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Paranoia PDF Stampa E-mail

21 Settembre 2015

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Houston 19 Settembre 2015 - Per avere un’idea del livello di paranoia e di islamofobia che, opportunamente alimentata, sta montando da questa parte dell’Atlantico – e non solo da questa -  vi racconto oggi una storia che sta dilagando sui media americani. Proprio dalle mie parti, a Irving in Texas, un ragazzetto di quattordici anni, un piccolo genio con l’elettronica e la meccanica, uno che – come dice il padre – ripara tutto “mi ha sistemato il telefono, l’auto, il computer”, si costruisce da solo a casa un orologio digitale.

Lunedì scorso lo porta a scuola per mostrarlo, orgoglioso, ai professori e ai compagni di corso. Il problema è che il nostro eroe non si chiama John Smith ma Ahmed Mohamed. Di conseguenza, il professore d’inglese fa 2+2: nome arabo e orologio elettronico che assomiglia maledettamente a un timer per una bomba - uguale terrorismo. Così, manco a dirlo, da vero patriota chiama subito il 911, che, per ironia della sorte, è il numero della polizia. La quale arriva in quattro e quattr’otto e ti arresta, con tanto di manette davanti a tutta la classe – qui le manette le mettono da 1 a 99 anni senza eccezioni - il nostro bravo Ahmed che, sgranando i suoi occhioni scuri, cerca di spiegare ai cops che quello è un semplicissimo orologio digitale home made.

Impresa impossibile, evidentemente. Infatti, lo sventurato genietto si passa qualche ora in carcere minorile, finché l’equivoco non si chiarisce.

Nel frattempo il finimondo sulla stampa e in TV. Due fazioni contrastanti, a dirsele e darsele di santa ragione. Il capo della polizia Larry Boyd che difende a spada tratta il suo operato e latra: “Nonostante il ragazzo insistesse che si trattava di un orologio, il professore di inglese ha fatto bene a confiscarlo perché aveva una forma sicuramente sospetta” (notare l'ossimoro del sicuramente sospetta), Mark Zuckerberg che si unisce al coro di protesta e invita il ragazzo da lui, affermando che “il futuro appartiene a persone come Ahmed”, e finanche il presidente Obama che invita Ahmed a fargli vedere il suo cool clock alla Casa Bianca, scrivendo un tweet che recita “dobbiamo stimolare più giovani come te  alla scienza. È quello che rende grande l’America”.

Insomma tutto il circo mediatico in grande spolvero. Voi direte, a questo punto, "bene tutto quel che finisce bene, dunque".

Neanche per sogno.

Il fatto è che - nonostante la totale inconsistenza dei motivi che hanno portato all’arresto di Ahmed - ci sono ancora oggi, a distanza di alcuni giorni, diversi personaggi politici – compresi molti dei candidati alle elezioni presidenziali 2016 - che ancora difendono l’arresto di Ahmed.

Uno di questi personaggi è Frank Gaffney, a suo tempo un assistente del segretario alla difesa dell’amministrazione Reagan, il quale, con una straordinaria piroetta logica, sostiene che l’intera controversia sull’orologio di Ahmed non è altro che una operazione influenzata dal Consiglio delle Relazioni americane-islamiche, un gruppo di diritti civili che il nostro Gaffney accusa di promuovere la jihad in collegamento con i Fratelli Musulmani.

Sarebbe un po’ come tirare un pugno a uno e poi sostenere che è lui che ha sbattuto intenzionalmente la faccia contro il nostro pugno.

Cosa non si fa per diffondere la paranoia...

 

Piero Cammerinesi (corrispondente dagli USA di Coscienzeinrete Magazine, Altrogiornale e Altrainformazione) 

 
Il capitalismo si morde la coda PDF Stampa E-mail

20 Settembre 2015

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Da Comedonchisciotte del 19-9-2015 (N.d.d.)

 

“Le banche centrali si devono tener pronte ad iniettare denaro direttamente nei conti bancari delle famiglie”.

Non è la sparata di un grillino, di un prete della Caritas, o di un altro fessacchiotto che di economia non capisce niente. È la proposta di Jeremy Lawson, della Standard Life. Regalare soldi all’uomo qualunque? Eppure può essere l’ultima risorsa della finanza globale col suo capitalismo selvaggio per scongiurare l’avvitamento del sistema in una deflazione che si avvita su se stessa, date le enormi piramidi di debito che hanno creato, e la crisi del Sud-est asiatico che sta implodendo.

L’interesse zero delle banche centrali non raddrizza la situazione, non serve più a niente. Del resto, le banche centrali hanno regalato miliardi e miliardi alle banche, creandolo dal nulla, senza che nessuno protestasse, e anche questo non è servito ad altro che gonfiare bolle finanziarie a catena, arricchendo ancor più i già ricchi, e rovinando la salute dell’economia reale, quella di cui vive la gente comune. Sicché, rivela Evans Pritchard sul Telegraph, lo slogan “Quantitative easing per il popolo” lanciato dal rosso Corbyn, il paleocomunista che ha trionfato nel partito laborista britannico, sta ottenendo orecchie attente dove meno l’ingenuo se lo aspetta: nella City.

Siamo su un Titanic “dove sono rimaste poche altre scialuppe di salvataggio”, dice Stephen King, che è l’economista capo delle HSBC, questa “drastica misura può essere la nostra ultima salvezza”.

Regalano soldi!

Si può solo immaginare con quanto dispiacere i capitalisti sian giunti a questa conclusione; e infatti l’ammiraglia dell’ortodossia globalista, l’Economist proprietà dei Rotschild, sta sparando bordate di sbarramento contro Corbyn. È terribile mettere soldi in tasca direttamente alla gente, a quella gente a cui per trent’anni li hanno portati via – pagando sempre meno il lavoro, cosa che loro hanno definito “perseguire la massima efficienza”, ossia “la massima retribuzione del capitale”. In ciò consisteva la geniale efficienza del capitalismo terminale: risucchiare con idrovore i salari, e compensare i salariati impoveriti – perché restassero consumatori – con l’offerta di credito, ossia indebitandoli. Indebitandoli sempre più, finché non ce l’hanno più fatta.

Che dolore, regalare soldi alla gente! Ma si è arrivati al punto previsto dal loro guru-fondatore, Milton Friedman: se volete salvare il capitalismo finanziario, ad un certo punto lanciate i soldi dagli elicotteri (sapeva benissimo, Friedman, dove portava il suo “sistema” monetarista).

È anche una necessità pericolosa: bisogna impedire alla gente di capire che il denaro con cui è indebitata viene creato dal nulla con un fiat delle banche centrali (e un altro delle banche commerciali), perché deve continuare a credere che il denaro sia ritenuto scarso, e si possa ricevere solo come corrispettivo del duro lavoro – e poco. Altrimenti nessuno farebbe più niente, se non (forse) sparare ai banchieri usurai. Dove andrebbe a finire la celebrata “credibilità”, anzi autorità venerata delle banche centrali?

Ma niente paura, i metodi sono numerosi per iniettare qualche liquidità vitale nel nell’economia reale senza che la gente scopra il trucco – il trucco fondamentale della Banca – evitando che la plebe vada arraffando i soldi che svolazzano giù dagli elicotteri.

“Le banche centrali – scrive il bravo giornalista – hanno i mezzi di crear denaro finanziando tagli di tasse, o per coprire spese pubbliche, fino a che l’economia ridà segni di vita”. Corbyn sarà un rosso pericoloso, ma la sua proposta di creare una Banca Nazionale d’Investimento finanziata dalla banca centrale per grandi investimenti pubblici, non sembra più rivoluzionaria (da noi, la stessa cosa si chiamava IRI, ma non va ricordata) basterà impedire che, se vincono i laburisti, al ministero delle Finanze vada John McDonnel, un amicone di Corbyn. Ha avuto il torto di proclamare che “la Banca d’Inghilterra sarà privata della sua indipendenza nei primi tre giorni del nostro governo”: l’ha detto tre anni fa, veramente, ma i capitalisti mica dimenticano: “Un’idea pessima in senso economico, e cattivissima in senso politico”, s’è precipitato a dichiarare il    Telegraph.  Tuttavia, va segnalato il sano pragmatismo dei liberisti british, che quando c’è da salvare il sistema, al contrario dei loro sudditi ideologici latini, sanno mettere da parte la dogmatica.

Il giornalista del Telegraph  giunge a fare un nome fino a ieri sepolto nella  damnatio memoriae. Ecco la frase: “varianti di quantitative easing per la gente furono sperimentati durante gli anni fra le due guerre (mondiali). Il primo ministro giapponese Takahashi Korekiyo, un cristiano, ordinò alla Banca centrale, nel 1932, di finanziare una tempesta di spesa pubblica finché la deflazione fu sconfitta, spingendo fuori il paese dalla Grande Depressione con notevole rapidità”.

Vita impareggiabile. Takahashi Korekiyo nacque nel 1852 con ben poche carte nell’impero nobiliare del Tenno: figlio illegittimo di un pittore di corte, fu adottato da un samurai di basso rango (ashigaru), e tutto preconizzava che sarebbe diventato un soldato di fanteria. Ma andò a lezione da un famoso missionario presbiteriano americano, James Hepburn, dove imparò l’inglese. Per migliorarlo, nel 1867 – aveva 14 anni – di sua volontà emigrò in Usa, dove si impiegò, ad Oakland, in lavori umilissimi. Tanto che il suo padrone americano lo vendette come schiavo, e con immensi sforzi riuscì a riscattarsi. Un anno dopo era a Tokio, dove si guadagnò da vivere insegnando conversazione inglese; la suo scuola prosperò, ma intanto lui faceva un secondo lavoro: impiegato d’ordine nel ministero della pubblica istruzione. Da lì, fu assunto nell’Ufficio Brevetti, che organizzò completamente. Ad un certo momento lasciò tutto per andare in Perù a tentare la fortuna sfruttando una miniera d’argento; la fortuna lo tradì, e tornò in Giappone. Trovò impiego (utilità dell’inglese) nella banca centrale, dove le sue doti lo fecero elevare al rango di vice-presidente nel 1892. Quando scoppiò la guerra russo-giapponese, fui lui l’abile raccoglitore di prestiti esteri per lo sforzo bellico; bussò alla porta di Jacob Schiff, il capo dei banchieri d’affari americani, e a quella dei Rotschild di Londra: entrambi i colossi ebrei odiavano lo Zar del noto odio giudaico e ne avevano decretato la fine, per cui furono felici di contribuire. Nominato membro della Dieta e barone per decreto imperiale, governatore della Banca del Giappone (1911-13), questo figlio illegittimo e figlioccio di un soldato semplice e incredibile self-made man “uomo che s’è fatto da sé” nel Giappone nobiliare (ma in tumultuosa corsa di modernizzazione dall’alto) fu poi ministro delle Finanze, primo ministro (1921), carica che continuò a tenere sotto vari governi: negli anni ’30, quando arrivò anche in Giappone la Grande Depressione americana, era l’uomo giusto al posto giusto. Capì subito che l’adesione stretta al Gold Standard (la dogmatica dell’epoca, come quella di oggi pensata dai creditori mondiali a loro favore) era la causa di deflazione mortale nella crisi, e nel ’31 il Giappone lo abbandonò, lasciando fluttuare lo yen, che si svalutò del 40%; ma nel 1933, la moneta si stabilizzò, e addirittura cominciò a risalire sul dollaro nel 1934. Poco importava, essendo allora la temperatura del commercio mondiale vicina allo zero assoluto. Takahashi adottò una vastissima creazione di moneta per sostenere l’economia. Si è detto – è sempre necessario calunniare i successi di quei regimi che ebbero successo durante la Grande Depressione – che la ripresa economica prodotta dal ministro fu basata sull’aumento enorme delle spese militari.

È falso.

Takahashi vi riuscì creando e sapientemente pilotando un complesso di investimenti pubblici che chiamò “Spese per assistenza d’emergenza” in cui una parte notevole fu la bonifica di terreni, canalizzazioni agricole, la costruzione di dighe, strade ed argini di fiumi. L’industria meccanica pesante e la chimica, ovvie indicatrici della “domanda” militare, addirittura calò durante la tenuta del ministro: l’industria meccanica ebbe il massimo della domanda nel ’32 (28%), ma nel ’36 era al 18%. Nel complesso, la domanda militare era al 9,8 per cento del Pil e nel 1933, e calò a 7% nel ’36. Furono i lavori pubblici di tipo sociale il grosso della spesa in deficit; oltre agli importanti investimenti che modernizzarono l’agricoltura, fu lo sviluppo dell’industria “leggera” che Takahashi curò: dietro le barriere del protezionismo doganale (del resto allora applicato da tutti gli stati o quasi) il Giappone fece crescere l’industria di macchinari elettrici e di macchine utensili, che già a quel tempo divennero altamente competitive per l’alto livello di qualità, quasi ineguagliato sul piano internazionale, non inferiori ai prodotti germanici. Dopo la disfatta del 1945, fu partendo da quelle industrie che il Giappone rinacque economicamente.

Negli anni ’30, il ministro cristiano ottenne il suo miracolo senza aumentare la torchia fiscale, ma con l’emissione di titoli. Il Tesoro emetteva quei titoli pubblici, e la Banca del Giappone li acquistava integralmente; abbassò il tasso di sconto e prestò largamente alle banche. Ovviamente era quella la diretta creazione di moneta; Takahashi lo fece con suprema competenza e patriottismo, puntando sulla previsione che, ripresasi l’economia, il settore privato avrebbe comprato i titoli dalla Banca del Giappone, prosciugando l’eccesso e controllando l’inflazione. Le spese pubbliche erano declinate da 1,74 miliardi di yen del 1929 a 1,48 nel ’31 (teoria dell’austerità). Takahashi le fece risalire nel ’32 a 1,95 miliardi, a 2,2 nel ’33, e poi le stabilizzò su quel livello. Nel 1933 il Giappone era fra i pochi paesi a non soffrire della Grande Depressione, e ciò senza produrre nessuna inflazione. La svalutazione della valuta nazionale aveva stimolato una notevole esportazione, soprattutto di tessili giapponesi, in tutta l’Asia. Nel ’34 il paese, nonostante la spesa in deficit, conobbe una bilancia commerciale in pareggio, e nel 1935 addirittura in attivo.

Spese militari? Fu precisamente quelle che Takahashi ridusse quando, nel ’35, cominciarono a mostrarsi segni di inflazione. Fu anche il motivo per cui una congiura di ufficiali uccise il grande ministro. Poco male, in fondo aveva già raggiunto la bella età di 81 anni. E la sua politica economica stava incontrando un ostacolo vero, del tutto esterno: la difficoltà per il Giappone di procurarsi materie prime. I suoi successi avevano allertato il grande capitale finanziario anglo-americano come lo avevano allarmato i successi tedeschi. Furono imposte dure sanzioni – vi ricorda qualcosa? – sanzioni sul paese demoniaco, antidemocratico, fascistoide. I “mercati” internazionali si chiusero: per il Giappone, fu reso difficile e sempre più costoso fornirsi di petrolio, ferro, carbone, rame con cui alimentare le sue industrie moderne.

Su questo blocco si scontrò anche la dittatura militare che aveva preso il potere a Tokio. Pochi sanno che i generali e gli ammiragli offrirono a Roosevelt di far uscire il Giappone dall’Asse, purché alleviasse le sanzioni; Roosevelt le aggravò, sequestrando i beni giapponesi nelle banche americane (e inglesi). Messi con le spalle al muro, con riserve di petrolio inferiori a un anno, gli ammiragli valutarono che non restava loro altro che un colpo a sorpresa, per conquistare le zone petrolifere del Pacifico. Fu Pearl Harbour, che Roosevelt aveva tanto voluto, e la disfatta, anzi distruzione totale dell’industria giapponese, e l’inserzione finale – massimo successo del vincitore – del complesso di colpa per cui lo sconfitto deve accusare se stesso, spontaneamente, di aver peccato: contro il mercato globale, la democrazia, l’interdipendenza e il liberismo. Cose che sappiamo.

Va aggiunto che Takahashi non doveva niente a Keynes, che nemmeno conosceva; fu lui l’inventore del sistema che noi chiamiamo keynesismo, e se applicato, tirerebbe fuori dalla deflazione-depressione (secondo Corbyn) anche il Regno Unito. È tuttavia lodevole che oggi siano i capitalisti pensanti nella centrale ideologica del liberismo globale a compulsare il metodo, per vedere se adottarlo. “Lord Turner, l’ex capo dell’Authority per i servizi finanziari, sostiene che è perfettamente possibile creare un nuovo regime in cui la Commissione di politica monetaria della Banca centrale decide quanto stimolo permettere finanziandolo, calibrando il dosaggio nello stesso modo in cui regola l’acquisto di titoli pubblici o fissa i tassi d’interesse”, scrive senza vergogna il Telegraph.

Sì, lo faranno e potranno passare per benefattori: vedete, diranno a quella “gente” a cui hanno per vent’anni ridotto i salari predicando che era il sacrificio necessario per restare competitivi, vi rimettiamo in tasca un po’ di soldi. La stranezza che non sarà rilevata è questa: il capitalismo riteneva necessario tagliare i salari in nome dell’efficienza, e adesso “regala” denaro – non ridurrà la famosa efficienza? Ma son domande che non si fanno. Quando Draghi ha comunicato che comprerà non più il 22, ma il 33% dei titoli pubblici emessi in Europa dagli stati, nessun economista (men che meno un giornalista) ha chiesto ad alta voce: ma scusate, non è esattamente quello che si faceva prima del “divorzio” fra Tesoro e Banca Centrale? Quando questa era obbligata a comprare la quota invenduta dei Bot, sottraendoli al mercato e quindi calmierandone i tassi d’interesse? Questo sistema fu demonizzato: i politici che hanno la mano sulla stampante sono corrotti e spenderebbero troppo in “regali” alle loro clientele, ci hanno detto; diamo questa funzione a una Banca centrale “indipendente”. Indipendente ma gestita da un addetto di Goldman Sachs. L’effetto di questo passaggio al privato ha mostrato che le banche, nel gestire la moneta, sono non meno corrotte dei politici, anzi sono criminali e stupide, se questa crisi è dovuta a loro e alla loro irresponsabilità nell’indebitare e poi vendere ad ignari i crediti (subprime) da loro contratti. Vi pare meglio? Adesso Draghi fa la stessa cosa. Non valeva la pena di tornare al sistema di prima? No, naturalmente no. Quel che conta è che il potere di creare denaro dal nulla resti nelle mani “giuste”. Le loro. Anche a costo di un postumo omaggio ad un  vecchio e detestato “nip”. Tanto, non costa niente.

 

 Maurizio Blondet 

 
Altri tagliagole PDF Stampa E-mail

19 Settembre 2015

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Da Rassegna di Arianna del 31-8-2015 (N.d.d.)

 

Martedì scorso, Amnesty International ha pubblicato un rapporto che documenta come in Arabia Saudita siano state giustiziate 102 persone nei primi sei mesi del 2015, in netta crescita sul 2014; 26 esecuzioni solo in agosto in un crescendo sempre più rapido.

Secondo lo studio, è il pessimo sistema giudiziario saudita a facilitare il moltiplicarsi delle decapitazioni; circa la metà dei giustiziati negli ultimi anni è straniero, con poca o nulla conoscenza della lingua, cosa che li ha danneggiati in maniera determinante durante il processo senza che nessuno se ne curasse minimamente. Malgrado Amnesty abbia cercato di contattare i ministeri dell’Interno e della Giustizia, non solo ha avuto negato l’accesso al Paese, ma non ha ottenuto alcuna risposta in merito all’applicazione della pena di morte.

L’Arabia Saudita è un Paese chiuso, la cui casa reale considera il regno e le sue ricchezze una proprietà personale, e i sudditi oggetti privi di ogni diritto. Concetti come libertà di espressione, di voto, di culto sono chimere sconosciute come ogni più elementare diritto civile, ed il dissenso, di qualunque tipo, è represso nel modo più brutale.

L’Arabia Saudita è il Paese che ha sponsorizzato, finanziato e armato bande di terroristi in tutto il mondo, causando un numero incalcolabile di morti e distruzioni immani per perseguire i propri cinici disegni di potere.

L’Arabia Saudita è il Paese che ormai da cinque mesi conduce un’aggressione spietata contro lo Yemen, reo di essersi liberato dal regime-fantoccio attraverso cui Riyadh lo dominava. Un’aggressione proditoria e senza alcuna legittimazione, che ha causato e causa morti a migliaia fra la popolazione civile ed enormi distruzioni, e che ora sta provocando una crisi umanitaria spaventosa, voluta per piegare la resistenza di un Popolo che non vuole cedere.

Questo è il Paese che viene considerato dall’Occidente un alleato; un elemento di stabilità, pilastro di un fantomatico fronte di Stati arabi “moderati”, costituito da spietate dittature e regni assolutisti, dove la libertà è sconosciuta e la repressione sanguinosa regola.

 

Salvo Ardizzone 

 
Già in guerra PDF Stampa E-mail

18 Settembre 2015

 

Da Rassegna di Arianna del 31-8-2015 (N.d.d.)

 

Quasi mi sfuggiva:

“Il generale di Corpo d’Armata Fabio Mini, ex capo di stato maggiore del Southern Command della NATO ed ex comandante delle truppe KFOR in Kossovo, ha ammonito del pericolo di un’escalation di quella che definisce una “Guerra mondiale” già in corso, che può sfociare in un conflitto nucleare. Mini traccia anche un collegamento con la dinamica del potere dei mercati finanziari sugli stati nazionali”.

 Ora, il generale Fabio Mini è un uomo con la testa sul collo. Nel 2003, quando è stato fatto comandante delle forze NATO in Kossovo (KFOR), ha raccolto la stima un po’ stupefatta di tutti i comandi alleati per la sua pragmatica flessibilità, con cui aveva riportato l’ordine nella provincia “liberata” (e in mano alla delinquenza ‘patriottica’ dei gangster tipo Hashim Thaci) riducendo nello stesso tempo il numero delle truppe NATO sul terreno, con gran risparmio (e sospiri di sollievo) degli americani ed europei. I suoi interventi, studi, articoli e libri come analista strategico lo segnalano come una figura rara: forse il più intelligente militare che l’Italia abbia avuto da molti decenni (per questo l’Italia l’ha lasciato andare in pensione…). Insomma non è uno che parla a vanvera. Se dice cose così gravi, magari i grandi media dovrebbero ascoltarlo. Macché. Lo hanno intervistato solo gli amici di Movisol.

La guerra mondiale già in corso? E dove?

Qui. Dovunque attorno a voi, come dice la pubblicità.

Ci hanno gettato in guerra e non ce lo dicono

SWIFT RESPONSE,  si chiama così la mega-esercitazione in corso in tutta Europa. Trionfalmente ed ufficialmente dichiarata “la più grande esercitazione avio-trasportata NATO dalla fine della guerra fredda”, è anche forse la più lunga: iniziata il 17 agosto, finirà solo il 13 settembre. Ha luogo contemporaneamente in Germania, Bulgaria, Romania ed Italia – sì anche da noi – con la partecipazione anche di truppe francesi, greche, olandesi, britanniche, polacche, spagnole e portoghesi - senza contare le americane – perché il tutto è sotto il comando della US Army, naturalmente. Nugoli di paracadutisti vengono lanciati, armati di tutto punto, a ridosso dei confini della Russia: perché si tratta evidentemente della più virulenta manovra di provocazione bellica diretta contro Mosca.

In questa gigantesca intimidazione, ha spiegato Manlio Dinucci sul Manifesto, “lo U.S. Army impiega, per la prima volta in Europa dopo la guerra contro la Jugoslavia nel 1999, la 82a Divisione aviotrasportata, compresa la 173a Brigata di stanza a Vicenza. Quella che addestra da aprile, in Ucraina, i battaglioni della Guardia nazionale di chiara composizione neonazista, dipendenti dal Ministero degli interni, e che ora, dopo una esercitazione a fuoco effettuata in Ucraina il 6 agosto, inizia ad addestrare anche le forze armate «regolari» di Kiev.”.

E lì la guerra non è una simulazione: è in corso, a suon di bombe e missili sui civili del Donbass.

Non basta. Prima della Swift Response, c’è stata in agosto la grande manovra bilaterale Usa-Lituania Uhlan Fury, in contemporanea o quasi con una simile in Polonia, una Allied Spirit condotta in Germania, dove hanno partecipato (dice Dinucci) “truppe italiane, georgiane e perfino serbe”.

Adesso ci ritroviamo alleati dei georgiani e dei serbi: lo sapevate? No, naturalmente no. Il vostro governo non vi ha informato. I nostri valorosi partiti d’opposizione, nemmeno. Men che meno i vostri media che respirano a pieni polmoni la libertà occidentale d’informazione.

E mica basta ancora. Appena finita Swift Response, comincia – dal 3 ottobre- “Trident Juncture 2015”, trionfalmente chiamata “una delle più grandi esercitazioni NATO” cui parteciperanno “forze armate di 30 paesi, con 36 mila uomini, 60 navi e 140 aerei”e dove? “In Italia, Spagna e Portogallo”.

Come mai siete in guerra? L’ha spiegato il generale americano Mark Milley, nuovo capo di stato maggiore, al suo Senato (non al nostro): perché “la Russia è una minaccia esistenziale in quanto è l’unico paese con una capacità nucleare in grado di distruggere gli Usa”. Dunque ritenendo la Russia la minaccia esistenziale per gli Stati Uniti, i detti Stati Uniti ci stanno trascinando a combattere la Russia – noi europei, che non consideriamo la Russia una minaccia esistenziale. E dove combattiamo la Russia? Anche quello l’ha prescritto il generale Milley:

«La guerra, l’atto di politica con cui una parte tenta di imporre la sua volontà all’altra, si decide sul terreno dove vive la gente. Ed è sul terreno che l’esercito degli Stati Uniti, il meglio armato e addestrato del mondo, non deve mai fallire».

Dunque ricapitolando: gli Usa stanno provocando quella che credono la loro più grave minaccia esistenziale “per loro”, sul terreno “dove vive la gente”: in Europa. Dove viviamo noi, che non riteniamo la Russia una minaccia esistenziale, ma anzi un partner e un mercato per i nostri prodotti, nonché principale fornitore del petrolio e gas per la nostra economia. Che ne dite? Vi è stata ben spiegata questa interessante piega strategica che ci coinvolge così direttamente? È stata mai discussa in una qualunque sede politica? Pare di no. Ci troviamo legati alla NATO – trasformatasi in un mostro aggressivo deciso a far la guerra alla Russia sul nostro territorio – allo stesso titolo in cui ci troviamo al collo la pietra dell’euro, che ci sta portando a fondo economicamente, e di un’Europa diventata una grande Prussia dell’obbedienza e del comando e del rigore austeritario, senza nemmeno eccepire. Siamo trascinati come sonnambuli. In un conflitto che può diventare da un istante all’altro “nucleare”, come grida inascoltato il generale Franco Mini.

Dopo aver letto le previsioni di Irlmaier, non si può sfuggire alla suggestione che tutto avvicini lo scenario che egli “vide”. Una Russia in difficoltà economiche gravi dato il crollo del greggio, impegnata in troppo più fronti di quanto non le consentano attualmente i suoi mezzi, cosciente che non potrà reggere a lungo “alla pari” nella difesa dello spazio vitale contro la Superpotenza che usa tutte le armi della G4G, viene spinta con le spalle al muro; sicché una classe dirigente meno psichicamente salda di quella attuale può ritenere ultima via di salvezza tentare un attacco preventivo a sorpresa, con occupazione di quanto più territorio europeo possibile nel tempo più rapido, onde rendere controproducente il contrattacco americano con armi atomiche “tattiche”, che colpirebbero i cosiddetti alleati. Nel ’39, il Giappone fu spinto ugualmente spalle al muro dalle sanzioni Usa, che lo lasciarono con riserve di greggio per soli sei mesi, e fu l’attacco preventivo e disperato di Pearl Harbour.

USA e DAESH si scoprono gemelli. Di sangue

In Irak, “i combattenti negli avamposti di combattimento contro l’ISIS continuano a vedere degli elicotteri americani che sorvolano le zone controllate dall’ISIS per paracadutarvi armi e generi di pronto soccorso”, ha detto una fonte dei servizi iracheni all’Agenzia persiana Fars. Aggiungendo che gli elicotteri USA “trasferiscono leader e combattenti feriti dell’ISIS ad ospedali in Siria, o in altri paesi. Ciò avviene nella provincia di Anbar, dove l’aiuto americano ai jihadisti prolunga i combattimenti e dissangua gli iracheni che resistono. È un’accusa che si ripete. A febbraio, una parlamentare di Baghdad, Al Zameli, ha dichiarato: “Il Comitato di Difesa e Sicurezza del Parlamento iracheno è in possesso di foto di due aerei britannici precipitati mentre portavano armamento per l’ISIS”. A marzo, durante un’avanzata significativa di un gruppo di combattenti popolari anti-jihadisti noti sotto il nome di Al Hashab Al-Shabi (anche di questi musulmani che muoiono contro i tagliagole nessuno parla mai), hanno abbattuto un elicottero della US Army che portava armi all’ISIS nell’area della zona occidentale. La complicità occulta dell’Impero del Caos con la più orrenda e satanica parodia dell’Islamismo mai vista da secoli, non è solo ripugnante. È qualcosa di peggio: una orrenda affinità fondamentale. […]

La distruzione deliberata del sito archeologico di Palmyra – e lo strazio del suo vecchio custode, l’archeologo siriano Khaled Assad di 82 anni, da parte del Califfo rivela una specifica volontà di “costituire un mondo senza alcuna traccia antica”, tipica non solo dell’uomo massa, ma specificamente dell’Homo Americanus – il grande distruttore di ogni società tradizionale, dai pellerossa ai giapponesi, e dei loro segni artistici e del loro passato e prestigio, da Nagasaki a Cassino, sotto le bombe. L’autore Bill Van Auken rileva come l’ISIS stesso, e le ondate immigratorie che inondano l’Europa, sono il risultato delle “guerre sociocide” sferrate dell’imperialismo Usa: guerre che sterminano società intere, devastandone dalle fondamenta l’ordine sociale, e i cui residui impazziti o umanamente devastati diventano virulenti attori di distruzione – della civiltà in quanto tale.

Un altro pensatore importante (dovrò riparlarne), Tomislav Sunic, lungamente vissuto in Usa perché fuggito dal titoismo, ha colto più profondamente nel segno additando l’affinità maligna fra USA e la sua creatura ISIS, nel fondamentalismo pervertito radicale : come l’ideologia jihadista del Califfo che sogna di imporre un unico Islam in guerra mondiale con tutti gli altri essere umani detti miscredenti (e dunque da sterminare), “l’americanismo è un sistema ideologico fondato su una verità unica; un sistema descritto nell’Antico Testamento e in cui il nemico deve essere assimilato al Male …L’America è, per definizione, la forma allargata di un Israele mondializzato e non riservato a una tribù specifica….”

Una profonda parentela si rivela in questa maligna complicità che destabilizza il mondo, all’insegna della comune inciviltà. Piacerebbe sapere il nome del ghost writer che scrisse per George Bush Jr. la frase che pronunciò in Texas nel 2000, quando era sull’orlo di scatenare guerre che soffriamo da 15 anni: “Un angelo cavalca il vortice e dirige questa tempesta”. Una profezia a modo suo, che sconcertò per il tono riecheggiante (si disse) “le profezie apocalittiche”. Ma abbiamo una idea più precisa di quale natura sia il nero “angelo” che cavalca il vortice e dirige la tempesta scatenata.

E poiché non sono il solo ad evocar suggestioni, l’amico saggista Gianluca Marletta mi segnala un “kabhar” (un detto) attribuito ad Alì -il nipote del Profeta- che pare evocare questi nostri tempi, come tempi ultimi: “Quando vedrete le ‘Bandiere Nere’, non muovetevi! [non seguitele! non accorrete in loro aiuto! perché sono mendaci! non conducono al Vero!]. Poi comparirà una ‘gente debole ed irrilevante’, con i ‘cuori duri’ [crudeli] come pezzi di ferro, essi sono i ‘Compagni dello Stato’, non rispettano nessuna alleanza, né patto alcuno, invitano al Vero senza però appartenere ad esso, si fanno chiamare con i soprannomi e vengono riferiti alle città, ed hanno i capelli lunghi, come i capelli delle donne. [Dureranno] finché non entreranno in contrasto fra di loro, poi Allah, il Vero, manifesterà chi Egli vorrà…”

Ma – visto che mi son preso la responsabilità di portarvi nel dubbio campo delle previsioni apocalittiche, faccio ammenda fornendone una che pare non confermare le visioni di Irlmaier. E mentre il contadino bavarese era un normale buon cattolico, questa fu una tedesca stigmatizzata, che ogni venerdì riviveva la Passione di Cristo coprendosi di sangue, e che per quarant’anni – fino alla morte nel 1962 – si nutrì di nient’altro che dell’Ostia eucaristica. Parlo di Teresa Neumann. Secondo una sua biografia, nel 1946 – appariva enorme la minaccia dell’URSS – un GI americano avvicinò la mistica e le domandò se gli Stati Uniti sarebbero stati mai invasi in una guerra. La Neumann avrebbe risposto: “Non ci sarà guerra tra Russia e Stati Uniti. Ma alla fine di questo secolo l’America sarà distrutta economicamente da una serie di cambiamenti brutali della natura”. Ella intravide “questa età di Caino dove trionferà l’ignoranza, lo spregio della cultura, l’arroganza, l’orgoglio, la violenza, il materialismo”. Disse: “Ho visto bestie orribili, dei grandi del mondo con teste d’asino e corpo di un serpente”. “Ed ho visto l’asino dare ordini al leone. In quel momento, troppi leoni avranno un cuore d’asino e si faranno ingannare”. Mi sembra una buona descrizione di noi europei d’oggi. E politici teste d’asino, ne siamo sovraffollati.

 Maurizio Blondet 

 
La corte dei miracoli PDF Stampa E-mail

17 Settembre 2015

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Houston, 15 Settembre 2015 - Con l’espressione ‘corte dei miracoli’ venivano denominate nel medioevo quelle aree degradate delle città dove bivaccavano pezzenti e delinquenti che usavano eleggere un proprio re. Quei miserabili erano il popolo di quel ‘sovrano’ e in quei ‘cortili’ avevano luogo i ‘miracoli’.

In cosa consistevano i 'miracoli'? Semplice: di notte venivano ‘miracolosamente’ guarite quelle finte infermità dei mendicanti che erano ostentate di giorno per impietosire i passanti.

Da allora non molto è cambiato, solo che oggi le ‘corti dei miracoli’ non si trovano più nei quartieri degradati delle città ma sopravvivono nella complessa e grottesca scenografia della finta democrazia che pretende di eleggere un ‘comandante in capo’ in grado di risolvere – almeno nelle promesse elettorali - ‘miracolosamente’ i problemi di un Paese.

Da questa sponda dell’Atlantico seguire le primarie delle elezioni presidenziali americane dà allo spettatore autocosciente esattamente l’impressione di essere sbalzato per magia in una di queste ‘corti’.

Sulla stampa italiana trapela poco di quanto sta accadendo qui, ma vi assicuro che è davvero uno spettacolo imperdibile. Ad oggi ci troviamo in una situazione in cui i capolista dei due schieramenti – repubblicano e democratico – sono davvero un esempio di umanità degenerata.

Per i republican abbiamo in netto vantaggio Donald Trump con il 43,5% mentre per i democrat l’inossidabile Hillary Clinton è stabilmente in testa con il 46,3%. Il primo, Trump, è un miliardario che oggi confessa candidamente di aver da sempre pagato un sistema politico corrotto per poter avere vantaggi per le proprie aziende e oggi gioca a fare il rottamatore di un sistema che ha fedelmente servito per decenni. Come afferma apertamente nell’ultimo confronto tra i candidati repubblicani: “Ero un uomo d'affari. Ho dato a tutti. Quando chiedono, io do. E sai una cosa? Quando ho bisogno di qualcosa da loro, due anni più tardi, tre anni più tardi, io li chiamo, e loro sono lì per me”.

La seconda, ultramilitarista, fautrice del bombardamento di Belgrado, dell’intervento in Iraq, in Libia, in Siria, oggi parla apertamente di uso di armi nucleari che chiama – bontà sua - peacekeeping deterrents, deterrenti per mantenere la pace. Da First Lady, e successivamente da senatrice di New York e poi da Segretario di Stato ha sempre avuto una posizione favorevole alla guerra, al business senza limitazioni, ostile ai sindacati e alle istanze liberali. La Clinton non ha programmi destinati a ridurre la disoccupazione, la sotto-occupazione o la riduzione della povertà, la sua agenda politica è sì socialista ma solo per le élite mentre è neoliberale per tutti gli altri, appoggiando senza se e senza ma la politica di dominazione e di invasione di altri Paesi ormai quasi unanimemente abbracciata dalla governance USA. Tra le sue ‘perle’ di politica estera, ricordiamo queste affermazioni: "Voglio che gli iraniani sappiano che se io sarò eletta presidente, noi attaccheremo l'Iran. Nei prossimi 10 anni, durante i quali essi potrebbero prendere in considerazione stupidamente di lanciare un attacco verso Israele, noi saremmo in grado di cancellarli completamente dalla faccia della terra”.

Ecco, questa è la situazione dei due capolista.

Non molto meglio stiamo con gli altri candidati, a parte le due pregevoli eccezioni di Rand Paul per i repubblicani e Bernie Sanders per i democratici che, tuttavia, a meno di sorprese poco probabili dei prossimi mesi, non hanno grosse chance di arrivare alla nomination del proprio partito.

Ora è risaputo che ogni sessione elettorale per le presidenziali degli Stati Uniti sono processi corrotti influenzati da enormi quantità di denaro che non possiedono legittimità di sorta. Nonostante la loro grande partecipazione, gli elettori non hanno alcuna voce in capitolo, anche se non se ne rendono minimamente conto.

Il popolo americano crede ingenuamente che eleggere nuove marionette al posto di quelle vecchie possa in qualche modo migliorare le cose. In realtà le loro scelte sono all’interno di una rosa di candidati da lungo tempo comprati e pagati per realizzare quanto più possa danneggiare la gente. Come bene disse Gore Vidal “nel momento in cui un candidato inizia ad essere pronto per le elezioni presidenziali, lui/lei è stato già comprato/a dieci volte. Esiste un solo partito negli Stati Uniti, il Partito della Proprietà, con due settori a destra: quello dei repubblicani e quello dei democratici”.

Così, se le cose continuano ad andare come stanno andando adesso – domani avremo un importante confronto-show televisivo sulla CNN – per il prossimo presidente dell’unica superpotenza mondiale, la scelta sarà tra la padella e la brace.

E vi assicuro che la cosa non è propriamente tranquillizzante.

 

Piero Cammerinesi  (corrispondente dagli USA di Coscienzeinrete Magazine, Altrogiornale e Altrainformazione) 

 
Fisiognomica PDF Stampa E-mail

16 Settembre 2015

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Un percorso di Fisiognomica della costituzione, salute, e poi personalità, carattere e perfino destino scritti sul volto e altri tratti del corpo.

Firenze 3 e 4 ottobre

Informazioni ed iscrizioni: Gianna 349.4248355 Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

ARMONIA, INTEGRALITA', QI, YIN/YANG, WU XING (= 5 TRASFORMAZIONI) Questi gli strumenti che si usano nella Fisiognomica, o diagnosi, Orientale.

Arte antica, che è almeno a livello istintivo praticata da tutti, appunto "istintivamente" per valutare, accostarsi o respingere, le altre persone. Dovrebbe - e non lo è, non più almeno - essere usata dai professionisti, dal criminologo al giudice al medico. Preferiscono fidarsi delle analisi cliniche, o delle statistiche matematiche, degli algoritmi...è un vero peccato, ci perdono di parecchio. Vero è che questa arte antica non può in nessun modo essere abbassata al livello di "Scienza" ma in fondo, la Pietà michelangiolesca fu creata da un matematico? 

Armonia vuol dire: più è equilibrato un volto, più è bello, e noi diremmo, "bello dentro”. I Greci dicevano, "Ciro era nobile perché bello" in essenza la stessa cosa. Tuttora nei film, romanzi, spettacoli, la disarmonia del volto è associata, a torto o ragione, con qualche stortura morale. Se poi la bellezza non dovesse bastare, allora ci mettiamo un bel sorriso, o almeno qualche espressione facciale tendente a emanare una, vera o finta che sia, bonomia d'animo.

INTEGRALITẢ  vuol dire: tutto in una persona rivela la sua vera natura interiore, il volto è comodo perché sempre in vista, e perché concentrato, ma non dimentichiamo le mani, e poi occhi, iridi e sclera, la postura, la schiena, l'esame della lingua e del polso Ayurvedico o Cinese, l'addome nella diagnosi shiatzu, la frenologia del cranio, le diagnosi mediche varie, quelle psicologiche che dai tempi di Freud e Jung hanno raggiunto livelli assai profondi, e si basano non solo sul colloquio col paziente, ma pure sull'osservazione della gestualità. Tornando allo studio del visuale puro, in Cina ho visto ogni genere di mappe e atlanti del corpo, perfino sulla conformazione del pelo pubico (!!!).  Non dimentichiamo pertanto di osservar la persona nella sua interezza, ad esempio veder qualcuno ballare specie nei moderni "freestyle" "pogare" o come si chiama, è estremamente rivelante della loro natura intima.

YIN /YANG dovrebbe essere famigliare a chi ci segue, ci limiteremo a ricordare che la polarità è dovunque, gli opposti sempre si completano e non vanno isolati o tantomeno demonizzati, l'uno esiste grazie all'altro e serve a darne la misura, il termine di paragone. Caldo/freddo, buio/luce, +/-, cielo/terra e letteralmente infiniti aspetti in tutti i dominii dell'esistenza immanente (ma non di quella trascendente...) sono soggetti alla legge del Dipolo.

Nel volto, sono Yang le parti dure, ossee, rigide, più Yin invece son quelle morbide, gli affossamenti o le polposità. In compenso sono yang le parti molto mobili in specie la bocca e lingua, e così via, sempre alternandosi, l'uno che si trasforma nell'altro. È nostra convenienza applicare la massima flessibilità mentale nel vedere i fenomeni, non legandosi a criteri rigidi anche se insegnati da persone autorevoli nonché sincere, perché la realtà è come il tempo climatico, sempre mutevole, o come il tempo cronologico, che Einstein dimostra essere curvo e non lineare, o forse in ultima analisi un'illusione dei nostri sensi fallaci, per dirla con il Tao. Insomma, il Tempo è una spirale.

Il QI è indefinito e indefinibile, un poco come il vapore che esce dalla pentola sul fuoco, ma in fondo è manifestazione di cosa viva, che è tale perché si muove.  Vi sono molti tipi o manifestazioni del Qi, universale o particolare, ed ogni individuo ne ha uno che lo identifica, agli occhi innocenti di un bimbo ancor più che a quelli del dotto, o meglio ancora - peccato che non sappiano parlare per dirci cosa percepiscono - al naso orecchi e occhi degli animali, il che spiega come mai i cani attacchino solo certi soggetti e vadano a leccar le mani ad altri. Solo i morti non hanno più Qi, i giovani ne hanno di più, specie i neonati, e percepirlo nelle persone è forse la forma suprema dell'arte della Diagnosi alla Orientale, che è poi un modo sottile ma efficace di vedere Sé stessi, come dall'insegnamento di Gesù della trave nell'occhio.

Infine, WU XING ovvero, Cinque Fasi (tradotto variamente in Movimenti, Logge, Elementi fisici o metafisici, Stagioni...) sono i cinque interconnessi aspetti di UN SOLO Qi, quello Universale o immanente che si manifesta nell'infinitamente piccolo come nell'infinitamente grande, e quindi in noi stessi ed in quanto ci circonda. Questo strumento semplice, infinito e straordinario allarga di molto la comprensione della legge di Polarità +/- e ci permette di correlare tutto con tutto, dando strumenti pratici anche di intervento - tutto si può cambiare, perfino noi stessi! - dopo aver compreso la natura sempre mobile di questa Vita meravigliosa, incasinata, complicata nella sua semplicità, da vivere ad occhi aperti sempre e comunque.

 

Roberto Marrocchesi 

 
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