Avviso Registrazioni

Scusandoci per l'inconveniente, informiamo i nuovi utenti i quali desiderino commentare gli articoli che la registrazione deve essere fatta tramite Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

Login Form






Password dimenticata?
Nessun account? Registrati

Cerca


 
  SiteGround web hostingCredits
Una nuova avanguardia PDF Stampa E-mail

12 Giugno 2015

Image

 

Da Appelloalpopolo del 10-6-2015 (N.d.d.)

 

A parlare di storia e di cultura in un frangente come quello che stiamo vivendo, immersi come siamo da anni nella gabbia di vincoli intessuti in una impenetrabile tela formata da algidi numeri e illogici algoritmi, si rischia seriamente di non essere presi sul serio. E, francamente, dopo la recente, patetica e propagandistica scenetta da cabaret recitata dal Premier inerente il disegno di legge sulla scuola, verrebbe voglia di glissare. Ovviamente, la cultura è uno strumento centrale per la formazione della coscienza critica di un popolo. Tuttavia, non possiamo proprio accogliere lezioni sulla cultura da parte di chi, tra i suoi più fedeli seguaci, annovera “luminari” che, convintamente, si rendono protagonisti di affermazioni di tal fatta:

“La cultura umanistica ha fatto il suo tempo. Deve diventare cool, figo, diventare matematici. Lo dico sempre ai miei bambini.” (Davide Serra alla Leopolda. Consulente, finanziere-finanziatore e grande sponsor di Renzi)

Beh, poveri figlioli. Diciamo questo, sia ben chiaro, lungi dal voler in qualche modo osteggiare o sminuire una nobile scienza qual è la matematica, non è evidentemente questo il punto.

Potremmo poi aggiungere le altrettanto recenti proposte del Ministro dell’Istruzione spagnolo José Ignacio Wert, intese a sostituire la filosofia con l’educazione finanziaria, e potremmo andare avanti con altre amenità del genere, ma è meglio risparmiarsi ulteriori mal di pancia. Il problema è serio e riguarda la visione – o la sua totale mancanza – della società e dell’uomo prossimi venturi. L’intento di chi ci governa (o meglio, di chi governa sostanzialmente chi ci governa formalmente) è chiaro: ci vogliono impoverire, svuotare, fiaccare, far regredire, culturalmente ancor prima che economicamente. Vogliono mercificare l’uomo stesso, vogliono renderlo incapace di pensare e di chiedersi il senso del dover vivere una vita col solo scopo di produrre e di essere competitivi, questi i mantra del nostro tempo, togliendogli la capacità di domandarsi se vi sia qualcosa di più elevato per cui spendere quella stessa vita, trasformata ormai in un insignificante fattore contabile.

Ora, le nostre istituzioni, il mondo socio-economico di cui siamo parte e che ci costringe entro le sue ferree regole, finanche le nostre abitudini quotidiane non sono altro che il portato, spesso inconsapevole, di un sostrato culturale e valoriale sedimentatosi in noi senza che neanche ce ne accorgessimo. La cultura è un’entità dinamica, una creazione che presuppone un demiurgo, un artefice, una mente creatrice, essa è un costrutto che plasma le nostre vite, forgia come un fiume carsico le nostre menti, indirizza i nostri comportamenti e influenza le nostre scelte.

Il nostro Paese, dovrebbe essere superfluo ricordarlo, ne è storicamente la patria; un calderone ribollente e splendidamente illuminato dalla sacra fiamma dell’arte, della letteratura, dell’architettura, del teatro, della musica, di tutto ciò che di più nobile l’intelletto umano sia stato in grado di produrre nel corso dei secoli. Ma chiediamoci cos’è che è stato prodotto: pensiero, visione, uomini e società nuove, alternative valoriali ed esistenziali. Eppure, nonostante si sia stati in grado, come popolo e nazione, di essere l’avanguardia culturale dell’umanità, oggi ripudiamo inspiegabilmente ciò che siamo stati, dimenticando quelle energie vitali e creatrici che ci hanno fatto grandi. E ci prostriamo senza motivo a modelli altri, estranei a noi stessi, al nostro spirito, insultando il nostro passato, infangando la nostra dignità.

Orbene, coloro che si autodenigrano non ci servono, come non ci servono coloro che vendono se stessi e la propria storia. Il Paese ha bisogno di una nuova avanguardia storica, un’avanguardia demiurgica, che sia portatrice di una cultura rinnovata, di una coscienza vivificata. Idee, stimoli, visioni alternative, necessariamente radicali, che possano declinare in maniera completamente antitetica a quelle attuali le strutture della società, dell’economia, dell’universo uomo nel complesso.

Continuare a considerare la cultura come l’ultima delle risorse e la politica come un male da estirpare lasciando le nostre coscienze e le nostre vite alla mercé di una logica antinaturalistica che potremmo definire da codice binario o da partita doppia, così da annientare la possibilità di dotarsi di quegli strumenti creativi che soli possono garantire il vero progresso di un paese e di un popolo, significa condannare entrambi al declino, all’inconsapevolezza, alla passività di un’esistenza eterodiretta da chi ti dice “tu devi”. Relegare le capacità trasformative della politica, della cultura e del pensiero critico a ultime ruote del carro – perché questo, come detto, è il vero obiettivo che da anni si persegue – significa condannare un popolo alla schiavitù (che vuol dire appunto accettare acriticamente e senza reagire qualsiasi cosa gli venga imposta).

E allora dobbiamo tornare a combattere aspramente, a coltivare sentimenti e passioni che scuotano gli animi e li risveglino da questo asfissiante coma artificiale, ribellandoci all’annichilimento del pensiero, rifiutando le logiche meramente utilitaristiche ed economicistiche che ci stanno uccidendo, sia materialmente che spiritualmente.

Dobbiamo tornare alla politica e difendere la cultura per tornare ad essere uomini.

Dobbiamo farlo per tornare ad essere Popolo e Nazione.

Dobbiamo farlo per tornare ad essere liberi.

 

Davide Parascandolo 

 
Sul reddito di cittadinanza PDF Stampa E-mail

11 Giugno 2015

Image

 

In uno dei miei sporadici e piuttosto casuali contatti con l'informazione politica, vedo che Renzi ha definito il reddito di cittadinanza "roba da furbi". Questo viene a breve seguito, mi pare, di un'altra presa di posizione contraria da parte della Chiesa Cattolica. Era del resto ampiamente prevedibile. Una questione come quella del reddito di cittadinanza ha implicazioni profondissime, in particolare nella determinazione dei rapporti sociali. Non è il fatto di risorse finanziarie che ci siano o non ci siano, queste sono bazzecole. Con un reddito minimo generalizzato viene meno la condizione di bisogno assoluto, e la possibilità per una parte sociale - gli sfruttatori - di profittarne. Ovvio che si costituisca di fatto una grande alleanza negatoria, che va dagli sfruttatori "democratici" ai "pii sfruttatori" sino naturalmente agli sfruttatori neoliberisti.

Vediamo di mettere un po' a fuoco in che modo si determinano, oggi, i rapporti sociali. I rapporti sociali non sono altro che i rapporti tra le persone, i rapporti personali nell'ambito della società. È il fatto che uno dica a un altro: fai così e così - e quello lo fa. O che addirittura uno vada da un altro e gli dica: dimmi cosa vuoi che faccia e lo farò. I rapporti sociali sono allo stato attuale determinati pressoché completamente dal denaro. Qui bisogna fare molta attenzione. Si è portati facilmente a vedere le possibilità date dal denaro solo nell'aspetto diciamo così positivo: la possibilità (di avere, di ordinare...) originata dalla disponibilità di denaro. Ma in effetti la possibilità è data sempre dalla concomitanza di aspetto positivo e aspetto negativo: disponibilità di denaro contro bisogno di denaro. Se voglio che qualcuno venga a pulire il mio gabinetto non mi basterebbe di per sé avere una grande disponibilità di denaro: se tutti abbiamo una certa disponibilità non verrà nessuno. Con un reddito minimo e senza bisogno assoluto potrebbe non trovarsi più chi vada a pulire i gabinetti di politici, burocrati, imprenditori e prelati.

Dette queste cose, preciserei che personalmente ho una considerazione positiva del reddito di cittadinanza in prospettiva contingente, ma niente affatto in prospettiva assoluta. Nella contingenza il reddito minimo garantito avrebbe un certo senso di giustizia. Questa civiltà ha provveduto a toglierci le possibilità di procurarci autonomamente, nella natura e col proprio lavoro, il nostro fabbisogno economico. Una disponibilità monetaria concessa costituirebbe una forma di compensazione.

In prospettiva assoluta, invece, il reddito di cittadinanza non può che vedersi come un portato della civiltà industriale, una distribuzione della produzione industriale massiva. Avrebbe cioè il proprio fondamento, in definitiva, nell'inumanità e nei guasti della civiltà industriale.

Col reddito di cittadinanza come viatico, io vedo il passaggio alla positività compiuta delle comunità locali di autoproduzione e autoconsumo, all'integrità umana dell'essere direttamente partecipi nella necessaria produzione economica, senza l'intermediazione subdola e violenta del denaro.

Enrico Caprara

 
Un semestre di fuoco PDF Stampa E-mail

10 Giugno 2015

Image

 

Da Comedonchisciotte dell’8-6-2015 (N.d.d.)   

 

Giugno-Novembre: inizia un semestre di fuoco. Prima che Cina e Russia arrivino a formare una solida alleanza non solo politica, economica, finanziaria, valutaria ma anche militare, e prima che esplodano le contraddizioni economiche del capitalismo occidentale, gli USA hanno urgenza e necessità di anticipare i tempi ed arrivare ad uno scontro decisivo che impedisca la formazione di un secondo asse di potenza nel pianeta, alternativo all'unipolarismo USA e contemporaneamente distrarre l'attenzione delle popolazioni dagli effetti della crisi economica.

Russia e Cina ne sono già coscienti e si stanno preparando, fermo il loro interesse strategico a rinviare lo scontro frontale e a prendere tempo, possibilmente senza arretrare.

Il semestre inizia con questo giugno gravido di eventi, tra i quali tutti a fine mese:

il rinnovo delle sanzioni europee alla Russia (con gli USA fortemente determinati a rinnovarle e gli europei indecisi);

la ratifica del controverso accordo con l'Iran (con Neo-cons. americani, Israele, Arabia Saudita fortemente intenzionati a contrastarlo);

la decisione del FMI sull'accettazione della moneta cinese all'interno del paniere di monete dei Diritti Speciali di Prelievo (insieme a dollaro euro yen);

la scadenza della trattativa sul debito greco, con tutti gli effetti geopolitici che la questione sta assumendo;

l'avvio della operazione militare a guida italiana sulle coste libiche.

Luglio vedrà la riunione della SCO (una alleanza militare asiatica a guida russo-cinese) che dovrà decidere sulle richieste di adesione, tra gli altri, di Iran, India, Pakistan.

Sempre a Luglio si riuniranno gli esponenti della Banca dei BRICS per muovere i primi significativi passi alternativi a FMI e Banca Mondiale.

Nel corso del semestre assisteremo all'accelerazione degli USA per costringere la UE a firmare il TTIP (ed in Asia l'accordo Transpacifico), in contrapposizione all'avanzare degli accordi inter-statali per "la nuova via della seta" cino-russa e alla nuove linee dei gasdotti russi per le forniture energetiche all'Europa.

Luglio-Agosto vedranno negli Stati Uniti la prima e più vasta esercitazione militare per il controllo del proprio territorio, a riprova di come sia prevista una precipitazione della crisi economica e relative rivolte sociali, di cui abbiamo già visto i segnali a Ferguson e Baltimora. Non è quindi escluso un nuovo manifestarsi della crisi strutturale del capitalismo occidentale, che da anni cerca di rinviare l'esplosione delle proprie contraddizioni economiche e sociali ricorrendo al debito ed alla iper-stampa delle proprie valute imposte al resto del mondo.

A Settembre vi sarà in Europa la più grande esercitazione della Nato dalla fine della seconda guerra mondiale.

Sempre entro la fine del semestre avremo la decisione degli organismi finanziari internazionali sulla definitiva consacrazione della valuta cinese come valuta internazionale, decisione non più rinviabile e che sancirebbe l'avvio della de-dollarizzazione su larga scala negli scambi commerciali internazionali.

In questo contesto geo-economico e politico si inseriscono gli scenari dei conflitti già aperti, quello ucraino, quello siriano/irakeno/mediorientale, quello libico e quelli potenzialmente pronti ad essere aperti, quali la Transnistria, le isole del Mar Cinese Meridionale. Altri scenari a minor intensità riguardano i Balcani (Macedonia e Grecia in testa) e gli Stati sovrani dell'America latina, in primis Venezuela, Brasile, Argentina.

Tutti scenari che possono essere utilizzati dagli USA per rafforzare il proprio egemonismo e accelerare lo scontro con Russia/Cina.

Un semestre dunque caldo, molto caldo.

Riguardo al rinnovo delle sanzioni europee alla Russia, cosa inventeranno questa volta gli USA ed il loro regime fantoccio in Ucraina per costringere la UE a superare le proprie titubanze? La volta precedente gli USA dovettero far abbattere dal governo ucraino un aereo di linea, e questa volta? Una grande nuova provocazione? Un nuovo grande attacco su larga scala del regime ucraino in Donbass, incolpandone i russi? O una aggressione alla Transnistria per provocare l'intervento russo? In questo scenario cosa voglion dire la nomina del loro agente georgiano Sakhasvili a Sindaco di Odessa, lo spostamento di missili anti-aerei ucraini tra Odessa e la Transnistria e, sulla costa adiacente il posizionamento di navi da guerra USA? Russi e cinesi lo sospettano, tanto che per la prima volta hanno appena svolto esercitazioni navali congiunte nel Mar Nero.

Per gli Usa spingere l'Europa a nuove sanzioni anti-russe sarebbe un successo sia nel continuare l'isolamento europeo della Russia sia nel portare l'Europa nel vicolo cieco economico e politico che la costringerà a firmare il TTIP. Firma che vorrebbe dire unificazione anche economica delle forze NATO, avanzamento dell'accerchiamento di Cina e Russia, piegamento totale dell'Europa ai voleri delle multinazionali Usa ed alla legislazione dei loro tribunali con buona fine delle legislazioni sociali e sovrane dei singoli Stati europei.

Nel piccolo, il recente scontro tra Usa e Fifa comprende entrambi questi elementi: abituare gli europei che la legislazione Usa prevale anche in Europa, e continuare l'isolamento della Russia tentando di annullare i prossimi mondiali in territorio russo. In questo scontro gli Usa hanno utilizzato una versione delle rivoluzioni colorate, quella della rivoluzione contro la corruzione.

Con la cooptazione forzata dell'Europa nel TTIP, gli USA uniscono il capitalismo occidentale contro il resto del mondo, andando allo scontro nelle migliori condizioni possibili e con un esercito irregolare come quello jihadista; mancherebbe poi solo di separare l'India dall'asse BRICS e qualche altro decennio di sopravvivenza forse lo conquisterebbero.

 

Luigi Ambrosi 

 
Capitalismo senza borghesia PDF Stampa E-mail

8 Giugno 2015

Image

 

Da Appelloalpopolo del 5-6-2015 (N.d.d.)

 

Mi sembra che il tema della dicotomia destra/sinistra, con le tesi contrapposte della sua perdurante validità oppure del suo superamento, sia sottinteso in alcune delle discussioni a cui abbiamo assistito negli ultimi tempi (per esempio quella relativa a Diego Fusaro). Si tratta però di una tematica che resta spesso sottintesa, o magari accennata e liquidata con poche battute. Il risultato è che sul tema del superamento di destra e sinistra vi è un certo grado di confusione. Penso sia bene provare almeno a dissipare un po’ di questa confusione. Un’occasione per farlo può essere un articolo di Moreno Pasquinelli  che ha il merito di affrontare esplicitamente la questione. In realtà lo scopo ultimo dell’articolo mi sembra sia quello di portare un attacco al tentativo, attribuito a Fusaro, di creare di una forza politica sovranista ma non caratterizzata in termini di destra e sinistra. Non è però di questo che intendo trattare adesso: mi interessa invece discutere la ricostruzione della genesi della tesi sul superamento di destra e sinistra (d’ora in poi, per brevità , la chiamerò ”tesi del superamento”), ricostruzione proposta da Pasquinelli all’inizio dell’articolo. Mi trovo infatti a dissentire su alcuni aspetti di tale ricostruzione, e penso che esplicitare questo dissenso possa essere un contributo a fare chiarezza su questi temi.

Pasquinelli indica due fattori causali per la nascita della “tesi del superamento”: sul piano materiale, la relativa stabilizzazione del capitalismo, avvenuta dopo i turbolenti anni Settanta del Novecento, e la conseguente “cetomedizzazione” dei ceti subalterni. Sul piano intellettuale, le critiche al marxismo sviluppate dal mondo intellettuale post-strutturalista, e in generale l’egemonia conquistata dalla “narrazione” intellettuale post-modernista. Il complesso di queste correnti intellettuali (lo “spirito del tempo”, potremmo dire) convergeva nella tesi che “le società occidentali non erano più capitalistiche ma strane amebe “post-borghesi” “. Queste posizioni avrebbero influenzato alcuni autori di estrazione marxista, come Preve. Ma con la crisi attuale esse avrebbero dimostrato di avere il fiato corto: “L’apparenza che fossimo entrati in una società post-capitalistica e post-borghese, che la storia fosse finita, che la lotta di classe fosse un ricordo di tempi andati, ha lasciato tracce ma sta esaurendo la sua forza espansiva”. La crisi, secondo Pasquinelli, porterà alla ripresa della lotta di classe e quindi alla ripresa dell’opposizione di destra e sinistra.

Fin qui l’articolo di Pasquinelli, che ho riassunto nella parte che mi interessa discutere. Credo che nel tentativo di dissipare la confusione che, come ho detto, mi sembra addensarsi in questi dibattiti, sia necessario cercare di delimitare l’oggetto della discussione. È chiaro infatti che alla “tesi del superamento” ci si può arrivare con percorsi molto diversi, ed essa può quindi avere valenze diverse. In questo articolo discuterò un ambito preciso nel quale è stata elaborata questa tesi: il gruppo intellettuale che ha pubblicato la rivista “Koiné” nella seconda metà degli anni Novanta. Farò riferimento al pensiero di Massimo Bontempelli e Costanzo Preve, che sono stati i principali “riferimenti filosofici” della rivista. Con una ulteriore precisazione: per quanto riguarda Bontempelli mi riferisco all’intero ambito della sua produzione, che conosco bene sia per letture sia per frequentazione personale. Per quanto riguarda Preve mi riferisco alla sua produzione degli anni Novanta, che conosco meglio di quella successiva. Fatte queste premesse, vediamo in che cosa la ricostruzione di Pasquinelli mi sembra poco convincente, almeno in riferimento al pensiero di Bontempelli e Preve.

1.Il post-modernismo: Pasquinelli, come si è detto, vede l’origine intellettuale della “tesi del superamento” nel pensiero post-strutturalista e in generale nella temperie culturale post-moderna che è egemone nel mondo occidentale almeno a partire dagli anni Ottanta. Una tale affermazione a me sembra falsa se presa in senso stretto, e vuota se presa in senso generico. Vediamo quest’ultimo punto: proprio perché il post-moderno è il pensiero egemone da decenni, è lo “spirito del tempo” (come scrivevo sopra), è ovvio che in un modo o nell’altro ne siamo stati tutti influenzati: Bontempelli, Preve, io, Pasquinelli e così via. Ma questa ovvietà non dice chiaramente nulla sul modo specifico in cui questa influenza viene elaborata: è una vuota banalità. Se si va a vedere il contenuto specifico delle tesi fondamentali di Bontempelli e Preve, si scopre che esse si contrappongono frontalmente alle tesi fondamentali del post-modernismo, e quindi la tesi dell’influenza di quest’ultimo sui primi, se presa in senso stretto, cioè come affermazione del fatto che le tesi post-moderniste si ritrovino nel pensiero di Bontempelli e Preve, è semplicemente falsa. Infatti, qual è la tesi fondamentale del post-modernismo? Mi sembra che si possa sintetizzare nella tesi della non esistenza della Verità in senso forte, nel senso che la tradizione filosofica occidentale ha ad essa attribuito. Ma la tesi fondamentale del pensiero filosofico di Bontempelli e Preve è proprio quella del carattere veritativo della filosofia. Chi sono i pensatori di riferimento del post-modernismo? Molti e variati, naturalmente, ma credo si possa affermare che Nietzsche e Heidegger sono gli autori imprescindibili. Chi sono gli autori fondamentali per Bontempelli e Preve? Anche qui molti e vari, ma il riferimento fondamentale è ad Hegel e Marx, precisamente le due “bestie nere” del post-modernismo. Tutto questo è indice di una contrapposizione radicale fra il pensiero di Bontempelli e Preve e la temperie culturale post-moderna. Per mostrare questa contrapposizione si potrebbero portare citazioni dall’intera produzione di questi due autori, ma per brevità mi limito a una citazione per uno, prese entrambe da un libro che mette assieme un testo di Bontempelli e uno di Preve: “Nichilismo Verità Storia”, edizioni CRT 1997.

Bontempelli: “Il mondo storico umano contiene dunque in sé, come suo fondamento assoluto di verità, una articolazione universale e immodificabile di significati ontologici, che rappresentano, nella loro unità dialettica, la verità fondativa dell’essere sociale” (pagg.99-100).

Preve: “In Hegel la verità diventa correttamente l’oggetto di una scienza filosofica […]. La sua eredità non viene però raccolta […]. Invece della corretta nozione hegeliana di scienza filosofica, basata sulle reciproca connessione essenziale delle parti nell’intero che ne esprime la verità, si affermano nella modernità due concezioni separate e incomunicabili di scienza e filosofia.” (pag.127).

È immaginabile che un pensatore post-moderno possa scrivere frasi del genere? A me sembra di no.

Riassumendo: il pensiero di Bontempelli e Preve si contrappone frontalmente alle tesi fondamentali del pensiero post-moderno, quindi l’idea che la “tesi del superamento”, almeno nella forma che assume in Bontempelli e Preve, sia derivata dalla temperie culturale post-moderna, appare difficile da sostenere.

2.Capitalismo e borghesia. La “tesi del superamento” è da Pasquinelli collegata alla tesi che la società contemporanea sia una società post-borghese e post-capitalistica. Ma quest’ultima tesi non ha davvero nulla a che fare con quanto hanno teorizzato Bontempelli e Preve. Essi hanno sostenuto una cosa completamente diversa, cioè che la società attuale è una forma di capitalismo post-borghese. Naturalmente, una simile tesi ha senso solo se si comprende che per Bontempelli e Preve la nozione di “borghesia” è distinta da quella di “capitalismo”. Non è qui il luogo per approfondire questo tema (certo molto importante), quello che voglio sottolineare è che per i due autori in questione la società moderna è una società capitalistica contro le cui ingiustizie occorre lottare, e quindi è completamente fuorviante iscriverli al gruppo dei pensatori che hanno creduto alla fine “di ogni idea di emancipazione rivoluzionaria dal capitalismo”, come scrive Pasquinelli. La cosa buffa è che questo punto, oltre a ricorrere continuamente negli scritti di Bontempelli e Preve, è anche facilmente ricavabile dal passo di Preve che lo stesso Pasquinelli cita. Infatti in esso Preve parla della classe dominante “in un primo tempo borghese-capitalistica e oggi semplicemente capitalistica (e post-borghese)”: dove si capisce chiaramente che quanto Preve sostiene è il carattere capitalistico ma non borghese dell’attuale classe dominante (e quindi, come si inferisce facilmente, degli attuali rapporti sociali). Naturalmente, la tesi della distinzione fra borghesia e capitalismo può essere discussa, criticata e rifiutata, ma non può essere stravolta. Inserire Preve (o Bontempelli) nel calderone di chi teorizza una società genericamente post-capitalistica, come sembra fare Pasquinelli, è davvero fare violenza alla verità.

Questo era quanto mi sembrava necessario dire per contrastare quella che ritengo una ricostruzione poco convincente delle origini intellettuali della “tesi del superamento”, almeno nella forma che tale tesi assume in Bontempelli e Preve.

Pasquinelli solleva però molti altri temi, indipendenti dalla discussione sul pensiero di Preve, e meritevoli di una esame approfondito, che non posso fare qui per non allungare ulteriormente questo articolo. Mi limito ad accennare brevemente a due punti importanti.

Per prima cosa, osserviamo che Pasquinelli sembra ritenere che la ripresa dello scontro di classe, inevitabile nella attuale situazione di crisi generale del capitalismo, porterà alla ripresa della contrapposizione di destra e sinistra. Questo perché egli ritiene che la dicotomia di destra e sinistra “inequivocabilmente scaturisce” dalla “opposizione tra le classi”: ma è proprio questo il punto in questione. La questione, cioè, non è se esistano il capitalismo o la lotta di classe, la questione è se la lotta di classe nel capitalismo si rappresenti politicamente sempre e comunque nella forma della contrapposizione di destra e sinistra. Secondo Bontempelli, e secondo l’autore di queste righe, non è così: la contrapposizione di destra e sinistra è una forma particolare dello scontro politico all’interno del capitalismo, che è stata superata dagli sviluppi recenti delle società capitalistiche. Naturalmente, per capirci, occorre mettersi d’accordo su cosa si intende per sinistra (e destra). La nozione proposta da Bontempelli e me si può trovare nei nostri scritti. In estrema sintesi, in questi testi sosteniamo che la sinistra è il luogo culturale e politico che nella modernità ha coniugato le istanze di emancipazione dei ceti subalterni con le istanze di sviluppo economico e tecnologico. La sinistra è stata vitale finché è stato possibile pensare di ottenere l’emancipazione attraverso lo sviluppo. Da alcuni decenni siamo entrati in una situazione nella quale lo sviluppo economico è essenzialmente de-emancipatorio, e questo toglie lo spazio vitale della sinistra.

Questa, dicevo, è la nozione di sinistra da noi utilizzata. Ovviamente, quanto appena detto rappresenta una semplice enunciazione dogmatica, non argomentata, di alcune tesi. Le argomentazioni si trovano nei testi citati. Riporto qui tale enunciazione solo per spiegare che la tesi del superamento di destra e sinistra è strettamente legata ad una precisa definizione di cosa si debba intendere per “sinistra”.

Vengo allora all’ultimo punto che volevo discutere: qual è la definizione di “sinistra” cui fa riferimento Pasquinelli? Essa non è esplicitata nell’articolo che stiamo discutendo, ma si trova, espressa con tutta la chiarezza necessaria, in un commento ad un altro post pubblicato su “Sollevazione”: “considero di sinistra chi e solo chi postula come necessario fuoriuscire dal capitalismo per una società dove la ricchezza venga equamente distribuita fra tutti e quindi i mezzi di produzione non siano più strumenti per i privilegi di una classe sociale (capitale) ma beni comuni, proprietà sociale”. Cioè per Pasquinelli “sinistra” è definita come “anticapitalismo socialista” (distinto quindi da un eventuale anticapitalismo reazionario o fascista). Questa è una definizione chiara e precisa, ma ha un difetto: è in contrasto col significato che la nozione di “sinistra” ha avuto nella storia, perché esclude la sinistra riformista (nel senso storico della parola “riformismo”, che non è ovviamente quello attuale). La sinistra è stata storicamente il luogo politico di chi lottava per l’emancipazione dei ceti subalterni, ma questa lotta non coincideva necessariamente con l’anticapitalismo. Nella sinistra si sono incontrati i rivoluzionari e i riformisti, chi voleva superare il capitalismo e chi nella sostanza lo accettava cercando di indirizzarne gli sviluppi a favore delle classi subalterne. Se questo è vero (e mi pare innegabile che lo sia), introdurre l’anticapitalismo come condizione necessaria nella definizione di “sinistra” significa in realtà rifiutare la nozione di “sinistra” come è storicamente esistita, e introdurre una nozione nuova. Questo vuol dire che Pasquinelli rifiuta anch’egli la sostanza della nozione storica di “sinistra”, ma invece di mettere da parte il nome assieme alla sostanza, preferisce tenersi la scatola con l’etichetta “sinistra” dopo averne cambiato il contenuto. Si tratta di una scelta teorica che non contribuisce, mi sembra, alla chiarezza intellettuale.

Marino Badiale 

 
Freedom Act PDF Stampa E-mail

7 Giugno 2015

Image

 

Houston 1 Giugno 2015 - Ecco la notizia nei titoli della stampa italiana:

Repubblica: “Nsa, sospese le intercettazioni. Slitta la riforma del Patriot Act”. Rand Paul, senatore repubblicano e candidato alla Casa Bianca, è riuscito a bloccare il rinnovo della sezioni del Patriot Act, in particolare la sezione del 215, fino alla sua scadenza alla mezzanotte di ieri.

Il Giornale: "Il Senato fa scadere il Patriot Act. È allarme per l'anti-terrorismo. "L'ostruzionismo di Rand Paul, candidato alla Casa Bianca nel campo repubblicano, ha portato a una seduta che si è protratta a lungo durante la notte, con la scadenza dei passaggi del Patriot Act alla mezzanotte del 31 maggio.

Il fatto quotidiano: "Usa, fine del Patriot Act. Da Senato stop a legge antiterrorismo e intercettazioni. "È una vittoria di Rand Paul, il repubblicano libertarian candidato alla presidenza nel 2016, che si è battuto contro i poteri di ingerenza delle agenzie federali nelle vite dei cittadini. Decadono la clausola che permette la raccolta indiscriminata di dati delle telefonate e il potere di indagare senza mandato i “lupi solitari”, presunti terroristi non legati ad alcun gruppo.

Ebbene, diciamo anzitutto che non di terremoto si è trattato, ma di un segnale di cambiamento sicuramente. Da ieri, per la prima volta in 14 anni, è possibile effettuare chiamate telefoniche o inviare sms, senza che i ficcanaso del NSA sappiano chi abbiamo chiamato e quanto a lungo abbiamo parlato. Infatti, domenica sera, per la prima volta dopo l’9/11, il Congresso ha votato una limitazione alle intromissioni di polizia e intelligence nella vita dei cittadini americani e non solo.

Beh, sembrerebbe una notizia fantastica per tutti coloro che hanno a cuore la libertà, no?

Sì e no.

Quanto c’è di vero in questa notizia?

Allora, innanzitutto va detto che questa per metà è certamente una buona notizia – il cui merito va tutto a Edward Snowden, senza il quale nessuno avrebbe mai saputo come da anni gli spioni federali intercettavano e conservavano illimitatamente ogni conversazione telefonica, ogni email, ogni dato personale, ogni dato di navigazione internet di centinaia di milioni di cittadini ignari dentro e fuori i confini degli Stati Uniti – ma c’è l’altra metà che non è poi così convincente.

Perché, in effetti, questa decisione – arrivata all’ultimo momento, dato che si sapeva da tempo che a mezzanotte sarebbero scadute tre delle misure controverse del Patriot Act, una delle quali è quella della raccolta "a strascico", prevista dalla sezione 215 - è stata come al solito una farsa parlamentare in quanto il Senato, controllato dai repubblicani, non è semplicemente stato in grado di raggiungere i voti necessari per rinnovare i poteri di sorveglianza. Lo stop era dunque inevitabile, anche considerando che una delle tre misure contestate era stata utilizzata – peraltro in modo improprio - come giustificazione giuridica da parte del NSA per raccogliere tabulati telefonici e altri dati personali di milioni di americani senza mandato né indizi.

Il programma della raccolta dati è stato ripetutamente giudicato illegale, e non solo da esperti legali ma anche da una corte d'appello federale il mese scorso. Oltretutto, a parte la violazione indiscriminata della privacy dei cittadini, questo programma si era dimostrato privo di qualsivoglia risultato positivo documentato sulla sicurezza nazionale. La sua fine era pertanto inevitabile, in particolare da quando la Camera - con una schiacciante maggioranza - aveva approvato, il 13 maggio scorso, il cosiddetto Freedom Act. Si tratta, come ho già avuto modo di scrivere, di un disegno di legge che consente alle compagnie telefoniche di mantenere i tabulati telefonici fino a che la NSA ne fa richiesta ma con autorizzazioni specifiche. Il Freedom Act implica tuttavia il rinnovo dell’autorizzazione di altri due provvedimenti in scadenza del Patriot Act, il primo dei quali rende più facile monitorare le persone che cambiano spesso telefono, mentre l'altro, che non è mai stato effettivamente utilizzato, consente al governo di spiare persone, senza che esse siano legate a un qualsivoglia gruppo terroristico. Non è tutto oro quello che luccica, dunque.

Naturalmente domenica sera si è evitato accuratamente di dar il merito di quanto stava accadendo al vero artefice di tutto ciò, Edward Snowden, senza parlare del leader della maggioranza al Senato, Mitch McConnell, impegnato in un estremo tentativo di ripristinare in qualche modo il Patriot Act al completo.

“Non dovremmo - ha affermato McConnell  - disarmarci unilateralmente mentre i nostri nemici diventano sempre più sofisticati e aggressivi, e di certo non dovremmo farlo spinti da una campagna di demagogia e disinformazione lanciata sulla base delle azioni illegali di Edward Snowden”.

Ma, visto che era una mission impossible per mancanza di consensi in aula, McConnell – republican duro e puro – si è finalmente arreso all’evidenza, lasciando il campo al senatore Rand Paul, il quale ha cercato di conciliare due realtà difficilmente conciliabili: l’opposizione alle violazioni della privacy dei cittadini e la sua campagna per la presidenza.

Paul, pur avendo affermato, a proposito di chi criticava la sua posizione: “Io penso che alcuni di loro segretamente sperano che ci sia un attacco in modo che possano dare la colpa a me”, nonostante le belle intenzioni, ha di fatto impedito che il Freedom Act passasse prima della scadenza della mezzanotte, anche se nella mozione conclusiva si legge che il voto finale è previsto a metà settimana. Tra i due, ha vinto la sua campagna presidenziale, evidentemente.

In ogni caso la decadenza delle tre misure incriminate del Patriot Act - anche se temporanea - è una vittoria per i sostenitori delle libertà civili per quanto il Freedom Act sia ben diverso da quello che il nome sembrerebbe affermare, in quanto ammette e sancisce alcuni tra i peggiori abusi di sorveglianza di massa del Patriot Act.

In realtà - come sostiene Jennifer Granick giurista di Stanford - il pericolo è che una volta passato il Freedom Act, disegno di legge “piuttosto anemico”, tutti si sbraccino a darsi pacche sulle spalle per la soddisfazione mentre tutto continua come al solito, fino al prossimo appuntamento legislativo sulla sorveglianza, vale a dire a quello relativo alla sezione 702 degli emendamenti FISA previsto per la fine del 2017, e così si ricomincia tutto daccapo.

Insomma, l’impressione è quella di una farsa che faccia di tutto per sembrare vera, in modo che i cittadini - perduti nel labirinto delle norme e contro-norme - possano godersi il piacevole tepore del pentolone mentre c’è chi dietro le quinte soffia sul fuoco […]

Piero Cammerinesi 

 
Imperialismo anglosassone PDF Stampa E-mail

6 Giugno 2015

Image

 

Da Rassegna di Arianna del 3-6-2015 (N.d.d.)

 

Se ci soffermiamo ad analizzare le caratteristiche dell’imperialismo statunitense nella sua proiezione storica dobbiamo considerare che, per quanto questo presenti una propria peculiare  fisionomia, l’imperialismo USA è un diretto discendente ed erede di quello che fu l’imperialismo britannico.

Ci sono delle indubitabili somiglianze storiche fra i due fenomeni che possono essere individuate in particolare nella Storia degli ultimi 70 anni, nell’epoca moderna, senza andare alle origini dell’imperialismo USA, che risalgono a quella che viene considerata dagli storici la prima guerra imperiale degli USA, quella ispano-americana del 1898  per estromettere la Spagna dai suoi possedimenti coloniali e costituire un protettorato di Washington su Cuba, su Puertorico ed avere il controllo sulle Filippine.

Il progenitore dell’imperialismo USA, quello britannico, presentava delle caratteristiche analoghe ma con delle differenze dovute alla sua lunga fase terminale di decadenza, che spinse la Gran Bretagna ad una politica maggiormente repressiva ed aggressiva nell’ultimo periodo della sua storia, esattamente come oggi avviene con la politica imperiale degli USA.

 Il principio essenziale seguito dai britannici nel mantenimento del proprio impero, il più esteso della Storia che abbracciava tutti i cinque continenti, nelle colonie e nei possedimenti della corona britannica, fu quello del “divide et impera” ed è lo stesso principio che attualmente ispira la politica di egemonia di Washington sui vari scacchieri internazionali. Questo principio, che era stato fondamentale per il consolidamento della dominazione britannica, è stato adottato dai principali consiglieri della Casa Bianca i quali hanno anche pubblicato e teorizzato quale debba essere il sistema a cui deve attenersi la politica di Washington per mantenere la propria egemonia unipolare (vedi: la grande scacchiera di Z. Brzezinski) ed a questo si sono sicuramente attenuti i presidenti delle varie amministrazioni USA succedutesi nella Casa Bianca. Le vicende della ex Jugoslavia negli anni 90, le vicende attuali della Siria, della Libia e dell’Iraq, gli ultimi stati in ordine di tempo, oggetto di “attenzione” da parte della strategia USA, sono lì a confermarci questa teoria.

Il metodo seguito dagli USA è analogo a quello a cui storicamente si attenne la Gran Bretagna nelle sue colonie: esso consisteva in una fondamentale tendenza alla manipolazione delle identità etniche e razziali, per dividere e dominare le popolazioni assoggettate all’impero coloniale di sua Maestà Britannica, un sistema sperimentato per creare incidenti, tensioni razziali e provocazioni studiate per avere il pretesto di scatenare la repressione. Se si leggono le memorie del britannico Colonnello (brigadier) Frank Kitson, questi teorizzò per primo il metodo seguito dalla Gran Bretagna, della manipolazione, metodo che allora venne denominato come ‘pseudo gang’— la creazione di un gruppo sponsorizzato dallo stato, utilizzato per portare avanti alcune azioni di provocazione, per screditare la vera opposizione e fornire il pretesto per l’intervento militare. La strategia venne utilizzata dalla Gran Bretagna sicuramente in Kenia contro le tribù dei “mau mau”, come anche fu utilizzata con successo nell’ Irlanda del Nord. In quest’ultimo paese vennero utilizzate le così dette “squadre della morte” affiliate ai servizi segreti per compiere azioni di violenza che venivano poi attribuite ai “lealisti”.

Potremmo definire queste, in termini attuali, le prime prove di “false flag”, operazioni che l’impero USA ha cinicamente attuato in molte occasioni della sua Storia per creare conflitti e giustificare i propri interventi militari (vedasi il naufragio del Lusitania del 1915 che creò il pretesto dell’entrata in guerra degli USA nel primo conflitto mondiale o l’incidente del Golfo del Tonchino del 1964 che precedette la guerra in Vietnam).  Gli Stati Uniti si sono a loro volta specializzati nei loro interventi nella strategia di generare il caos, destabilizzare un paese (qualora fosse necessario per metterlo sotto il proprio controllo), rovesciare il governo esistente, sobillare le rivalità etniche e confessionali fra le popolazioni (ad esempio: sunniti contro sciiti in Medio Oriente), utilizzare le bande terroriste e mercenarie per seminare paura e distruzione, intimidazione degli avversari.

Tutto il processo viene accompagnato da quello che allora i britannici non possedevano ancora: il totale controllo del gigantesco apparato dei grandi media internazionali (mega media) mediante il quale viene veicolata una massiccia propaganda per manipolare le informazioni, falsare i fatti, demonizzare gli avversari e convincere l’opinione pubblica della necessità di un proprio intervento per “pacificare”,”portare la democrazia” e stabilizzare il paese. Quando la situazione arriva al limite con guerra civile, bande mercenarie incontrollate, distruzioni delle infrastrutture ed elevato numero di vittime civili, allora i tempi diventano maturi per un intervento militare diretto o indiretto che metta in atto il piano predisposto da tempo.

L’intervento statunitense, quasi sempre effettuato con il supporto dei loro alleati regionali, è naturalmente coperto con i finti obiettivi descritti sopra, occultando invece le vere finalità che sono quasi sempre quelle dello sfruttamento delle risorse del paese (petrolifere o minerarie), controllo strategico mediante la creazione di basi militari, instaurazione di un regime fantoccio, manovrato da Washington, in alcuni casi l’intervento degli USA prevede un diverso assetto territoriale con suddivisione del paese in più stati (vedi ex Jugoslavia ieri ed oggi il progetto di divisione per la Libia, quello proposto oggi per l’Iraq,  per la Siria e per la Nigeria).

Le responsabilità per la destabilizzazione avvenuta del paese e per i crimini compiuti  contro i civili  vengono normalmente attribuite alla parte sconfitta ed è frequente imbastire anche un processo presso la Corte Penale internazionale, come avvenne per il leader serbo Milosevic ed come era avvenuto in precedenza per il presidente panamense Manuel Noriega, deposto dagli americani nel 1989. La Storia è costellata di questi episodi come quello della deposizione ad opera della CIA del governo iraniano di Mossadeq, nel 1953, un governo democraticamente eletto, che fu rovesciato e sostituito dall’intervento USA con la salita al potere del premier, Fazullah Zahedi ed il ritorno sul trono dello Scia Reza Pahlawi, un fantoccio degli Stati Uniti.  Questo per non parlare dei numerosi interventi degli Stati Uniti  nel continente Latino Americano (considerato “el patio trasero”) con esempi quali l’episodio del rovesciamento del governo di Jacobo Arbenz Guzmán in Guatemala nel 1954 o con molti altri episodi simili di aperta ingerenza ed interventi militari diretti o indiretti (Cile, Bolivia, San Salvador, Costa Rica).

L’azione degli ultimi anni  svolta dagli USA in Medio Oriente, considerata area strategica per eccellenza, viste  le sue risorse petrolifere e dichiarata fondamentale per  gli equilibri geopolitici,  si è sviluppata  secondo questi schemi con un elemento in più, quello dell’alleanza consolidata di Washington con le monarchie petrolifere dei paesi del Golfo, Arabia Saudita, Qatar, Bahrain, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, che sono gli Stati indipendenti (creati a suo tempo dal colonialismo britannico), quelli che politicamente rappresentano i poteri  più assolutisti, autoritari, retrogradi ed intolleranti di qualsiasi forma di tutela dei diritti umani, tutti di stretta osservanza islamica wahabita e sunnita. Si tratta dei migliori clienti di Washington (e dei paesi occidentali) nell’acquisto di ogni genere di armamenti, attrezzature militari e sistemi di controllo, un enorme business per l’apparato militare industriale degli USA.

Le monarchie del Golfo (dette “petromonarchie”) rappresentano anche  le pedine attraverso cui Washington si muove nell’area (oltre ad Israele)  pianificando interventi, foraggiando eserciti mercenari, appoggiando operazioni di aggressione di altri paesi, effettuando un’opera di sobillazione delle rivalità etniche e religiose nelle altre nazioni della regione. Sono questi anche i paesi che fanno da cassaforte ai petroldollari e tramite questi possono finanziare le guerre per procura pianificate dagli USA per mantenere il controllo su tutta l’area e contrastare eventuali potenze emergenti, come l’Iran, considerate ostili ai propri interessi ed alla egemonia statunitense.

L’imperialismo statunitense si è appoggiato a queste monarchie per attuare   una strategia che ha come suo obiettivo in prospettiva una balcanizzazione della regione medio orientale, mirata ad indebolire e frammentare i paesi arabi più forti e nazionalisti che avrebbero potuto rappresentare un ostacolo alla propria egemonia ed un pericolo per la supremazia militare di Israele. L’attenzione degli Stati Uniti si è rivolta prima verso l’Iraq e successivamente verso la Libia e la Siria.  Tutti sanno ormai come è stata scatenata una guerra di aggressione contro l’Iraq per abbattere il regime di Saddam Hussein e per annientare la sua potenzialità militare e le infrastrutture di quel paese. Il famoso pretesto delle “armi di distruzione di massa” lanciato con grande clamore mediatico e con false prove dell’amministrazione Bush per attuare il piano di intervento, già da molto tempo pianificato, ha dimostrato quali fossero i reali obiettivi degli USA e come fossero già da tempo pianificati.   Si è visto come questo intervento abbia portato il caos e la distruzione di una nazione che era considerata leader nel mondo arabo.

L’intervento degli USA e dei loro alleati non ha apportato alcuna pacificazione ma anzi ha introdotto il terrorismo jihadista (prima inesistente) nel paese ed ha scatenato altre guerre interne fra i gruppi sunniti, sciiti e curdi che costituiscono la popolazione dell’Iraq, grazie ad una attenta opera di sobillazione esterna, facilitata dall’intervento delle bande dell’ISIS, il denominato Stato Islamico, ispirate dall’ideologia wahabita e salafita dell’Arabia Saudita.  Il caos ed il conflitto tra queste bande e l’esercito lealista iracheno è arrivato a tali livelli da far affermare ad esponenti dell’attuale amministrazione USA che è giunto il momento di prevedere un nuovo assetto dell’Iraq con la costituzione di un nuovo stato sunnita, nettamente distinto dall’Iraq sciita e dalla parte curda nel nord del paese. Guarda caso questo era esattamente l’obiettivo della strategia statunitense.

Esistono precise prove e documentazione dell’appoggio fornito dagli USA, dall’Arabia Saudita, dal Qatar e dalla Turchia, nella formazione e nell’armamento di queste bande che non sono calate dalla luna ma sono arrivate attraverso le frontiere della Siria, ove già operavano con il sostegno occidentale per rovesciare il regime di Bashar al-Assad e infiltrate in precedenza dalla Turchia dove hanno goduto dell’appoggio del governo Erdoghan, di un paese, la Turchia, alleato degli USA e parte della NATO. Queste bande, se fossero state considerate ostili agli interessi USA nelle regione, avrebbero potuto essere facilmente annientate dall’intervento dell’aviazione americana, presente con le basi nella zona e che dispone di satelliti e radar per monitorare qualsiasi movimento in un ambiente desertico dove non si può nascondere neanche il passaggio di un gatto all’occhio dei satelliti.

Esistono le proteste delle stesse autorità del governo iracheno che hanno stigmatizzato il comportamento ambiguo delle forze della coalizione antiterrorista costituita a guida statunitense che, ufficialmente con l’intento di combattere l’ISIS, in realtà innumerevoli volte ha rifornito le bande terroriste di armi, munizioni ed equipaggiamenti ed ha bombardato le forze sciite che conducevano la loro battaglia sul terreno. Alcuni di questi episodi sono stati mascherati come “errori” dei piloti statunitensi nell’effettuare gli interventi. Un pretesto a cui non ha creduto nessuno ma che è stato naturalmente nascosto dai media occidentali che continuano a parlare, a sprezzo del ridicolo, dei “grandi sforzi” della coalizione per combattere i terroristi dello Stato Islamico. La propaganda dell’apparato dei media si sforza di occultare la vera natura dell’imperialismo statunitense , stretto erede di quello britannico, che oggi più che in passato è emersa con tutto il  suo cinismo  ed ha mostrato il suo vero volto  con l’appoggio occulto fornito alle orde barbare degli integralisti islamici jihadisti che hanno  sgozzato ed assassinato migliaia di civili, in Siria ed in Iraq mentre la disperata resistenza delle popolazioni, la fuga di milioni  di profughi, le migliaia di vittime, sono state considerate come un fatto marginale o un “danno collaterale” dagli strateghi di Washington che hanno la  responsabilità di aver aperto il vaso di Pandora dei conflitti e delle guerre confessionali nella regione.

Tuttavia in alcune regioni sottoposte alla brutalità degli interventi degli USA, si sono manifestate delle forme di reazione e di resistenza inaspettate, prima fra tutte quella della Siria che da quattro anni combatte per non essere sopraffatta dalle orde mercenarie  assoldate dai sauditi-statunitensi o nella stessa America Latina dove i paesi come Venezuela, Ecuador, Bolivia, Uruguay hanno tenuto testa alle pressioni, ai ricatti, ai tentativi di colpi di stato ed alla sobillazione pilotata da Washington.   Questo rappresenta senza dubbio una speranza di riscatto e dimostra che i popoli hanno compreso quale sia il vero nemico, anche quando questi si presenta con la ingannevole  faccia “civilizzata” degli Stati Uniti e dell’Occidente e di coloro  che pretendono di “esportare la democrazia”.

 

Luciano Lago 

 
<< Inizio < Prec. 161 162 163 164 165 166 167 168 169 170 Pross. > Fine >>

Risultati 2625 - 2640 di 3745