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Rimozione della morte PDF Stampa E-mail

7 Gennaio 2016

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Il ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin, ha recentemente inviato ispettori in alcuni ospedali italiani per cercare di capire le cause di cinque decessi in sala parto, avvenuti indistintamente da nord a sud nel breve lasso di pochi giorni e suscitando grossi allarmismi. Lo stesso ministro ha inoltre commentato che " non è e non deve essere più possibile, in Italia, morire di parto".

E quando mai?

E dove sta scritta, questa sentenza?

Estrapolando dati riferiti al biennio 2013-2014, si evince come le morti di parto siano state 39, su un totale di circa un milione di nascite (mediamente ogni anno in Italia nascono 500.000 bambini): in pratica, per la legge dei grandi numeri, molto più facile che venga svaligiato l'appartamento o rubata l' automobile anziché essere vittime di sepsi, emorragie e complicazioni nelle sale parto dei reparti di ostetricia.

Capiamo benissimo che l'uomo postmoderno, nella sua ansia nevrotica ed ossessiva, vorrebbe del tutto eliminare queste complicazioni in sala travaglio, ma come sa chiunque abbia partecipato anche una sola volta ad un corso di normative antinfortunistiche sul lavoro, è fisicamente e matematicamente impossibile arrivare a zero e all' eliminazione totale degli infortuni: la sola cosa che si può fare, infatti, è quella di sforzarsi e di cercare di contenere la cifra entro una soglia tollerabile.

Perché si possono benissimo avere sale parto ultratecnologiche, con musica rilassante di sottofondo, personale con competenze ferree, specializzato, eticamente e deontologicamente irreprensibile, ma l' imprevisto, il caso, la sfortuna, il destino, il Fato (quello che gli antichi greci, nella loro immensa saggezza, dicevano essere financo superiore a Zeus), patologie silenti e latenti mai diagnosticate, saranno sempre pronte a mettersi di traverso e ad armare la triste falce della morte, che davanti a nulla si ferma, nemmeno ad una medicina che oggi sembra fare miracoli mai uditi.

Vi saranno sempre morti di parto, nonostante tutti i protocolli che si adotteranno e noi uomini dobbiamo solo accettare le regole del gioco della Natura oppure, per utilizzare una frase più volte detta da re Umberto I -il quale rifiutava categoricamente rigide misure di prevenzione - "gli incerti del mestiere".

Fatte queste doverose precisazioni, vorremmo ora sottolineare una delle più eclatanti storture della società postmoderna: la rimozione della Morte, la sua riduzione a tabù, quasi a vergogna, il suo volerla nascondere e tenerla lontana dal mondo e dal quotidiano.

Siamo l'unica epoca che sta rimuovendo la Morte, perché si sa che nell' efficienza e negli ingranaggi della postmodernità ha un valore solo chi produce reddito, non di certo chi lascia questa terra per affrontare quello che Indro Montanelli, in una bellissima pagina della sua "Storia d' Italia" riferita alla morte di Filippo II, chiamava "Il Gran Mistero".

Tra gli elementi atti a definire una "civiltà", nella Storia umana, si annoverano la sepoltura dei cadaveri, i rituali funebri più o meno complessi, il culto dei morti, la credenza religiosa o metafisica in un "oltre" ove i defunti possano trovare una seconda vita e anche, magari, interagire coi vivi.

Ancora sin verso la metà del XX secolo il lutto aveva una fortissima valenza antropologico-culturale, che si sublimava non solo nella esteriorità delle esequie (abiti neri, lamenti, partecipazione sentita e conviviale di amici, parenti, conoscenti) ma nelle stesse architetture funebri cimiteriali: certamente non tutti avevano i mezzi per farsi scolpire statue dal Thorwaldsen o da artisti di grido, ma camminando tra le vecchie tombe di un cimitero, anche i loculi della gente comune avevano dettagli curati o piccoli segni di lusso- le foto, ad esempio, molto spesso, specie in casi di bambini, scattate "post-mortem"- in un' epoca in cui i lussi erano prerogativa di pochi.

Oggi tutto è asettico, burocratico, freddo. Le pompe funebri sono solo imprese che spillano quattrini ai parenti del "de cuius", i funerali, anche quelli più spartani, si aggirano sulle migliaia di euro, si firmano solo chili di carte e certificati, le cerimonie (a meno che non siano i mafiosi, a morire) sono intime, raccolte, nascoste, con un numero medio-basso di partecipanti, quasi vi sia vergogna ad esternare il dolore.

La cruda verità è che l'uomo di oggi, nel suo delirio di onnipotenza su tutto e su tutti, nella sua guerra contro la Natura, non accetta la morte, la vuole esorcizzare, tabuizzare, nascondere.

Teme la morte perché non crede più a nulla, perché troppo legato ad effimeri piaceri materiali e soprattutto perché, nella sua nevrosi perenne, vive male.

E solo chi vive male ha paura di lasciare questa terra, in quanto ha una consapevolezza inconscia di sprecare, nel nulla, ogni giorno della sua esistenza.

Simone Torresani 

 
Reinventare il sistema finanziario PDF Stampa E-mail

5 Gennaio 2016

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Da Appelloalpopolo del 3-1-2016 (N.d.d.)

 

Ellen Brown è la fondatrice del Public Banking Institute, un’organizzazione non-profit che intende diffondere nell’opinione pubblica l’idea di un sistema finanziario fondato su banche di interesse pubblico, dove il controllo della moneta e del credito sia appannaggio dello Stato e della collettività anziché dei privati, come pre-condizione per una prosperità sostenibile e condivisa. Sull’argomento ha pubblicato diversi libri e scritto alcune centinaia di articoli apparsi sul suo blog, The Web of Debt.

In un recente articolo, di cui propongo un ampio riassunto, Ellen Brown descrive alcuni dei tentativi in corso per cambiare i paradigmi finanziari stabiliti dall’Occidente. Al di là del successo che tali tentativi potranno avere, e senza entrare nel merito dell’effettiva bontà delle soluzioni proposte, essi segnalano la crescente consapevolezza che un modello finalizzato alla predazione sistematica di individui e nazioni non è più sostenibile, e che è necessario escogitare modelli alternativi.

L’auspicio è che questa riflessione continui e si generalizzi. Nulla rende un sistema inattaccabile più della convinzione diffusa che esso sia tale per natura. […]

In un articolo del 22/11/2015, su New Eastern Outlook,  lo storico ed economista William Engdahl parla di dibattito sulla ricerca di modelli finanziari alternativi:

“Un importante dibattito è in corso in Russia da quando, nel 2014, hanno avuto inizio le sanzioni finanziarie occidentali contro banche e società russe. […] La proposta, che assomiglia sotto molti aspetti al modello islamico della finanza senza interessi, è stata resa nota la prima volta nel dicembre 2014, davanti alla grave crisi del rublo e con il prezzo del petrolio in caduta libera. Da agosto, ha ricevuto un’enorme spinta dall’appoggio espresso dalla Camera di commercio e industria russa“.

Engdahl nota che le sanzioni del 2014 hanno forzato esperti e funzionari russi a riesaminare il loro sistema finanziario in termini radicali. Come la Cina, la Russia ha sviluppato una versione interna di pagamenti interbancari di tipo SWIFT, e sta considerando ora un piano di ristrutturazione del proprio sistema bancario. Il nuovo modello ricalcherebbe quello islamico, dove l’interesse è vietato, i rapporti fra banca e utente si sviluppano in termini di partecipazione al rischio di impresa e le parti condividono tanto i profitti quanto le perdite. Si creerebbero una nuova istituzione finanziaria a basso profilo di rischio, che controllerebbe le transazioni, e fondi di investimento o società che investirebbero all’origine, organizzando il finanziamento dei progetti. La priorità sarebbe il finanziamento dell’economia reale, e le attività speculative verrebbero vietate.

Egdahl osserva che gli attacchi occidentali stanno orientando la Russia verso un radicale e stimolante ripensamento di tutti gli aspetti legati alla propria sopravvivenza, un processo di revisione che può produrre una trasformazione del proprio modello finanziario atta a salvaguardarla dai “mortali effetti” collaterali del sistema attuale.

Anche l’Islanda sta studiando una radicale revisione del suo sistema finanziario, dopo avere sofferto gli effetti devastanti della crisi del 2008, quando le sue banche più importanti sono saltate. Scrive il Telegraph (marzo 2015):

Il governo islandese sta considerando una proposta rivoluzionaria: togliere alle banche commerciali il potere di creare moneta e riservarlo alla sola Banca centrale. La proposta, che rappresenterebbe una svolta nella storia della finanza moderna, è in un rapporto scritto da un deputato del partito al governo che ha per titolo “Un migliore sistema monetario per l’Islanda”. “I risultati saranno un importante contributo alle prossime discussioni, qui e altrove, sulla creazione della moneta e sulle politiche monetarie”, ha detto il Primo ministro, Sigmundur David Gunnlaugsson, che aveva commissionato il rapporto con l’obiettivo di porre fine a un sistema finanziario responsabile di una serie di crisi, compresa quella del 2008.

Secondo la proposta, la Banca centrale del paese diventerebbe l’unica fonte di emissione di moneta. Le banche continuerebbero a gestire conti e pagamenti e operare da intermediatori fra risparmiatori e mutuatari. La proposta è una variante del Chicago Plan suggerito da Kumhof e Benes del FMI.

Iniziative per le banche pubbliche in Islanda, Irlanda e UK

La principale obiezione circa l’opportunità di sottrarre alle banche private il potere di creare moneta digitale quando accordano prestiti è la possibile riduzione della disponibilità del credito, in un’economia già di per sé asfittica. Il problema però non si porrebbe se le banche, tutte o in parte, venissero nazionalizzate. Esse continuerebbero allora a creare moneta digitale attraverso l’erogazione del credito, ma agirebbero in quanto filiali della Banca centrale, e i profitti dell’attività di intermediazione sarebbero disponibili per la collettività, sul modello dell’americana Bank of North Dakota o delleSparkassen tedesche.

In Irlanda tre partiti politici – Sinn Fein, Green Party e Renua Ireland – stanno ora supportando le iniziative per una rete di banche locali pubbliche.

Nel Regno Unito la New Economy Foundation (NEF) propone che la fallita Royal Bank of Scotland sia trasformata in una rete di banche di interesse pubblico.

Ancora, la nazionalizzazione delle banche è parte del programma del nuovo partito islandese Dawn, nato dai movimenti di protesta del 2008.

Da quando nel 2000 l’Ecuador ha deciso l’adozione del dollaro come moneta legale ufficiale, sono necessarie intere navi cariche di banconote americane per far fronte alle necessità commerciali del paese. Per rimediare all’inefficienza del sistema, il governo del presidente Correa ha stabilito l’implementazione di quella che sarà la prima moneta nazionale digitale al mondo. Diversamente dai Bitcoin o altre cripto-valute del genere (che nel paese sono illegali), il dinero electrònico è gestito e sostenuto dal governo. La moneta digitale ecuadoriana è più simile al servizio  M-Pesa, creato in Africa dalla Vodafone per agevolare lo scambio di denaro fra gli utenti di telefonia cellulare.

Contrariamente alle Banche centrali occidentali, che operano solo con le banche commerciali ma non sono accessibili al pubblico, nel caso della Banca centrale dell’Ecuador ogni cittadino ha ora la possibilità di accendervi un conto: basta che si rivolga a un istituto autorizzato dove potrà scambiare contante con moneta elettronica che gli verrà messa a disposizione sul cellulare. Banca centrale e altri istituti finanziari, a maggio 2015, hanno ricevuto disposizioni di adottare il sistema di pagamento digitale entro il 2016.

Secondo fonti governative “La moneta elettronica stimolerà l’economia. Sarà possibile attrarre più cittadini ecuadoriani, specie quelli che non possiedono conti correnti o di risparmio e carte di credito. La moneta elettronica sarà garantita dalle attività della Banca centrale dell’Ecuador“.

Non esiste dunque il rischio di bancarotta, o corsa agli sportelli o salvataggi interni (bail-in), né possono darsi svalutazioni derivanti da vendite speculative allo scoperto. Il governo ha stabilito che la nuova moneta digitale può essere scambiata con il dollaro in qualunque momento, al cambio  prefissato di 1:1.

Il presidente dell’Associazione bancaria ecuadoriana ha espresso la preoccupazione che la moneta digitale potrebbe essere usata dal governo per finanziare il debito pubblico. Tuttavia il governo ha assicurato che non accadrà.

Come ha osservato un dirigente della Banca centrale, in qualunque altro paese la moneta digitale è fornita da compagnie private, ed è molto cara. Ci sono barriere all’ingresso, e commissioni proibitive. Il dinero electrònico invece è qualcosa che ognuno potrà usare a buon mercato e indipendentemente dall’operatore: “Lo abbiamo creato perché volevamo un prodotto democratico“.

 

Mauro Poggi 

 

 

 
Un po' di sano fatalismo PDF Stampa E-mail

3 Gennaio 2016

 

Da Vienna ci è giunto l’ennesimo allarme su possibili attentati nei giorni delle tristi feste comandate, in una data imprecisata e in una città europea fra le tante.

Che senso hanno questi annunci? Non sarebbe più logico che i servizi segreti lavorassero in silenzio per cercare di sventare il possibile attentato, senza annunciarne la minaccia urbi et orbi? (agli urbi e agli orbi, avrebbe detto l’indimenticato Totò).

I cosiddetti complottisti spiegano questa stranezza con un calcolo del potere: mantenere le moltitudini in uno stato di perenne ansia e paura, perché siano più docili, più propense ad affidarsi alla protezione delle autorità.

La spiegazione non convince.

È più probabile che i responsabili delle forze di sicurezza vogliano premunirsi da accuse di non svolgere il loro compito con lo zelo dovuto. Potranno sempre dire che loro avevano avvertito del pericolo, se qualcosa dovesse succedere.

Questi ricorrenti avvertimenti su imminenti sconquassi terroristici fanno il paio con le previsioni dei sismologi su probabili terremoti disastrosi in una certa area del mondo in un arco di tempo che può andare da qualche anno a qualche decennio.

A cosa serve un simile avvertimento?

Sarà mai possibile trasferire altrove milioni di persone per prevenire i disastri di un evento soltanto probabile e che non si sa dove e quando esattamente accadrà?

Anche qui abbiamo persone, in questo caso geologi e sismologi, che vogliono semplicemente dimostrare la loro competenza e mettersi al sicuro qualora a qualcuno venisse in mente di incriminarli per non avere previsto il disastro.

Un terzo esempio è la prevenzione sanitaria. L’unica accettabile sarebbe la vaccinazione di provata efficacia e innocuità, ma medici e igienisti prospettano anche pericoli incombenti a persone sanissime, perché l’eventuale insorgere di un male serio non venga addebitato alla loro insipienza. Ora non è più tempo di villici col cappello in mano davanti all’autorità del Medico o del Maestro. Oggi è sempre pronta la denuncia, nel trionfo dei diritti e nella latitanza dei doveri.

Al fondo di tutte queste ansie di previsione, sta l’aberrazione basilare della modernità, il delirio di onnipotenza.

La pretesa umana di avere tutto sotto controllo, la fiducia negli strumenti scientifici e predittivi, la presunzione di dominare o prevenire le forze della natura e di sondare tutte le possibili mosse dettate dal calcolo o dall’irrazionalità degli uomini.

Paradossalmente, questa pretesa di controllo totale cresce proprio mentre dilagano dinamiche incontrollabili, nelle comunità umane come nelle turbolenze della biosfera.

Mentre il Caos si impone in tutta l’evidenza del suo potere, la modernità pretende di prevedere, di imbrigliare, di prevenire, di dirigere, di riorientare.

Fra le tante cose di cui avremmo bisogno assoluto, una delle più urgenti è un po’ di sano fatalismo.

Viviamo la nostra vita quanto più normalmente e tranquillamente ci sia possibile.

Se a qualcuno toccherà di imbattersi in un fanatico che si fa saltare in aria con i malcapitati che gli sono vicini in quel momento, vorrà dire che questo era scritto nel libro del destino.

Se un terremoto farà crollare mezza città, non sarà colpa dei sismologi. L’unico rimedio non sarà il loro inutile e vago avvertimento, ma semmai un buon edificio costruito con criteri antisismici.

Se nonostante la sola prevenzione naturale e razionale, quella di un tenore di vita sano senza eccessi e senza disordini alimentari, ci becchiamo una malattia che non lascia scampo, ebbene, morire non è cosa nuova in questo mondo.

C’è assoluto bisogno di una buona antica saggezza, di una buona antica filosofia di vita, di un’ironica presa di distanza dalla follia che ci assale da ogni lato, onda che cresce nell’apocalisse che è in atto.

 

Luciano Fuschini  

  

 
La colpa di essere poveri PDF Stampa E-mail

2 Gennaio 2016

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 Da Appelloalpopolo del 27-12-2015 (N.d.d.)

 

Non a torto, in una recente intervista, lo storico Franco Cardini affermava che “l’Occidente non è più cristiano perché i suoi obiettivi civili e morali non coincidono più col cristianesimo altrimenti non ci sarebbe questa enorme differenza tra ricchi e poveri”. Del resto non si può non notare come uno dei mantra più ricorrenti dell’Italia politica contemporanea sia lo slogan: “basta assistenzialismo”.

Lo è a tal punto che le azioni che vengono messe in campo dalla politica in ambito sociale, vengono attuate chiarendo subito che “non si tratta di misure assistenzialiste”. E così, in scala maggiore, anche l’Unione Europea, che ha prontamente ammonito il governo italiano da qualsiasi intervento a sostegno dei piccoli istituti di credito in difficoltà perché “gli aiuti di Stato sono vietati”. Quasi che assistere il prossimo, chi è in difficoltà, sia una colpa da espiare, una vergogna da coprire.

È forse questo il segnale di quanto in profondità sia penetrata la cultura protestante-calvinista di marca angloamericana nella società italiana e più in generale europea. Il bombardamento socioculturale di prodotti e sottoprodotti dell’americanismo, televisivi, letterari e commerciali, è riuscito a sradicare quella caritas cristiana che è invece una delle virtù teologali per il cattolicesimo.

Questo avviene proprio mentre la crisi sistemica dell’economia occidentale avanza inesorabile. O, meglio, mentre inesorabilmente avanza la crisi del ceto medio occidentale e quindi il numero dei poveri aumenta quotidianamente, la pietà si ritrae, si riduce. In tutto il Paese cresce il numero dei senzatetto, degli assistiti dai servizi sociali.

Secondo l’Istat a dicembre 2015 sono circa 55 mila i senzatetto italiani, di cui oltre 30 mila sono “cronici”, cioè vivono in queste condizioni da oltre quattro anni. Soltanto dodici mesi prima, i senza dimora italiani erano 47mila. Eppure le classi dirigenti invitano sempre di più a ridurre, più che a estendere, il ruolo degli aiuti pubblici a chi vive in condizioni di fragilità. Fragilità che la società europea investita dal protestantesimo capitalista non tollera, ma condanna senza appello.

Il povero, come spiegato anche da Max Weber nella sua magistrale ed eterna opera prima, nel mondo protestante è colpevole intrinsecamente perché privo della grazia di Dio. La povertà, elemento fondante del cattolicesimo in epoca medioevale come viatico verso le sfere celesti nella vita ultraterrena, è per il protestante sintomo di un peccato da espiare. Allo stesso modo si inverte il primato assegnato dal cattolicesimo alla vita contemplativa che, in ambito protestante, è sottoposta invece alla vita attiva, vera testimonianza della grazia celeste.

La ricchezza, come la povertà, sono quindi un segno della grazia divina o viceversa della sua assenza. Parte di questa visione è, sempre tenendo a riferimento il Weber, il principio di austerità. Chi pretende di vivere “al di sopra delle proprie possibilità”, deve essere punito poiché è un “irresponsabile” che pretende di vivere al di sopra di quanto la Dio gli ha concesso. Fornire assistenza a chi è lontano dalla luce del Signore è un errore da non commettere. Un modello che vale per i poveri come, nel caso dell’Unione europea a trazione protestante, per i Paesi debitori che, guarda caso, sono proprio quelli più spesso definiti “assistenzialisti” o, spregiativamente, “PIIGS”: Grecia, Italia, Spagna, Portogallo e Irlanda.

Paesi ortodossi o cattolici che quindi non hanno fino a oggi subito l’influenza culturale della “responsabile” etica calvinista. Fino ad oggi appunto, perché basta dare uno sguardo alla società italiana ed europea di questi tempi per rendersi conto di quanto questi concetti siano stati interiorizzati. Giova in tal senso ricordare l’affermazione dell’ex ministro “democratico” all’Economia, Tommaso Padoa Schioppa, che affermò la necessità di alleggerire le tutele sociali per ricondurre il popolo italiano a contatto con “la durezza del vivere”. Perché non si ha tempo per la carità verso i poveri nell’era della globalizzazione, dell’americanismo esteso su scala globale. Già nei film statunitensi, che non uno scarso ruolo hanno avuto in questa inversione di coscienza, raramente si assiste a un dialogo che si svolga tra due soggetti in forma statica. Nelle pellicole americane le persone parlano camminando, in movimento. È il sintomo della società liberista, che corre e lavora e non ha tempo per fermarsi per scambiare due chiacchiere, per riflettere, per conoscere. Figuriamoci se questa società può sprecare il proprio tempo per chi ha non già la sfortuna, ma la colpa di essere rimasto indietro.

 

Cristiano Puglisi

 
Sviluppo insostenibile PDF Stampa E-mail

1 Gennaio 2016

 

Nei giorni di Natale Matteo Renzi ha inaugurato la variante di valico dell’Appenino Tosco-Emiliano. Con una giusta euforia perché era un’opera in gestazione da decenni e che solo ora è arrivata a compimento. In quegli stessi giorni (e ancora oggi) non solo le grandi città ma anche, sia pur in diversa misura, quasi l’intero Paese era sotto una cappa di smog. I due fenomeni sono in correlazione e in contraddizione, sia pur indirette. Non si tratta qui di far propria la critica degli ambientalisti vegani che contestano che la variante di valico ha comportato lo sbancamento di tonnellate di terra, disboscamenti, l’alterazione del paesaggio. I paesaggi così come li abbiamo conosciuti finora, in Italia e nel mondo, siamo destinati a non vederli più, se non attraverso ricostruzioni virtuali rese possibili dalla tecnologia, così come in Cina viene riprodotto un Colosseo che nella realtà non esiste più da secoli e a Las Vegas fra rovine romane artefatte ogni giorno Bruto pugnala Cesare. Né il disboscamento è la causa principale delle famigerate polveri sottili che non sono che un aspetto, parziale, dell’inquinamento globale che sta sconvolgendo il clima in tutto il mondo sviluppato o in via di sviluppo e anche in quello che allo sviluppo non partecipa e nemmeno ne vorrebbe sapere ma ne rimane coinvolto perché l’inquinamento prodotto dai Paesi industrializzati non riconosce, come la Bomba Atomica, i confini.

E allora vediamo come si lega la variante di valico alle polveri sottili. Perché abbiamo costruito questa variante? Perché vorremmo che fosse terminata al più presto la Napoli-Reggio Calabria, anch’essa in attesa da anni? Per rendere più scorrevoli e veloci i collegamenti fra Nord, Centro e Sud Italia. E perché devono essere più veloci? Per poter produrre meglio e di più. Cioè per poter crescere di più. Ma non ci può essere crescita senza inquinamento. L’una include l’altro. Se a Pechino non si può più nemmeno respirare è perché la Cina sta crescendo a ritmi forsennati, da quando, come l’India, è entrata nella logica del modello di sviluppo occidentale. Ciò che dobbiamo fare, in Italia e nel mondo sviluppato o in via di sviluppo, non è mettere ridicoli divieti alla circolazione delle automobili, pannicelli caldi che come dimostra l’esperienza servono a poco o nulla (la notte di Natale a Milano, dove non circolava un’automobile, i livelli di Co2 erano comunque superiori ai già laschi limiti) sperando con apposite danze rituali che arrivi la pioggia in modo che l’inquinamento invece che dall’alto ci arrivi, attraverso la corruzione delle falde acquifere, dal basso infilandosi su per il buco del culo. Quello che dobbiamo fare è ridurre la produzione, che è esattamente ciò che l’attuale modello di sviluppo non ci consente.

Nella notte di Natale Papa Bergoglio sotto la forma dell’ammonimento morale ha fatto il più duro attacco, a quanto io ricordi, almeno a livello di una autorità così importante, al modello di sviluppo industriale: “In una società spesso ebbra di consumo e di piacere, di abbondanza e lusso, Lui ci chiama a un comportamento sobrio, cioè semplice, equilibrato, lineare, capace di cogliere e vivere l’essenziale”. Se seguissimo –parlo naturalmente della parte ricca del mondo- le indicazioni del Papa e cioè non fossimo ebbri di consumo e di piaceri e tornassimo alla sobrietà e all’essenziale crollerebbero, appunto, i consumi, oggi, come sempre, tanto invocati, e la produzione. E con essi l’economia dominante. Ma in quel riferimento ad un ritorno all’ ‘essenziale’ e a una vita più semplice c’è anche il succo morale del discorso di Bergoglio. Perché è nell’essenziale che si ritrova quella gerarchia di valori, pre-economici, prepolitici, preideologici e, oserei dire, anche prereligiosi che oggi abbiamo perduto, non solo in Italia naturalmente, anche se in Italia in modo più evidente e sfacciato, ma nell’intero mondo così detto sviluppato.

Va da sé che il monito del Papa in quella notte che dovrebbe essere spirituale ma tale non è più da tempo, non verrà ascoltato da nessuno perché nessuno ha orecchie per intendere né, tantomeno, voglia di disturbare il Manovratore.

Massimo Fini

 
Il PIL ci uccide PDF Stampa E-mail

30 Dicembre 2015

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Da Rassegna di Arianna del 28-12-2015 (N.d.d.)

 

Storditi, ammaestrati, assopiti, anestetizzati: siamo così di fronte alla tragedia di un pianeta consumato che ci rimanda i segni chiarissimi di ciò verso cui stiamo andando, cioè un suicidio collettivo. E continuiamo a cercare conforto nell'oblìo.

In Cina respirare è un optional, a Pechino per la prima volta nella storia c’è allarme rosso da inquinamento atmosferico di PM 2,5. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, il livello di sicurezza di particolato fine a 2,5 micrometri è stimato in meno di 25 microgrammi per metro cubo e nella capitale cinese si è arrivati a centinaia di microgrammi. Una coltre di nebbia da inquinamento oscura qualsiasi cosa: bambini a casa, cantieri parzialmente chiusi, limitazione al traffico, mascherine per tutti. E per rendere la pillola un po’ meno amara, così come sa fare bene il mercato che lucra su ogni sciagura possibile e immaginabile, le mascherine hanno forme e colori diversi, con i pupazzetti, con i personaggi di Disney, si muore ma lo si fa con allegria e divertimento. Chi se lo aspettava che il “comunismo”, che doveva liberare tutti e portare il sol dell’avvenire, il sole non lo vede nemmeno più, oscurato com’è dall’inquinamento? E i cinesi, così come gli indiani che hanno livelli di inquinamento simili, sono solo all’inizio del loro processo di occidentalizzazione, motorizzazione, identificazione con quello che comprano; figuriamoci cosa succederà in futuro.

Qualcuno ricorda cosa successe a Tienanmen? C’era chi chiedeva libertà, eco mondiale, immagini indelebili del ragazzo che ferma i carri armati. Ora i cinesi la libertà non ce l’hanno lo stesso ma hanno acquisito quella libertà con cui il capitalismo compra chiunque, la libertà di acquistare, la libertà che fa passare magicamente tutte le altre libertà in secondo, terzo e quarto piano. E con quella libertà tutto si assopisce, al massimo si protesta per avere salari più alti e poter quindi comprare meglio e di più, che poi questo significhi morire di inquinamento, beh è un effetto collaterale che non si può evitare se si vuole diventare come noi. Come dicono a volte gli operai delle fabbriche di morte dalle nostre parti? Meglio morire di cancro che di fame, eccoci serviti… Ammesso che poi si muoia di fame se si lavora senza inquinare, ma questa è un’altra storia…

E quindi con la possibilità di comprare, il popolo può sfogare i suoi aneliti di libertà lavorando duro, guadagnando e finalmente comprandosi le stesse idiozie che ci compriamo noi in Occidente fabbricate dai cinesi stessi.

È davvero particolare notare come per la libertà di espressione di un tempo in Cina ci furono dimostrazioni e lotte e per la libertà più importante cioè quella letteralmente di vivere, necessità che dovrebbe travalicare qualsiasi idea o ideologia, non ci sia indignazione internazionale, sommosse, proteste. Si rimane chiusi in casa, ci si infila la mascherina se si deve per forza uscire e avanti così. Si accetta supinamente di non avere nemmeno più la libertà di respirare tanto è forte la follia e l’attrazione mortale verso la crescita del Sacro Prodotto Interno Lordo; rendiamoci conto con quale mostro perverso abbiamo a che fare.

I cinesi fanno la stessa fine che abbiamo fatto noi in passato: lotte, rivendicazioni, proteste, grandi ideali, finiti nell’acquisto della magica televisione a colori, a fare i manager, a vendere prodotti, a fare le vacanze ai Caraibi, comprarsi l’auto nuova o l’ultimissimo iPhone.

Il capitalismo, non importa che sia statale come in Cina o meno, sa benissimo come comprarsi tutti, non serve bastonare più di tanto, basta rincretinire le persone con la televisione, farle entrare nel paese dei balocchi e il gioco è fatto. Con questi gadget mentali si fa pure accettare di non poter più respirare. Non è di certo un caso che Berlusconi con le sue televisioni abbia imperversato (e imperversa ancora) per venti anni comprandosi ogni cosa e persona e facendo entrare chiunque nel suo mondo dei balocchi dove nessuno o quasi è immune dalle sirene del soldo. Anche un (ex) protestatario doc come Francesco Guccini, tanto per citarne uno molto simbolico delle migliaia, si prostra alla casa editrice (Mondadori) del Padrone per antonomasia, tanto per ribadire che pecunia non olet, mai. Altro che “trionfi la giustizia proletaria”, qui trionfa solo il soldone. Al famoso popolo che doveva cambiare il mondo, ai protestatari, cosa vuoi che gli interessi la rivoluzione di fronte al bel gruzzoletto o ai meravigliosi prodotti della nostra società scintillante?

Passando dalla Cina all’Italia, cosa fanno i sindaci delle città che puntualmente sforano ogni anno i limiti di inquinamento (come se poi l’inquinamento possa avere dei limiti “accettabili”, già di per sé è una cosa assurda)? Si inventano provvedimenti ridicoli come le targhe alterne, ben sapendo che tanto ogni famiglia ha tre, quattro auto quindi con targhe “alternabili”. Oppure, altro provvedimento da operetta, ci dicono di abbassare il riscaldamento, come se ci fossero ispettori che lo controllano e fanno multe a chi sgarra. Se queste misure portassero qualche risultato, allora perché la situazione non cambia mai e siamo sempre alle prese con gli stessi problemi? E quindi nonostante la nostra super-iper-tecnologia e modernità, come da stregoni indiani, i nostri “esperti” e amministratori pregano e sperano nel vento e nella pioggia, difatti quando questi sono assenti, soprattutto in inverno, la situazione si aggrava di più. E in qualità di stregoni tentano di farci credere che il vento e la pioggia facciano sparire l’inquinamento per incanto, invece lo trasferiscono semplicemente da un'altra parte e così si rimuove il problema. Siamo la società della rimozione.

L’Agenzia europea per l’ambiente, non un covo di fanatici ambientalisti, indica in 84 mila morti premature in Italia, primo paese europeo, a causa dell’inquinamento atmosferico e a malapena la notizia è trapelata, meno che mai ha smosso qualcosa. Se un pazzo qualsiasi accoltella un connazionale gridando Allah è grande se ne parla per mesi interi e si inneggia alle crociate; però 84 mila morti istituzionali non muovono un sospiro, non ci interessano granché. Nella società dello spettacolo in cui siamo infatti è la scena del crimine che conta, soprattutto se ripresa da videocamera di telefono cellulare, mica le dimensioni del dramma effettivo.

Che con il nostro benestare ci abbiano usurpato qualsiasi cosa compresa l’aria lo dimostrano città come Firenze che detiene di sicuro la palma della “migliore” strategia contro lo smog cittadino e che in combutta con la Regione, pur avendo sforato i limiti di inquinamento atmosferico, ha deciso di rimandare qualsiasi provvedimento a dopo le feste. Fra il PIL e la vita delle persone non c’è discussione o scelta che tenga, vince sempre il PIL. Mica sarà più importante la nostra salute e l’aria che respiriamo piuttosto che lo shopping natalizio e il panettone di gomma da mangiare assieme alla famiglia festeggiando modello pubblicità! Chi sarebbe mai così pazzo da mettere in discussione tutto ciò di fronte alla salute dei nostri polmoni, anche perché tanto di qualcosa si deve pure morire, no?[…]

 

Paolo Ermani 

 
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