: Brexit, la Francia in fiamme, il referendum di ottobre … sì, come no, aspetta e spera … l’anno del mai e il mese del poi (in romanesco l’espressione è più cruda). Si dovrebbe annientare la speranza e rovesciare il tavolo, ma, come ho spiegato varie volte, manca alla maggioranza degli Italiani il fegato e la volontà per rovesciare alcunché.

 

Alceste

 

 
Iran già sotto attacco PDF Stampa E-mail

5 Giugno 2016

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Da Rassegna di Arianna del 25-5-2016 (N.d.d.)

 

Gli americani, di fondo, non costituiscono un popolo o comunque non ancora; l’attuale popolazione USA altro non è che una somma di cittadini provenienti da ogni parte del mondo stabilitisi in nord America al prezzo, salato, di uno dei genocidi più feroci della storia dell’umanità che ha prodotto la fine delle civiltà indiane delle locali tribù. Partendo da una base di coloni inglesi, la lingua ed i costumi anglosassoni hanno quindi preso il sopravvento nello stato federale che si è venuto a creare meno di 250 anni fa, un lasso di tempo troppo breve quindi per poter parlare di formazione di un vero e proprio ‘popolo statunitense’. Questa premessa è necessaria per capire come mai gli USA spesso nella loro storia hanno sottovalutato la resistenza di alcune delle popolazioni contro cui hanno instaurato una guerra; la supremazia militare in Vietnam, è servita a ben poco tra gli anni ‘60 e ‘70, stesso discorso in Afghanistan negli anni 2000, in Iraq la ‘guerra lampo’ del 2003 è ancora in corso seppur gli scarponi sul campo sono diversi e le insegne della bandiera a stelle e strisce si notano soltanto negli aerei militari che aiutano l’esercito locale a scalzare l’ISIS. C’è poi un popolo che da anni fa vivere notti insonni all’establishment USA; è il popolo iraniano, che da quando ha deciso nel 1979 di essere guidato da una Repubblica Islamica, agli occhi degli americani sembra ancor più impenetrabile.

 

Non è bastato appoggiare Saddam Hussein negli anni ‘80, non è bastato isolare Teheran politicamente negli anni ‘90, non sono bastate le sanzioni durante l’era di Ahmadinejad, dall’Iran non sembra arrivare alcuno squarcio politico e militare tale da far intravedere una piccola possibilità di destabilizzazione; l’attuale sistema del paese mediorientale nasce da una rivoluzione popolare, voluta nel 1979 per cacciare Rheza Palhavi ed instaurare il regime degli Ayatollah. Quello di Teheran è un sistema voluto dal basso, con una società quindi in grado di avere al proprio interno anticorpi necessari a respingere ogni minimo tentativo di assalto; un contesto popolare e sociale molto unito, è il maggior incubo per gli americani, che popolo non lo sono ancora. Non è un caso che, da qualche anno oramai, le minacce all’Iran sono molto più tiepide; non si parla più di interventi militari, né di azioni di forza mirate contro le centrali nucleari del paese, né tantomeno di rimozioni forzate di presidenti poco consoni agli interessi dell’imperialismo liberale. Ciò però non vuol dire che Teheran non sia più nel mirino degli USA, nemmeno i recenti accordi con il quale si è provveduto a togliere le sanzioni devono trarre in inganno: l’Iran per gli Stati Uniti e per tutti i principali attori dello scacchiere neo liberale rimane una minaccia da eliminare. Un regime basato su principi religiosi, regolato da una teocrazia che tra gli obiettivi originari ha anche quello di esportare questo modello di Stato in tutto il mondo islamico, è un qualcosa di non accettabile in un contesto internazionale che da oltreoceano si mira a rendere piegato a logiche liberali e del più sfrenato ed anti etico mercato; inoltre, a livello politico e militare, l’Iran dal 1979 ha inaugurato un percorso che già oggi lo porta ad essere una potenza regionale ingombrante per gli interessi sauditi ed israeliani. Da ciò, si capisce che la mano tesa a Teheran è la stessa che si è sporcata di sangue in Iraq ed ha medesimi obiettivi della spedizione irachena, seppur con strategie diverse. Se contro Baghdad sono state utilizzate le bombe, contro l’Iran è in corso invece una massiccia offensiva mediatica e questa volta non più tesa a descrivere il paese come ‘canaglia’ agli occhi occidentali, bensì agli occhi degli stessi iraniani. Ciò che gli USA non possono fare militarmente, cercano di farlo con l’ausilio dei media e di tutto quello che può corrodere dall’interno la rivoluzione islamica; si vuol vedere in futuro a Teheran quanto visto nel 1989 a Berlino, dove dopo la caduta del muro si è instaurata una vera e propria rincorsa, giusto per fare un esempio, ai sexy shop da parte dei cittadini della zona orientale della capitale tedesca. Il capitalismo made in USA, di stampo occidentale, in quell’occasione si è presentato con tutte le sue ‘luci’ attraenti rappresentate da donne nude, da ampie varietà di scelta di nuove automobili e nuovi televisori; grazie all’avvento negli ultimi anni di decine di canali in lingua Farsi con sede a Los Angeles, il copione contro la rivoluzione islamica appare il medesimo. Le autorità iraniane poco o nulla possono contro la ricezione via satellite di canali in cui si mostra un occidente più ‘divertente’, più consono ai gusti dei giovani e dove al contrario la rivoluzione islamica è dipinta come un qualcosa di ‘fuori dai tempi’, di poco ‘accattivante’; mantenere in vita oggi un regime che ha tra i suoi obiettivi il mantenimento di una certa concezione del ruolo guida della religione, in un contesto internazionale dominato da ben altri principi, è opera molto difficile: il consumismo occidentale purtroppo è una grossa attrattiva, tanto per chi ne è già schiavo in occidente e tanto per quei giovani che ‘sognano’ questo tipo di vita in paesi che cercano di resistere a questo tipo di sistema sociale. Tornando un attimo all’esempio di Berlino, i cittadini sembravano nel 1989 quasi ‘affamati’ di oggetti da consumare, forte era la bramosia di fiondarsi in un negozio nuovo di zecca o di poter scegliere dieci marche di birra differenti; a Teheran il rischio è lo stesso: tanti giovani iraniani non reputano il proprio paese all’altezza delle proprie aspirazioni, per le fasce di età più giovani c’è già chi parla di ‘alienazione’ dalla rivoluzione islamica, i cui precetti vengono eseguiti meccanicamente oppure sono del tutto rifiutati. In questo quadro, i vertici religiosi conoscono molto bene il pericolo e sembrano averlo già fiutato; è di questi giorni la notizia dell’arresto di otto modelle colpevoli di essere apparse su Instagram (unico social libero nel paese, Facebook e YouTube hanno al contrario diverse restrizioni) con i capelli non coperti dal velo. In questa pratica, i garanti della rivoluzione vedono un tentativo di emulazione di quanto già i giovani iraniani vedono nelle tante tv in lingua Farsi con sede negli USA, ma non solo: musica, varietà e quant’altro faccia parte dell’intrattenimento, si cerca di farlo diffondere in Iran in chiave anti regime, mostrando ai giovani del paese mediorientale stili di vita e costumi tipicamente occidentali. Questo rischia di provocare anche un braccio di ferro politico tra la presidenza di Rohani ed i vertici religiosi della rivoluzione, a partire dall’Ayatollah Khamenei; la stessa guida suprema teme che dietro gli accordi che pongono fine all’embargo ci sia il tentativo di infiltrazione di modelli occidentali nella società iraniana e pressa Rohani per l’approvazione di leggi che restringano ulteriormente la possibilità per i cittadini di venire a contatto con siti, tv e quant’altro possa ‘richiamare’ i giovani verso l’occidente. Rohani però fa parte della coalizione riformista, un ulteriore giro di vita sulle libertà personali degli iraniani lo metterebbe in grave difficoltà in vista delle elezioni del prossimo anno, dove concorrerà per un secondo mandato. Un sistema che poggia su una rivoluzione, trova il suo ossigeno nella fedeltà ad essa ed ai suoi principi da parte della popolazione e se questo è un punto di forza, ne è anche uno di debolezza: se i cittadini delle nuove generazioni ‘dimenticano’ le ragioni per la quali alcuni decenni prima si è sceso in piazza, non solo il sistema vede corrodersi il consenso ma, cosa ancora più grave, vede svanire la propulsione ideologica che ne costituisce la base su cui si fonda il suo stesso mantenimento. I richiami dell’occidente propagandati dalle tv e dalle radio iraniane presenti negli USA e che hanno sede a pochi passi da Hollywood, rischiano di costituire per la rivoluzione islamica iraniana un pericolo ben maggiore di bombardamenti o sanzioni ed è su questo che nei prossimi anni si giocherà, da parte americana, il braccio di ferro con gli Ayatollah.

 

Mauro Indelicato

 

 
Nietzsche, il poeta PDF Stampa E-mail

4 Giugno 2016

 

 

Da Rassegna di Arianna del 30-5-2016 (N.d.d.)

 

Ha occupato le biblioteche dei gerarchi nazisti e ha fatto da padre nobile delle ribellioni studentesche nel '68. Letto a Wall Street come a Woodstock, questa "stella danzante" sulla storia del pensiero occidentale ha generato mostri reazionari a destra e anarco-libertini a sinistra. Perché continuare a fare del poeta di Röcken un'icona pop del conformismo? Cosa fare di fronte al filosofo postumo, l’inattuale interpretato sempre a posteriori, il filosofo di «tutti e di nessuno», che ha occupato gli scaffali delle biblioteche dei gerarchi nazisti – è famosa l’opera omnia di Nietzsche che possedeva Hitler – e che allo stesso tempo ha fatto da padre nobile delle ribellioni studentesche durante il ’68? Dove andare a pescare nel mare magnum di una filosofia aforismatica che supera gli steccati della logica per affrancarsi nel linguaggio poetico e mitico? Possibile che un poeta – più che un filosofo – come Nietzsche, sia stato oggetto di un così profondo e ampio dibattito, di una gara alla sua interpretazione più lucida, più didascalica, più vicina alle volontà di un pensatore che ha fatto dell’ambiguità il suo più grande espediente letterario, il suo più grande successo stilistico, la sua più grande sconfitta – che gli valse la malattia mentale? Perché è così facile che Nietzsche slitti da destra a sinistra con tanta disinvoltura, sicché è stato lo stesso Giorgio Almirante ad esclamare nel 1977, quando fu evidente l’interesse degli intellettuali anti-fascisti per l’opera del filosofo di Röcken: «adesso ci vogliono scippare anche Nietzsche»?

 

Cosa fare allora di questo corsaro, di questa “stella danzante” sopra la storia delle idee, che appassiona la destra per il suo aristocraticismo dei valori, e la sinistra con la sua filosofia di liberazione del desiderio dalle ideologie borghesi e conservatrici? Da un lato il Nietzsche della gerarchia e l’anti-democratico, il reazionario portavoce delle virtù dei bellatores contro le pretese di uguaglianza dei più deboli, dall’altro il Nietzsche del sé creatore, del sé desiderante, che si manifesta, dice Rehman, «nel trionfo dell’immediatezza e nell’accesso generalizzato al consumo». Il Nietzsche del guerriero e quello dell’anarca che disprezza i principi di autorità, di Stato, di morale, restio alle ideologie e alle sovrastrutture. Entrambe le figure – incapaci di rinnovarsi su basi realmente innovative – sfociano nel passatismo o nell’ammirazione sorda del presente, nelle inclinazioni anti-ugualitarie o desideranti-libertine, e si ritrovano fianco a fianco nell’apoteosi dell’ultimo spazio di partecipazione collettiva, l’agorà postmoderna, il tempio vuoto del mercato: come inseguimento sfrenato del successo per affrancarsi dal pecoronismo delle masse (il Nietzsche delle élite transnazionali che toglie di mezzo risentimento e senso di colpa per l’accumulazione di denaro come fonte di potere aristocratico) o come dissoluzione del soggetto che diventa somma di esperienze e situazioni, inceppato in un nomadismo di stampo nichilista che si tramuta in irresponsabilità (il Nietzsche figlio dei fiori che comanda una vita borderline). Ed è qui – dicevamo – nel mercato, che è precipitato il superuomo, proprio laddove Zarathustra aveva declamato la morte di Dio. E di fatto Nietzsche lo aveva predetto: «Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! [...] chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo lavarci? Quali riti espiatòri, quali sacre rappresentazioni dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione?». A quanto pare non siamo stati in grado di rispondere ad un licenziamento tanto arduo. Proprio perché Nietzsche non è la soluzione, non può essere spiegato, chiarito, appianato, in una parola: risolto. A meno che non se ne voglia fare un manualetto per il perfetto eremita che si ritira sul ciglio della montagna e che scende per predicare, oppure del buon seduttore semi-colto all’inseguimento dell’eterno ritorno del coito, o di quante altre maschere schizofreniche. In entrambi i casi dei mostri che Nietzsche detesterebbe. E in questo forse potrebbe essere accomunato a Guy Debord, quando questi sciolse l’Internazionale situazionista per il numero di aspiranti aderenti. Quanto avrebbe sopportato Nietzsche i nietzscheani?

 

Smettiamola perciò di fare di Nietzsche un feticcio collettivo da strapazzare a piacimento – soprattutto nelle stanze accademiche – e restituiamogli la sua dignità di poeta, di narratore, di cantore mitico, da vivere come esperienza esclusivamente individuale e scissa da qualsiasi momento pubblico. Ognuno ha il suo Nietzsche con cui fare i conti, all’ombra delle proprie debolezze, a ognuno Zarathustra scende nella piazza della propria «cattiva coscienza» a dialogare con tarantole e falsi profeti. Che si possa avere il piacere di leggerlo e rileggerlo a distanza di anni, scoprendo qualcosa di nuovo su di sé ogni volta, senza farne un Bob Dylan o un’icona pop piegata alle mode universitarie e alla crisi adolescenziali delle nuove generazioni.

 

Lorenzo Vitelli

 

 
Il trappolone referendario PDF Stampa E-mail

3 Giugno 2016

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Da Comedonchisciotte del 31-5-2016 (N.d.d.)

 

Nell’era postmoderna della fine delle grandi narrazioni (Illuminismo, Hegelismo, Marxismo), dove ormai la neolingua regna sovrana, e la politica si muove tra ipocrisia endemica e infantilismo ricattatorio, il doublespeak impazza sui media di ogni tipo, divulgando a destra e a manca le proprie oscene verità. Ed anche gli spin doctor al servizio del premier maschio alfa, si agitano freneticamente per dotarlo delle parole giuste ad intarsiare una vera storytelling della democrazia … il referendum costituzionale di ottobre non può fallire, e la massiccia campagna mediatica partita 6 mesi prima del fattaccio senza quorum, dovrà resettare le menti dei poveri spettatori di ogni probabile dubbio. Nel gennaio del 2015, dopo la strage dei vignettisti di Charlie-Hebdo, venne lanciato lo slogan "Je suis Charlie" da parte di Joachim Roncin, amministratore di “Reporters sans frontières” … da quel momento quel grido venne ripreso sistematicamente su ogni medium possibile, così da identificarlo come una vendetta solidale e consolatoria contro tutti i possibili attentati … e nella cultura di massa, tutto ciò che piace allo sciame confuso dei sudditi, deve divenire di dominio pubblico e soprattutto imporsi con la perentorietà del dogma. Ogni possibile critica di opposizione è solo un fastidioso ostruzionismo alla libera circolazione del dogma, quindi le opinioni che si discostano dal pensiero dominante sono sgradevoli e intollerabili. Declinato di seguito nella forma di "Je suis Bruxelles", nel marzo 2016, escludeva tutti coloro che si permettevano di dissentire, accusati di devianza e "complottismo", quelli che non si riconoscevano parte del grido di dolore categorico.

 

Naturalmente la Confindustria, a nome del suo neo presidente Boccia si è apertamente schierata per il Sì alla Riforma, interessata soprattutto all’eliminazione del bicameralismo perfetto, motivo supremo dell’estenuante lentezza decisionale del Parlamento (anche se la Legge Fornero è passata in 15 giorni), e facile strumento degli ostruzionismi dell’opposizione. E ciò risponde egregiamente alla lettera che il 5 agosto 2011 il presidente della Bce Jean Claude Trichet inviava al governo italiano, per di più condivisa e firmata dal futuro numero uno dell'Eurotower, Mario Draghi. Una missiva minuziosa nei dettagli, pubblicata sul Corriere della Sera, in cui la Bce indicava le misure antispeculazione da adottare «con urgenza» dall'Italia per «rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità del bilancio e alle riforme strutturali»: le riforme avrebbero dovuto toccare molte voci, dalle liberalizzazioni, alla riforma del mercato del lavoro e delle pensioni, fino alla pubblica amministrazione. Poi nell’estate del 2013 arriva sul tavolo del governo un'altra missiva, in cui la JP Morgan, storica società finanziaria statunitense, scriveva quella che sembrava essere la ricetta del grande capitale finanziario per gli stati dell’Eurozona, per sopravvivere alla crisi del debito: “Liberatevi al più presto delle vostre costituzioni antifasciste !!”. Nel documento di 16 pagine infatti, datato 28 maggio 2013, dopo una lunga introduzione, si arrivava a trattare le origini delle Costituzioni dei paesi europei: “Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica (…) Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea” … e ancora “Le costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo”. Quindi i poteri finanziari, e i loro eponimi economico-industriali, chiedono al governo una mutazione giurisdizionale della Carta, funzionale alle strategie del sistema economico internazionale e che non abbia l’intralcio della discussione democratica. Perché, come dice Nino Galloni, il capitalismo iperfinanziario, novello Pluto infernale, si ciba di sangue umano e di carne tenera, e dunque è costretto a provocare stragi sociali, per soddisfare i propri bisogni fisiologici. E mentre in Francia continuano le ‘settimane di passione’, che rischiano di portare alla paralisi il paese, alle prese con gli scioperi contro la riforma sul lavoro del governo socialista, dopo due mesi e mezzo di mobilitazione nazionale contro la Loi Travail, i sindacati più combattivi (Cgt, Fo, Solidaires, Fsu) hanno deciso di mettere in pratica una strategia di blocco della produzione che non fa sconti al governo … da diversi giorni infatti i camionisti si sono fermati, sei delle otto raffinerie presenti sul territorio francese sono state bloccate, i depositi di carburante, vari porti e aeroporti sono sbarrati al pari di alcune delle più importanti arterie autostradali. Nel frattempo, continua lo sciopero dei ferrovieri e dei trasporti pubblici, che dal 2 giugno potrebbe divenire illimitato. Al contrario i sindacati italiani hanno incassato il Jobs Act senza battere ciglio, attraverso quell'improbabile strategia di lotta che si chiama "concertazione", e fingendo di contestare queste riforme, che in realtà hanno convalidato con il loro atteggiamento miseramente ambiguo (ricordiamo i calorosi saluti tra Landini e Renzi), si sono piegati al volere dei padroni. Aiutati da una stampa schieratasi a zerbino dalla parte dei potentati economici, hanno sdoganato una controriforma, che ha la precisa funzione di proiettare il dumping salariale più selvaggio nel prossimo mercato del lavoro, sempre più orfano di diritti e tutele sociali. Perché dunque in Italia può verificarsi un simile massacro sociale senza che la popolazione ne abbia il minimo sentore? Perché i nuovi schiavi sembrano essere addirittura soddisfatti delle nuove riforme targate Bce, JPMorgan, Ocse e Fmi? Beh … occorre partire da lontano … e risalire agli anni '70, quando Pasolini scriveva i propri articoli sul Corsera, straordinari per lucidità analitica e profetica. Quegli anni videro l'affermazione della tv in Italia, sperimentarono gli effetti socialmente devastanti della pratica quotidiana del Grande Fratello, strumento potentissimo nelle mani dei ceti dominanti, che lo finanziavano e lo governavano per ipnotizzare le masse, vanificare la loro coscienza critica e il loro possibile ribellismo. "Scritti corsari" è l'ultimo libro pubblicato da Pasolini (fu in libreria subito dopo la sua morte) ed è molto più che una raccolta di articoli, interviste, recensioni, piuttosto un libro che il lettore deve ricostruire: è lui che deve rimettere insieme i frammenti di un'opera dispersa e incompleta, come sarà anche il suo ultimo antiromanzo "Petrolio", quello che verrà pubblicato solo 17 anni dopo circa, e che gli era costato la vita, dato che denunciava la spudorata corruzione della politica affaristica del tempo e il responsabile della morte di Enrico Mattei. Nati dall'occasione comunque, questi scritti hanno una singolare unità, anche perché nei fili che ne compongono il tessuto è sempre ben visibile "l'arte eretica e corsara" di Pasolini.

 

La nuova pseudocultura consumistica stava demolendo ogni altra autentica cultura, tipica della civiltà occidentale, il monoteismo del mercato avrebbe reificato anche gli esseri umani (Karl Marx), riducendoli a merce incapace d'intendere e di volere, anzi sostituendo il plusvalore delle merci al valore stesso del genere umano (vedi il nuovo olocausto che si verifica oggi nel mediterraneo). Dunque lo slogan blasfemo del jeans Jesus "Non avrai altro jeans al di fuori di me", non era altro che la nuova religione dei mercati, il nuovo dominio planetario che avrebbe provocato una mutazione antropologica nei confronti degli italiani, attraverso un'omologazione selvaggia, killer seriale e fascistoide da cui la massa non sarebbe riuscita a liberarsi, perché appunto il nuovo fascismo avrebbe mutato l'identità stessa dei cittadini, i loro gusti, i loro consumi, la loro anima e addirittura i loro corpi. Poi arriva Jean Baudrillard, che nel 1996 dirà: "La tv è il controllo sociale direttamente nel salotto di casa. Essa mantiene l'ordine simbolico, garantendo la conformità del comportamento dei sudditi ignari. Facendo diventare favola il mondo, la tv è strumento al servizio dei dominanti. La fabbrica televisiva del consenso, proprio come il clero giornalistico, induce ad odiare gli oppressi e ad amare gli oppressori, producendo docili servi che lottano in difesa delle proprie catene." (Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?) Ma già il sociologo francese Gustave Le Bon un secolo prima aveva studiato la psicologia delle "folle", ossia l'infantilizzazione del singolo all'interno delle folle massificate dal sistema capitalistico, in tal modo quindi, ha identificato il principio di base della propaganda moderna: l'individuo è perfettamente manipolabile, perché è stato affogato ed annientato nello sciame confuso e privo di coscienza della massa. «Dal solo fatto di essere parte di una folla, un uomo discende da generazioni su una scala di civiltà. Individualmente, potrebbe essere un uomo civilizzato; nella folla diviene un "barbaro" in preda all'istinto. Possiede la spontaneità, la violenza, la ferocia, e l'entusiasmo e l'eroismo dei primitivi, molto simile a loro per la facilità con cui si lascia impressionare dalle parole e dalle immagini … indotto a commettere atti contrari ai suoi interessi più ovvi e alle migliori abitudini. Un individuo nella folla è un granello di sabbia fra tanti altri granelli di sabbia, mossi dalla volontà del vento.» (Psicologia delle folle) E ancora sull'aristocrazia intellettuale delle élites, e sulla barbarie della folla: «Le civiltà così come sono conosciute, sono nate grazie ad un piccolo gruppo di intellettuali aristocratici, mai dalla massa. La massa ha solo potere distruttivo. Il loro ruolo è sempre effettivo in modo barbaro. Una civiltà involve ruoli stabiliti, disciplina, passaggio dall'istinto alla razionalità, in previsione futura, un elevato livello culturale, tutte condizioni che la folla, lasciata a se stessa, ha sempre mostrato di non essere in grado di realizzare. In conseguenza di questa pura forza distruttiva, il potere delle masse è tale a quello dei microbi che dissolvono i corpi malati o privi di vita. Quando la struttura di una civiltà è compromessa, è sempre la massa che la porta alla caduta.» Dunque la massa è un magma orribile e infecondo che annulla e avvilisce la coscienza critica del singolo, il quale risulta portatore sano di idee preconcette iniettate nel corpo sociale da parte del potere capitalistico, che riesce a perseguire i propri obiettivi autoritari proprio attraverso il consenso e l’adesione degli individui alla sua ideologia politica, senza dover ricorrere alla violenza, ma semplicemente utilizzando il potere propagandistico dei mass media. Mentre la stampa di regime è diventata una mera cinghia di trasmissione dei postulati dell’establishment e del sistema dominante, che realizza una vera operazione di distrazione di massa, dato che invece di informare le folle sul merito dei problemi, disinforma e distrae. Così il sociologo tedesco Herbert Marcuse, nel suo libro “L’uomo a una dimensione”, spiegava che “la funzione basica dei media è quella di sviluppare degli pseudo bisogni di beni e di servizi, fabbricati dalle grandi corporations, legando gli individui al carro del consumismo e della passività politica” … sistemi politici che saranno il brodo di coltivazione del virus patogeno conosciuto come “autos-kratos” o autocrazia, o meglio ancora oligarchia delle lobby finanziarie.

 

Dunque è un dato storico, l'omologazione delle folle italiane è ormai giunto allo stato terminale, e il nuovo autoritarismo politico è in dirittura di arrivo con la riforma costituzionale renziana, la cui responsabilità riguarda i partiti della cosiddetta "sinistra", che hanno promosso e gestito lo smantellamento dei diritti sociali conquistati in decenni di lotte, la privatizzazione del patrimonio dello stato e delle aziende pubbliche, le leggi che codificano la precarizzazione del lavoro, il famigerato Jobs Act, e l'accettazione acritica delle politiche economiche di Bruxelles e di Francoforte. L’attuale establishment delle società occidentali sembra dunque utilizzare una sorta di autoritarismo invisibile del consumismo compulsivo, bene espresso da una straordinaria scena di un episodio cinematografico di Pasolini, "La ricotta", dove un dialogo tra Orson Wells, che riveste il ruolo di alter ego di Pasolini stesso e un giornalista, risulta fulminante, perché l' "uomo medio”, il borghese appunto, colui che vota senza manco sapere per chi, senza manco capire le dinamiche politico economiche del suo paese, sarebbe definito dal regista appunto “un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, colonialista, razzista, schiavista, qualunquista”. È questo infatti che sta avvenendo oggi sotto i nostri occhi basiti … lo smantellamento dei diritti sociali conquistati in decenni di lotte, la privatizzazione del patrimonio dello stato e delle aziende pubbliche, le leggi che codificano la precarizzazione del lavoro, e l'accettazione acritica delle politiche economiche di Bruxelles e di Francoforte. La sinistra a un certo punto dello storytelling ha dovuto barattare la propria identità con la sopravvivenza all'interno delle logiche del potere. Intanto il maschio alfa dominante è partito all’attacco, insieme alla femmina alfa, ministra senza portafoglio per le Riforme Costituzionali e i Rapporti con il Parlamento, con delega all'attuazione del Programma di Governo … la coppia di licantropi dominanti ha iniziato un tour in giro per l’Italia, frequentando tutti i luoghi fisici e non-luoghi ammissibili, utilizzando tutti i canali mediatici mainstream e non, praticando codici verbali, subliminali, linguaggi del corpo e del volto, sorrisi amichevoli, e stomachevoli … insomma tutto quanto permetterà di catturare il SI’ al referendum sulla imprescindibile costituzione autoritaria. Non importano i contenuti, che quelli la folla apocalittica e disinformata non li capisce … importano invece i gesti, la capigliatura, il portamento, la simpatia, gli sguardi attraenti, i rumori di fondo, il gossip sulle possibili frequentazioni hot tra i due … comunque il tour, partito molti mesi prima del referendum, sembra procedere come una sorta di marcia trionfale … fascista, turca, dannunziana, di Radetzky, non importa … però mira diritto alla vittoria di autunno, quando le folle omologate, prive d’identità, e composte di solitaria sudditanza, saranno ipnotizzate, stremate e infine consenzienti con il progetto satanico dei due protagonisti della terza stagione tv “Il trappolone referendario costituzionale”. […]

 

Rosanna Spadini

 

 
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