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Due pių due fa cinque PDF Stampa E-mail

16 Febbraio 2016

 

 

Da Rassegna di Arianna del 7-2-2016 (N.d.d.)

 

 

 

«Prima scrisse con certe maiuscole grosse e sgraziate: LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ. Poi, quasi di seguito, senza fermarsi, scrisse sotto: DUE PIÙ DUE FA CINQUE […] Ogni cosa poteva essere vera. Le cosiddette leggi di natura erano sciocchezze».

 

Queste sono le riflessioni di Winston Smith in «1984» di George Orwell, al culmine del lavaggio del cervello subito nelle camere di tortura del Partito. Il potere che lo schiaccia e lo annulla come uomo si dispiega con l’agghiacciante imposizione di quel controsenso: “due più due fa cinque”. Si tratta del sadico rovesciamento della convinzione iniziale dell’eroe del romanzo: “libertà è poter dire che due più due fa quattro”. E dunque se la libertà – e la dignità dell’essere umano – consiste nella possibilità di gridare la verità, il potere, quello più totale, assoluto e irresistibile è nel poter imporre la menzogna, l’errore e la patente negazione dell’evidenza obbligando il soggetto non solo all’accettazione passiva ma fino a costringerlo ad aderire ad esso attivamente ed entusiasticamente.

 

Questa premessa è necessaria per comprendere quali siano i contorni della battaglia attorno al fortino della “legge naturale” che si sta combattendo con il DDL Cirinnà. La Costituzione della repubblica italiana, così come la Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo del 1947, definisce la famiglia come “società naturale”, preesistente allo Stato stesso, il quale la “riconosce”, ovvero ammette il primato cronologico e morale della famiglia sulle istituzioni politiche. Non si tratta di un’affermazione fideistica, ma della considerazione assurta a “costituzione materiale” con valore di fonte del diritto derivata dall’osservazione della realtà da ogni aspetto: biologico, antropologico, storico, giuridico, filosofico e anche religioso. Il nucleo familiare costituito da una coppia con lo scopo di riprodursi e proteggere la propria discendenza è la base stessa su cui si fonda l’umanità. Un principio talmente evidente che i giuristi dell’epoca non sentirono nemmeno il bisogno di specificare che si trattava di una coppia formata da un maschio e una femmina, e ogni “alternativa” era semplicemente inconcepibile.

 

Ora questa realtà patente non è più tale secondo il cosiddetto “fronte arcobaleno”. Per costoro è “famiglia” ovunque ci siano affetti e dunque è “necessario” introdurre un’equiparazione (al momento surrettizia, ma in futuro palese) per le coppie omosessuali, parificandole de facto alla famiglia naturale. I più accorti hanno fatto notare che la strada giuridica con cui si potevano prevedere tutele alle coppie di fatto erano semplici modifiche del Codice Civile, passaggi semplici e di buon senso con i quali si sarebbe solo adeguato l’ordinamento alle mutazioni nella società. Senza intaccare i principi fondamentali. E soprattutto senza introdurre un dettaglio non trascurabile: e cioè che il desiderio di una minoranza esigua venga di fatto parificato alla legge naturale.  Si è invece deciso di andare all’assalto frontale: il fortino della “famiglia tradizionale” va assaltato ed espugnato. L’attacco è in parlamento tanto quanto sui media, a tenaglia. L’obbiettivo finale dunque non è solo il riconoscimento di certe tutele, ma poter appendere la testa della preda al muro. Il bagno di sangue giuridico è voluto, intenzionale. Il risultato equivale ad affermare un potere assoluto: quello di aver imposto che ciò che è assurdo ha lo stesso valore della legge naturale. Ciò che fino a trent’anni fa era argomento di un siparietto del Monty Python (la celebre “battaglia contro la realtà” dell’attivista Sten che vuole essere “Loretta” e avere figli anche se non ha l’utero) oggi rischia di diventare una legge di Stato. Che persone dello stesso sesso possano “sposarsi” ed “avere figli” sta alla biologia, all’antropologia, al diritto, alla storia come “due più due fa cinque” sta all’aritmetica. Frasi grammaticalmente esatte che non hanno alcun riscontro nella realtà. Imporre ciò che non è reale per legge, pretendendo che esso abbia lo stesso valore giuridico di ciò che è reale è l’ultima frontiera del potere: un potere totalitario, a legibus solutus, prometeico, in grado di plasmare l’esistenza sulla base del capriccio e del desiderio. Gli scenari che questa deriva spalancano sono un abisso: di fronte alla svalutazione del diritto di natura, equiparato a un qualsiasi desiderio sufficientemente spalleggiato da una campagna mediatica, ogni legge immaginabile diverrà realizzabile. E oggi è il desiderio – il capriccio – di una minoranza rumorosa. Un domani, cosa potrà avere lo stesso iter e divenire legge? Nel giro di una generazione l’impossibile, l’inconcepibile è finito in Gazzetta Ufficiale. Non c’è più limite a ciò che potrà finire nei nostri codici di leggi: chiunque avrà sufficiente potere lobbistico riuscirà a far approvare un provvedimento utile ai suoi fini, anche il più contrario a ogni uso, costume, tradizione.

 

Noi tutti, insomma, difensori del diritto naturale e attivisti per i “diritti civili”, siamo cavie umane, il banco di prova su cui si sta sperimentando questo potere assoluto. I militanti “arcobaleno” dovrebbero rendersi conto che l’approvazione del DdL Cirinnà sarà peggio che una vittoria di Pirro, sarà come segare il ramo su cui sono seduti: duemilaottocento anni di civiltà giuridica verranno cancellati, senza schianti o traumi, ma in una nuvola di palloncini colorati e con conseguenze molto in là nel futuro. Quando il 26 giugno 2015 la Corte Suprema degli Stati Uniti stabilì a maggioranza l’obbligo di riconoscimento del “matrimonio” gay in tutti gli Stati federali, il giudice Samuel Alito motivando il suo voto contrario, scrisse: “Molti americani, comprensibilmente, plauderanno o deploreranno la decisione di oggi sulla base della loro opinione sulla questione del matrimonio omosessuale. Ma tutti gli americani, qual che sia la loro posizione su questo problema, dovrebbero preoccuparsi su ciò che lascia presagire il potere che si è arrogato il voto di oggi”.

 

Emanuele Mastrangelo

 

 
Tocca al Portogallo? PDF Stampa E-mail

15 Febbraio 2016

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Da Comedonchisciotte dell’11-2-2016 (N.d.d.)

 

 

Aumenta lo spread dei titoli di stato portoghesi. Il governo di sinistra, che si aspetta un deficit di bilancio del 2,2 per cento del Pil, è ovviamente allarmato: deve chiedere quel 2,2 per cento che manca a quadrare i bilanci ai “mercati”. Le agenzie di rating già hanno catalogato il debito pubblico portoghese “speculativo”, ossia a massimo rischio di insolvenza: i “mercati” (l’usura) esigono ovviamente di estrarre dal paese interessi altissimi, proibitivi dopo 8 anni di tagli della cinghia e austerità feroce. Feroce come prova il fatto che il deficit di bilancio portoghese, l’anno scorso, è stato del 4,2 per cento. Contrariamente all’Italia, Lisbona ha fatto i compiti a casa, tagliando il deficit quasi della metà. Otto anni di sacrifici durissimi senza prospettive di miglioramento sono anche la causa per cui l’elettorato ha votato “a sinistra”. A novembre, il primo ministro Antonio Costa, eletto (non come il nostro), ha promesso di porre fine alla “strategia di impoverimento dell’Unione Europea”. Con l’appoggio di verdi, comunisti e blocco delle sinistre, ha aumentato il salario minimo, l’IVA, e approvato una legge che protegge dal pignoramento della casa gli insolventi. Ha anche promesso un aumento delle pensioni e riduzione delle contribuzioni sociali per i lavoratori a più basso reddito.

Ovviamente, Bruxelles si è avventata contro Lisbona: “La UE ritiene la bozza di bilancio di previsione a rischio di non-adempimento della Patto di Stabilità e di Crescita”, ha comunicato nella sua neolingua orwelliana, ed obbligato il governo eletto a cambiarlo, mettendo in forse le promesse di Costa. La Commissione ha di fatto preso il bilancio portoghese sotto la sua amministrazione controllata ed annunciato che lo “valuterà” (correggerà) ad aprile. Il governo eletto ha scongiurato il rigetto puro e semplice del bilancio mettendosi a trattare: Bruxelles ha ordinato che Lisbona tiri fuori quasi un altro miliardo (950 milioni di euro) dalla sua miseria per dedicarlo alla riduzione del debito. Mario Centeno, il ministro delle finanze, ha proposto tagli per 450. Alla fine ha dovuto accettare tagli per 850 milioni. A questo scopo, dovrà rincarare ulteriormente l’Iva su petrolio e tabacchi, varare una supertassa per l’acquisto di auto nuove, prelievi fiscali   sui servizi bancari e sulle transazioni finanziarie.

Non basta. Quindi è entrata in scena la vera padrona d’Europa, la cancelliera. Ha convocato il primo ministro socialista a Berlino per fargli la lezione. In una intervista al Frankfurter Allegemeine Zeitung, Costa ha provato a difendere la sua posizione con argomenti del tipo: il lavoro portoghese soffre la concorrenza globale con i paesi a bassi salari, Cina ed Est Europa; dall’entrata nell’euro, “la nostra economia è in stagnazione”; il governo precedente non ha corretto la situazione: “Era un errore pensare che fosse possibile a forza di impoverire ciascuno”. La Merkel ha respinto il ragionamento. “Tutto si deve fare per continuare nella direzione precedente, che ha avuto successo”.

Secondo certe valutazioni il vero scopo della durezza di Berlino è spaccare la alleanza delle sinistre e far cadere il governo. L’alleanza è fratturata. Già la liquidazione della Banca Banif, che su “suggerimento” europeo è stata accollata ai contribuenti portoghesi, facendo aumentare il deficit del Pil dal 3 a 4,2 per cento, ha visto la viva opposizione di tutte le formazioni che sostengono il governo socialista, comunisti, verdi, blocco delle sinistre. La Troika ha naturalmente fatto la sua parte, lanciando “avvertimenti”. Adesso la portavoce di quest’ultima formazione, Catarina Martins, sembra aver capito il gioco, perché ha dichiarato: “Nessun avvertimento da nessuna parte lanciato può mettere in questione l’accordo che abbiamo firmato per mettere fine all’impoverimento in Portogallo”. Il giornale del blocco delle sinistre, Esquerda, ritiene che la inflessibilità brutale di Bruxelles (Berlino) serva anche come messaggio lanciato alla Spagna: “Dissuadere il partito socialista spagnolo dall’optare per una soluzione di tipo portoghese”. Berlino vuol spingere Madrid, dove la disoccupazione è al 24 per cento, a tornare entro i limiti del famoso 3%: che si tradurrebbe nell’estrazione dalle tasche spagnole di altri 8 miliardi di euro. “Podemos” ha come programma dichiarato di metter fine alla politica di austerità, che “ha avuto tanto successo”. Il commissario europeo all’economia e finanze, il francese Moscovici, non ha fatto commenti sui negoziati in corso fra il partito socialista iberico e “Podemos” (sarebbe stato imbarazzante, essendo Moscovici un ‘socialista’, il che fa un po’ ridere), ma ha pronunciato le solite frasi in neolingua sull’obbligo per Madrid di rispettare “Il patto di stabilità e crescita” con “un maggiore sforzo”.

A questo punto si è chiamato nel gioco – come bastonatore, figura che non può mai mancare nel sistema dell’usura (il “recupero crediti”, in neolingua) – un attore inatteso: la Commerzbank. È stata questa gigantesca banca germanica – che ha ricevuto dal governo un dieci miliardi di euro, altrimenti sarebbe fallita – ad attaccare, il 19 gennaio, il governo socialista portoghese eletto: “Evidentemente il nuovo governo non si affida alla deregulation e alle privatizzazioni per ravvivare l’economia”, ha scritto sul suo report: “Preferisce tornare alle politiche espansive e all’intervento dello stato in economia”:   traduzione dalla lingua di legno: il premier Costa s’è rifiutato di applicare alla Banca centrale portoghese il bailout (salvataggio a spese dello Stato) che il precedente governo liberista aveva applicato alla Banif; quindi, vi facciamo fare la fine che la UE ha fatto fare a Syriza. Il report di Commerzank del 19 gennaio è stato anche, forse soprattutto, un segnale per le libere agenzie di rating: alzate il rischio-paese. Ora, la sola agenzia di rating che non ha catalogato il debito pubblico portoghese come spazzatura, la canadese DBRS, deve revisionare le sue valutazioni ad aprile. Se anche questa svaluta il rating portoghese, il Portogallo corre un rischio letale: la BCE non   ha più, secondo le regole, il permesso di comprare i titoli del debito portoghese, che quindi dovrà essere venduto sul “mercato”, offrendo interessi proibitivi. È precisamente ciò che la Commerzbank vuole. L’ha scritto nel suo report: “Il nuovo governo – prevede – non chiederà un nuovo pacchetto di bailout (alla Troika), proverà a scongiurare questo rischio prendendo una direzione più moderata verso la politica economica. Ciò provocherà la rivolta nella coalizione di sinistra, portando il governo in minoranza e a nuove elezioni” (Economic insight. www.commerzbank.com.)

È appena il caso di ricordare che questi “problemi”, come quello italiano, non nascono dalla naturale inferiorità dei latinos, bensì da un evento imposto artificialmente una quarantina di anni fa? Il “divorzio” fra banche e centrali e ministeri del Tesoro? Prima del divorzio, la banca centrale era obbligata a comprare le emissioni che restavano invendute sul mercato: ciò costituiva un calmiere al costo del denaro, che i “mercati” non potevano tollerare.  Non sarà nemmeno il caso di ricordare che in quegli anni, con quel metodo di finanziamento, il debito pubblico italiano era al 54 per cento, e solo “dopo” il divorzio ha cominciato a salire a manetta, fino al 120 per cento attuale? Che allora, al prezzo di una certa inflazione, si ottenne lo sviluppo industriale, il miracolo economico, il tendenziale pieno impiego? No. Non si può evocare la soluzione, che è quella.  La “sinistra” italiota è favorevole al divorzio, anche e soprattutto quello voluto dalla finanza internazionale. Sul tema, mantiene fermo il tabù; non si può parlare di rimettere Bankitalia sotto lo Stato. Il tabù sul sesso invertito, invece, lo attacca: facile….

Tutto si aggravò poi con l’entrata nell’euro e la perdita di sovranità monetaria.   Come il Portogallo, anche l’Italia ha smesso di essere un concorrente dell’industria tedesca, e gli è stato prescritto di concorrere con i salari di Cina ed Est, ossia con la riduzione delle paghe.  Esito fallimentare e rovinoso, che disgrega la società e   blocca il futuro nazionale. Il fatto strano – che non si ha voglia di notare – è che la BCE fa oggi quel che faceva la banca centrale nazionale al tempo del “matrimonio” col rispettivo Tesoro nazionale: compra titoli del debito pubblico che altrimenti il mercato (l’usura speculativa) non accetterebbe se non con interessi altissimi, mortali per le economie. Come mai ciò che “non andava bene” allora diventa bene oggi? Perché allora, rispondono, si dava ai politici (ai governi eletti) il modo di spendere. Oggi, lo si dà ai banchieri. Quanto meglio spendono il denaro creato dal nulla, i profitti generati dall’esazione di interessi altissimi dai lavoratori, e i profitti degli esportatori, lo dice il caso Deutsche Bank: ha “investito” in derivati pari a molto più del Pil tedesco. O, se volete, Montepaschi Etruria, eccetera.

Siccome sono le banche a possedere la BCE, va bene anche la “repressione finanziaria” che prima faceva il matrimonio fra banche centrali e Tesoro di ogni paese. Fino alla morte, “austerità” è la legge. Naturalmente il gioco degli usurai e di Berlino riesce perché i paesi che hanno solo da perdere vanno in ordine sparso, e sono sconfitti uno per uno. Ovviamente ha ragione Varoufakis, che lancia una coalizione internazionale per mettere in atto una resistenza coordinata fra i molti scontenti che, per vari motivi, vogliono una riforma della UE: anche la Polonia di Jarosław Kaczyński, già minacciato da Bruxelles e Berlino (“Non salvaguarda lo stato di diritto). Ma da quelle parti c’è già il Patto di Visegrad (Polonia Ungheria Slovacchia) che si oppone con successo alla inondazione delle identità nazionali nella marea di “immigrati” decretata dalla Merkel. Chi deve formare un simile Patto fra i popoli del Sud, se non l’Italia, viste le sue dimensioni? Due giorni fa, Varoufakis ha criticato Renzi e la sua presunta resistenza alla Merkel: “Chiedere più flessibilità per aggirare le regole dell’Europa è un’idea stupida. E controproducente con i tedeschi. Se ognuno nella Ue decide di fare ciò che vuole, l’Unione è finita. La vera battaglia oggi nella Ue è cambiare le regole. L’Europa è un edificio costruito male, dove un processo decisionale opaco presentato dalla burocrazia comunitaria come “apolitico e tecnico” sta rubando la democrazia al popolo”.

Già nel settembre 2015, quando la Grecia veniva schiacciata e Renzi fece la parte dello zelante ai desideri di Berlino, giungendo a deridere Varoufakis (in romanesco, che è la lingua della feccia: “Ce semo liberati di lui”), il greco replicò: “Non di me ti sei liberato, ma della democrazia”. Oggi Renzi fa interviste in cui sembra avvicinarsi al greco: “UE come Titanic”, eccetera. Se fosse serio, si libererebbe di Padoan, licenzierebbe in tronco il Visco di Bankitalia (omessa sorveglianza come minimo), e prenderebbe come ministro alcuni degli economisti che pure esistono in Italia: Sapelli, Savona, Galloni. O magari proprio Varoufakis.

 

Maurizio Blondet

 

 
La tripartizione di sempre PDF Stampa E-mail

14 Febbraio 2016

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Da Comedonchisciotte del 12-2-2016 (N.d.d.)

 

 

 

Qualche anno fa, leggendo Le Goff mi ero annotato un pensiero che vorrei condividere qui. Come tutti gli schematismi, anche questo è molto tranciante. Ma la domanda che mi pongo è cosa sia veramente cambiato negli schemi dell'umanità da qualche millennio a questa parte. Gli antichi greci avevano "il mondo degli uomini liberi" che presupponeva che donne e schiavi avessero un ruolo diverso. Ma come convincere uno schiavo a rimanere schiavo, a parte che con l'uso della forza?

Le idee dominanti rafforzano lo schema della società, ma come individuare il paradosso di questo schema? Ci sono nuove religioni e noi partecipiamo dei riti di alcune di esse senza rendercene conto. In fondo, che differenza c'è tra l'ascoltare al telegiornale uno che parla dell'indice Cet1 e l'ascoltare una preghiera in latino senza conoscere il latino?

Lo schema identificato da Le Goff, che veniva usato nel medioevo per identificare la società e che, come tutti gli schemi ideologici di tutte le società, finiva per diventare un modello cui la realtà aderiva, si può riassumere in 3 categorie (idealizzate secondo il carattere dei 3 figli di Noè) e cioè: 1) i chierici 2) i guerrieri 3) i faticatori.

Mentre la categoria 2 serviva a difendere le altre categorie e la categoria 3 serviva a nutrire le altre categorie, la categoria più potente nel medioevo era ovviamente la categoria 1, che diveniva intermediaria tra il mondo materiale e il mondo spirituale. Apparentemente la categoria ecclesiastica sembrava non avere alcuna attinenza con la realtà materiale, ma finiva per stabilirne il funzionamento. Al di fuori di queste tre categorie vi era il mondo subumano dei poveri, degli accattoni, dei ladri e dei morti di fame, gente di poco conto, sacrificabile e disprezzabile.

A ben guardare, questo schema non è passato in disuso, si è solo trasformato. Se andiamo a identificare i caratteri delle tre categorie, possiamo dire che la categoria numero 1 è un altissimo livello di astrazione, il livello di chi si occupa delle idee, dello spirito, dei meccanismi nascosti. La categoria numero 1 è quella della conoscenza dei misteri, i cui depositari sono considerati un tramite tra il mondo delle idee e il mondo della materia. Oggi i sacerdoti di qualsiasi religione rappresentano solo un aspetto marginale della categoria, anche se nei paesi governati dal modello del Corano abbiamo un esempio in tutto e per tutto medievale della potenza della religione. Nel mondo occidentale, la scienza, la conoscenza profonda della tecnologia avanzata, la conoscenza dei meccanismi dell'economia e dei rapporti politici internazionali, hanno preso oggi il posto dello strapotere religioso.

Gli individui in grado di astrarre, coloro che non si sporcano le mani coi lavori manuali, coloro che fanno della teoria il pane quotidiano, hanno sostituito la classe dei chierici; anche loro, come i preti del medioevo, rappresentano un tramite tra il mondo misterioso della conoscenza dei meccanismi nascosti e il mondo prosaico della vita quotidiana.

La categoria 2 non è l'esercito. I soldati, le polizie, le armi, rappresentano solo la manovalanza della categoria dei guerrieri, quella che, apparentemente, serve a proteggere la società. In realtà, molto più potenti degli eserciti, sono i servizi di intelligence, coloro che hanno carta bianca nei momenti decisionali, coloro senza i quali nessun capo di stato è in grado di prendere decisioni definitive. Alle intelligence sono collegati i sistemi di monitoraggio satellitare del mondo, nessun esercito può muoversi senza una decisione di questa setta; è questa oggi la categoria numero 2.

La categoria 3 è molto più ampia rispetto al medioevo, ma si può ancora definire la categoria dei lavoratori, coloro che con la loro fatica e i loro contributi economici servono a mantenere gli eserciti e le intelligence, nonché l'alto tenore di vita dei sapienti e dei conoscitori dei meccanismi oscuri.

Nel medioevo, raramente un individuo poteva cambiare casta, mentre oggi la speranza di accedere ad alti livelli di dominanza attraverso il denaro anima la categoria 3 e spinge le persone alla competizione sociale. Qualunque appartenente al mondo dei faticatori ritiene la sua situazione transitoria. Ma, oggi come allora, i livelli più alti sono occupati da chi possiede o dà l'impressione di possedere la conoscenza dei meccanismi oscuri che regolano le leggi del mondo.

C'è poi una quarta categoria sociale che è rappresentata dai senza nome, dai senza documento, dagli accattoni, dai disperati, gente che vive ai margini e che spera in un ripescaggio sempre più illusorio.

 

Natalino Balasso

 

 
A un amico africano PDF Stampa E-mail

13 Febbraio 2016

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Vedo che sei vestito un po’ meglio ma lavori come hanno lavorato i tuoi Avi per millenni, ari cioè la terra con i buoi che trascinano una punta. Ma il tuo volto appare corrucciato, l’espressione infelice e ti posso capire. Sono anch’io della tua terra, abbiamo parlato le stesse lingue, ci conoscevamo a fondo.

Ti vedo perplesso, la terra è dura, le siccità ricorrenti, le sementi scarse e di cattiva qualità, non puoi godere di nessuna assistenza e allora ti viene la voglia di mollare tutto, salire su un autocarro, imbarcarti su un barcone e tentare di raggiungere l’Europa; sai che molti l’hanno già fatto.

Ma non è tutto. Presto ti diranno che il tuo Governo ha venduto la terra, dell’intera vallata, senza dirvi niente, alle Multinazionali Cerealicole o ai Cinesi, che verrà costruita a monte una grande diga, che i tuoi metodi saranno superati, la siccità sconfitta, ma che te ne dovrai andare in nome del progresso. Tutto regolare, tutto sancito per legge, tutto per il bene del Paese.

Allora ti consiglieranno, anche per il tuo bene, di salire su un autocarro, imbarcarti su un barcone e tentare di raggiungere l’Europa perché non vorrai di certo ritornare schiavo dove eri padrone! Tu già ci pensavi e così ti decidi, vendi i buoi e le tue scorte al mercato, per pagarti il viaggio; ti daranno un telefonino quale primo assaggio di progresso, in realtà ti legheranno ad un guinzaglio elettronico, una serie di numeri che potrai chiamare in caso di bisogno e per assisterti e partirai senza più nulla, ma con grandi speranze.

Caro Amico Africano, quando sarai in Europa ti renderai subito conto di non essere gradito, non saprai cosa fare perché qui non si ara con i buoi e che ti attendono fredde notti che passerai nelle stazioni ferroviarie e pasti forniti dalla Caritas. L’unica consolazione che ti resta sarà il telefonino.

Non saprai con chi prendertela: il Re d’Italia, il suo Capo di Governo, i suoi Generali, non ci sono più, tutti morti da oltre settanta anni; da allora credevi di essere libero! Non potrai che avere contatti con i poveri, con gli emarginati, che troverai in Europa, o con la Polizia o la Malavita. Sempre che ti sia andata bene, perché potresti aver trovato, invece, la pace sul fondo del Mediterraneo.

Una vecchia canzone un po’ stupida e “naif” recitava: Bongo, bongo, bongo stare bene solo a Congo//non mi muovo no, no! // Bingo, bongo, bango, bengo, molte scuse ma non vengo// non mi muovo no, no! //non buono sigarette, scarpe strette, treni, tassi //ma con questa sveglia al collo stare bene qui!

L’ingenuità popolare, il ragionamento semplice, la conoscenza delle usanze e dei costumi suggerivano, con questa canzoncina, già da oltre mezzo secolo, di non fare passi falsi. Allora mi dirai: Amico, che cosa devo fare? Tu che adesso sei vecchio, che te ne abbiamo fatte passare di tutti i colori, che cosa mi consigli? Ed anch’io, impotente e con profonda tristezza ti dico: “…non lo so! …”

 

 Cristoforo Barberi

 

 
Bauman non č un oracolo PDF Stampa E-mail

12 Febbraio 2016

 

 

Da Appelloalpopolo del 10-2-2016 (N.d.d.)

 

 

Di questi tempi, se un critico della modernità vende milioni di copie dei suoi libri, se questi libri sono in prima fila in tutte le maggiori librerie, e se la sua figura è dibattuta e apprezzata anche nel circo mediatico che tutto manipola ai suoi fini, qualche domanda bisogna farsela.

Bauman è un buon sociologo, con ottime intuizioni, piacevole da leggere e spesso ispirato, ma glissa o sbaglia completamente sui punti nodali del nostro tempo. In particolare la sua intuizione principale, di una modernità liquida, se è valida al livello della microfisica dei poteri e della vita quotidiana, è assolutamente fuorviante a livello geopolitico, e quindi non può essere presa per modello di riferimento di un’analisi politica complessiva e di un programma politico concreto.

La tesi della modernità liquida, infatti, si accompagna giocoforza con la tesi della globalizzazione, categoria falsa e ideologica. La globalizzazione, a sua volta, si porta dietro la presunta fine degli Stati nazionali e l’idea à la Toni Negri di un Impero capitalistico acefalo che si regola da sé. Basta imperialismo, basta centri strategici nazionali, basta conflitto interno ai confini nazionali, basta organizzazione nazionale del conflitto.

La globalizzazione, invece, può aiutare solo in quanto categoria subordinata all’imperialismo di alcuni Stati nazionali, e in particolare del capofila statunitense. Se significa tentativo di americanizzazione militare, culturale ed economica del pianeta, ha un senso. Se significa predominio impersonale e apolitico della presunta finanza globale e delle imprese transnazionali senza patria, non ha alcun senso, se non quello di scambiare una prescrizione ideologica (globalizzatevi e rinunciate agli Stati nazione!) per una descrizione critica della modernità.

Ecco una demenziale riflessione di Bauman a proposito:

“Noi abbiamo un reale bisogno della politica per decidere sulle questioni che riguardano la società, ma il matrimonio tra il potere e lo Stato-nazione è finito. Mentre il potere si è globalizzato, la politica democratica è rimasta limitata ai confini nazionali e inevitabilmente il popolo ha finito col perdere la fiducia verso istituzioni che si dimostrano incapaci di mantenere le promesse, essendo impotenti di fronte ai grandi processi globali. Pensiamo ad esempio alla crisi migratoria, un fenomeno globale che noi continuiamo ad affrontare secondo le logiche nazionali. Il punto fondamentale è che le nostre istituzioni democratiche non sono state progettate per affrontare le esigenze di interdipendenza che caratterizzano lo scenario contemporaneo. L’attuale crisi della democrazia quindi è una crisi delle istituzioni dello Stato rappresentativo ridotto ai confini nazionali“.

Si evince che la fine del potere nazionale (di alcuni Stati) non è un dato su cui riflettere e organizzarsi, ma una fatalità irreversibile, che non lascia spazio ad alternative: globalizzatevi, e resistete in un mondo senza confini. Ma non provate neppure a resistere strutturandovi, lo potete e dovete fare solo in modo liquido. Movimenti, non partiti; indignati, non militanti; inter-nazionalisti senza nazione […]

 

Simone Garilli

 

 

 

 
Utero artificiale PDF Stampa E-mail

11 Febbraio 2016

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Da Rassegna di Arianna del 7-2-2016

 

 

 

In ore decisive nelle quali il cosiddetto “popolo arcobaleno” sente che stavolta potrebbe farcela, non sarà inutile ricordare che in questo preciso istante équipe di “specialisti” stanno realizzando un utero completamente artificiale, che per ora ha funzionato parzialmente solo per generare dei cuccioli di animali.

 

Ebbene sì, avete capito: dopo essersi sbarazzati del maschio (quest’impiccio “maschilista” e “femminicida”) intendono fare la stessa cosa con la femmina… E allora, con le banche del seme e tutto il resto di questa cosiddetta “ingegneria genetica” osannata dai progressisti di tutte le risme, il Nemico dell’Uomo, che lo odia in quanto creatura teomorfa ed incaricata niente meno che da Iddio di rappresentarlo sulla Terra, crederà di aver trionfato.

 

Questo per dire che anche “l’utero in affitto” è solo una fase transitoria… e che le “femministe”, i “gay” ed il loro pubblico tra l’impietosito ed il “comprensivo” svolge la classica funzione dell’utile idiota.

 

Ma resta l’ultima domanda: anche questi “Dr. Frankenstein”, questi “Mengele” che hanno in mano “l’arte”, intenderanno anche loro “riprodursi” così, oppure resterà una casta di “dominatori”, i quali si concepiranno gli unici veri “uomini”, mentre la massa degli schiavi verrà letteralmente prodotta in laboratorio e pertanto sarà priva di ogni diritto, primo dei quali quello di sapere chi sono tuo padre e tua madre?

 

Pensate un po’ che buffo: si comincia con la lagna sui “diritti” e si finisce per non averne più!

 

 Enrico Galoppini

 

 
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