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Economia del dono PDF Stampa E-mail

4 Settembre 2015

 

 Da Appelloalpopolo del 2-9-2015 (N.d.d.)

 

Marcel Mauss (1872–1950) antropologo, sociologo, etnologo e storico delle religioni, fu uno dei padri fondatori dell’etnologia francese. Nel suo testo più famoso, Saggio sul dono (1923) descrive la socialità del dono all’interno delle comunità arcaiche e primitive da lui studiate ed espone alcune tesi fondamentali sulla natura dello stesso. Nelle società arcaiche il dono è obbligatorio e presenta le caratteristiche essenziali del “dare, ricevere, ricambiare”. Si deve “dare” per ostentare potenza e ricchezza; si è obbligati a “ricevere”, cioè a non rifiutare il dono, pena la condanna della comunità e il disonore; si deve “ricambiare”, cioè restituire alla pari o aumentare ciò che si è ricevuto, dato che rendere meno di quanto è stato accettato è un’offesa al donatore. Gli individui delle società arcaiche sono quindi socialmente obbligati a donare per rispettare un vincolo comunitario e un punto di onore. Inoltre, il dono non è magnanima concessione del singolo, non è disinteresse. Chi si sottrae al rito e non è capace di reperire e possedere oggetti da immettere nel ricircolo del dono, viene diseredato dal gruppo, emarginato socialmente. Di contro, se il donatario rifiuta il dono o non lo ricambia in modo congruo, incrina i legami con la famiglia del donatore, suscita rancori che possono durare tutta una vita.

L’obbligatorietà del donare nelle relazioni sociali che inducono a contraccambiare, pone la socialità del dono all’interno della nozione di utile. È nell’interesse del donatore il donare e del donatario il contraccambiare. Il dono “arcaico”, non essendo gratuito né disinteressato, non solo instaura una circolazione di beni cui tutti hanno tornaconto a parteciparvi, ma determina anche una forma rudimentale di “credito”, un’aspettativa di contraccambio che riconosce al donatore come un “diritto” nei confronti del donatario. Inoltre, l’obbligo di concorrere al costante “dare e ricevere”, crea, rinsalda, fortifica e conserva un fitto insieme di legami comunitari tra individui, tra famiglie, fra tribù, tra sessi. In merito a questa socialità “obbligata” Mauss afferma: “…la comunione e la colleganza che esse stabiliscono sono relativamente indissolubili…questo simbolo della vita sociale [il dono], – il permanere dell’influenza delle cose scambiate-, non fa che esprimere, abbastanza direttamente, il modo in cui i sottogruppi di queste società frammentate, di tipo arcaico, sono costantemente connessi reciprocamente e sentono di doversi tutto”.

Il rito del donare, in quanto atto a rinsaldare le relazioni tra tutte le classi sociali della comunità, fa parte “del sistema delle prestazioni totali”, è un “fatto sociale totale”, cioè un fatto che genera una miriade di reazioni analoghe comuni alla gran parte dei comportamenti collettivi. Gli individui consolidano complesse trame di relazioni sociali immettendo prodotti e beni nel sistema di circolazione dei doni, cosicché il “fatto sociale” diventa anche agire economico. Tutte le classi e tutti gli aspetti della vita comunitaria sono coinvolti in una prassi che influenza il gruppo umano in una molteplicità di fenomeni. Il dono infatti unisce gli aspetti pratici, materiali, produttivi ed economici a quelli sociali, etici, mitici, affettivi e religiosi, cosicché la società arcaica fonde le due sfere, mentre la concezione economica moderna le scinde.

Come di sopra accennato, l’obbligatorietà al restituire è una forma rudimentale di “credito”: “…il dono si porta dietro necessariamente la nozione di credito”. Poiché entro un termine stabilito il donatario deve ricambiare il dono, cioè deve risarcire il “debito”, il dono si trasforma in un baratto a scadenza e, come scambio a termine, rientra a tutti gli effetti in un processo economico. L’etnologo francese, nel tracciare una sorta di genealogia delle attività economiche, antepone il dono al baratto, vedendo quest’ultimo sorgere, da un iniziale sistema di doni dati e ricambiati, come un ricambio ravvicinato nel tempo dell’oggetto donato. Inoltre il dono, corrisposto pari o in eccesso al ricevuto, si presenta come una fonte di intraprendenza economica primitiva e pre-moderna, una prassi rudimentale che spinge e costringe il donatario, pena l’interdizione sociale, a reperire, produrre e possedere una quantità crescente di oggetti e dunque ad aumentare la quantità dei beni circolante. Il dono arcaico è dunque una sorta di solidarietà organizzata, di utilità e convenienza per ognuno a mettere in circolazione le proprie risorse, di salvaguardia dell’integrazione sociale, di inclusione sociale di classi e individui, di attività economica con ricadute sulla produzione collettiva della ricchezza. Per queste sue caratteristiche forse non è azzardato considerarlo come lo stato sociale delle comunità primitive studiate da Mauss. Anche lo stato sociale, come il dono arcaico, è un “obbligo” per lo Stato moderno, che o è sociale o non è Stato. Oggi è inconcepibile uno Stato che non abbia una politica sociale i cui principi hanno valore costituzionale. Nelle socialdemocrazie contemporanee le costituzioni nate nel secondo dopoguerra, – e la Nostra più delle altre – prescrivono il dovere inderogabile di solidarietà.

Inoltre lo stato sociale, come il dono, non è gratuito e disinteressato, perché pretende dai cittadini un tornaconto collettivo di altissimo valore civile: la responsabilità di tutti nell’impedire che la comunità si disgreghi, la coscienza e il mutuo riconoscimento di una comune appartenenza a una patria, l’impegno a non frammentarla, che si esprime nelle relazioni di reciprocità da proteggere e rafforzare; l’interesse generale di considerare le prestazioni sanitarie, educative assistenziali come fattori di sviluppo non solo sociale ma anche economico. Nello stato sociale solidarietà e interesse non si escludono a vicenda e, come il dono arcaico, rafforzano i legami comunitari ed educano i cittadini a essere “costantemente connessi reciprocamente” e sentire “di doversi tutto”.

Dopo oltre vent’anni di diffusione dell’ideologia individualista e liberista in economia, di distruzione della solidarietà prescritta dalla Costituzione, di propaganda ingannevole sulla spesa pubblica “improduttiva” va riconosciuto che lo stato sociale libera risorse economiche individuali e familiari a vantaggio del circuito economico. La spesa per i servizi, lungi dall’essere improduttiva, è volano di attività economiche, diventa un sistema generale di salario indiretto, di reddito “donato” ma non gratuito, che diffonde nell’agire economico il valore della reciprocità, senso ultimo di ogni regola democratica. Lo stato sociale è dunque la versione moderna e istituzionalizzata della prassi arcaica del dono; e il dono è prerogativa degli uomini – e dei popoli – liberi e forti, sovrani appunto.

 

Luciano Del Vecchio

 
Europa in caduta libera PDF Stampa E-mail

3 Settembre 2015

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Da Comedonchisciotte del 31-8-2015 (N.d.d.)

 

28 Agosto 2015 "Information Clearing House" - "UNZ" - L'Europa è in caduta libera. Nessuno lo può mettere in dubbio ormai. In effetti, l'UE sta contemporaneamente soffrendo di diversi problemi gravi e uno di questi potrebbe potenzialmente diventare catastrofico. Diamogli un'occhiata uno per uno.

Avere 28 membri dell'Unione Europea non ha alcun senso economico

Il problema più evidente dell'UE è che non ha assolutamente alcun senso economico. Inizialmente, nei primi anni ‘50, c'era un piccolo gruppo di nazioni non troppo dissimili che hanno deciso di integrare le loro economie. Questi erano i cosiddetti Sei del Nucleo interno che han fondato la Comunità europea (CE): Belgio, Francia, Germania occidentale, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. Nel 1960 questo "gruppo ristretto" interno è stato raggiunto da altri sette paesi, il Sette esterno, che non hanno voluto aderire alla CE, ma han voluto partecipare a una Associazione europea di libero scambio (AELS). Questi erano Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera, e Regno Unito. Insieme, questi paesi hanno formato quello che potrebbe vagamente essere chiamato "la maggior parte dell'Europa occidentale"       

Per tutti i loro difetti, questi trattati hanno fatto riflettere una realtà – ovvero che i paesi che partecipano avevano molto in comune e che i loro popoli hanno voluto unire le forze. Dopo il 1960, la storia dell'integrazione europea e la sua espansione è diventata molto complicata e mentre da un lato ha progredito a zig-zag con periodiche battute d'arresto, alla fine questo processo si è concluso con la crescita incontrollata, come fosse un tumore maligno. Oggi l'Unione europea comprende 28 Stati membri, tra cui tutto ciò che una volta si chiamava parte "centrale" e "orientale" dell'Europa (!) - Anche le Repubbliche baltiche ex sovietiche sono ora parte di questa nuova unione. Il problema è che, mentre una simile espansione sembrava attraente per le élite europee per ragioni ideologiche, tale espansione enorme non ha alcun senso economico per tutti. Cosa hanno in comune Svezia, Germania, Lettonia, Grecia, e Bulgaria? Molto poco, naturalmente.

Ora le crepe sono chiaramente visibili. La crisi greca e la minaccia di una "Grexit" ha il potenziale per un effetto domino che coinvolge il resto dei cosiddetti "PIGS" (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna). Anche la Francia è minacciata dalle conseguenze di questa crisi. La moneta europea - l'euro - è "una moneta senza una missione": è stata creata solo per sostenere l'economia tedesca o anche quella greca? Nessuno lo sa, almeno ufficialmente. In realtà, naturalmente, tutti capiscono che la signora Merkel è la sola regista dello spettacolo. Soluzioni miracolose e veloci, che è ciò che gli Euroburocrati stanno offrendo, servirebbero solo a guadagnare tempo, ma non stanno offrendo una soluzione a quello che è chiaramente un problema sistemico: la natura completamente artificiale di un'Unione Europea elefantesca a 28 Stati. Per quanto riguarda la soluzione più ovvia, cioè quella di rinunciare al sogno folle dell'Unione a 28, è così assolutamente politicamente inaccettabile che non sarà nemmeno discussa anche se tutti la paventano.

L'UE è sull'orlo di un collasso sociale e culturale

La realtà innegabile è semplice quanto forte:

 L'UE non può assorbire così tanti rifugiati.    L'UE non ha i mezzi per fermarli

Un massiccio afflusso di rifugiati presenta un problema di sicurezza molto complesso che i paesi membri non sono in grado di affrontare. Tutti i paesi dell'UE hanno tre strumenti di base che possono utilizzare per proteggersi da agitazione, disordini, crimini o invasioni: i servizi speciali/sicurezza, le forze di polizia e militari. Il problema è che nessuno di questi è in grado di affrontare una crisi di rifugiati.

I servizi speciali o di sicurezza sono irrimediabilmente in inferiorità numerica quando si tratta di una crisi di rifugiati. Inoltre, il loro obiettivo normale (criminali di carriera, spie, terroristi) sono pochi e lontani tra in un'ondata e l’altra di rifugiati. I profughi sono per lo più famiglie, quelle estese, e mentre a volte sono bande criminali, questo è ben lungi dall'essere sempre così. Il problema è che se, per esempio, il 10% dei kosovari sono spacciatori di droga, la cosa dà un brutto nome a tutti i profughi del Kosovo ed ai rifugiati stessi che finiscono per essere trattati come criminali. Infine, i servizi speciali si basano pesantemente sugli informatori e le bande straniere sono difficili da infiltrare. Spesso parlano anche lingue difficili che solo pochi specialisti in lingua locale conoscono. Come risultato, la maggior parte del tempo i servizi di sicurezza dell'UE sono all'oscuro su come affrontare il problema della sicurezza, se non altro perché non hanno personale e mezzi per tenere traccia di così tante persone.

Al contrario, i poliziotti hanno un vantaggio: sono letteralmente ovunque e in genere hanno un buon senso del "battere la strada". Tuttavia, i loro poteri sono molto limitati e hanno bisogno di ottenere un ordine del tribunale per fare la maggior parte del loro lavoro. I poliziotti anche per lo più si occupano di criminali locali, mentre la maggior parte dei rifugiati non sono né locali, né criminali. La triste realtà è che la maggior parte di quello che i poliziotti fanno in una crisi dei rifugiati è fornire la polizia antisommossa - difficilmente una soluzione per qualsiasi problema.

Per quanto riguarda le forze armate, il meglio che possono fare è cercare di aiutare a chiudere un confine. In alcuni casi, possono assistere le forze di polizia in caso di disordini civili, ma nulla più.

Così i vari membri dell'UE non hanno i mezzi per bloccare i loro confini, deportare la maggior parte dei rifugiati, né li controllano. Certo, ci saranno sempre i politici che faranno promesse su come stanno per inviare tutti questi rifugiati a casa, ma è solo una bugia grossolana e spudorata. La stragrande maggioranza di questi rifugiati fuggono da guerra, fame e povertà e non c'è modo che qualcuno riesca a rimandarli a casa.

Mantenerli, tuttavia, è anche possibile, almeno in senso culturale. Per tutta la propaganda che fa di integrare tutte le razze, credi e culture, la realtà è che non c'è assolutamente nulla che l'Unione europea abbia da offrire a questi rifugiati per renderli integrati come desidera. Con tutti i suoi peccati e problemi, almeno gli Stati Uniti stanno offrendo un "sogno americano", che, pur falso come è, ispira ancora la gente in tutto il mondo, soprattutto i poco istruiti. Non solo, ma la società americana ha ben poca cultura per cominciare. Chiedetevi che cosa è se non altro, è davvero un "crogiuolo di razze" piuttosto che non una " insalata mista" ‘sta cultura americana? - Il che significa che tutto ciò che entra nel crogiolo perde la sua identità originale mentre la miscela complessiva del piatto non riesce a produrre una vera cultura indigena, almeno non in un senso europeo del termine.

L'Europa è o, dovrei dire, era solita essere radicalmente diversa dagli Stati Uniti. Ci son vere profonde differenze culturali tra le varie regioni e province di ciascun paese europeo. Un basco non è sicuramente un catalano, un marsigliese non è un bretone, un siciliano non è friulano. Per quanto riguarda poi le differenze tra un tedesco e un greco - sono semplicemente enormi. Il risultato della crisi dei rifugiati attuale è che tutte le culture europee sono ora direttamente minacciate nella loro identità e il loro stile di vita. Di questo spesso la colpa ricade sull'Islam, ma la realtà è che i cristiani africani non si integrano meglio, e nemmeno gli zingari cristiani, tra l'altro. Come risultato, gli scontri avvengono letteralmente ovunque - nei negozi, strade, scuole, ecc. Non c'è un solo paese in Europa in cui questi scontri non sono una minaccia per l'ordine sociale. Questi scontri quotidiani provocano crimine, repressione, violenza e ghettizzazione sia dei migranti che degli abitanti del luogo, che lasciano le loro periferie tradizionali e si muovono in zone meno sature di immigrati. [Parte dei miei lettori americani potrebbe pensare "E allora? abbiamo ghetti pure negli Stati Uniti “ Mi dicono che quello che i francesi chiamano" zone di non-diritto » sono di gran lunga peggiori di quello che si può vedere negli Stati Uniti. E tenete a mente che nessun paese in Europa ha il tipo di enormi, militarizzate forze di polizia che ogni grande città degli Stati Uniti ha ora. Né vi è l'equivalente della Guardia Nazionale degli Stati Uniti. Nella migliore delle ipotesi, ci sono forze anti-sommossa, come il CRS francese, ma non possono fare più di tanto]

Il livello di aggravamento sofferto da molti, se non la maggior parte, degli europei derivante direttamente da questa crisi in materia di immigrazione è difficile da descrivere a qualcuno che non l'ha visto. E dal momento che esprimere queste frustrazioni è stato considerato "razzista" o "xenofobo" da parte dei poteri forti (almeno fino a poco tempo fa – questa cosa sta progressivamente cambiando), questo profondo risentimento è in gran parte tenuto nascosto, ma è percepibile comunque. E gli immigrati sicuramente lo sentono. Ogni giorno. Comunque ancora una volta, questo è il motivo per cui il concetto in stile USA del "melting pot/crogiolo di razze" in Europa non sta accadendo: l'unica cosa che l'Europa ha da offrire a tutte queste centinaia di migliaia di rifugiati è un'ostilità silenziosa alimentata dalla paura, e da indignazione, disgusto e impotenza. Anche quei locali che sono stati rifugiati essi stessi in passato (gli immigrati dal Nord Africa, per esempio) sono ora disgustati e molto ostili alla nuova ondata di profughi in arrivo. E, naturalmente, non una sola persona dei rifugiati in arrivo in Europa crede in un qualsiasi "sogno europeo".

Ultimo ma non meno importante, questi rifugiati sono un enorme onere per le economie locali ed i servizi sociali che non sono mai stati progettati per far fronte a un tale afflusso di "clienti" bisognosi.

Per il prossimo futuro la prognosi è chiara: più dello stesso, solo peggio, forse molto peggio.

L'Unione europea è solo una colonia degli Stati Uniti NON in grado di difendere i propri interessi.

L'Unione europea è governata da una classe di persone che si sono completamente vendute agli Stati Uniti. Il miglior esempio di questo stato di cose è la débacle libica, che ha visto gli Stati Uniti e la Francia distruggere completamente il paese più sviluppato in Africa solo per avere ora centinaia di migliaia di profughi ad attraversare il Mediterraneo a cercare rifugio dalla guerra verso l’Europa. Questo risultato sarebbe potuto essere molto facile da prevedere, e tuttavia i paesi europei non han fatto nulla per impedirlo. In realtà, tutte queste guerre di Obama (Libia, Siria, Afghanistan, Iraq, Yemen, Somalia, Pakistan) hanno provocato enormi flussi di rifugiati. Aggiungete a questo il caos in Egitto, Mali e la povertà in tutta l'Africa e si dispone di un esodo di massa che nessuna quantità di muri, fossati antiuomo o recinzione anti-rifugiati fermerà. E se ciò non bastasse, l'UE ha favorito ciò che può essere chiamato solo un suicidio politico ed economico, consentendo che l'Ucraina facesse esplodere una guerra civile che coinvolge 45 milioni di persone, una economia completamente distrutta e un regime nazista al potere. Tale risultato era anche facile da prevedere. Ma tutto ciò che gli euro-burocrati hanno fatto è stato imporre sanzioni economiche autolesioniste alla Russia, che ha finito per fornire esattamente il tipo di condizioni necessarie per l'economia russa di diversificare e finalmente iniziare a produrre localmente invece di importare tutto dall'estero.

Potrebbe valere la pena ricordare qui che dopo la seconda guerra mondiale l'Europa era fondamentalmente territorio occupato. I sovietici avevano la parte centro-orientale mentre gli Stati Uniti / Regno Unito avevano la parte occidentale. Tutti siamo stati condizionati a pensare che le persone che vivevano sotto "l'oppressione" di ciò che la propaganda degli Stati Uniti aveva denominato "Patto di Varsavia" (in realtà era chiamato " Organizzazione del Trattato") siano stati meno liberi rispetto a quelli che vivevano sotto la "protezione" del Trattato Nord Atlantico o NATO. Si presti attenzione al fatto che il termine "Nord Atlantico" è stato coniato deliberatamente in modo da legare l'Europa occidentale agli Stati Uniti, la questione centrale è che mentre in molti modi le persone in Occidente hanno avute più libertà rispetto a quelle in Oriente, però in compenso gli Stati Uniti / UK occupavano parte d'Europa che non si riprese mai più una vera sovranità. E proprio come i sovietici si sono ben curata una élite compradora locale in ogni paese dell'Europa orientale, così han fatto gli Stati Uniti in Occidente. La grande differenza è apparsa solo alla fine degli anni ‘80 / inizio ‘90, quando l'intero sistema a conduzione sovietica è crollato mentre il sistema gestito dagli Stati Uniti è uscito rafforzato a seguito del crollo sovietico. Se non altro, a partire dal 1991 la morsa di ferro degli Stati Uniti sopra l'UE è diventata ancora più forte di prima.

La triste realtà è semplice: l'Unione europea è una colonia degli Stati Uniti, gestita da marionette degli Stati Uniti che non sono semplicemente in grado di lottare per gli interessi europei fondamentali ed evidenti.

L'Unione europea si trova in una profonda crisi politica

Fino alla fine degli ‘80, erano ancora esistenti alcuni partiti più o meno di "reale" opposizione "di sinistra" in Europa. Infatti, in Italia e Francia i comunisti quasi erano saliti al potere. Ma non appena il sistema sovietico è crollato, tutti i partiti dell'opposizione europei o sono scomparsi o sono stati rapidamente cooptati dal sistema. E, proprio come negli Stati Uniti, gli ex Trotskisti divennero neocon da un giorno all'altro. Di conseguenza, l'Europa ha perso la poca opposizione che aveva all'impero anglo-sionista ed è diventata "politicamente pacificata". Ciò che i francesi chiamano " pensiero unico" che ora ha trionfato, almeno se si giudica da parte dei media corporativi. La politica si è trasformata in un far credere che i vari attori fingono di affrontare questioni reali quando in realtà tutto ciò di cui si parla sono scemate inventate, create artificialmente con "problemi" che poi "risolvono" (il "matrimonio" omosessuale è l'esempio perfetto). L'unica forma di politica significativa lasciata nell'UE è il separatismo (scozzese, basco, catalano, ecc.), ma fino ad ora, non è riuscita a produrre alcuna alternativa.

In questo coraggioso nuovo mondo di finzione politica nessuno si occupa di problemi reali che non sono mai da sfidare anche direttamente, ma si spingono solamente sotto il tappeto fino alle successive elezioni, il che, inevitabilmente peggiora solo tutto. Per quanto riguarda i signori anglo-sionisti dell'UE, a loro non importa quello che succede a meno che i loro interessi siano direttamente colpiti.

Si potrebbe dire che il Titanic sta affondando e l'orchestra continua a suonare, e si sarebbe vicino alla verità. Tutti odiano il capitano e l'equipaggio, ma nessuno sa con chi sostituirli.

 

The Saker  (traduzione di Roberto Marrocchesi) 

 
Natale ad agosto PDF Stampa E-mail

2 Settembre 2015

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Da Rassegna di Arianna del 31-8-2015 (N.d.d.)

 

Il prestigioso grande magazzino Selfridges di Londra, su Oxford Street, ha inaugurato lo spazio dello shopping natalizio già il 3 agosto. Un primato di cui i responsabili vanno fieri. In Italia la Rinascente si adeguerà inaugurando il Christmas shop a inizio ottobre. Gli altri marchi, come Oviesse e Coin, seguiranno a ruota ai primi di novembre. Perché tanto anticipo? Perché c’è clientela anche prima di Ferragosto, soprattutto da parte dei turisti in visita sul Tamigi. Un adeguamento dei tempi della festa alla “fretta” del mercato: da anni non vediamo forse spuntare torroni e panettoni sui banchi del supermercato due mesi prima di Natale?

Nulla di dissacrante, nonostante l’effetto straniante di acquistare palline di Natale con una temperatura che supera i 30 gradi. Del resto la messinscena delle decorazioni e delle luci ha molto poco di spirituale e di religioso e rappresenta quello spirito del Natale indotto per il quale non c’è più bisogno delle pagine di Dickens: basta recarsi al centro commerciale.

Alle origini di questa mentalità, insegnava il grande storico Jacques Le Goff, c’è il dilatarsi del “tempo del mercante” a tutto svantaggio del “tempo della Chiesa”. Il tempo dei chierici è lo stesso dei contadini, ritmato dagli uffici religiosi, per il quale può bastare una “grossolana clessidra”. Tutto cambia nello spazio urbano che si organizza a partire dal XIII secolo: il tempo diventerà pian piano quello profano e laico misurato dagli orologi. Il tempo si professionalizza, diviene malleabile e, come tutto ciò che è misurabile, ha un prezzo legato ai margini di profitto che l’astuzia del mercante predispone con la previsione della durata di un viaggio, di una compravendita, dei tempi di una contrattazione. Ora, nei Comuni medievali o nei borghi artigiani della Francia, il tempo sacralizzato non viene del tutto espulso dall’orizzonte laico: esso serve comunque come alternativa al tempo profano per dedicarsi a preghiere e opere pie e dunque per acquietare la coscienza del ceto borghese emergente.

Oggi il tempo sacralizzato è scomparso: i meccanismi professionali dettano le agende di tutti. Non è detto che sia un vero progresso: il tempo della festa era quello che interrompeva il ciclo ordinario dei giorni e dei mesi. Ma doveva manifestarsi esattamente ogni anno nello stesso modo. Guai a violarne il ritmo. A guastarne l’armonia. Accettando le leggi del marketing natalizio il rischio è di far evaporare in una nube glitterata con lo spirito del Natale anche quello della festa. Ne vale la pena?

 

Annalisa Terranova 

 
Astri nascenti della sinistra europea PDF Stampa E-mail

1 Settembre 2015

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 Da Comedonchisciotte del 29-8-2015 (N.d.d.)

 

Addio locomotiva dell’economia globale. La Cina cade in recessione. Ineluttabilmente. La sua leadership “potrà dirsi fortunata se riuscirà a ridurre la sua crisi ad una mera stagnazione con crescita zero o quasi nei prossimi dieci anni. Sarà un successo politico”: così il professor Zhiwu Chen della Yale University in una riunione del Council on Foreign Relations, ha proposto come modello quasi ideale – in confronto al peggio che può accadere a Pechino – il tristissimo “Decennio Perduto” del Giappone, con le banche zombificate tenute in vita col cannello dalla banca centrale. Ciò farà rallentare la crescita globale a un 2%, che è di fatto, recessione.

“La sola cosa che può fermare la Cina sulla via della recessione è un grosso stimolo di bilancio inteso ad aumentare i consumi, finanziato dal governo centrale, preferibilmente monetizzato dalla Banca centrale cinese”. Questo, l’ha detto Willem Buiter, economista-capo di Citigroup, nella stessa riunione del CFR.

Ambrose Evans-Pritchard del Telegraph, che riporta le suddette dichiarazioni, nota: ciò equivale ad invocare che la Cina applichi la “Corbynomics”.

Corbynomics?

Jeremy Corbyn è il vecchio nuovo astro nascente della Sinistra britannica. Antico nemico di Tony Blair, sta scalando i sondaggi dando nuove speranze al Labour Party, con proposte economiche tipo:

– rinazionalizzare gli asset svenduti dai precedenti governi, comprese le grosse banche, “senza indennizzo” agli attuali proprietari.

– Fare “Il quantitative easing per il popolo”: la Banca centrale britannica stampi denaro per metterlo in tasca alla gente, invece che per darlo alle banche onde queste lo prestino (con interesse) alla gente, come ha fatto finora.

Pagare tutto ciò con aumenti delle tasse sulle grandi fortune. Se si pensa che il governo Cameron sta proprio adesso cercando di diminuire (ancora) le tasse di successione (ossia sui benestanti morti, dice la BBC), si può capire lo sconcerto.

Quanto l’Establishment abbia paura di Corbyn, lo mostra la forsennata campagna di diffamazione e calunnie che i suoi media, come a segnale ricevuto, gli stanno scatenando contro: è matto, un caso psichiatrico, è un rottame del passato socialista che i mercati hanno seppellito per sempre, le sue idee economiche porteranno tutti alla rovina…ma soprattutto – specialissimo assassinio mediatico dell’uomo, il che significa quanto vogliamo eliminarlo – Corby è antisemita.

La prova del suo antisemitismo? Ha finanziato la fondazione “Deir Yassin Remembered”, (che ricorda il primo grande massacro ebraico di palestinesi del 1948 nel villaggio di Deir Yassin, che spinse centinaia di miglia di arabi a cercare scampo nella fuga: l’inizio della presa delle loro terre), e questa fondazione è stata fondata da “Paul Eisen, negazionista dell’Olocausto”. Ciò significa, per la virtù transitiva, che anche Corbyn è negazionista dell’olocausto. Sorvolando sul fatto che Paul Eisen è un ebreo…quel che conta è assassinare politicamente Corbyn. Come ebbe a dire Pat Buchanan, chissà perché ogni volta che si propone una vera riforma della speculazione finanziaria, si viene accusati di antisemitismo.

Il fatto è che quaranta economisti di livello, nient’affatto comunisti, hanno preso posizione per Corbyn: ciò che propone – hanno scritto – è farla finita con l’austerità che porta deflazione, imposta al solo scopo di arricchire ancor più il capitale – che ha già preso troppo al lavoro. È una posizione sostenuta persino dagli studiosi del Fondo Monetario Internazionale, che non è un partito stalinista. Il suo obiettivo è incoraggiare la crescita.

Adesso anche uno come il capo-economista di Citigroup (un gruppo bancario fra i più speculativi) comincia a suggerire che la Cina applichi – per uscire dal buco in cui s’è cacciata – la Corbynomics, e lo faccia al Council on Foreign Relations, è il segno che anche negli ambienti che hanno imposto il “mercato globale” c’è la vaga sensazione che l’applicazione ulteriore della sua dogmatica ortodossa monetarista e privatista non possa più essere sostenuta. Lorsignori hanno memoria storica. Ricordano che la crisi del 1929 ebbe una ricaduta tragica nel 1937, rigettando il mondo in una nuova Grande Depressione; le riforme di Roosevelt, che non mettevano abbastanza in discussione il potere finanziario privato, si rivelarono pannicelli caldi. Ciò perché l’Establishment aveva impedito con successo idee veramente alternative, da quella di Fischer sull’abolizione della moneta-debito bancaria e la restituzione allo stato della sua esclusiva creazione, fino alla moneta deperibile di Gesell, o quelle di Keynes.

Anche oggi la crisi del 2015 che viene dopo la crisi del 2008 mai risanata, somiglia troppo a una replica della ricaduta-1937, per non inquietare i capitalisti più avvertiti. Dall’applicazione spietata del capitalismo terminale in forma pura hanno ricavato tutti i vantaggi che potevano; adesso è una sorta di capolinea, mancano le idee, l’ulteriore imposizione delle loro ricette dogmatiche rischia di non portare più a nulla – se non al rischio, per loro, di perdere potere.

Lo strano paradosso del capitalismo terminale. “Capolinea” ha un senso preciso: in certo senso, un ritorno a caselle di partenza da cui il capitalismo senza freni è partito per la conquista (e la devastazione) delle società umane.

Considerate la stranezza della situazione presente. Lorsignori imposero a tutto l’Occidente la fine del “matrimonio fra banche centrali e Tesoro”, l’istituzione con cui la Banca centrale comprava le quote di debito pubblico che restassero invendute sul mercato finanziario; ciò metteva un calmiere al costo dell’indebitamento pubblico; il Capitale privato protestò che bisognava invece esporre i debiti pubblici ai “mercati finanziari globali”, perché questi sono organi infallibili per “scoprire il prezzo” di un debito di Stato, valutandone il rischio d’insolvenza. E così è stato. I “mercati” speculativi hanno guadagnato a più non posso. Gli interessi sono saliti, i debiti pubblici come quello italiano sono andati alle stelle…e adesso, che cosa accade? Che le banche centrali – ormai di proprietà del Capitale (Goldman Sachs) – calmierano, anzi sopprimono il costo.

Gli interessi sono così bassi, da creare bolle. Ma se si accenna ad aumentarli, Wall Street è la prima a lanciare alte grida: volete mandarci in recessione?! La speculazione non protesta più che così si sottrae al mercato la capacità di “dare un prezzo al rischio”; anzi, è contenta che le “sue” banche centrali sopprimano gli interessi. L’ultima emissione di debito italiano – dopo la crisi cinese, che avrebbe dovuto far rialzare i tassi sul nostro “rischio paese stra-indebitato” – è stata comprata, se non sbaglio, allo 0,70% di interesse: è un prezzo del tutto artificiale, prodotto dalla BCE. Molto più di quelli che si praticavano durante “Il matrimonio” fra Banche centrali e Tesori.  Non è il “mercato” a decidere, ma il burocrate. Ancorché di Goldman Sachs….

Le banche centrali oggi rese indipendenti dalla politica creano triliardi di dollari ed euro a tassi minimi, comprano debito a man bassa. Ossia: fanno quel che il Capitale, ai bei tempi, accusava i politici di fare, “stampare” irresponsabilmente per le loro clientele. Sottrarre ai politici (ai governi, agli stati) il potere di stampare denaro dal nulla è la scusa morale con cui l’Establishment lo ha arraffato per sé, per le sue banche private (che creano il 95% del denaro circolante indebitando); adesso lo ha affidato alle “sue” banche centrali, proprietà loro. Ci ha guadagnato abbastanza, adesso non riesce più a guadagnarci. Nonostante l’inondazione di fiat money in corso, ancor più irresponsabile di quella degli stati, il Sistema resta incagliato alla deflazione. Perché? Perché le banche centrali hanno dato quei soldi creati dal nulla a tasso zero alle banche private, sperando che queste possano ancora indebitare un po’ la gente: non funziona più.

La BBC, per il Regno Unito, spiega: dal 2009 la Bank of England ha creato 375 miliardi di sterline (520 miliardi di euro) con cui ha comprato il debito pubblico, e tutto ciò che ha ottenuto è “un pochino di incremento marginale dei consumi” attraverso il noto “contorto meccanismo”, il truffaldino inghippo escogitato per far guadagnare ancora le banche e solo indirettamente “la gente”.

Allora perché non cominciare a saggiare la Corbynomics? Anche perché in Usa sorge un Donald Trumps, in Francia il FN, in Europa “populismi” che potrebbero proporre alternative veramente altre: il ritorno all’autarchia, il 100% Money di Fischer, la nazionalizzazione delle banche, la sottrazione alla finanza di creare il denaro se non (Deus avertat) quelle riforme che fecero del Terzo Reich l’unica economia di successo nel grande gelo degli anni Trenta.

E allora perché non delibare le idee del “rosso” Corbyn? Tanto più che come “quantitative easing per il popolo” questi non intende, come Beppe Grillo, mettere soldi direttamente nelle tasche della gente come reddito di cittadinanza. No. Come ha detto, lui intende “per esempio, dare alla Bank of England un nuovo mandato per alzare il livello della nostra economia investendo su abitazioni su larga scala, energia, trasporti, e progetti digitali”. E come ha precisato Richard Murphy, il primo consigliere economico di Corbyn (è un teorico della giustizia fiscale), ciò si otterrebbe così: con la banca centrale che compra il debito emesso “da una nuova banca di investimento pubblica, il cui ruolo sarebbe di finanziare” tutte le infrastrutture di cui sopra, creando posti di lavoro e ammodernando la struttura economica.

“Questo non è il vecchio solito socialismo, è un pensiero radicalmente nuovo”, riconosce Robert Peston, direttore economico BBC; anche se magari qualcuno potrebbe trovarvi l’eco di una cosa italiana, si chiamava Istituto della Ricostruzione Industriale con le sue tre banche nazionalizzate, e che la sinistra (da Prodi ad Amato ed oltre) ha smantellato regalandola ai privati, che le era stato ordinato dal Capitale. Naturalmente Preston si affretta ad aggiungere le formule prescritte dal dogma: il rischio è l’inflazione, il calo del valore della sterlina, il superindebitamento pubblico. Ma in un clima di deflazione il primo guaio sarebbe in parte un beneficio, il secondo un auspicio (più competitività per l’economia inglese), e quanto al terzo, un altro consigliere di Corbyn, Adair Turner (ex capo dell’Auhority dei Servizi Finanziari) propone che la banca centrale “faccia un passo in più rispetto al quantitative easing per le banche, e crei denaro per effettivamente annullare il debito”.

Se vi pare un’idea troppo ardita per il dogma liberista-monetarista, si sappia: Ron Paul ha proposto che gli Usa cancellino i loro 1700 miliardi di debito. Ciò potrebbe avvenire in modo che vi parrà inaudito, liberisti dell’ultima ora: “La Fed è legalmente autorizzata a restituire il debito al Tesoro, perché venga distrutto”. O, come ha specificato Ellen Brown, “Il governo può ridurre il debito prima riacquistandolo e poi cancellandolo. Il debito può essere riacquistato anche con ‘banconote senza-debito’, del genere di quelle emesse durante la guerra civile [i greenbacks]” da Abraham Lincoln. La moneta di Stato! Udite e scandalizzatevi.

Insomma: in Usa se ne parla, in Inghilterra la Corbynomics non sembra più tanto una bestemmia: l’Establishment sta calcolando quanto gli costerebbe, e se non gli costerebbe di più rischiare una rivolta sociale continuando ad imporre le ricette liberiste austeritarie…ricette che peraltro sono più di Berlino che di Londra, molto più pragmatica ed elastica, meglio dotata di memoria storica, e agghiacciata dal mostro che si sta rivelando la UE.

E in Italia?

Reduce dalla consueta regata estiva sul panfilo in competizione con gli amici miliardari di pari yacht, è tornato Massimo D’Alema. Il leader della sinistra intelligente, sceso dal panfilo, ha fatto un discorso pieno di rabiette e invidiuzze, come il suo solito. Ed ha dato una pugnalatina alla schiena a Matteo Renzi. È la sua specialità, pugnalare gli “amici”, chiedete a Prodi. È il suo storico apporto da statista.

Per la verità ha anche fatto una proposta alternativa. Meglio, una domanda: “Andremo alle elezioni con Alfano, Cicchitto e Verdini o cercheremo di ricostruire il centrosinistra? Quello con i conservatori è un abbraccio mortale, come si è visto con i socialisti greci. Io voglio capire, da studioso, cosa farà il Pd”. Insomma lui punta a una novità radicale: rifare l’Ulivo. Con SEL aggiunto, capeggiato da Vendola.

Criticatemi pure, ma mi succede questo: ogni volta che mi metto di buona volontà a scrivere contro Matteo Renzi, il Cacciapalle, appare D’Alema. O Bersani. Quelli che hanno dato la forza che non aveva a Mario Monti, quella sinistra che ha accettato ed eseguito gli ordini del capitalismo di rapina, dell’eurocrazia oligarchica, di Draghi, di Goldman Sachs, di Merkel…non è che ami Renzi. È che a criticarlo sia D’Alema, o Bersani il suo tirapiedi, che me lo fa preferire.

 

 Maurizio Blondet

 
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30 Agosto 2015

 

Da Rassegna di Arianna del 25-8-2015 (N.d.d.)

 

Dopo la macabra uccisione di Khaled Asaad, 82 anni, ex capo della direzione generale delle antichità e dei musei di Palmira, i terroristi dello Stato Islamico hanno distrutto il tempio di Baal Shamin, uno dei gioielli dell’antica città romana della Siria. Due notizie che hanno destato l’attenzione della comunità internazionale, dalla quale si è levato un coro unanime di condanna e di sdegno. La stessa comunità internazionale ha però taciuto sulle altre morti di Palmira, ignorando il sangue versato dai civili e dalle centinaia di soldati siriani che hanno combattuto per difendere il patrimonio Unesco dell’umanità dalla furia criminale dei jihadisti.

Nello scorso luglio, l’Isis ha diffuso un video che mostrava un’esecuzione di massa di 25 soldati siriani, uccisi da ragazzini, nelle rovine dell’anfiteatro di Palmira. Secondo quanto si descriveva nel filmato, l’esecuzione sarebbe avvenuta poco dopo la conquista della città, il 21 maggio. I soldati siriani furono uccisi a colpi d’arma da fuoco davanti ad una bandiera dello Stato Islamico. Nel video, le vittime apparivano in uniforme militare di colore verde e marrone. A ucciderli sarebbero stati degli adolescenti, ma anche dei bambini, vestiti con tute mimetiche e con il capo coperto da bandana marroni. Un rituale dell’orrore in cui i carnefici erano essi stessi vittime. Come gli spettatori, dato che ad assistere all’esecuzione c’era un gruppo di persone, tra le quali molti bambini, sedute sui gradini dell’anfiteatro romano.

Di fronte a tutto questo, la comunità internazionale ha preferito tacere. Esattamente come il circuito mediatico internazionale. L’informazione italiana, come spesso capita, si è appiattita sulla linea del silenzio più totale. Poi, d’incanto, con la morte di Khaled Asaad – decapitato davanti a un pubblico che ha assistito all’esecuzione e poi appeso a una colonna – si è ricordata che a Palmira c’erano ancora i mostri dello Stato Islamico, quei mostri che anche la distrazione dell’opinione pubblica ha contribuito a generare.

Quando si parla di Palmira tutti, ma proprio tutti, lo fanno in maniera asettica, decontestualizzando ciò che sta accadendo in quella parte della Siria. È una strategia chiara, che punta ancora una volta a disinformare. La verità, l’unica e inoppugnabile, è che la riconquista della «sposa del deserto» è affidata esclusivamente all’esercito di Damasco e ai suoi alleati. Che piaccia o meno, il sangue versato per salvare l’antica città romana di Palmira è tutto in quella bandiera che la comunità internazionale ha ripiegato dopo aver chiuso le ambasciate di una nazione che mai aveva minacciato la sicurezza di altri Stati. Lo ha fatto sulla base di false informazioni, di false stragi e armando quelli che ben presto hanno ingrossato le fila dell’ISIS, poi divenuto Stato Islamico.

A Palmira, è dovere giornalistico raccontarlo, solo il cosiddetto «regime di Assad» combatte contro i terroristi, come nel resto del paese. Non c’è traccia della fantomatica coalizione guidata dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita, i cui fallimentari risultati sono sotto gli occhi di tutti. Su quelle operazioni militari c’è un imbarazzante silenzio: non si sa nulla sui raid giornalieri compiuti, sugli obiettivi raggiunti, sul numero dei terroristi (e dei civili) uccisi e feriti. Non è mai capitato nella storia recente che un’azione militare fosse circondata da così tanti misteri. E silenzi. È anche l’ennesima sconfitta di Barack Obama, entrato alla Casa Bianca con l’ambizione di essere il portabandiera di una “politica trasparente”, ne uscirà alla fine con il marchio del presidente delle incompiute, degli slogan e dei misteri (come l’uccisione del capo di al Qaeda, Osama bin Laden).

Detto ciò, appare irritante, anche se comprensibile, la dichiarazione di condanna e sdegno dell’Unesco, che a proposito della distruzione del tempio di Baal Shamin a Palmira ha parlato di un «crimine di guerra» e di «una perdita considerevole per il popolo siriano e l’umanità a causa del vandalismo estremista». Ancora, scrive il direttore generale dell’Unesco Irina Bokova: «La distruzione sistematica dei simboli che incarnano la diversità culturale della Siria rivela le vere intenzioni di tali attacchi che privano il popolo siriano del suo sapere, della sua identità e della sua storia». La Bokova, infine, sollecita «la comunità internazionale a fare prova di unità di fronte al protrarsi di questa pulizia culturale, nella convinzione che malgrado gli ostacoli e il fanatismo, la creatività umana prevarrà». Una posizione a cui si sono accodati anche il governo italiano e francese, attraverso i rispettivi ministri degli Esteri.

Sono parole di circostanza che non produrranno alcun significativo cambio di strategia della comunità internazionale in Siria. Quella strategia ha alimentato per anni una finta rivoluzione, creando contestualmente le condizioni per armare i gruppi più radicali, fino all’affermarsi di al Qaeda e, in seguito, dello Stato Islamico. Di rivoluzionario e genuino c’era ben poco, subito soppiantato dalla violenza alimentata dall’esterno a suon di armi e dollari. Anche così si conquista il Paradiso, senza vergini e a buon mercato.

La guerra in Siria è una delle vicende più semplici da raccontare. Purtroppo oggi è la più complicata da risolvere. Palmira, il suo sito archeologico, l’archeologo decapitato e tutto il resto sono una goccia di sangue nell’oceano sparso in questi anni. C’è un sangue che merita di essere ricordato (e che piace tanto alla stampa e ai governi) e uno che invece viene coperto e nascosto. Quel sangue è quello dei siriani che ogni giorno – indossando la divisa militare di uno Stato sovrano, libero e indipendente – combattono contro un mostro che l’Occidente con una mano bastona e con l’altra accarezza. Tutto il resto è propaganda a buon mercato.

 

Alessandro Aramu 

 
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28 Agosto 2015

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Da Rassegna di Arianna del 25-8-2015 (N.d.d.)

 

Molto importante è comprendere che le scienze empiriche hanno possibilità limitate per esprimersi e incontrano notevoli difficoltà nel momento in cui si tratta di ricostruire dei processi passati che non sono ripetibili e quindi non hanno possibilità di una ricerca immediata.

Tutte le scienze naturali si sviluppano su un piano di ricerca empirica, quindi, tutte le affermazioni debbono essere riferite a fatti che si possono osservare. Tutte le osservazioni debbono essere ripetibili. Le scienze naturali descrivono leggi tramite una ricerca sistematica, analizzando dati e reperti empirici che vengono ricavati da osservazioni della natura ed esperimenti mirati. Tutti noi sappiamo che l’origine della storia della vita sulla Terra può essere ricostruita solo parzialmente tramite i metodi delle scienze empiriche, in quanto gli eventi della loro creazione sono unici, non riproducibili e non direttamente osservabili. L’unica prova per verificare come l’evento è realmente accaduto sarebbe la possibilità di viaggiare nel tempo, quindi nel passato, per verificare come l’origine del creato abbia avuto luogo. Ma ciò sappiamo non essere possibile. Tutto ciò che noi sappiamo relativamente all’origine della vita sulla Terra consiste in indizi riferibili a strati geologici e a fossili (polvere e sassi).

L’accumulo dei dati può creare le condizioni per l’interpretazione storica di un’eventuale evoluzione; i dati possono derivare, oltre che dai fossili, anche da patrimonio genetico delle specie tuttora viventi. Molto importante è comprendere che oltre ai dati si effettuano esperimenti empirici per analizzare processi e meccanismi che si pensa producano uno sviluppo di livello superiore degli organismi viventi. Come evidenziato più in alto noi sappiamo che la storia della vita non è fondamentalmente possibile in quanto non è riproducibile (non possiamo fare ripartire il processo iniziale della storia della vita). Tutte le affermazioni con carattere di legge riguardanti la storia della vita possono essere espresse solamente in modo approssimativo perché il processo è stato di carattere unico. I dati su cui si possono fare deduzioni sono ridotti. Le considerazioni che si possono fare sono delle retrodizioni, cioè si può solamente esprimere ciò che ci si aspetterebbe sia accaduto in passato.

Per noi è molto importante far comprendere che l’aspetto soggettivo dell’analisi dei dati e delle valutazioni è molto rilevante. Infatti gli autori distinguono in due modi differenti le spiegazioni: la prima è quella nomologica deduttiva (si stabiliscono delle ipotetiche leggi da cui si deducono conclusioni che verranno sottoposte ad osservazioni e a esperimenti) e la seconda quella storico narrativa (si cerca di spiegare un presunto scenario storico). Noi sappiamo che oggi sia nel campo dell’empirismo che in quello della descrizione storica si accetta solamente un’interpretazione dei dati che appartenga all’ateismo metodologico in cui si scarta a priori una valutazione che prenda in considerazione lo sviluppo della vita riconducibile a cause trascendenti; significa che per principio si considerano solo i fattori empiricamente percepibili. Il problema è che questa accettazione aprioristica è frutto di una visione dogmatica e non scientifica in quanto vi è all’origine di questo postulato una specifica visione del mondo (naturalismo). Non ci sono motivazioni scientifiche che possano escludere una creazione che trascende il mondo materiale.

Il naturalismo è una corrente filosofica e si basa su un presupposto specifico: nell’universo e nella storia agiscono solo forze naturali. Il naturalismo è un’impostazione ideologica che influisce negativamente nell’interpretazione dei dati riscontrabili. Come già detto non esistono prove che possano dimostrare empiricamente che nella storia della vita operino solo forze naturali. Il naturalismo, base ideologica della teoria evoluzionista, porta assolutamente ad uno sconfinamento dell’interpretazione dei dati fuori dalla scienza; non sono più i fatti riscontrabili ed osservabili ad indurre la comprensione del reale da parte del ricercatore ma è l’impostazione soggettiva che farà interpretare l’osservazione e l’esperimento solo in ambito materialista.

La scienza deve essere libera da presupposti soggettivi riferibili ad un’interpretazione filosofica della vita; molto importante per il progresso della conoscenza della natura è che ci si liberi da ogni presupposto aprioristico sviluppando delle ipotesi che possano essere verificate.

 

Fabrizio Fratus 

 
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