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Annegare nella libertà PDF Stampa E-mail

20 Marzo 2016

 

 

Da Comedonchisciotte del 15-3-2016 (N.d.d.)   

 

Quasi tutti hanno sentito parlare del delitto del Collatino (un quartiere di Roma). Due pervertiti hanno irretito, seviziato e assassinato un ventitreenne, Luca Varani. Il loro gesto era premeditato. “Volevamo provare l’effetto che fa“, ha dichiarato uno di loro, in una grottesca parodia del classico di Jannacci. Premeditato, benché attuato sotto il pesante effetto delle droghe. Alcuni opinionisti (fra questi Maurizio Blondet) hanno evocato le categorie di Bene e Male. È logico che Blondet lo faccia: è cristiano e cattolico; giudica secondo la morale cristiana e cattolica. Credo, tuttavia, ch’egli sia fuori strada.

 

Fare appello a un sistema di valori (qualsiasi esso sia) rende necessariamente incapaci alla comprensione della vicenda. Parimenti inadeguato è riferirsi agli autori dell’omicidio quali “annoiati figli di papà”: il censo, o la noia, qui, entrano poco o nulla. Meno fuorviante è il richiamo alla pazzia; a patto che con tale termine s’intenda un tipo di pazzia del tutto inedito: una affezione nichilista dell’animo. Ritengo, infatti, che l’assassinio di Varani sia avvenuto in una zona al di là del Bene e del Male. Stragi, torture e delitti son sempre avvenuti. Tutti, però, originavano o da una morale o da una visione dell’esistenza o quale reazione all’infrazione delle stesse (erano, quindi, accettati o riprovati in nome di un codice superiore). Persino l’act gratuit di Gide ne I sotterranei del Vaticano ricade in tale categoria: nel romanzo vi è sì un gesto omicida insensato (poiché senza movente), ma questo è pur sempre la negazione di un’etica dominante ancora valida e riconoscibile da tutti. L’assassinio del festino omicida del Collatino, però, si invera nella più totale assenza d’una morale. Interna ed esterna. In esso non rinveniamo, come vuole Blondet, il Male, come antitesi al Bene, ma nel vuoto: esso ha la propria radice nel Nulla (degli animi e della società). Qui hanno patria i nudi fatti: abbiamo agito così. Questo è accaduto. E basta. E perché è accaduto? I due assassini non lo sanno, e, temo, non lo sapranno mai. Questi due pupazzi di paglia (We are the hollow men, we are the cave men) sono l’inevitabile prodotto della soppressione di ogni morale. Voluta e gestita dal potere. Il vuoto è un fenomeno universale, proprio al capitalismo postmoderno: trasversale, epidemico, senza differenza di classe o ceto (i poveri hanno le medesime pulsioni, solo che non possiedono abbastanza denaro per soddisfarle; e sono distratti dalle durezze del vivere, come direbbe Padoa Schioppa). La morale ha una propria genealogia, come insegna Nietzsche. Si è formata storicamente. Non vanta rilievo assoluto, metafisico. Può considerarsi, quindi, “una santa menzogna”. E tuttavia ci mantiene in vita. Si è stratificata e sublimata in tal modo per consentire la vita. La sua abolizione, che procede speditamente grazie ai dettami del turbicapitalismo, viceversa, non consente più la vita.

 

Nietzsche fu un geniale distruttore; la sua architettura del futuro, però, è smentita dal futuro stesso, che è il nostro presente. Egli anelava alla pienezza dell’esistenza, ma la sua utopia – che è l’oggi – ristagna in una palude mortifera. Oggi si annega nella libertà. Nel deserto del “Fa’ ciò che vuoi”. A poco son valsi gli ammonimenti classici, di cui solo ora si comprende l’immane portata: il “nulla di troppo” greco; il senso del limite latino. […]

 

Il limite. La morale pensa per noi, e ci libera dalla follia di essere signori e padroni di ogni nostro atto. L’uomo non può sopportare la verità continuamente. La piena luce dei riflettori. Ha bisogno di staccare, di mentire, di raccontarsi favole. La favola della morale (o di una disciplina, una qualsiasi) ci consente di vivere. In questo sbagliava Nietzsche. Il superuomo non esisterà mai, è psichicamente insostenibile. Si possono liquidare i valori pregressi, ma è impossibile creare in ogni momento la nostra etica in quanto sopraffattori; è folle (e veicolo di follia) tentare di dare un senso al reale tramite l’affermazione diuturna della volontà di potenza. Sostituirsi al Dio negato annienta non solo la società, ma anche l’individuo. Come detto, si annega nella libertà. I selfie dei due assassini fermano l’immagine dell’Übermensch del nuovo millennio. Nessuna grandezza, solo una desolante catatonia interiore, altro che aristocrazia. Annegare nella libertà. […] Nessun divieto, nessun peccato, nessun limite; oltre il Bene e il Male. Si scende nell’abisso. L’abisso chiede altro abisso. La realtà vera emana, allora, solo un flebile richiamo, quasi inaudibile. Ci si crogiola rivoltandosi nel brago. Il piacere dell’annientamento, sempre per citare Nietzsche. Ma non v’è nulla di eroico. L’infamia si somma all’infamia sino alla dissoluzione (per citare Sade; o il Blondet de Gli Adelphi della dissoluzione). Gli assassini hanno piantato un coltello nel cuore della vittima e hanno dormito tranquillamente accanto al cadavere. Perché no? Chi lo vieta? Cosa lo vieta? Lo Stato e le sue leggi? No, poiché lo Stato, e il Superstato globale, incoraggiano proprio l’opposto. Pasolini, con Salò, aveva compreso l’essenza di ciò ch’era in ballo, anche se lo impacciavano ancora preoccupazioni ideologiche e di classe, oggi scomparse. Egli stesso intuì il fondo della verità quando affermò, nell’ultima intervista a Furio Colombo, che il pezzente o il piccolo borghese desiderano ciò che desidera il dirigente o il magnate (“Se ho tra le mani un consiglio di amministrazione o una manovra di Borsa uso quella. Altrimenti una spranga. E quando uso una spranga faccio la mia violenza per ottenere ciò che voglio. Perché lo voglio? Perché mi hanno detto che è una virtù volerlo. Io esercito il mio diritto-virtù. Sono assassino e sono buono”).

 

Il programma del Moloch che ci governa brucia le tappe. L’abolizione del passato e della morale è il loro principale obiettivo. Hanno fretta. Stanno creando milioni di malati. Interi popoli e paesi sono oggi malati. Ebbri della follia della libertà infinita. Ricordate i replicanti di Blade Runner? Per impedir loro di impazzire i programmatori della Tyrell Corporation erano costretti a impiantargli falsi ricordi d’infanzia e un falso passato. Una falsa morale-cuscinetto. […] E allora si continua la giostra del piacere: via il peccato! Dai matrimoni e dalle adozioni omosessuali si passerà all’abolizione delle droghe. Poi all’eutanasia. Quindi al suicidio assistito per tutti: non sopportate la realtà? Venite al Centro della Buona Morte! Poi sarà la volta della pedofilia. Perché no? Non è amore anche quello? E la zoofilia? Vogliamo lasciarla indietro? Ci aspetta un futuro sconfinato di piaceri sconfinati. Alla luce di un sole eterno. Nessuna ombra né segreto né tabù. Sino all’impazzimento.

 

Alceste

 

 
Nuovo QE PDF Stampa E-mail

19 Marzo 2016

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Da Appelloalpopolo del 17-3-2016 (N.d.d.)

 

La BCE rilancia sul Quantitative Easing, paga le banche per prendere i suoi soldi creati dal nulla a patto che queste non li riparcheggino nei forzieri della stessa BCE (se non pagando) e che li usino non per comprare titoli di Stato ma per fare credito a imprese e famiglie.

 

Non posso credere che un economista esperto come Mario Draghi non sappia che in condizioni di trappola della liquidità (vi ricordate Keynes?) nessuna banca e nessuna impresa ha il potere di incentivare gli investimenti in presenza di incertezza dinamica della domanda aggregata; ma allora perché ha dato il via a questa sciocchezza? Come si pretende che le imprese possano puntare su un incremento della produzione per poi dover tenere in magazzino le loro merci invendute? Come si pretende di vedere innalzare il tasso di inflazione a quel seppur misero +2% che dovrebbe essere l’obiettivo statutario della BCE, senza abbattere considerevolmente il tasso di disoccupazione? Non è credibile che uno che ha studiato alla scuola di Federico Caffè e (quasi) collega di studi di Acocella non sappia che la natura della moneta è endogena. Una caratteristica che in assenza di domanda deve necessariamente essere mediata da investimenti allo scoperto, una manovra che solo gli Sati sovrani sono in grado di guidare in un contesto in cui le imprese non hanno convenienza a investire perché la struttura della distribuzione dei redditi non sorregge più la domanda aggregata (indice del Gini crescente). In assenza dell’intervento statale (pareggio di bilancio e banca centrale perfettamente indipendente), la Quantità di moneta in “movimento” cioè sottoposta a una determinata velocità di transazione è determinata unicamente dalla domanda di moneta bancaria che a sua volta è spinta dalla domanda aggregata (la legge del Say è una baggianata per gonzi al pari della teoria quantitativa della moneta). Se questa domanda di moneta è sorretta da una solvibilità sistemica, a sua volta garantita dalla creazione di reddito derivante dalla produzione di valore aggiunto (prestiti per investimenti produttivi), essa può definirsi sostenibile; se invece è determinata da un credito illimitato e incondizionato finalizzato solo al consumo di beni essa non crea moneta aggiuntiva ma la distrugge in quanto tali beni sono acquistati da economie esterne (import). Il debito, i soldi facili, non possono pertanto essere così stupidamente confusi con il reddito da lavoro.

 

Viene il fortissimo sospetto che Draghi lo sappia benissimo e che dunque l’intenzione sia quella di sorreggere ancora una volta la spesa a debito delle famiglie distruggendo ricchezza. Il giochetto sa che funziona e per i veri padroni della BCE (i Tedeschi) è un modo efficace per sostenere la domanda dei loro prodotti e la loro industria ma che avrà (si sta già verificando) l’effetto di ingigantire il debito estero, soprattutto intraeuropeo, delle economie del sud Europa già pesantemente minate da forti squilibri di bilancia. L’unico risultato sarà quello di spingere le economie nazionali in difficoltà verso l’insolvenza del debito privato estero e dunque realizzare la via bancarottiera all’unità feudale Europea, sul modello già sperimentato con “pieno successo” in Grecia. Forse è questo il vero obiettivo, mai dichiarato, della BCE.

 

Nicola Di Cesare

 

 
Fondamentalismo capitalista PDF Stampa E-mail

18 Marzo 2016

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Da Appelloalpopolo del 16-3-2016 (N.d.d.)

 

Il capitalismo è quella forma di fondamentalismo che ha come suo centro il capitale. Ma la critica del fondamentalismo del capitale non può appoggiarsi ad altri fondamentalismi, né a quello del progresso, così caro al Marx del Manifesto, né a quello della rivoluzione, che ritiene disinvoltamente che la redenzione dell’umanità possa passare attraverso la reclusione e la liquidazione di una parte di essa. Quando parlo di fondamentalismo, parlo di una procedura intellettuale attraverso la quale una forma di vita storicamente determinata viene indebitamente innalzata a condizione ontologica e naturale dell’uomo. Ora a me sembra che il fondamentalismo del mercato e dell’economia porti ad un’esaltazione di quello che io chiamo l’individualismo radicale, un individualismo che rifiuta ogni legame sociale e ritiene la nozione stessa di interesse collettivo un’inaccettabile prevaricazione a danno della sua libertà. C’è in questa spinta sicuramente un aspetto liberatorio, ma come non vedere che il suo tratto più costante è proprio l’erosione di ogni identità collettiva?

 

Questa spinta è formidabile. La dimensione oceanica della globalizzazione ha messo in crisi anche gli stati nazionali: di fatto ne ha ridimensionato profondamente la forza e il potere, ma nello stesso tempo ne disgrega il collante collettivo. Credo che questo processo di sradicamento, se non si fa qualcosa, continuerà ad andare avanti. Evitare che il futuro possa essere soltanto una deriva anomica dell’individualità, un’individualità sempre più nomade e ribelle, e sempre orientata nella direzione opposta a quella della ricostruzione di qualsiasi legame sociale. La filosofia di Gilles Deleuze rappresenta, secondo me, proprio questa prospettiva: l’esaltazione di questa progressiva decomposizione della comunità, vista come una rivoluzione molecolare. Io non condivido per niente questo giudizio. Nella stessa cultura occidentale la nozione di cittadinanza è una nozione chiave, una nozione dalla quale anche le altre culture avrebbero qualcosa da apprendere. Ma quella nozione presuppone una dialettica forte tra diritti e doveri: i cittadini sono liberi, ma sono anche soggetti a degli obblighi, che derivano dalla loro appartenenza ad una comunità. Io credo che negli ultimi decenni questa corrispondenza e questa dialettica si siano decomposte a favore dell’esaltazione unilaterale della libertà e dei diritti individuali. Un esempio? Le tasse sono una parte del nostro appartenere alla comunità. Ma la rivolta antifiscale tende, in molti casi, a significare fondamentalmente che i doveri collettivi si devono indebolire a favore dell’intraprendenza individuale. Io credo che tutto questo produca la perdita della fraternità e della coesione sociale, la crescita delle disuguaglianze, la moltiplicazione delle patologie. Le patologie degli stati totalitari avevano tutte un nome preciso. I Lager e i Gulag imprigionavano, mettevano dentro. Le patologie del mercato invece mettono fuori, vengono chiamate esuberi, si spostano erraticamente da un paese all’altro in funzione degli interessi delle grandi imprese e del capitale finanziario. Si tratta di patologie sociali e politiche, che però vengono vissute come drammi individuali che non hanno una forma di rappresentazione collettiva.

 

Franco Cassano

 

 
Mancanza di tempo PDF Stampa E-mail

17 Marzo 2016

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Non bastassero le applicazioni "cimiteriali", in cui si possono creare tombe virtuali e apporre fiori, lumini, oggetti (rigorosamente virtuali) sui profili dei propri cari defunti e condividerli con altri, stanno per arrivare veri e propri siti commerciali -una via di mezzo tra i social network e il commercio elettronico- in cui sarà possibile, tramite società affiliate, comprare fiori e altri oggetti reali per poi depositarli sulle lapidi dei defunti.

 

La nostra recensione, come saprà bene chi ci segue, è largamente negativa, ma non di questo vogliamo parlare, piuttosto ci piacerebbe focalizzare l'attenzione su un dettaglio non da poco. Gli artefici dei siti e delle applicazioni, infatti, hanno puntato il dito tra le altre cose sulla "mancanza di tempo" che impedisce a buona parte della gente di recarsi al camposanto: in tal caso, la tecnologia verrebbe in aiuto. Eppure, se ci badiamo bene, i conti non tornano. Viviamo in un'epoca in cui le dimensioni dello spazio e del tempo, grazie alla tecnologia suddetta sono quasi azzerate, con notevoli risparmi temporali: possiamo pagare online, spedire documenti in tempo reale, viaggiare in poche ore da un capo all' altro d'Europa (e del mondo) ma incredibilmente manca sempre tempo per qualcosa, le 24 ore non sembrano mai essere sufficienti. La velocità frenetica provocata dagli aumenti esponenziali tecnologici, caratteristica delle società postmoderne, sta portando ad una dilatazione ed accelerazione del tempo che mai si erano né viste e né soprattutto concepite in passato.

 

Dilatazione: massimizzando i tempi, riducendoli, il Tempo per effetto paradosso tende a dilatarsi e con esso gli impegni e le cose da fare, considerando che l'attuale sistema economico di capitalismo assoluto, che per natura stessa tende alla reificazione totale, non tollera i cosiddetti "tempi morti" ma tutto deve essere riempito con qualcosa, specialmente che generi profitto e che alimenti la spirale e il circolo vizioso senza fine. Più tempo risparmiato significa maggior tempo per la produzione, per il lavoro, ma anche in certi casi l'aumento di quell'altro prodotto della modernità che ha nome "tempo libero" -apparentemente tale, in quanto serve con una massiccia dose di bisogni indotti ad alimentare l'economia e la "crescita" (non per altro, quella del turismo e dei divertimenti del fine settimana è chiamata "industria").

 

Accelerazione: la velocità continua che ci impone il ritmo disumano del nostro modello di sviluppo, la frenesia, la nevrosi, il "multitasking"- per usare un bruttissimo anglicismo entrato nella nostra armoniosa lingua- sono letteralmente incompatibili con la Natura, che preferisce la lentezza. Come ha scritto bene il noto neuroscienziato Lamberto Maffei, di certo non un "oscurantista", tutti i processi evolutivi del cervello umano -che differenziano l'uomo dagli animali- e che hanno sede nell' emisfero sinistro del cervello, sono nati grazie al ragionamento meditato, all' argomentazione, allo sperimentalismo e sono caratterizzati dai lunghi tempi, è un qualcosa che non si può sublimare nell' istinto compulsivo di un momento, come purtroppo accade di sovente oggi. Magari gli effetti si limitassero solo a renderci più stupidi! Questa accelerazione ci sta facendo pure invecchiare prima, basta semplicemente osservare i comportamenti di un adolescente o di un bambino contemporanei e paragonarli con quelli non di cento-duecento anni orsono ma con la generazione precedente, ad esempio con chi nacque negli anni Settanta: individui lontani ormai anni luce, quasi rimasugli di epoche remote eppure con uno scarto temporale solo di 35, 40 anni. Più che bambini od adolescenti, adulti in miniatura in molti casi a vent' anni già con tutte le esperienze di vita ormai provate e bruciate, poveri bambocci destinati a ricercare nuove emozioni o nel consumo compulsivo oppure in esperienze sempre più forti; il recente fattaccio di Roma andrebbe visto non solo in una ottica sociologica ma antimoderna.

 

Dobbiamo riappropriarci del nostro Tempo (scritto volontariamente con la maiuscola) e "scalare una marcia", come già del resto alcune persone stanno facendo. Circa la tecnologia, condizione fondamentale è quella di stabilire sin da subito chi è il servo e chi il padrone: solo così riusciremo a non farci fagocitare dalla tecnica. Si deve riscoprire l'elogio della lentezza, dell'ozio contemplativo -che è un concetto molto diverso dall' ozio tout court "padre dei vizi", del senso del limite, della giusta armonia, smettere di aver paura dell'horror vacui e saper ottimizzare i tempi morti, che sono quasi sempre, se ben utilizzati, una occasione formidabile per ritemprarsi e riscoprire noi stessi. Si deve riprendere il bandolo della matassa della nostra esistenza. Per tutte queste ragioni, oltre ad altre che già chi ci segue conosce, noi siamo contrari a tutta questa deresponsabilizzazione e furto del tempo (e quindi della vita) che inutili applicazioni di una tecnologia ormai fuori controllo stanno facendo nel nostro disgraziatissimo secolo.

 

Simone Torresani

 

 
Peggio i francesi che i tedeschi PDF Stampa E-mail

16 Marzo 2016

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Da Rassegna di Arianna del 13-3-2016 (N.d.d.)

Ho il fondato dubbio che chi fomenta l’odio antitedesco in Italia lo faccia per coprire le scorrerie francesi sul nostro territorio (oltre alle ben note manovre americane che però hanno obiettivi decisamente più politici). Non si tratta solo di shopping nella moda o nell’alimentare, settori importanti che, tuttavia, non possiamo definire strategici per la nostra economia, ancorché rappresentino specialità in cui siamo insuperabili e ancora maldestramente copiati (per fortuna). Le grandezze nazionali vanno ben oltre cibo e vestiti. Qui si parla di qualcosa di molto più sostanzioso e di preoccupante per le sorti del nostro sistema-paese, già debilitato dall’incompetenza della sua classe dirigente e dall’arrendevolezza di quella produttivo-finanziaria. Parliamo di finanza, banche ed assicurazioni, oltre che di imprese avanzate nei comparti di punta (energia, elettronica, robotica, armamenti ecc. ecc.) il vero piatto prelibato che fa gola a Parigi. Di questa pietanza saporita il boccone migliore si chiama Assicurazioni Generali. Quest’ultime sono un colosso finanziario presente in oltre 60 stati con un fatturato che supera i 100 mld di euro. Inoltre, il Leone detiene un ampio portafoglio di titoli del debito pubblico italiano. Se finisse in mani straniere, insieme a tutto il resto, diverrebbe un ulteriore strumento di ricatto contro l’Italia e la stabilità dei suoi bilanci. Con l’“espatrio” di Generali tutto il sistema vacillerebbe ed altri istituti e imprese diventerebbero prede facili per gli squali d’oltreconfine. Per questo la compagnia di Trieste viene chiamata la Cassaforte del Belpaese. Il momento di debolezza della politica italiana rende contendibili i nostri migliori gioielli pubblici e privati che, uno dopo l’altro, stanno passando di mano nell’indifferenza generale. I francesi sono pronti a saccheggiare Roma distratta dalle storie sui barbari teutonici che starebbero calando sulla Capitale. È falso o parzialmente vero, perché ci sono molti avvoltoi che girano sulla Penisola indifesa, pronti a prenderla alle spalle. La sovranità nazionale è in svendita da almeno due decenni, da quando, con Tangentopoli, è stata annientata l’ultima leadership degna di questo nome alla testa delle istituzioni. Oggi, invece, maggioranza e opposizione liquidano bellamente il patrimonio pubblico e cedono sovranità nazionale in perfetta coordinazione, senza mostrare alcuna resipiscenza. Da Berlusconi a Renzi la parabola discendente dell’Italia non si è mai arrestata. L’ultima presa per i fondelli messa in atto dall’Esecutivo riguarda la rinuncia ad alcuni tratti di mare tra Liguria, Toscana e Sardegna a vantaggio dei transalpini (c.v.d.). Sono aree pescose che hanno allertato gli operatori ittici delle tre regioni. In cambio, i cugini ci avrebbero ceduto pochi km quadrati di superficie marina, tra Pianosa e l’Elba, che nel sottosuolo sarebbero ricche di petrolio. La cosa è da dimostrare a fronte di una perdita di profitti certa per la pesca nostrana. In ogni caso, se i no-triv la spunteranno nel referendum di metà aprile, bloccando le nuove prospezioni sia offshore che onshore, sarà la fine di un’altra industria italiana: “non tanto di quella mineraria che non avrebbe difficoltà a spostare i suoi investimenti all’estero [immaginiamo a costi aggiuntivi per i consumatori italiani], ma di quella che produce beni e servizi a essa strumentale”, come ha detto il prof. Alberto Clò. Forza italiani, avanti così verso il baratro.

Ps. Si narra che la germanofobia italiana sia alimentata soprattutto da Parigi. È quest’ultima che manda avanti Roma contro Berlino che prova a garantirsi la leadership in Europa. I francesi, ovviamente, non ci stanno e si servono di noi per mettere i bastoni tra le ruote ai crucchi, accusandoli di usare l’austerità per sottomettere il Continente. Le cose non stanno esattamente come raccontano i cugini ma gli italiani ci sono cascati in pieno. Non si tratta per l’Italia di scegliere tra Franza o Alemagna ma di proteggere se stessa da chi vuole sopraffarla.

 Gianni Petrosillo

 

 
La forza della pazienza PDF Stampa E-mail

15 Marzo 2016

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Per la pazienza occorre forza, molta forza […]. Solo l’uomo forte può esercitare una pazienza davvero viva: può riprendere su di sé sempre di nuovo ciò che è, e di continuo ricominciare. La pazienza senza la forza è pura passività, supina subordinazione, abitudinarietà cosificata.

 

E occorre amore, a una pazienza autentica, amore per la vita. Giacché le cose vive crescono lentamente, hanno la loro ora, fanno giri e rigiri numerosi. Esse hanno così bisogno di fiducia. Chi non ama la vita non ha pazienza con essa. Allora arrivano le furie e i cortocircuiti. E ne nascono ferite e cocci. La pazienza autenticamente viva è tutto l’uomo esistente nella tensione fra ciò che vorrebbe avere e ciò che ha; fra ciò che vorrebbe fare e ciò che riesce a fare di volta in volta; tra ciò che desidera essere e ciò che realmente è. Il reggere in questa tensione, il raccogliersi continuo verso la possibilità dell’ora: questa è la pazienza. Si può allora dire che la pazienza è l’uomo in divenire che comprende giustamente se stesso. Solo nelle mani della pazienza riesce la creatura che ci sia stata eventualmente affidata […]. In qualsiasi modo ci sia stata affidata la vita, il nostro lavoro per la sua crescita avrà successo soltanto se lo si fa con questa forza tranquilla e profonda. Esso assomiglia al modo con cui la vita cresce da sé.

 

Romano Guardini

 

 
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