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Sinistra per il capitalismo PDF Stampa E-mail

1 Marzo 2015

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Da Rassegna di Arianna del 24-2-2015 (N.d.d.)

 

Se qualcuno ha creduto in Tsipras e nella possibilità di “cambiare le cose” stando all’interno dell’unione e dell’eurozona, ora deve ricredersi … O almeno, dovrebbe farlo se non è in aperta mala fede.

Che il semestre europeo a guida italiana (presidenza del consiglio dell’unione), nella seconda parte dell’anno scorso, non sarebbe servito a nulla, men che meno a cambiare l’impostazione di fondo della politica unionista, fatta di rigore contabile e distruzione del sociale, era cosa fin troppo scontata. Il gioco era chiaro fin dall’inizio. Renzi tuonava contro le politiche del rigore – rigorosamente applicate dal suo governo, per conto troika – esclusivamente per scopi propagandistici interni, mentre batteva i tacchi e obbediva davanti al potere sopranazionale. Bruxelles, Francoforte e naturalmente Berlino, perché la Germania, kapò euronazista, tiene d’occhio gli altri popoli d’Europa, soprattutto i più deboli, tarpandogli le ali. Le sue proposte, come, ad esempio, escludere gli investimenti dal rigido computo del rapporto fra deficit e pil (< 3%), sfruttando a fondo i mitici finanziamenti europei (i 300 miliardi di Juncker!) per scuole, banda larga e dissesto idrogeologico, non sono che specchietti per le allodole. Ciò che vuole è intorbidare le acque, vendere illusioni, senza mettere minimamente in discussione le politiche del rigore – privatizzazioni per far cassa, i tagli lineari a sanità e sociale, precarietà di massa con lo jobs act – dalle quali non si discosta. 

Tsipras, dal canto suo, ha suscitato speranze di riscatto e di “riforma radicale” delle politiche unioniste non solo in Grecia. Ha promesso aumento delle pensioni, riassunzione di dipendenti pubblici (licenziati per conto troika), rigetto del “memorandum” siglato dal precedente governo e via elencando. Il gioco del gran capo progressista era di vincere le elezioni con un programma centrato sulla cancellazione-rinegoziazione del debito, sul sociale e sul ritorno alla spesa pubblica (welfare, lavoro statale, pensioni), restandosene, però, prudentemente dietro il filo spinato dell’eurolager. Le sue dichiarazioni “europeiste” stridevano non poco con la presunta volontà di ridare dignità, redditi e pane ai greci, ridotti alla fame proprio da un’unione europea ricattatrice e saccheggiatrice … e da una Germania euronazista.

Niente più troika (commissione-bce-fmi) e niente più diktat, cioè “memorandum” a strozzo. Insomma, il suddetto ha fatto credere a un popolo disperato che è possibile avere la botte piena e la moglie ubriaca o, con altre parole, che si può salvare la testa continuando a tenerla sul ceppo del boia. Certo … non si parla più di troika, ma di “istituzioni”, cambiando nome alla stessa cosa e il famigerato “memorandum” i greci se lo scrivono da soli (Tsipras e il suo socio Varoufakis), in base alle riforme pretese dall’eurogruppo. Poi, il rigore può pur essere mascherato da “flessibilità”, e via discorrendo. Nomi nuovi per cose vecchie, tipico imbroglio contro il popolo di una sinistra fatalmente serva del grande capitale finanziario e, “in cuor suo”, neoliberale. Una sinistra molle, effeminata, che nel momento topico abbassa sempre la testa davanti ai sovrani interessi del più forte, cioè del capitale finanziario. Eurogruppo, commissione e tedeschi gongolano, mentre Tspiras e Varoufakis devono spiegare ai greci con le pezze al culo il “mutamento di rotta”.

Che cosa cambia, concretamente? Cambia che Syriza, con un improvviso voltafaccia, dà l’addio al programma elettorale di Salonicco e a (quasi) tutti i buoni propositi, come, ad esempio, la cancellazione di buona parte del valore nominale del debito pubblico e la mitica “conferenza europea del debito”, che avrebbe dovuto determinare una svolta.

Delle seguenti promesse sperticate – Salonicco, settembre 2014 – non resta più nulla, se non qualche buono pasto per chi muore letteralmente di fame e una possibile estensione del salario minimo:

Elettricità gratis per 300.000 famiglie sotto la soglia di povertà fino a 300 kWh al mese per famiglia; cioè, 3.600 kWh l’anno. Programma di sussidi pasto per 300.000 famiglie senza reddito. L’attuazione avverrà tramite un ente pubblico di coordinamento, in collaborazione con le autorità locali, la Chiesa e le organizzazioni di solidarietà. Programma di garanzia abitativa. L’obiettivo è la fornitura iniziale di 30.000 appartamenti (30, 50, e 70 m²), sovvenzionando affitto a € 3 per m². Restituzione del bonus di Natale a 1.262.920 pensionati. Assistenza medica e farmaceutica gratuita per i disoccupati non assicurati. Eccetera, eccetera, eccetera …

In compenso, vi sarà la lotta al contrabbando, all’evasione fiscale e all’elusione. Sappiamo, però, che la lotta alla grande evasione è praticamente impossibile e l’espressione nasconde, sempre di più come accade in Italia, la “spremitura” dei piccoli, dei lavoratori dipendenti e di chi non può sottrarsi. Syriza rinuncia al programma di Salonicco, che aveva riacceso le ingenue speranze dei greci, per un’estensione di soli quattro mesi – nemmeno di sei, come richiesto – del prestito concesso dalla troika … Scusate! Dalle “istituzioni”. Per capire chi ha prevalso, chi ha padroneggiato la trattativa con la Grecia, guardate le facce e le espressioni di Tsipras e Varoufakis, da una parte, e dall’altra quelle dell’olandese (non hooligan) Dijsselbloem, presidente dell’eurogruppo.

In estrema sintesi, la cosiddetta sinistra non rappresenta più le istanze popolari, la tensione verso la giustizia sociale, la difesa degli interessi, sempre più calpestati, delle classi dominate, oppure, come nel caso di Syriza, millanta di volerli fare ma poi va in direzione opposta. Ci sono due livelli di servaggio nei confronti delle aristocrazie neocapitalistiche occidentali, ben simboleggiate dai mercati & investitori. Il primo è quello più esplicito, rappresentato dal piddì e da tutti i suoi esponenti, a partire da Renzi, che idolatra il mercato, l’iniziativa privata e gli onnipotenti, benefici “capitali stranieri” che investono nel paese. Il secondo, più nascosto, apparentemente conflittuale, è quello di Syriza e simili, che promettono mari e monti a una popolazione oppressa, spogliata di tutto dagli appetiti del grande capitale, e poi – quando si arriva alla prova dei fatti – si rimangiano puntualmente le promesse, abbassano regolarmente la testa, applicano programmi politici e misure “impopolari” che si dichiarava di voler superare.

Il problema è dunque la sinistra, squallida ausiliaria delle élite neocapitaliste e dei loro organi sopranazionali di dominio e controllo. Tolta di mezzo – con le buone o le cattive – questa quinta colonna del capitale, si potrà forse sperare nella nascita di una forza politica non-liberale che rappresenti veramente gli interessi delle masse pauperizzate. Purtroppo, in Italia c’è il vuoto assoluto e il pd è sempre più forte e invasivo, mentre in Grecia, visto che il KKE (partito comunista) è ormai un fossile, dopo il collasso di Syriza non resterà che l’incognita Alba Dorata.

Sic et simpliciter

 

Eugenio Orso 

 
Media unipolari PDF Stampa E-mail

28 Febbraio 2015

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Da Rassegna di Arianna del 24-2-2015 (N.d.d.)

 

Il grande interrogativo della geopolitica globale di oggi è se il mondo andrà verso un mondo unipolare a tempo indeterminato dominato dagli Stati Uniti (ciò che con orgoglio – o con arroganza − gli americani chiamano Full Spectrum Dominance, “dominio sull’intero spettro”) o se invece si muoverà verso un mondo multipolare in cui coesistono diversi centri di potere. Dal punto di vista economico il mondo è già multipolare, essendo la quota statunitense del prodotto mondiale lordo di appena circa il 18 per cento (dati 2013) e in costante diminuzione. Allora come mai gli USA sono ancora così dominanti a livello globale? La ragione non è il suo gigantesco budget militare, dal momento che non si può realisticamente bombardare tutto il mondo. Il primo strumento magico che gli Stati Uniti usano per dominare il mondo è il loro dollaro. La parola “magico” è qui licenza non poetica: il dollaro è effettivamente una creatura magica, in quanto la Federal Reserve può crearlo in quantità illimitate dentro i computer, e tuttavia il mondo lo considera come qualcosa di prezioso, pensando comunque ai petrodollari. Il che rende un compito facile per gli Stati Uniti finanziare con miliardi di dollari le “rivoluzioni colorate” e altre sovversioni in tutto il globo, praticamente a costo zero. Questo è un problema grave che ogni mondo che cerca la multipolarità dovrebbe affrontare.

L’altra super-arma degli Stati Uniti è il loro dominio folle dei mezzi d’informazione, qualcosa di molto vicino all’egemonia assoluta, la cui dimensione è fuori dall’immaginazione della maggior parte degli analisti. Hollywood è la più straordinaria macchina della propaganda mai vista in questo mondo. Hollywood trasmette in miliardi di cervelli di tutto il mondo i canoni hollywoodiani per la comprensione della realtà, che includono − ma non solo − il modo di pensare, di comportarsi, di vestirsi, cosa mangiare e bere, fino a come esprimere il dissenso. Sì, Hollywood è perfino in grado di istruirci su come esattamente esprimere il nostro dissenso verso lo stile di vita americano. Solo per citare un esempio (ma ce ne sono molti), i dissidenti occidentali spesso citano il film “Matrix” [1999] per riferirsi a un’invisibile rete di controllo sulle nostre vite, ma anche Matrix fa parte della stessa matrice, se posso metterla in chiave umoristica. Ecco la confezione hollywoodiana del processo di comprensione che viviamo in un mondo ingannevole: utilizzando allegorie, simboli e metafore prodotti negli Stati Uniti, facciamo comunque pienamente parte del loro sistema e quindi contribuiamo a rendere questo reale. Gli Stati Uniti hanno anche il controllo dell’informazione mainstream a livello mondiale, essendo la CIA infiltrata nella maggior parte dei più importanti network. Il giornalista tedesco Udo Ulfkotte, che ha lavorato per la Frankfurter Allgemeine Zeitung, uno dei principali quotidiani tedeschi, nel suo libro bestseller Gekaufte Journalisten ["Giornalisti venduti"] ha recentemente confessato di essere stato pagato per anni dalla CIA per manipolare le notizie, e che questo è del tutto normale nei media tedeschi. Possiamo tranquillamente ritenere che ciò sia molto comune anche in altri paesi. Questo controllo globale sui mezzi d’informazione permette agli Stati Uniti di dominare la guerra della percezione in tale misura da rendergli possibile trasformare facilmente il bianco in nero agli occhi del pubblico. È incredibile come i media europei sotto il controllo americano abbiano potuto distorcere i fatti durante le recenti crisi in Ucraina: la giunta filonazista di Kiev, salita al potere con un colpo di Stato, è stata capace di bombardare e uccidere i propri cittadini per mesi, mentre i media occidentali la raffigurano sempre come la parte buona e Putin è descritto come il nuovo Hitler senza nessun motivo realmente fondato.

Per capire fino a che punto il dominio delle informazioni è di per sé sufficiente a plasmare una realtà effettiva, ricordiamo questa citazione del 2004 attribuita a Karl Rove, all’epoca consulente senior di George W. Bush: «Noi siamo un impero e quando agiamo creiamo la nostra realtà; così, mentre voi studiate quella realtà – con tutto l’equilibrio di cui siete capaci – noi agiamo di nuovo, creando altre nuove realtà che voi potete anche studiare, ed è così che le cose si gestiscono: noi siamo i protagonisti della storia… e a voi, a tutti voi, sarà solamente consentito di studiare ciò che noi facciamo.» E se tutto questo non bastasse, la maggior parte delle informazioni che circolano oggi nel mondo è elaborata da computer con sistemi operativi americani (Microsoft e Apple), mentre le persone − compresi coloro che si oppongono agli Stati Uniti − comunicano fra loro attraverso Facebook, Gmail e altri canali controllati dalla CIA. È proprio questo pressoché totale monopolio dell’informazione che fa la vera differenza. Così, anche se l’importanza economica americana ha subìto un netto declino negli ultimi decenni, la sua influenza sul piano dell’informazione è paradossalmente cresciuta. Perciò i paesi che oggi guardano a un vero e proprio mondo multipolare dovrebbero rivedere le loro priorità e iniziare a competere seriamente sul campo dell’informazione, piuttosto che concentrarsi solo su questioni economiche. Oggi il potere è solo una questione di percezione, e gli Stati Uniti sono ancora gli impareggiabili maestri di questo gioco. Non avremo nessun mondo veramente multipolare fino a quando altri giocatori con competenze analoghe non entreranno in gioco. Ci sono già alcuni casi di servizi di news non allineati con gli Stati Uniti di qualità eccellente e con l’ambizione di un’audience globale, fra i quali i più notevoli sono Russia Today e l’iraniana Press TV, ma questo è ancora poco o niente in confronto al costante tsunami di informazioni audiovisive filoamericane che dilaga in tutto il mondo 24 ore su 24. Russia Today sta progettando di allestire anche canali in francese e tedesco: questo è un passo in avanti, ma ancora lontano dall’essere sufficiente. Gli USA non sono davvero preoccupati dai paesi che li sorpassano nei propri interessi, però cominciano a innervosirsi se questi paesi utilizzano valute diverse dal dollaro per i loro commerci e letteralmente impazziscono quando sullo scacchiere dell’informazione appaiono importanti network non allineati. Il che suona abbastanza strano, dato che la libertà di stampa è un punto centrale della moderna mitologia americana, ma ogni fonte di informazione non allineata con gli Stati Uniti mette appunto in pericolo il loro monopolio della realtà. Questo è il motivo per cui hanno bisogno di demonizzare i concorrenti e di etichettarli come antiamericani o peggio. Tuttavia, spesso i giornalisti o gli editori non allineati sono semplicemente una realtà non americana, non necessariamente antiamericana; ma agli occhi degli egemonisti americani tutte le informazioni non-americane sono per definizione antiamericane, dal momento che la compattezza del loro impero si fonda soprattutto sul loro monopolio della realtà percepita. Ricordate la citazione di Karl Rove. Così, i paesi non allineati con gli USA che veramente aspirano a un mondo multipolare non hanno altra scelta se non quella di imparare dal loro avversario e agire di conseguenza. Al di là della creazione di un proprio news network all’avanguardia, essi dovrebbero anche cominciare a fornire un sostegno concreto all’informazione indipendente nei paesi in cui le notizie sono attualmente controllate dagli Stati Uniti. Giornalisti indipendenti, scrittori e ricercatori dei paesi occidentali oggi stanno facendo il loro lavoro solo per passione civile, spesso non pagati e al costo di pubbliche derisioni, emarginazione sociale e sacrifici economici. Diffamati nelle loro patrie e senza nessun aiuto da parte dei paesi che presumibilmente mirano a sottrarsi al giogo statunitense: questo non è un buon inizio per la fine della Full Spectrum Dominance degli Stati Uniti. Non c’è e non ci sarà mai un mondo realmente multipolare senza una gamma veramente multipolare di punti di vista sulla scena. Un impero postmoderno è più che altro una condizione mentale: se questa condizione rimarrà unipolare, il mondo resterà tale.

 

Roberto Quaglia 

 
Fitna occidentale PDF Stampa E-mail

26 Febbraio 2015

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Da Rassegna di Arianna del 24-2-2015 (N.d.d.)

 

Da Barack Obama al Colosseo di Roma ai tifosi del Feyenoord a piazza di Spagna fino al turismo toscano di Katy Perry. Questo è il vero scontro di civiltà. Decadentismo, ignoranza e barbarie arrivano dal mondo anglo-americano mica da quello islamico.

“È straordinario, incredibile. È più grande di alcuni stadi di baseball dei nostri giorni”, disse un anno fa, in visita al Colosseo di Roma, il capo della Casa Bianca Barack Obama. In queste dichiarazioni c’è tutto il provincialismo – nella sua accezione negativa – dello spirito americano. Due mila anni di storia paragonati ad uno sport moderno ignorato dal resto del mondo.

La storia si ripete, per due volte. Prima a Piazza di Spagna, la settimana scorsa, con i tifosi del Feyenoord che “hanno scambiato – citando Vittorio Sgarbi – la Barcaccia di Bernini per un cassonetto dove buttare palloncini, scatole bottiglie di birra”.  Mentre giornali e televisioni guardavano al Mediterraneo riportando la cinematografia dell’Isis, la beffa è arrivata da Occidente. Nel gesto degli olandesi si legge il carattere vandalico tipicamente anglo-americano di fabbricazione televisiva e consumistica. Non solo inciviltà, vandalismo e ignoranza. Nella messinscena romana c’è il culto della violenza (scontri con la polizia), il consumo di stupefacenti (in questo caso la birra), l’uso di un linguaggio facinoroso (cori e insulti), l’apologia della cultura ghettizzata (hooliganismo).

È la modernità che avanza impietosa. Con Barack Obama, con i tifosi del Feyenoord e per ultimo con Katy Perry, che in questi giorni si è recata in Toscana per turismo, scambiando il patrimonio artistico italiano per il Super Bowl statunitense. Su Instagram la cantante-attrice, ha pubblicato una serie di foto dissacranti: prima ha mimato una prestazione sessuale con la Torre di Pisa, poi ha sfottuto la Venere di Botticelli agli Uffizi di Firenze, infine, ha deriso il David di Michelangelo.

Eccole le nuove icone pop con milioni di followers. Temiamo l’Isis perché il terrorismo dello Star System ha colonizzato il nostro immaginario. Ma lo scontro di civiltà esiste, e non è quello indicato dall’ideologo neoconservatore Samuel Huntington. Il conflitto è all’interno del mondo occidentale. Il nemico dell’Occidente è l’Occidente stesso.

 

Sebastiano Caputo 

 
Dopo Lehman Brothers PDF Stampa E-mail

25 Febbraio 2015

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Qualcuno ricorda forse ancora l’epoca antecedente al collasso di Lehman Brothers: l’impero americano al suo apogeo stazionava in Iraq e Al Qaida piazzava qualche bomba in giro per il mondo, ma nel complesso l’economia mondiale cresceva stabilmente ovunque, i conflitti erano circoscritti a poche zone, si poteva essere sud-europei senza essere “porci” e le vacanze in Egitto erano roba da famiglie con bambini.

Cosa è successo da allora? Perché l’entropia è schizzata alla stelle?

Il mondo, da quando Lehman Brothers è fallita nel settembre del 2008, sembra essere impazzito e scivolato in una tale spirale di caos e violenza da dover tornare indietro di decenni per trovarne un precedente. Da allora abbiamo assistito a: crisi dell’euro, spread btp/bund a 500, governi non eletti guidati da ex-Goldman Sachs e affiliati di Bilderberg, primavere arabe, intervento NATO in Libia con annessa uccisione di Gheddafi, colpi di stato consecutivi in Egitto, guerra siriana, Gezi Park in Turchia, tentato intervento NATO contro Damasco, nascita e proliferazione dell’ISIS, stragi di Boko Haram in Nigeria, golpe di estrema-destra in Ucraina con conseguente annessione russa della Crimea, trattati segreti per il TTIP, guerriglia nel Donbass con annesso abbattimento aereo di linea, sanzioni a Mosca, firma della cooperazione economica sino-russa, tentata rivoluzione colorata a Hong Kong, attentato a Charlie Hebdo e molto altro ancora nei prossimi mesi.

È possibile ricondurre tutti questi eventi apparentemente scollegati ad un’unica narrazione? Quasi certamente sì. Ma se trattarli analiticamente richiederebbe la scrittura di un libro per la cui redazione non abbiamo il tempo e che in ogni caso non distribuiremmo gratis in rete, possiamo comunque offrire due carte geografiche che sintetizzano quanto sta avvenendo in Italia e nel suo estero vicino (Europa, Nord-Africa e Levante).

Sotto la crosta degli avvenimenti scorrono tre fiumi:

l'incapacità dell'economia americana di sostenere l'impero ed il conseguente sgretolamento della pax americana;

la mancata trasformazione dell'eurozona in unione fiscale, complice anche l'affievolirsi dell'influenza americana sul Vecchio Continente, che avrebbe consentito la nascita degli Stati Uniti d'Europa;

la vertiginosa crescita della Cina, divenuta già nel 2014 prima economia mondiale.

Le élite anglofone sono consce che per mantenere il primato mondiale che detengono dal 1945, il Vecchio Continente deve essere inglobato nella sfera americana, per formare una massa economica e demografica tale da competere con i giganti euroasiatici: per tale fine era stato concepito l'euro, prodromo dell'unione fiscale e quindi politica dell'Europa nella cornice UE-NATO.

Il tempo inoltre stringeva perché, nel frattempo, sia l'Eurasia che l'Africa erano in forte crescita, ponendo le basi non solo per una futura competizione con Washington, ma rappresentando anche potenziali rivali nell'aggregazione con il Vecchio Continente: se l'Europa si saldasse all'asse Mosca-Pechino, oppure si formasse un triangolo Europa-Russia-Medioriente, gli Stati Uniti tornerebbero automaticamente al ruolo rivestito fino al 1914. Periferia del mondo.

Qualcosa però non procede come previsto nel processo di unificazione europea e la crisi dell'euro, largamente prevedibile come può esserlo quella di un qualsiasi regime a cambi fissi, non partorisce gli Stati Uniti d'Europa nell’arco di tempo 2009-2012. A questo punto le élite anglofone cominciano a sudare freddo e si attivano immediatamente per impedire che si apra il recinto, consentendo ai buoi di fuggire dall’Unione Europea. I padroni del vapore devono quindi:

bloccare le forze centrifughe dell'eurozona e immaginare un progetto di inglobamento alternativo dell'Europa: il TTIP; fare terra bruciata attorno al Vecchio Continente, impedendo qualsiasi processo di integrazione alternativo: sponda nord e sponda sud del Mediterraneo, Germania-Russia, Italia-Russia-Libia, etc. etc.

La primavera araba, le rivoluzioni colorate, il caos libico, il conflitto siriano, il terrorismo dell'Isis e la guerra in Ucraina sono quindi strumenti con cui le élite finanziarie anglofone puntellano l'eurozona in attesa di assimilare il Vecchio Continente nella “NATO economica”, il TTIP.

Se domani scoppierà una bomba dell'Isis a Roma, una rivoluzione ad Algeri o un ordigno nel municipio di Donetsk, avete una chiave di lettura per inquadrare l'avvenimento in un più ampio sistema.

 

Federico Dezzani 

 
Omaggio a Del Noce PDF Stampa E-mail

24 Febbraio 2015

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Da Rassegna di Arianna del 5-1-2015 (N.d.d.)

 

Il 29 dicembre di 25 anni fa, tra Natale e Capodanno di un anno famoso, il 1989, moriva Augusto Del Noce. Oltre il suo pensiero filosofico, Del Noce si occupò della società di massa e delle sue contraddizioni. Egli affrontò la cultura di massa prima nella fase sacrale della secolarizzazione, quella che generò il comunismo, il fascismo e il nazismo, e poi nella fase profana della secolarizzazione, sorta con l'americanizzazione del mondo, il primato dell'individualismo di massa, il predominio della tecnica e dello scientismo, il dilagare della società opulenta, consumista e permissiva, il sorgere dell'industria culturale di massa e dei nuovi mezzi di comunicazione.

Nella fase sacrale della secolarizzazione apparvero religioni politiche e ideologie messianiche proiettate nell'avvenire e fondate sulla mobilitazione delle masse, animate da una passione etica e comunitaria protesa a modificare la storia attraverso la politica, la lotta e la militanza. La fase profana della secolarizzazione si fonda invece su pulsioni individuali e consumi di massa, si riversa interamente nel presente, diffida della politica e dei contesti nazionali e affida le sue aspettative al benessere economico, allo sviluppo industriale, agli agi prodotti dalla tecnica e ai piaceri promessi dalla visione libertina. La cultura di massa nell'era sacrale della secolarizzazione era un moto invasivo che coinvolgeva e quasi assorbiva la sfera personale e privata nella dimensione pubblica e politica; la cultura di massa nell'era profana della secolarizzazione compie il moto inverso, la sfera pubblica viene coinvolta e quasi risucchiata nella dimensione privata e biologica. Anche la politica arretra davanti alla vita o si fa, per dirla con Foucault, bio-politica.

Il pericolo totalitario che si apre nella nostra epoca per Del Noce non riguarda più la fase sacrale della secolarizzazione coi suoi regimi dispotici e le sanguinose utopie che hanno funestato il Novecento, perché sorge un totalitarismo di tipo nuovo, incruento ma pervasivo, che dispone dell'umanità senza tirannia o violenza e cresce all'ombra dello scientismo, dell'erotismo e dell'omologazione di massa. Ma è un totalitarismo nel vero senso della parola perché esclude di fatto ulteriori orizzonti e dissolve ogni legame, valore e pensiero che vi si oppone o che semplicemente non rientra nel suo alveo e non conduce ad altre scelte di vita. Il nuovo totalitarismo non usa la forza ma la seduzione, non i divieti ma i desideri. In questo contesto anche la pornografia, come già aveva intuito Proudhon, assume per Del Noce un ruolo sociale sedativo e diversivo: diventa il nuovo oppio dei popoli, la nuova alienazione di massa che riduce la persona a strumento del piacere. Al posto del sacro, la liberazione sessuale promette nuovi paradisi in terra ad personam.

La nuova «cultura di massa» sostituisce il sentire religioso e l'amor patrio con la visione scientista e libertina della vita. Il materialismo dialettico della tradizione marxista e comunista cede il passo a un materialismo che Del Noce definisce «puro» perché assolutizza il materialismo e lo risolve nei profitti e nei consumi. Il materialismo egoista del presente vince su quello collettivo che si proiettava nel futuro, il diritto al piacere predomina sul riscatto sociale. Il nuovo materialismo, per Del Noce, si configura come «totale individualismo»; l'idea di felicità si separa non solo dall'idea classica di beatitudine ma anche da quella di giustizia sociale. Sul piano sociale tramonta l'orizzonte di classe, l'operaismo e il riferimento proletario cedono il passo a un orizzonte neo-borghese, di una borghesia che ha ormai perduto i connotati cristiani e nazional-famigliari della vecchia borghesia. Dalla lotta di classe, annota Del Noce, si passa alla lotta contro la repressione. Marx cede il posto a Freud, anzi a Reich.

Sul piano politico, al posto dei vecchi partiti legati alla fase sacrale della secolarizzazione, si profila il partito radicale di massa, le cui battaglie non riguardano più le ingiustizie sociali, le diseguaglianze economiche, l'attesa messianica di una rivoluzione proletaria, ma i diritti civili, i temi bio-etici, e tutte le battaglie per l'emancipazione, sempre a sfondo individuale, che abbiamo conosciuto dal '68 in poi: il divorzio, l'aborto, la liberalizzazione della droga, il movimento femminista, il riconoscimento delle coppie gay, la fecondazione artificiale, la modificazione transgenica, l'eutanasia. Del Noce coglie al suo apparire la società del nostro tempo, identifica il suo terreno d'incontro nel confine tra scientismo e liberazione sessuale e ne indica gli inevitabili sviluppi, che si sono puntualmente verificati, fino all'edonismo triste dei nostri giorni.

Sul piano delle idee Del Noce vede nel passaggio alla nuova cultura di massa un triplice salto mortale: dal liberalismo al libertarismo attivistico, dal marxismo al permissivismo libertino, dall'umanesimo allo scientismo. Del Noce individua una specie di «superideologia» che sorge dal collasso delle ideologie storiche, e si presenta come la fine, la sintesi e il superamento delle ideologie, e insieme il compimento dell'irreligione contemporanea. Su altri versanti più politici evidenzia «la collusione tra la destra tecnocratica e la sinistra culturale». La destra che si separa dalla sua visione morale e la sinistra che abbandona la sua visione sociale confluiscono nella super-ideologia, moralista in teoria e cinica nella prassi, che sostituisce il piano religioso e culturale con la tecnica e il modello libertino esteso a livello di massa. La cultura di massa non coincide ma diverge dalla cultura popolare sino ad esserne in alcuni tratti l'antitesi.

In Del Noce non c'è pregiudiziale elitaria o intellettuale nel giudicare la cultura di massa; semmai vi oppone la tradizione popolare, il sentire comune. La massa è un concetto tratto dalla fisica e applicato all'umanità per sottolineare la mutazione antropologica e la sua rilevanza puramente materiale: se il popolo è massa più energia spirituale, e nella vox populi ancora vive la vox dei, la massa è invece il popolo che ha perduto Dio e il senso religioso, che non ha volto e identità ma solo peso e volume. Senza spirito, il popolo degrada a massa, la persona si riduce a individuo, perdendo ambedue il volto, l'anima e la storia. È quella la vera, gigantesca alienazione del nostro tempo. Da qui l'incessante guerra che Augusto Del Noce, filosofo gentile e cattolico in disparte, combatté in solitudine con le armi delicate dell'intelligenza e della fede.

Marcello Veneziani

 

 

 

 

 

  

 
Una vita PDF Stampa E-mail

23 Febbraio 2015

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Da ormai diverso tempo, è evidente che Massimo Fini si è stancato di parlare di politica, di attualità, di cronaca, insomma dei temi dei quali si è occupato per tutta la vita in centinaia di articoli e in alcuni libri. Sembrerebbe fare eccezione la sua penultima fatica, la biografia del Mullah Omar, ma in realtà questo è un libro che vuole raccontare di un uomo prima ancora che della sua storia. E l’uomo, in una diversa prospettiva, era anche il tema centrale di “Ragazzo”, così come lo è ora di “Una vita”. Non semplicemente l’uomo Fini, perché resterebbe deluso chi si aspettasse da questa sua ultima opera una semplice ricostruzione della sua vita. Certo, il libro è un’autobiografia, come tale ricchissima di episodi dell’esistenza di Fini: le amicizie, gli amori, la carriera, la famiglia. Allo stesso tempo non mancano le descrizioni di periodi storici come il ’68 o la Milano anni ’50, rispetto ai quali a Fini bastano poco pennellate d’artista per offrirne al lettore non solo l’immagine ma anche il significato. Però, prima di tutto, questo è un libro che ha al centro l’Uomo. Non necessariamente una figura epica, non il vir alla Catilina, che Fini ribadisce di ammirare come modello ma di non essere stato assolutamente in grado di emulare. L’uomo di “Una vita” è la creatura imperfetta e sfaccettata, con le sue passioni, le sue nevrosi, le sue paure, le sue grandezze e le sue meschinità, alla perenne ricerca di un senso della sua esistenza o anche solo della realizzazione del proprio sogno personale.

Parlando di sé, Fini finisce in realtà per tratteggiare decine di personalità, realizzando un centrifugato di brandelli di esistenze il cui denominatore comune è l’umanità, quella materia informe fatta di carne e sangue e che si contrappone ad un mondo sempre più asettico, impersonale e plastificato. Nella curiosità quasi morbosa di Fini per le zone buie della città, per i personaggi “border line”, per i tratti meno evidenti e conosciuti di cose e persone, emerge la disperata ricerca di quei tratti vitali che costituiscono l’essenza dell’uomo, la sua anima viva e palpitante.

“Una Vita” non affronta direttamente, se non in qualche brevissimo cenno, il tema fondante del Fini-pensiero e cioè l’antimodernità, ma in realtà rappresenta l’ultimo tratto di una parabola che da “La ragione aveva torto” al “Mullah Omar” ha sempre mirato a riportare l’uomo al centro del mondo, a restituirgli il ruolo di protagonista in luogo che di vittima della megamacchina tecnologica. “Una vita” profuma di lacrime, di sangue, se vogliamo anche di orina, insomma di uomo. È un libro leggendo il quale a volte sembra di sentire il respiro e l’odore dei protagonisti e del loro mondo.

Che questo libro non sia un semplice autobiografia è evidente anche dalla sua costruzione. Fini sembra divertirsi ad utilizzare uno stile apparentemente assai più libero e meno rigoroso di quello che ha sempre ispirato la sua scrittura. Ogni capitolo parte da una precisa situazione ma poi sembra disperdersi in rivoli apparentemente disparati, dando quasi l’impressione che l’autore abbia perso il filo del discorso. L’incontro con un personaggio costituisce di continuo il pretesto per aprire molte altre porte e passare in altre stanze rispetto a quella inizialmente descritta. Eppure, alla fine, non solo si torna magistralmente al punto di partenza, ma lo si fa dopo essersi immersi in altre situazioni e incontrato altri personaggi che, tutti insieme, lasciano traspirare, quasi magicamente, il senso dell’intero capitolo.

 A Fini non serve andare a fondo nell’analisi o nella descrizione, neppure gli interessa. Gli bastano alcuni accenni apparentemente tra loro slegati per offrire l’immagine complessiva che lo ha ispirato. L’amicizia, l’amore, la lealtà, il tradimento, la vigliaccheria, mille aspetti dell’essere umano non sono analizzati ma regalati “vivi” al lettore, che non ha bisogno neppure di riflettere sulle parole che legge ma solo di abbandonarsi al loro fluire per sentire dentro quello che l’autore ha voluto donargli.

Se Fini ha sempre brillato per la brillantezza della sua scrittura e la capacità di coniugare l’analisi profonda con una intelligibilità cristallina, con “Una vita” riesce a far respirare al lettore la sua stessa umanità, colta attraverso il profumo delle situazioni che legge e nelle quali può immergersi prima ancora che riflettersi. 

Per questo, Massimo, anche solo per questo, non dovresti pensare amaramente che la tua vita non abbia avuto alcun senso.

Andrea Marcon 

 
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