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Psicosi del terrorismo PDF Stampa E-mail

24 Maggio 2016

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Da Rassegna di Arianna del 22-5-2016 (N.d.d.)

 

Il fenomeno del terrorismo è un qualcosa che ci accompagna fin da quando eravamo bambini. A partire dagli anni ‘60 del secolo scorso, in Italia, furono molte le stragi senza senso e senza "colpevoli" che insanguinarono il Paese, a partire da quella di P.zza Fontana nel dicembre del 1969, fino a quella della stazione di Bologna nell'agosto del 1980, solo per citare due fra gli episodi più eclatanti. Tutte manifestavano in comune il fatto di avere colpito nel mucchio della "povera gente", di non essere supportate da nessuna motivazione logica che potesse "giustificare" il gesto, di essere rimasti nel tempo dei casi insoluti, senza un colpevole e senza un movente plausibili...

 

Nei decenni seguenti il terrorismo di massa in Italia sparì, ma iniziò a proliferare a livello internazionale di pari passo con la globalizzazione, fino a raggiungere il proprio clou l'11 settembre del 2001, quando a New York le torri gemelle furono abbattute (ufficialmente dall'impatto con due aerei di linea) provocando oltre 3000 vittime fra la gente comune che albergava negli edifici. Come conseguenza di questa vicenda la reazione emozionale (psicosi) e politica fu sproporzionata, perfino alla luce dell'enormità della tragedia e portò all'invasione di due stati sovrani (Afghanistan ed Iraq) ed a tutta una serie di restrizioni delle libertà personali che non aveva precedenti, negli Stati Uniti e non solo. In questo caso, con la stessa sicumera attraverso la quale si riteneva che un aereo di linea potesse abbattere un grattacielo, vennero individuati anche i colpevoli materiali (tutti morti) ed i mandanti, individuati nell'organizzazione terroristica di al Qaeda e nel suo presunto leader, lo sceicco Osama Bin Ladin, ufficialmente ucciso in Pakistan nel maggio del 2011 dalle forze speciali statunitensi. Sempre ad al Qaeda (dopo che inizialmente era stata additata l'Eta) venne attribuita la responsabilità degli attacchi terroristici che colpirono i treni locali di Madrid nel marzo 2004 (ad appena tre giorni dalle elezioni spagnole) provocando 191 morti fra i viaggiatori e di quelli accaduti nella metropolitana di Londra nel luglio 2005 che causarono oltre 50 vittime. Il terrorismo, incarnato per tutto il primo decennio del nuovo secolo da al Qaeda, diventò di fatto lo spauracchio attraverso il quale giustificare tanto le guerre quanto le leggi liberticide, sempre declinate tutte nel segno della lotta al terrore e pertanto incontestabili, dal momento che chi le contestasse verrebbe considerato fiancheggiatore dei terroristi. Dopo la morte di Bin Ladin, l'annientamento della Libia e l'assassinio di Gheddafi nell'ottobre del 2011, il ruolo precedentemente attribuito ad al Qaeda è diventato appannaggio dell'Isis, organizzazione terroristica islamica se possibile ancora più "folcloristica" di quanto già non lo fosse la precedente. Proprio all'Isis infatti sono stati ricondotti i tragici attentati che lo scorso 13 novembre hanno insanguinato le strade di Parigi, provocando 130 vittime, dopo che già nel mese di gennaio sempre a Parigi 12 persone avevano perso la vita durante un attentato alla sede del settimanale satirico Charlie Hebdo attribuito ad Al Qaeda. La gravità degli attentati di Parigi, rafforzata dall'enfasi mediatica con cui sono stati presentati all'opinione pubblica, hanno di fatto prodotto in tutta Europa una psicosi del terrore per molti versi simile a quella che colpì gli Stati Uniti nel 2001, dimostrando che a prescindere da quale sia la vera natura dei mandanti della strage, lo scopo della stessa è stato pienamente raggiunto. Il fenomeno del terrorismo è infatti in tutto e per tutto simile a quello della raccolta del pizzo da parte dei clan mafiosi. Se gli emissari di un clan si recassero a chiedere il pizzo ai negozianti di un paese tranquillo, costoro li metterebbero immediatamente fuori dalla porta, dichiarando che non hanno nessun bisogno di protezione. Se invece il clan provvede preventivamente ad incendiare qualche negozio, rapinarne qualche altro e malmenare una mezza dozzina di esercenti, gli emissari troveranno terreno fertile per le loro richieste, dal momento che la paura indurrà i commercianti a pagare senza farsi troppe domande Nel caso del terrorismo il clan mafioso è costituito dai gruppi di potere che una volta gestivano i singoli stati ed ora in tempi di globalizzazione agiscono a livello transnazionale, mentre i commercianti sono tutti i cittadini, educati e controllati dai media e dalla TV. Il pizzo non è costituito necessariamente da moneta sonante, ma può consistere anche nella cessione di quote sempre più imponenti di diritti e di libertà.

 

Al di là della risposta emozionale immediata conseguente a qualsiasi attentato, costituita dalla pena e dalla paura, così come connaturato nell'animo umano, occorre sempre riacquistare velocemente lucidità e focalizzare l'attenzione sul "cui prodest". Nascosto dietro a sigle e fantomatiche organizzazioni di comodo c'è sempre qualcuno che ci vuole terrorizzati e vulnerabili, disposti ad accettare la sua "protezione" in cambio della nostra libertà. Facciamoci trovare sereni e liberi ed il terrorismo sparirà come d'incanto perché avrà perso la sua ragione di esistere, in fondo è tutta una questione di suggestione. Le probabilità di morire coinvolti in un attentato sono infinitamente minori rispetto a quelle di morire in un incidente stradale, domestico o sul lavoro, tutte attività che non ci terrorizzano ed affrontiamo quotidianamente con il sorriso sulle labbra.

 

Marco Cedolin

 

 
Suicidio di una nazione PDF Stampa E-mail

23 Maggio 2016

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Da Appelloalpopolo del 21-5-2016 (N.d.d.)

 

Il disegno di legge di riforma costituzionale approvato con legge costituzionale del 12 aprile 2016, che sarà sottoposto a referendum confermativo nel prossimo ottobre, prevede tra l’altro: il superamento del c.d. “bicameralismo perfetto”, con attribuzione di una potestà legislativa soltanto eventuale al Senato, che viene ridotto da 315 a 100 membri nominati dai consigli regionali; l’abolizione delle province e del CNEL; modifiche al regime del referendum abrogativo; l’abolizione della potestà legislativa concorrente e l’attribuzione allo Stato di materie precedentemente rientranti in essa. Non passerà sicuramente alla storia, dal punto di vista giuridico e politico, come una pietra miliare della storia del costituzionalismo moderno. Stupisce tuttavia l’ostilità con cui detta riforma, concernente essenzialmente la Parte Seconda della Costituzione e gli organi da essa disciplinati, viene osteggiata proprio da coloro che hanno assistito passivamente o addirittura cooperato alla demolizione della Prima Parte della stessa, quella che statuisce i diritti civili, politici, economici e sociali dei cittadini.

 

Dov’erano, i difensori della Costituzione, quando con legge ordinaria si calpestavano questi principi costituzionali? Il diritto al lavoro, pregiudicato da riforme che mettono in discussione la centralità del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e la sua stabilità (art. 4); l’unità e indivisibilità della Repubblica, messa a repentaglio dagli abusi delle Regioni (art. 5); la condizione giuridica dello straniero clandestino, che de facto è ormai affrancato dall’osservanza delle leggi nazionali (art. 10); la sovranità nazionale e in particolare monetaria, che legittimamente potrebbe essere oggetto di limitazioni ma non certo di pattuizioni ineguali o cessione pura e semplice, come avvenuto nei confronti di NATO, UE e BCE fino alla proditoria rinunzia alla valuta nazionale (art. 11); le libertà di associazione (art. 18), manifestazione del pensiero (art. 21) e di appartenenza a partiti politici (art. 49), minacciate da norme e comportamenti discriminatori imposti dalla dittatura del “politicamente corretto”; il principio di legalità (art. 24 e 25), messo a repentaglio da interpretazioni giurisprudenziali delle norme spesso totalmente svincolate dalla lettera della legge; il matrimonio e la famiglia (art. 29 e 30), cui vengono negati la tutela e la centralità spettanti in base al dettato costituzionale; il diritto alla previdenza (art. 38), messo a repentaglio da riforme pensionistiche sempre più penalizzanti; l’intervento pubblico in economia (art. 41, 42 e 43), inibito dal principio di libera concorrenza stabilito dai trattati UE e WTO; la tutela del risparmio e della proprietà dell’abitazione (art. 47), messe a repentaglio da una pressione fiscale che è l’inevitabile conseguenza dell’indebitamento derivante dalla rinuncia alla sovranità monetaria.

 

È la storia d’Italia da Maastricht (1992), o meglio dal “divorzio Banca d’Italia – Tesoro” (1981), a oggi. La storia del suicidio di una Nazione. A proposito, la “memoria storica”: un’altra espressione che piace molto proprio a coloro che ne sono totalmente sprovvisti.

 

Luca Cancelliere

 

 
Prima venne la rivoluzione finanziaria PDF Stampa E-mail

22 Maggio 2016

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Da Comedonchisciotte del 18-5-2016 (N.d.d.)

 

La rivoluzione industriale ha plasmato il mondo moderno. Prima che decollasse alla fine del XVIII secolo, la maggior parte delle persone in Europa e nel mondo vivevano in modo sostenibile utilizzando risorse rinnovabili in società tradizionali. Tale energia limitata era disponibile grazie al vento (barche a vela, mulini a vento), all'acqua (ruote idrauliche), al legno (caminetti e stufe per scaldare o cucinare) e alla forza dei muscoli (il lavoro degli uomini o degli animali). Non c'era elettricità, pochissimi o nessun macchinario pesante, niente medicina moderna, praticamente senza elettrodomestici o altri dispositivi che facevano risparmiare lavoro, nessuna telecomunicazione. Viaggiare era lento e faticoso. Quasi tutto doveva essere fatto a mano con una tecnologia semplice. I tassi di morte e di nascita erano elevati, principalmente a causa della mortalità infantile. Immaginate un mondo senza combustibili fossili o elettricità e cominciate ad avvicinarvi a quello che doveva essere. La vita era più semplice, più naturale, ancorata alle conoscenze della saggezza tradizionale e affidata alle tanto denigrate erbe naturali; certamente mancava lo stress associato alla vita moderna. I riti e il senso della comunità erano forti; la maggior parte delle persone erano integrate in una fitta rete di relazioni sociali.

 

Il divario tra allora e adesso è enorme. Per tutti coloro che vissero 250 anni fa il nostro mondo di oggi sarebbe stato o il frutto di una totale e inimmaginabile fantasia o un incubo. La domanda è: come siamo arrivati da lì a qui? La maggior parte delle spiegazioni sulla rivoluzione industriale e, di conseguenza, sull’origine del mondo moderno, mancano il bersaglio. Invocano cause presunte, come lo sviluppo della scienza, l'innovazione tecnologica, la stabilità politica e l'uso di combustibili fossili, a cominciare con il carbone. Nessuno di questi fattori, da soli o in combinazione, fornisce una spiegazione plausibile. Tutti loro erano presenti in altri punti in passato, e non hanno portato a una rivoluzione industriale. Il mondo antico, soprattutto coi Greci, probabilmente ha avuto una rivoluzione scientifica, così come ha avuto una notevole innovazione tecnologica e, sotto i monarchi Ellenici e i Romani, la stabilità politica; tuttavia non si è verificata nessuna rivoluzione industriale. Il potenziale riguardo i combustibili fossili è stato pure presente. La Cina, in vari momenti della sua lunga storia, ha sperimentato le stesse condizioni favorevoli; ma, ancora una volta, nessuna rivoluzione industriale si è verificata. Forse anche l'India e il mondo arabo. Queste condizioni si sono verificate anche nella Gran Bretagna nel XVIII secolo, ma questa volta la rivoluzione industriale si è verificata. Qual è stata la differenza?

 

Io sostengo che il fattore chiave, presente alla fine del XVII e l'inizio del XVIII secolo in Inghilterra ed assente nelle precedenti situazioni, è stato la presenza di un ampio sistema finanziario istituzionalizzato basato sul debito. Per la prima volta nella storia del mondo è stato possibile accedere a crediti di grandi dimensioni per finanziare imprese pubbliche e private. Questa "rivoluzione finanziaria" è stata raramente notata, e ancor più raramente, scusate il gioco di parole, accreditata. Il classico lavoro sul tema, “La rivoluzione finanziaria in Inghilterra: uno studio nello sviluppo di credito pubblico, 1688-1756” scritta da P.G.M. Dickson (1967) rimane ignorata dalla letteratura. Il credito, per essere chiari, ha lungamente preceduto la rivoluzione finanziaria. Un recente libro popolare di David Graeber “Il debito: i primi 5000 anni” ha tracciato la storia del credito sin dai tempi delle economie dei tempio nelle città stato dei Sumeri.

 

Ma il tipo tradizionale di credito che Graeber descrive era molto limitato. I prestiti commerciali erano erogati generalmente per finanziare progetti affidabili e relativamente ridotti; per esempio il finanziamento in contanti della semina o di una spedizione commerciale. Inoltre solitamente dovevano essere in metalli preziosi difficili da reperire. Ancora più importante il fatto che i prestiti tradizionali di questo tipo dipendevano dal trovare i relativamente pochi potenziali creditori che avevano già accumulato risparmi per poter finanziare il prestito. Oggi è ancora opinione diffusa che il denaro prestato dalle banche proviene dai risparmi depositati in quelle banche, come si presume che il denaro preso in prestito da un amico o un parente provenga dai risparmi o ricchezza che già possiedono. Ma non è così. La rivoluzione finanziaria in Inghilterra, più di 300 anni fa, ha notevolmente superato questi limiti ampliando la portata e la funzione del credito. Per fare ciò ha instituito un sistema di credito indipendente del risparmio e delle risorse presenti istituzionalizzando il processo di creazione di denaro "dal nulla".

 

Bisogna raccontare un po' di storia per capire questa storica rivoluzione finanziaria che non viene insegnata nelle nostre scuole. Furono gli orafi Londinesi del XVII secolo che intrapresero il primo passo. I clienti depositavano oro per custodirlo in modo sicuro, in cambio ricevevano certificati di riscatto. Gli orafi scoprirono che solo pochi clienti avrebbero riscattato i loro depositi in un qualsiasi momento. Questo gli ha permesso di rilasciare più certificati (come prestiti) dell’oro veramente posseduto per poterli riscattare tutti. Questa nuova espansione, o leva, della massa monetaria (più certificati in circolazione rispetto all'oro reale che li sostengono) è diventata nota col nome di riserva frazionaria. Si noti che non c’è nulla che sostenga questo nuovo denaro supplementare a parte la fiducia nella capacità presunta dei mutuatari di rimborsare nei tempi stabiliti. Si è creato solo sulla base di questo presupposto degli istituti di credito. I mutuatari hanno improvvisamente avuto nuovi soldi da spendere, denaro che non esisteva e che non era stato coniato, guadagnato o risparmiato da qualcuno. Si tratta né più né meno di un pezzo di carta sostenuto da una corrispondente entrata contabile nel libro del creditore. Sebbene questo passo fosse stato importante, gli orafi rimasero proto-bancari privati, limitati dai depositi che avrebbero potuto attrarre. Essi erano vulnerabili alla “corsa alla banca”; massici e improvvisi prelievi da parte dei depositanti che non gli rendevano possibile ripagare l'oro come promesso, lasciandoli quindi insolventi. Il denaro creato dal nulla, in sostanza così come in una truffa, può facilmente scomparire nel nulla non appena la fiducia vacilla. Questo problema è stato esacerbato dall’insistenza di Carlo II a richiedere sempre maggiori finanziamenti per condurre le sue campagne militari che non poteva ripagare. Un importante default dalla monarchia, verificatosi nel 1671, gettò fuori dal mercato molti orafi e altri prestatori di denaro. Questo modello era tipico della prima finanza moderna: i monarchi prendevano in prestito grandi somme per finanziare le loro guerre di conquista senza avere sufficiente reddito da imposte e tenute reali per ripagarli.

 

Una risposta geniale e fatidica a questa instabilità finanziaria è avvenuta con la fondazione della Banca d'Inghilterra nel 1694. Un gruppo di circa 1500 investitori ha accettato di assumere il debito del re, ribattezzato "debito pubblico", in cambio del monopolio sul diritto a emettere le proprie note di credito (prestiti) al pubblico garantite dal rimborso affidabile del debito del governo attraverso la tassazione. Queste note, che in seguito divennero note come le libre britanniche, presto iniziarono a circolare nel paese come moneta. Questa moneta in forma di debiti era ancora in ultima analisi denominata in metalli preziosi, ma la presenza dell’imprimatur reale, sostenuta dal potere dello Stato di rispettare gli obblighi attraverso la tassazione forzata, ha reso l’indebitamento "buono come l'oro" per i creditori. Da quando questo sistema ha preso piede, nessuno sembrava porsi la più ovvia e importante domanda: perché a un gruppo d’investitori privati è stata concessa la licenza senza precedenti per l’automatico rimborso dei crediti attraverso le tasse dei contribuenti e, se necessario, il definitivo salvataggio delle proprie note private che sono state autorizzate a funzionare come valuta soppiantando i metalli preziosi? Dal momento che il potere dello Stato di tassare i suoi cittadini si basa su un diritto perpetuo, ne consegue che eventuali prestiti privati garantiti da entrate fiscali possono essere emesse e riemesse in perpetuo. Il risultato è stato un debito nazionale perpetuo utilizzato per eseguire il backup perpetuo del prestito privato. Ma i banchieri privati hanno subito fatto un ulteriore passo, sfruttando appieno il principio della riserva frazionaria degli orafi: hanno provveduto a prestare ben oltre l'importo effettivo del debito pubblico presente sui loro libri contabili. Così, solo una frazione del “denaro" che hanno generato dal nulla era formalmente sostenuto dalle tasse del contribuente. Il che porta a un'altra domanda molto importante che non è stata molto discussa, né allora né adesso:

 

 

 

Che cosa succede se decade la fiducia, ci sono corse agli sportelli e si scopre che le garanzie del governo sono insufficienti? La risposta moderna a questa domanda è ... salvataggi; si scopre che il contribuente è agganciato all’amo non solo per quanto riguarda il debito pubblico, ma per tutta l'emissione del debito privato. Ma non è tutto. Non solo questi prestiti privati erano garantiti dal potere della tassazione dello Stato, ma i banchieri emittenti approfittarono del rilassamento dei divieti tradizionali sull’usura. Questo ha permesso loro di far pagare tanto interesse su questi prestiti tanto quanto il mercato avrebbe sopportato. In altre parole, sono stati in grado di scremare un generoso profitto per se stessi semplicemente in virtù di emissione di moneta che essi soli erano autorizzati a creare liberamente! Suona stravagante?  Eppure questa è l'essenza della rivoluzione finanziaria che Alexander Hamilton, uno dei suoi ammiratori, ha chiamato con precisione "il sistema inglese" e che rimane tutt’ora la base del nostro sistema finanziario.

 

In che modo tutto questo spiega la rivoluzione industriale? Pensate in questo modo: per la prima volta nella storia una diffusa facilità di credito ragionevolmente sicuro si è resa disponibile: sostenuta dallo Stato e priva dei peggiori rischi in precedenza a carico di singoli istituti di credito come gli orafi o precedenti banchieri famigliari come i Medici o i Fugger. Questo ha fatto una grande differenza: i mutuatari che potevano attingere a questo nuovo credito si sono trovati con i mezzi per investire in metodi di produzione modernizzato, diventando più redditizi e superando i loro concorrenti. Questo è accaduto inizialmente in agricoltura, con il miglioramento dei terreni fondiari e si è poi diffuso alla produzione industriale. Anche se questi nuovi prestiti dovevano essere rimborsati con interessi che erano comunemente a tassi usurari, i benefici dei miglioramenti realizzati fatti con i prestiti erano comunque redditizi sia per i mutuatari che per i finanziatori. Per la prima volta nella storia, è stato possibile in modo sistematico e affidabile prendere in prestito contro il futuro, scommettendo che il futuro sarà sempre più grande, migliore e più ricco, rendendo perpetuamente possibile emettere sempre più debito con cui rinnovare il debito precedente. Questo è ciò che ha reso costante la crescita economica attraverso l'investimento in metodi di produzione innovativi: in breve ha reso la rivoluzione industriale possibile. Tutto ciò porta a un'altra domanda molto importante che non è stata molto posta: cosa succede quando si scopre che il futuro non sarà più grande, migliore e più ricco perché le risorse essenziali sono state esaurite? La risposta moderna a questa domanda, che ci stiamo ponendo ora, è questa: il collasso finanziario, economico e politico. Ma stiamo correndo avanti troppo velocemente. Ricordate che il prezzo da pagare per l'industrializzazione era l'interesse praticato sul denaro preso in prestito. Ciò significa che un'impresa, se finanziata da denaro preso in prestito, doveva crescere per compensare il creditore nonché rimborsare il capitale. A poco a poco le industrie tradizionali che non crescevano sono state distrutte dai loro concorrenti industriali più produttivi o sono state finanziarizzate ponendosi sul sempre più veloce tapis roulant del debito. Albert Bartlett e Chris Martenson, tra gli altri, hanno elaborato in modo malthusiano l'idea che l'economia moderna funziona secondo il principio di auto-distruzione della crescita esponenziale. Ma ancora altre domande rimangono: perché la crescita economica esponenziale ha preso piede ed è proseguita negli ultimi 250 anni? Si scopre che la crescita esponenziale ha un fattore di forza molto preciso: i tassi di interesse usurari praticati dal nuovo sistema finanziario creato dalla rivoluzione finanziaria. In pratica l'uso del denaro preso in prestito a interesse ha creato qualcosa che non esisteva in precedenza: un motivo convincente per crescere economicamente. Una volta che i tradizionali scambi reciproci, le più o meno economie stazionarie (steady-state), sono state sostituite con l'uso del credito in prestito ad interesse si è reso necessario andare sempre più avanti: si doveva guadagnare di più da qualsiasi scambio rispetto ai rivali per fare profitto e pagare gli interessi al creditore. Per la prima volta nella storia un fatidico imperativo per la crescita e lo sfruttamento è stato istituzionalizzato nell'economia. Il credito usurario è quello che ha generato il cambio di marcia delle economie costringendo i mutuatari a sfruttare sia le persone sia le risorse naturali di gran lunga al di là di ciò che è stato consentito in economie tradizionali che erano basate sulla reciprocità tra i partecipanti. Quindi un'altra domanda, mai affrontata in modo adeguato, si pone: com’è successo che i vizi personali e i peccati mortali sono diventati i principi fondamentali dell’economia? L'ambizione e l'avarizia, precedentemente vizi privati, sono stati istituzionalizzati nel sistema finanziario dei crediti usurari, consentendo loro di essere legalmente e culturalmente oggettivati e quindi enormemente ingranditi. Non più solo qualità personali, hanno assunto il potere d’imperativi sociali. Per molto tempo, fino a quando nuove risorse e lavoratori potevano essere sfruttati, tutto è andato bene per gli sfruttatori (e male per gli sfruttati). Nuove frontiere si aprirono e furono "sviluppate" nel Nuovo Mondo e altrove, di solito con l’uso della pistola: schiavi e servi a contratto sono stati acquistati per fare del lavoro. Allo stesso tempo nel vecchio mondo i contadini sono stati costretti a sfollare a causa della modernizzazione dell'agricoltura e sono stati ammassati nelle fabbriche come operai. Privati dei loro modi tradizionali di vita, in gran parte indipendenti e sostenibili, sono diventati operai o salariati consumatori che dovevano acquistare beni e servizi a prezzi di mercato. È accaduto che il mondo avesse abbastanza terra, minerali, terreni coltivabili, pesci e foreste per sostenere una esplosione di produzione senza precedenti. È accaduto per un tempo considerevole che il mondo ha avuto enormi fonti non sfruttate di energia sotto forma di combustibili-fossili con la potenzialità di moltiplicare la produzione di molte volte. Lo sfruttamento di queste risorse è quello che chiamiamo la rivoluzione industriale. E ora ha fatto il suo corso. Alla fine sono stati raggiunti i limiti delle risorse di un pianeta finito. Non ci sono nuove frontiere rimaste. La popolazione è esplosa, le terre coltivabili sfruttate, le foreste abbattute, gli stock ittici esauriti, i minerali sono diventati scarsi e l'ambiente è stato degradato e inquinato. Gli investimenti nella produzione di energia da combustibili fossili, che hanno sostenuto la crescita economica, hanno finalmente raggiunto il punto in cui i ricavi cominciano a diminuire, anche se continuano a contribuire al costoso e distruttivo cambiamento climatico. Nel frattempo il sistema bancario ha continuato a prestare molto più denaro di quanto le attività di tutto il mondo fossero i grado di sostenere. Centinaia di migliaia di miliardi di dollari di debito ora ridimensionano il potenziale dell'economia globale che mai produrrà abbastanza per ripagarlo. Siamo di fronte ad un'altra crisi finanziaria ciclica di boom-bust ciclici (cicli continui di espansione e contrazione), ma questa volta è davvero diverso: il potenziale di recupero e l'ulteriore crescita potrebbe non esistere più. Il sistema ha raggiunto il plateau, per il momento, ma essendo stato progettato per una crescita esponenziale infinita, non per uno stato stazionario, è destinato a scomparire. È importante capire che "il sistema inglese" ormai affermato in tutto il mondo è un sistema finanziario privatizzato e usurario stabilito in regime di monopolio da parte dello Stato a favore degli investitori privati, ed è involontariamente sostenuto da suoi contribuenti (come evidenziato nei recenti salvataggi di banche considerate "troppo grandi per fallire"). Questo sistema è la causa principale dell'economia industriale. Quali sono le lezioni in tutto questo? 1. La crescita esponenziale, alimentata dal sistema finanziario è insostenibile e destinata a crollare. Questa è la natura di qualsiasi processo esponenziale. 2. Il vero cattivo della situazione, e la causa della crescita economica esponenziale, è il nostro attuale sistema finanziario scandaloso, definito dal prestito di denaro a tassi d’interesse usurai ed esponenziali da parte di un monopolio privato sostenuto dallo Stato. 3. La grande potenza scatenata da questa rivoluzione finanziario-industriale ha completamente corrotto coloro che sono stati in grado di manipolarla e trarre beneficio da essa, con una conseguente cultura narcisistica disumana di arroganza e disprezzo per i modi tradizionali sostenibili di vivere. 4. Il nostro sistema finanziario è un'invenzione relativamente recente, ideato da uomini intelligenti ed egoisti per il loro tornaconto personale. Non è il prodotto di un processo naturale o inevitabile, né una deliberazione democratica. Si tratta di una truffa. Non abbiamo bisogno di rimanergli fedele e prima ci libereremo di esso meglio è. 5. Un’economia sostenibile, post-crollo, a misura di un pianeta finito, richiede un ritorno alla reciprocità, accordi di cooperazione reciproca per lo scambio di beni e servizi. I prestiti dovranno essere basati sulle garanzie attuali, non sulla leva o sullo sfruttamento speculativo delle risorse (sempre più inesistenti). 6. L'usura dovrà essere vietata nei prestiti futuri. Il sistema monetario, con il quale il denaro viene creato attraverso il prestito, non può essere un monopolio a scopo di lucro, che si tratti di privati o pubblici. 7. Qualsiasi futuro sistema finanziario dovrà essere progettato per evitare concentrazioni di potere finanziario, rendendo possibile il controllo da parte del pubblico. Se la creazione di denaro ha lo scopo di servire i cittadini, deve essere fatta a livello locale da parte di istituzioni controllate a livello locale.

 

Adrian Kuzminski

 

 
L'inganno della flessibilità PDF Stampa E-mail

21 Maggio 2016

 

 

Da Il Ribelle, quotidiano on line, del 18-5-2016 (N.d.d.)

 

I 14 miliardi di flessibilità che l’UE ha concesso all’Italia per il 2016 altro non sono che uno specchietto per le allodole, una specie di gioco delle tre carte. Si parta da un presupposto: sia il Trattato di Maastricht che quello di Lisbona prevedono entrambi il tetto del 3% del rapporto deficit/PIL. Voi direte, “che c’entra?”. Adesso lo capirete. Per il 2016 l’UE ha concesso (!!!!) all’Italia di tenere il suddetto rapporto al 2,2%, poi arrivato al 2,4% per far fronte alla lotta al terrorismo (sicurezza e bonus cultura ai diciottenni). Quindi, in ogni caso, sotto il 3%! Considerato che Renzi ha realizzato fedelmente alcune delle riforme imposte da Bruxelles (come ad esempio il Jobs Act e la revisione costituzionale), per il 2016 l’UE concede al governo italiano 14 mld di flessibilità (quasi un punto percentuale di PIL, che vale circa 16-18 mld di euro). In cambio di questa “flessibilità” l’UE, che non regala niente a nessuno, ci ha imposto, per il 2017, di rispettare rigorosamente il tetto dell’1,8% nel rapporto deficit/PIL, altrimenti scattano le cosiddette clausole di salvaguardia (soprattutto l’aumento dell’IVA). Se Maastricht e Lisbona prevedono che il rapporto deficit/PIL non superi il tetto del 3%, per quale motivo l’UE ci impone, in cambio di 14 mld di flessibilità per il 2016, di rispettare un rapporto deficit/PIL dell’1,8% per il 2017? Ciò detto, se un punto percentuale di PIL vale circa 16-18 mld di euro, e l’UE ce ne “regala” 14 per il 2016, capite che buona parte di questa “regalia” se la riprenderà nel 2017 imponendoci un austero rapporto deficit/PIL all’1,8%. Morale della favola: con una mano l’UE ci “regala” 14 mld nel 2016, con l’altra ce li toglie nel 2017… E a partire dal 2019 ci siamo impegnati a rispettare il vincolo dettato dal Fiscal Compact che impone il pareggio di bilancio (con rapporto deficit/PIL 0,5%!).

 

E mica pensavate che abbiamo tutti l’anello al naso?! Ah, dimenticavo… a proposito del rapporto deficit/PIL, la Francia sono ormai diversi anni che viaggia sopra il 4%, la Spagna sopra il 7% e l’UK intorno al 5%. A noi, invece, con una mano ci “regalano” 14 mld, con l’altra se li riprendono! Oggi gli esponenti del Governo e del PD esultano per aver ottenuto flessibilità dall’UE dopo anni di rigore. Ma, visto quanto premesso, c’è poco da esultare! Ad ottobre si vota il referendum confermativo sulla riforma costituzionale. Bisognava farsi vedere disponibili… una volta messo in cascina il risultato referendario, l’UE tornerà ad imporci il rigore! Ma non hanno fatto i conti con il popolo! Qualcuno potrebbe pensare: “ma Renzi è troppo furbo. Otterrà da Bruxelles ulteriore flessibilità anche nel 2017″… E no, miei cari. Qualora l’anno prossimo l’Italia non rispettasse quell’austero 1,8% del rapporto deficit/PIL, ecco che scatteranno le clausole di salvaguardia e l’IVA schizzerà al 25,5%! Poi a Bruxelles si offendono se li chiamiamo strozzini…

 

Giuseppe Palma

 

 
Sindaci "dimissionati" PDF Stampa E-mail

20 Maggio 2016

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Da Il Ribelle, quotidiano on line, dell’11-5-2016 (N.d.d.)

 

Se fossi il sindaco di Livorno o un qualsiasi altro amministratore cui si chiede di dimettersi perché indagato, imputato, rinviato a giudizio oppure condannato non definitivamente, risponderei: «Che fanno i magistrati stessi, quando si ritrovano indagati, imputati o condannati? Si dimettono o non si dimettono? Spesso non si dimettono; quindi perché dovrei dimettermi io, tanto più che, a differenza dei magistrati, ho una legittimazione popolare? La democrazia non lascia ai PM di decidere chi può rappresentare la gente». Personalmente, conosco qualche magistrato che, accusato di un reato piuttosto grave, con prove piuttosto evidenti, si è semplicemente trasferito nella città più vicina, senza che alcuno chiedesse le sue dimissioni, e continua tranquillamente a giudicare o inquisire ed accusare, tra colleghi e avvocati che sanno della sua situazione. Dov’è il problema? Se lo standard generale di sensibilità nel Paese è questo, va bene così. Sapendo che nell’apparato pubblico l’illegalità e l’affarismo sono molto diffusi, è pure irrazionale credere che una parte specifica di esso, cioè il settore giudiziario, sia diversa e immune da quelle caratteristiche anziché simile al resto dell’apparato, tanto più che si conoscono molti casi di magistrati autori di gravi illeciti, e che quindi è evidente che la qualità di magistrato non è affatto garanzia di legalità o moralità. Certo, sapere quanto è corrotto l’apparato pubblico suscita il forte bisogno emotivo di credere in un potere superiore e immune da questi vizi e in grado di colpire la corruzione e risanare il sistema. Questo bisogno alimenta il prestigio popolare della magistratura, con la sua mitologia.

 

Vengo a un terzo punto, ancora più importante, che devo spiegare, come avvocato e giurista. Si tratta del rapporto tra processo e ricerca della verità. Comunemente si pensa che la verità debba essere accertata dal processo e dai giudici, perché accertarla sarebbe la funzione del giudizio. Così non è, come ogni avvocato sa: sententia facit de albo nigrum. Nella ricerca scientifica o storica o sociologica, la verità è ricercata a) senza limiti formalistici e senza vincoli di scopo, liberamente; b) ogni accertamento può e deve essere rimesso in discussione quando emerga qualche dato di fatto che smentisca l’accertamento già acquisito: le conclusioni della scienza sono sempre provvisorie e aperte. La ricerca della verità, nel processo, è invece a) finalizzata non alla conoscenza ma a chiudere un caso prendendo una decisione; ed è b) sottoposta a forme, limiti, scadenze che spesso portano a risultati molto diversi rispetto alla verità. Il processo deve adattarsi al principio del contraddittorio e al principio dell’onere della prova, che non si applicano all’indagine scientifica. La sentenza può accertare una cosa oppure il suo contrario solo perché un avvocato o il pubblico ministero non chiede per tempo l’audizione del testimone chiave oppure non riesce a produrre in tempo un documento importante o perché non rispetta qualche formalità nell’assunzione di una prova, per esempio di un’analisi chimica o di un’intercettazione telefonica. Avviene che un colpevole non venga nemmeno giudicato o sia prosciolto perché interviene la prescrizione o perché la querela viene rimessa o perché cambia la legge. O che sia assolto per insufficienza di prove. O che qualcuno sia indagato e arrestato perché alcuni magistrati vogliono neutralizzarlo per ragioni di politica o di affari, oppure, al contrario, può darsi che gli diano copertura e protezione. La ricerca scientifica e storica o investigativa, se non riesce ad accertare o confutare un’ipotesi, può dire “non sappiamo, sospendiamo il giudizio”; il giudice invece deve decidere in ogni caso. Per queste ragioni, è errato pensare che le sentenze accertino e certificano la verità dei fatti e delle eventuali colpe e che si possano sostituire alla libera indagine. Non è il sigillo dell’autorità statale a rendere certa e indiscutibile un’affermazione dal punto di vista della verità. È da stupidi o ignoranti od opportunisti dire: “non so quale sia la verità; aspettiamo che i giudici accertino se i fatti di cui Tizio è accusato o no”, “i giudici accerteranno la verità e noi potremmo e dovremmo attenerci alle loro verifiche come accertamenti definitivi e indiscutibili per decidere se Tizio o Caio sia degno o indegno di fare il sindaco, il ministro, il presidente di un ente pubblico.” Talvolta neppure una condanna o un’assoluzione definitiva risolve i dubbi.

 

Sarebbe comodo e rassicurante che le cose stessero così, ma così non stanno, e il principio di realtà esige che ci rassegniamo a non avere un metodo automatico per risolvere questi dubbi. Dobbiamo esaminare caso per caso e concretamente la vicenda, e, se non lo possiamo fare, in mancanza di prove evidenti, dobbiamo sospendere il giudizio e tenerci il dubbio. Conclusione questa molto frustrante per il pensiero popolare, che invece esige giudizi chiari, semplici, forti, definitivi, e possibilmente che producano una scarica emotiva.

 

Marco Della Luna

 

 
Sanzioni alla Siria PDF Stampa E-mail

19 Maggio 2016

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Da Rassegna di Arianna del 17-5-2016 (N.d.d.)

 

«Ai politici europei dico: se avete un po' d'umanità non rinnovate le sanzioni alla Siria»: così il vescovo maronita di Aleppo, monsignor Joseph Tobji, intervistato da L'Antidiplomatico. Che differenza con El Papa: "Accogliamoli tutti, l'Europa apra le porte, scusate immigrati per la nostra chiusura.". Però come se quelli fuggissero da una catastrofe naturale. Mai una parola sulla guerra scatenata - ormai è provato - per istigazione Usa e francese su un paese inoffensivo. Soprattutto, mai un invito ai poteri forti internazionali a levare le sanzioni. Un vero sesto senso, quello di "Francesco", a schivare i temi che possono metterlo in urto con quel mondo che lo copre di applausi.  È stato invitato a parlare (fatto inaudito) al Congresso Usa ed ha ricevuto una standing ovation (massonica?): mai ha accennato alle sanzioni che stanno aggravando la tragedia del popolo siriano. È stato invitato a parlare in "Europa": silenzio sulla faccenda. Sanzioni? Qualcuno ha detto sanzioni? Sanzioni? Ve ne hanno mai parlato?  L'Europa applica le sanzioni contro il governo siriano - ad imitazione servile degli americani - dal 2011: quando si volle rispondere al fatto che "Assad gasa il suo stesso popolo": accusa già ampiamente rivelata falsa.  Erano stati jihadisti   Era il pretesto scelto per un'invasione che poi, invece, non ci fu. Le sanzioni sono rimaste. Con l'idea che la popolazione siriana si sarebbe ribellata al regime di Assad. Idea già ampiamente provata insensata, fin dall'embargo semisecolare contro i cubani, a quello contro Saddam, a quello contro l'Iran. Sì, l'Europa impone sanzioni alla Siria. E non un embargo sulle armi, che potrebbe aver un senso e lavare le coscienze (se non fosse a senso unico: Usa e Francia mandano armi e uomini-addestratori ai jihadisti); no, è l'embargo sui generi di prima necessità. L'effetto sulla popolazione civile è devastante «Il popolo siriano soffre doppiamente, per i terroristi e per le misure occidentali» ha dichiarato qualche giorno fa Bouthania Shaaba, consigliere politico del presidente Assad. "Se l'Occidente vuole aiutare davvero nella lotta al terrorismo, la prima cosa che   deve fare è sollevare le sanzioni". Il Papa è passato a parlare di cani e gatti: "Prima che i cani e i gatti, aiutate i vicini": A meno che non fosse una delicata allusione. Stephen Gowans, un attivista canadese, ha esibito documenti del Congresso Usa, dove si dimostra che già nel 2005 il governo americano stava attivamente operando contro il regime siriano, usando le sanzioni allo scopo (credeva) di rafforzare l'opposizione interna e portare al rovesciamento del regime.

 

Prima della guerra la Siria produceva da sé il 95% dei medicinali per il suo fabbisogno; salvo i farmaci oncologici e anti-diabetici, era autosufficiente - testimonianza di un paese ordinato e ben governato, e anche della scelta di autarchia, obbligata da precedenti sanzioni (volute da Israele, e da noi ciecamente applicate). Ovviamente "questa industria è collassata, come sono crollati decine di ospedali e di centri di primo intervento sanitario", ha scritto la rivista medica Lancet: e le sanzioni - che fra l'altro hanno bloccato (sequestrato) i conti esteri del governo -  impediscono di comprare le medicine più essenziali. "Le perdite economiche per il paese alla fine del 2014 ammontavano a 143,8 miliardi", ha scritto Lancet: "più dell'80% della popolazione vive in povertà, e un terzo (32,6%) in povertà spaventosa e totale, impossibilitata a tenere gli alimenti di base. Oltre metà della popolazione (52,8%) è sfollata, un terzo sfollati all'interno.  L'aspettativa di vita, che era di 75,9 anni nel 2010 (una delle più alte della regione) è caduta nel 2014 a 55,7 anni, una perdita di 20 anni.  Il costo degli alimenti di base è sestuplicato dal 2010.  La disoccupazione è salita dal 15% nel 2011 al 55,7 nel 2014; 3 milioni avevano perso il lavoro per nei primi due anni del conflitto". Ovviamente per la distruzione delle migliaia di piccole industrie locali. Molti imprenditori sono riparati all'estero, specie dal centro industriale di Aleppo; i grossi capitalisti si son portati il capitale; altri, a capo di piccole e medie imprese, hanno perso tutto e dovuto interrompere la produzione, perché le fabbriche sono cadute in mano ai jihadisti. La modesta produzione di petrolio (che prima era diretto quasi tutto alla UE e contava il 20% delle entrate pubbliche) è azzerata dalle sanzioni, mentre l'ISIS e i ribelli si vendono il petrolio delle zone che hanno occupato. La crescita delle importazioni per compensare le perdite nella produzione dei carburanti e dei concimi agricoli è resa impossibile dal blocco: un blocco commerciale enorme, perché ovviamente ad esso si sono uniti Turchia e sauditi e loro satelliti. Prestiti esteri, ovviamente, nessuno.  Il deficit commerciale e di bilancio è un buco nero.

 

Ovviamente ciò non danneggia minimamente il regime né i suoi fedeli riforniti da Russia, Iran, Venezuela, Cina, perfino India; inoltre il regime ha dimostrato una grande capacità di adattamento, anche per la notevole esperienza delle precedenti sanzioni (imposte per volontà di Sion). È solo la popolazione civile che ne soffre. Ciò ha forse alienati i civili dal regime? Miguel Fernandez, l'inviato speciale cubano che copre da un anno la guerra, dice di no. La gente vede che "le truppe dello Stato Islamico (ISIS) o il Fronte Al-Nusra sono composte solo da libici, tunisini, ceceni, egiziani, africani, le persone provenienti da molte ex repubbliche sovietiche con una forte presenza musulmana". Non è una guerra civile, ma contro stranieri quella che si è venuta configurando. E "vedere che le persone non si arrendono, che sognano ancora un paese prospero, è la più grande lezione che mi ha dato la Siria"

 

E il martirio del popolo non è ancora finito: dopo la tregua imposta da Mosca, gli Usa cercano la rivincita. Forniscono nuove armi ai terroristi, specie i missili a spalla MANPAD per abbattere aerei ed elicotteri russi.  Kerry e il ministro francese degli esteri Ayrault si sono incontrati a quattr'occhi il 9 maggio: sono le due potenze occidentali che hanno tramato e sovvertito fin dall'inizio, ciascuna coi loro jihadisti preferiti: non c'è dubbio che invece della tregua, vedremo una fase più velenosa e crudele.  A questa inciviltà, a questa crudeltà senza fine, l'Europa vergognosamente, sonnambulicamente, partecipa. Perché, dove sta l'interesse europeo alla destabilizzazione della Siria? Alla sua consegna definitiva a tagliagole mossi da un'ideologia assassina, a cui regalare un paese e le sue risorse? Non se lo chiedono, i nostri governanti. Né Berlino, né Roma né le altre capitali. Ancor meno se lo chiede El Papa: "Accoglieteli tutti, poveri profughi".   Ma attenzione. Ho visto una foto di siriani o medio-orientali che aspettano di entrare in Finlandia. Sì, in Finlandia. Sono tutti uomini, maschi, fra i 20 e i 40. Contrariamente a quel che racconta la propaganda, non ci son quasi donne e bambini nella fuga; un 1-2 per cento. Gli altri sono maschi in età militare. El Papa li chiama "Profughi", la Boldrini "Migranti", la Merkel manodopera. Il loro nome vero è: disertori.

 

Maurizio Blondet

 

 
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