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PEGIDA e PEGADA PDF Stampa E-mail

10 Febbraio 2015

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Da Rassegna di Arianna del 3-2-2015 (N.d.d.)

 

Vi è sempre stato un rapporto particolare tra l’Italia e la Germania. Un rapporto complesso e difficile, fatto di sentimenti contrastanti di amore e odio, di scambi fecondi a livello culturale e commerciale e di forte rivalità e aperta ostilità. Un misto di ammirazione, di paura e sospetto ha sempre caratterizzato l’atteggiamento del popolo italiano nei confronti di quel paese oltre le Alpi dove tutto, dal clima all’ambiente, dalla lingua al temperamento e alla mentalità ha sempre dato l’impressione di asprezza, freddezza, glacialità, formalismo, non di rado anche brutalità e rozzezza (proverbiali sono gli stereotipi del barbaro ubriacone e assetato di sangue, grande minaccia alla civiltà e del sadico militare nazista torturatore e omicida di massa, pronto a imbracciare il mitra e a schiacciare qualunque cosa, determinato a conquistare il mondo).

Nei momenti di crisi, tale idea negativa ha sempre finito per riemergere più forte che mai, oggi come in passato, con la premier Angela Merkel frequentemente paragonata a quel ben noto Capo di stato tedesco la cui figura oggi è universalmente nota come il simbolo del male per eccellenza (paragoni che forse risultano un  po’ ingiuste nei confronti di quella figura, non fosse per il fatto che come carisma e ascendenza un diavolo pazzo non poteva che risaltare dieci volte su un personaggio sostanzialmente mediocre come la Merkel), e il paese da lei guidato ribattezzato “Merkelreich”, a sottolineare in maniera parodistica le somiglianze con quell’altro Reich che terrorizzò e mise a ferro e a fuoco il continente più di un settantennio fa.

È un fenomeno, questo serpeggiante rigurgito di insofferenza e ostilità anti-tedesca, che sta attraversando gran parte d’Europa, presente in Italia ma ancor più in Grecia, nella Penisola Iberica e financo giunge nelle Isole Britanniche e in Francia, quasi sempre legandosi alla critica verso l’apparato politico ed economico di Bruxelles (i movimenti euroscettici e sciovinisti anti-EU hanno da tempo fatto propria e propagandato l’idea che l’Unione Europea altro non sarebbe che uno strumento al servizio dell’imperialismo economico della Germania, significativo in tal senso un famoso discorso tenuto dall’europarlamentare Nigel Farage al parlamento europeo all’indomani dell’insediamento di Monti a Presidente del consiglio italiano).

Non si può certo dire che Farage e gli altri alfieri dell’euroscetticismo abbiano interamente torto, e sotto un certo punto di vista essi hanno individuato il problema o, per meglio dire, una parte del problema, dando tuttavia delle risposte errate alla sua soluzione.

Sì perché Farage, da bravo conservatore reazionario e atlantista, è dell’idea che la causa di tutti i mali del continente sia solo ed esclusivamente imputabile all’Unione Europea e alla moneta unica, strumenti per il dominio economico e finanziario dell’ egemonia tedesca su tutti gli altri paesi dell’Europa occidentale (verrebbe quasi di dire che per alcuni il tempo pare non passare mai, e che si sia rimasti sempre ai tempi delle due guerre mondiali, con le terribili orde unne pronte a minacciare l’ordine e la pace delle nazioni – idea questa che sfiora persino coloro che tempi del genere neanche li hanno mai vissuti direttamente).

Ma pare che per l’illustre politico britannico il predominio di un’altra potenza su tutte le nazioni europee occidentali, non costituisca motivo di preoccupazione. Si parla ovviamente degli Stati Uniti d’America, il paese che dalla metà del secolo scorso mantiene la propria egemonia politica e militare su buona parte del vecchio continente, la quale pare non costituire assolutamente un problema per gli euroscettici come Sir Farage o la sua collega Madame Le Pen (la quale, al contrario, recentemente si è incontrata a colloquio con rappresentanti del Tea Party, una dei più illustri movimenti di ispirazione neo-con della destra liberista statunitense). Dunque, il Sir inglese e la Madame francese, così fieramente patrioti e alfieri degli interessi delle rispettive nazioni, nulla hanno da dire riguardo il predominio americano sulle stesse, non una parola, se non saltuariamente (sarebbe roba da comunisti, avranno pensato). Così gli antieuropeisti si limitano ad analizzare solo una parte del problema, rimanendo davanti alla punta dell’iceberg. Si può e si deve abolire l’Euro e l’UE, si deve assolutamente contrastare la minaccia teutonica alla libertà dei popoli d’Europa, poiché essa sola costituisce il pericolo per gli altri popoli del continente. Questa è la loro ricetta, la loro grande soluzione. Un puro e semplice ritorno agli stati nazionali con le frontiere chiuse, sotto il grande ombrello protettivo della potenza americana, il grande ed eterno Occidente liberale e conservatore.

Questa chiave di lettura, proprio perché parziale, non può certo apparire convincente.

Aldilà di quali che siano i sentimenti o le opinioni personali che si possano nutrire nei confronti della nazione tedesca, è sbagliato identificarla solo ed esclusivamente con la figura della Merkel (almeno quanto lo è identificare l’Italia con Berlusconi, Monti o Renzi) e la prova sta emergendo proprio negli ultimi tempi, adesso che in Germania si levano voci di dissidenza con la politica ufficiale del governo.

Una delle prime a farsi sentire è stata quella della deputata del partito di sinistra Die Linke Sahra Wagenknecht, che in un intervento al Bundestag ha duramente criticato la politica estera e l’atteggiamento della Bundeskanzlerin, rinfacciandole la maniera arrogante di porsi nei confronti degli altri paesi europei e il servilismo alla politica statunitense (nonché di aver dato supporto ai terroristi del Maidan in Ucraina).

Più di recente si è assistito al nascere di fenomeni quali le organizzazioni PEGIDA (Patriotische Europäer gegen die Islamisierung des Abendlandes – Patrioti Europei contro l’islamizzazione dell’Occidente) e PEGADA (Patriotischen Europäer gegen die Amerikanisierung des Abendlandes – Patrioti Europei contro l’americanizzazione dell’Occidente), le quali, in maniera e con approcci ideologici assai diversi tra loro, si pongono come forme di opposizione al vigente sistema dominante di pensiero. La prima, più orientata a un pensiero “di destra” o di tendenza “destroide”, opera una forte critica nei confronti del modello cosiddetto “multiculturale” attualmente vigente nelle società occidentali, sostenendo la necessità in particolare di dover porre un freno al flusso di immigrati provenienti dai paesi di religione a maggioranza islamica (organizzazione questa che, nell’ultimissimo periodo, è stata oggetto di aspre critiche e dell’accusa di essere nient’altro che un semplice covo di razzisti e xenofobi, anche per le polemiche suscitate da alcuni fatti riguardanti il fondatore, Lutz Bachman, la cui foto in posa travestito da Hitler, e un’altra postata su internet ritraente un partecipante vestito dell’uniforme dell’organizzazione americana Ku Klux Klan, hanno gettato un’ombra agli occhi dell’opinione pubblica sul carattere dell’ organizzazione).

La seconda, dal carattere più “di sinistra” ed “ecumenico”, fa maggiormente propria l’idea di opposizione e antagonismo all’egemonia culturale, militare e politico-economica dell’Impero statunitense, mettendo subito in chiaro, come scrivono sul loro sito, che essi non si dichiarano antiamericani in maniera assoluta, ma piuttosto “antiamericanisti”, nel senso che la loro opposizione all’imperialismo a stelle e strisce non comporta l’odio verso i semplici cittadini degli Stati Uniti, ma al contrario li porta a solidarizzare verso di essi, reputati anch’essi vittime, spesso inconsapevoli, delle folli politiche e manovre militari del loro governo e delle grandi lobby economiche e finanziarie che proprio a Wall Street hanno la propria sede centrale.

Oltre a queste e ad altre realtà di gruppi organizzati, è interessante notare come anche iniziative di singoli, come le numerose pagine satiriche presenti su Facebook, mostrino che l’attuale governo merkeliano non goda più di tanta popolarità presso i cittadini tedeschi (non più di quanta possano ormai i governi degli altri paesi).

In conclusione, per il bene e l’interesse comuni di tutti i popoli d’Europa, è meglio evitare di dare spago al puro e semplice euroscetticismo di marca reazionaria che ha acquistato credito presso una parte dell’opinione pubblica europea, nonché al becero e facile odio antitedesco che ora impazza (quasi che illustri figure come la Wagencknecht e la cancelliera Merkel siano intercambiabili, o che non si possa fare distinzione alcuna tra il governo, lo stato e i comuni cittadini di una nazione), e operare per instaurare proficui rapporti tra le organizzazioni politiche alternative presenti nei vari paesi, in modo da creare valide alternative, egualmente distanti e in opposizione tanto all’eurocrazia quanto all’euroscetticismo reazionario.

 

Roberto Di Marino 

 
Renzi rottama Montesquieu PDF Stampa E-mail

9 Febbraio 2015

 

Da Rassegna di Arianna del 3-2-2015 (N.d.d.)

La divisione dei poteri dello Stato sembrava un principio cardine, scontato oramai e indiscutibile, indispensabile ai fini della legittimità dello Stato, un'acquisizione definitiva e irreversibile della democrazia occidentale; ma evidentemente non era così, almeno in Italia: con le riforme del Senato e della legge elettorale, il nostro premier è riuscito a rovesciare il lavoro di Montesquieu, a ritornare a una struttura statuale come prima della rivoluzione francese. Ora infatti il premier unisce in sé il potere esecutivo, il potere legislativo, e un'ampia parte del potere di controllo. Inoltre, non vi sono contrappesi indipendenti da lui al suo strapotere.

La tesi fondamentale esposta da Montesquieu nel suo celebre trattato Lo spirito delle leggi, pubblicato nel 1748, è che può dirsi libero solo quell’ordinamento in cui nessun governante possa abusare del potere a lui affidato. Per prevenire tale abuso, occorrono contrappesi e controlli, occorre che "il potere arresti il potere", cioè che i tre poteri fondamentali siano affidati a persone od organi differenti, in modo che ciascuno di essi possa impedire all'altro di esorbitare dai suoi limiti e degenerare in tirannia. La riunione di questi poteri nelle stesse mani, siano esse quelle del popolo o del despota, annullerebbe la libertà perché annullerebbe quella "bilancia dei poteri" che costituisce l'unica salvaguardia o "garanzia" costituzionale in cui risiede la libertà effettiva. "Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente": è partendo da questa considerazione, che Montesquieu elabora la teoria della separazione dei poteri. Per evitare che si conculchi la libertà dei cittadini, il potere legislativo e quello esecutivo non possono mai essere accentrati in un’unica persona od organo costituzionale.

Tecnicamente, Renzi perciò ha restaurato lo stato assolutista pre-rivoluzione francese. Infatti con le sue riforme il premier domina il partito e ne forma le liste elettorali; domina la camera con un terzo circa dei suffragi; domina l'ordine del giorno dei lavori; domina il Senato; sceglie il capo dello Stato; nomina direttamente cinque membri del consiglio superiore della magistratura e cinque attraverso il capo dello Stato; nomina o sceglie i capi delle commissioni di garanzia e delle authorities; da ultimo, quasi dimenticavo, presiede il Consiglio dei Ministri. E gestisce molte altre cose. Si è fatto controllore di se stesso. Questo intendo dire quando affermo che è stato superato il principio della divisione dei poteri dello Stato. In ciò, Renzi batte Mussolini, perché l’espansione dei poteri del Duce incontrava la limitazione data dalla presenza del re a capo dello Stato, il quale non era scelto, ovviamente, dal Duce ed era al di sopra del suo raggio d'azione, tanto è vero che il Re lo fece arrestare nel 1943. Rispetto questo, Renzi è più simile a Hitler, perché anche in Germania non c'era la monarchia.

L'abolizione della separazione dei poteri dello Stato è un salto costituzionale tanto lungo e radicale quanto sarebbe il salto per passare alla legge islamica. Eppure, chi se ne accorge? Il popolo è scusato, dato che le stime ufficiali rilevano un 47% di analfabetismo funzionale e solo un 18% capace di capire testi un po' complessi.  Ma dove sono i liberali, i democratici, i costituzionalisti, i filosofi, i politici, gli intellettuali, che fino a ieri si riempivano la bocca di antifascismo, costituzione, resistenza, garanzie? E i magistrati che dimostravano con la Costituzione sotto il braccio togato? Perché tacciono di fronte alla concentrazione dei poteri in un'unica persona, di fronte all'abolizione dei controlli e dei bilanciamenti? Perché non insorgono come facevano in passato per molto, molto meno? Se non ora, quando, vostro Onore? O sono cambiati gli ordini di scuderia? Forse voi, maliziosi lettori, pensate che siano tutti diretti sul carro del vincitore, alla mensa del principe. Ma che male ci sarebbe, a questo punto? I poteri forti, la cosiddetta Europa del Bilderberg e di altri simili organismi, hanno capito che le inveterate caratteristiche sociologiche italiane non consentono il risanamento morale, la legalità e l'efficienza. Non provano nemmeno a metterci le mani. Sì sono convinti che per governare e spremere questo paese ci vuole invece proprio il suo autoctono, tradizionale regime buro-partitocratico, con i suoi poteri collegati. Attraverso Renzi e Berlusconi lo hanno perfezionato, stabilizzato, costituzionalizzato, ponendo tutto nelle mani del segretario del partito forte, controllore di se stesso. Honni soit qui mal y pense. Adieu, Montesquieu. Vive le renzien régime!

 

Marco Della Luna 

 
Guerra alla Russia? PDF Stampa E-mail

8 Febbraio 2015

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Da Comedonchisciotte del 5-2-2015 (n.d.d.)

L’escalation del conflitto in Ucraina fa cadere i paraventi dietro ai quali Usa ed Eu si sono mosse per modificare i rapporti di forza in Europa, compromettendo la relazioni con la Russia e mettendo a rischio la stabilità continentale.

Gli americani hanno organizzato e sovvenzionato il colpo di Stato di Kiev, come ammesso anche dal presidente Obama in una recente intervista. La Casa Bianca è all’origine di questo “trasferimento” di potere dai partiti legati a Mosca e più disponibili alle intese col potente fratello slavo a quelli irriducibilmente antirussi e filo-occidentali, avvenuto in maniera violenta ma paradossalmente in nome della democrazia, in conseguenza dei fatti di Majdan. Successivamente, sono stati sempre gli americani a richiedere l’azione militare contro le popolazioni dell’Est dell’Ucraina che, appoggiate dal Cremlino, si sono ribellate al golpe pro-Usa ed al tentativo di pulizia etnica di Kiev contro i suoi cittadini russofoni della parte orientale del Paese. La presenza di Generali americani e di uomini della Cia sul suolo ucraino, in concomitanza con l’avvio della cosiddetta ATO, confermerebbe queste supposizioni. Non deve sorprendere l’utilizzo di questa strategia efferata attuata dagli yankee nel cuore dell’Europa perché è stata già utilizzata in diversi scenari geopolitici ed in differenti momenti storici, anche nel nostro territorio (ex Jugoslavia). Segretamente, americani e russi hanno garantito ai disputanti uomini, armi e supporto tecnico-logistico perché questa guerra è prima di tutto uno scontro tra titani nel quale gli ucraini si trovano a giocare il ruolo dei vasi di coccio. Ora però, gli Usa intendono uscire allo scoperto poiché le cose si sono messe male per i propri ascari in ritirata, incapaci di tenere testa ai separatisti più preparati e motivati.

Con un’ennesima dimostrazione di arroganza, che rovescia la verità storica, esperti d’oltreatlantico hanno dichiarato che i russi avrebbero deliberatamente violato l’Atto finale della Conferenza di Helsinki sulla Sicurezza e sulla Cooperazione del 1975, sottoscritto anche dall’URSS, che definisce l’inviolabilità dei confini europei, nonché il Memorandum di Budapest del 1994 sul rispetto della sovranità di Kiev sui suoi confini. Gli statunitensi dimenticano, come ha già detto l’analista George Friedman al giornale russo Kommersant, che i loro eserciti hanno contribuito a cambiare i confini in Europa ingerendosi nelle questioni jugoslave (1991-1995). Poi c’è stato il Kosovo (1996-1999, precedente che legittima il separatismo crimeano checché ne pensi la signora Mogherini, negatrice delle evidenze per esigenze di carriera) ed ora l’Ucraina (2014-15). Gli Stati Uniti, ammette Friedman, sono direttamente coinvolti in questi eventi e chi sostiene il contrario dice una sciocchezza o fa mera propaganda pro domo sua. Eppure, Washington tenta inesorabilmente di addossare alla Russia le responsabilità per quello che sta avvenendo in Ucraina, con l’Europa che segue, come un cagnolino fedele, i passi di Obama. Se Bruxelles asseconderà il bellicismo americano sul dossier ucraino potrebbe ritrovarsi invischiata in una contesa con i russi che si sa dove incomincia ma non dove va a finire. L’unica certezza è che la disputa con Mosca avrebbe come teatro il territorio europeo. Lo scenario è ancora remoto ma l’epoca in corso si presta a cambiamenti repentini e spesso incontrollabili. Dunque, bisogna rintuzzare questa foia americana di giocare a carte scoperte perché sarebbe un punto di non ritorno. La Nato sta fornendo assistenza a Kiev dall’inizio delle ostilità (ed anche da prima, considerato l’addestramento garantito ai gruppi paramilitari che hanno agito su Majdan), così come la Russia coadiuva i ribelli ma è meglio che tutto avvenga fuori dall’ufficialità e dagli atti formali.

Meglio una battaglia ibrida che non compromette direttamente gli attori e lascia margini a mediazioni e soluzioni creative che una guerra aperta e frontale dove sono i danni e le vittime inflitte all’avversario a stabilire l’ordine di parola e i limiti del dialogo. Tuttavia, gli Stati Uniti sembrano aver perso l’attitudine alla sottile diplomazia politica dopo un quindicennio di dominio incontrastato su tutto il pianeta. Credono ancora di poter invocare la loro eccezionalità per risolvere ogni diatriba internazionale. Non è più così, per quanto essi siano ancora un passo avanti ai competitori sotto il profilo militare ed economico. Se non arrivano a capirlo da soli bisogna che siano i partner europei ad illustrare la situazione, a meno che i citati partner non intendano immolarsi per sciocca fedeltà atlantica, più simile alla codardia che all’intelligenza strategica, sull’altare di un’alleanza ormai sconveniente e, persino, pericolosa per la tenuta sociale e politica dei loro sistemi.

Vedremo fino a che punto i leader europei riusciranno a scavarsi la tomba, purtroppo portandosi dietro 500 milioni di abitanti.

Gianni Petrosillo 

 
Cattivi maestri PDF Stampa E-mail

7 Febbraio 2015

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Magdi Cristiano Allam ha pubblicato sulla sua pagina Facebook sei fotografie dello sventurato pilota giordano arso vivo. Il post a commento delle immagini recitava testualmente:

“Basta con questi mostri! Dobbiamo combattere e sconfiggere i terroristi islamici e sradicare l'ideologia dell'odio, della violenza e della morte insita nell'islam, prescritta da Allah nel Corano e messa in atto da Maometto. Oggi è stato un giovane pilota giordano musulmano ad essere arso vivo rinchiuso in una gabbia. Sempre oggi gli stessi terroristi islamici dell'Isis hanno ucciso un omosessuale, lanciandolo dal settimo piano legato a una sedia e poi lapidato dalla folla fino alla morte. Ebbene questa guerra del terrorismo islamico globalizzato riguarda tutti noi. È ora di dire basta!”

Il nostro mefitico Magdi - che di ‘cristiano’ non ha che il nome, peraltro, autoattribuito - nelle intenzioni si propone di “sradicare l'ideologia dell'odio, della violenza e della morte” dell’Islam, ma di fatto, purtroppo, diviene facile strumento per una ondata di odio e violenza - per ora fortunatamente solo verbale - senza pari. Leggetevi, delle migliaia di commenti presenti sulla sua pagina Facebook, solo questi riportati qui sotto (non ho inserito quelli pieni di insulti e turpiloqui vari) per comprendere quale sia il disegno di chi vuole creare ad arte ed alimentare odio e guerra.

Nessuno degli autori di questi deliri si domanda il senso di notizie come queste - meglio sarebbe dire di show come questi - il perché, ad esempio, questa vicenda dello sventurato pilota giordano sia così ben studiata mediaticamente, mentre non circolano immagini delle migliaia di morti bruciati vivi dalle bombe ‘intelligenti’ delle nostre ‘guerre umanitarie’. Nessuno degli autori di questi deliri si avvede di essere uno sciocco pappagallo che ripete a menadito quello che i veri artefici di atrocità come questa vogliono conseguire: il dilagare dell’odio e la realizzazione di quello ‘scontro di civiltà’ così perfettamente funzionale al disegno mondialista. L’efferatezza dell’atto e la sceneggiatura perfetta - evidentemente le decapitazioni erano diventate troppo comuni e non facevano abbastanza ’notizia’ - indicano come si voglia alzare ancor di più il livello dello scontro, portandolo all’interno del nostro tessuto sociale. Notate, infatti, quanti di questi soggetti - la cosa che colpisce di più è il gran numero di donne che invocano vendette innominabili - incitino alla violenza diretta contro gli immigrati o le persone di religione islamica, senza rendersi conto che non vi è alcun nesso - salvo alcuni sporadici casi che non sono regola - tra la religione o l’essere scappati dal proprio Paese e il terrorismo.

Il sostenere ciò equivarrebbe a considerare il cristianesimo - che tra crociate, pogrom e Inquisizione ha sterminato milioni di persone nei modi più atroci - la più grande bestialità della storia. Ma l’ignoranza e l’istinto dei burattini fanno da perfetta cassa di risonanza per quello che i burattinai vogliono: infettare il tessuto sociale di ogni popolo con il germe dell’odio e della violenza più bieca.

Cerchiamo di mantenere deste le nostre coscienze!

Buona lettura.

Screen Shot 2015-02-04Pierluigi *** E' giunta l'ora di una bomba " H ". Basta !!

Caterina *** pienamente daccordo, mi pare che sia anche tardi!

Vin*** è meglio il napalm, costa meno ed è più gestibile.....

Luca *** Bisogna sterminarli tutti, sono una razza infetta

Carlo *** con i maiali non si dialoga vanno macellati,con tutto il rispetto dei poveri suini

Massimo *** solo una parola per questi barbari, sterminiamoli, non meritano di vivere, l'occidente ha i mezzi tecnici per farlo, occorre agire, napalm o quant'altro, vanno eliminati tutti! […]

 

Ora proviamo, solo per un momento, a mettere a confronto queste reazioni con la risposta che una giovane donna ebbe - settanta anni fa - a dare ad un altro terribile evento storico: la deportazione ed il massacro degli ebrei.

"Quando siamo arrivati alla frase: basta che esista una sola persona degna di esser chiamata tale per poter credere negli uomini, nell'umanità, m'è venuto spontaneo di buttargli le braccia al collo. È un problema attuale: il grande odio per i tedeschi che ci avvelena l'animo. Espressioni come: “che anneghino tutti, canaglie, che muoiano col gas”, fanno ormai parte della nostra conversazione quotidiana; a volte

fanno sì che uno non se la senta più di vivere, di questi tempi. Ed ecco che improvvisamente, qualche settimana fa, è spuntato il pensiero liberatore, simile a un esitante e giovanissimo stelo in un deserto d'erbacce: se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest'unico tedesco meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero. Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso - se ogni uomo si sarà liberato dall'odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest'odio e l'avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. È l'unica soluzione possibile. E così potrei continuare per pagine e pagine. Quel pezzetto d'eternità che ci portiamo dentro può esser espresso in una parola come in dieci volumoni. Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell'anno del Signore 1942, l'ennesimo anno di guerra".

Quella donna era Etty Hillesum, morta lei stessa nel campo di concentramento di Westerbork appena un anno dopo aver scritto queste righe, lei, mai paga di cantare Dio e la vita. Prendiamo ispirazione da lei per contrastare con consapevole calma le onde d’odio che ancora una volta si spargono per il mondo.

Piero Cammerinesi 

 
Declino linguistico e servilismo PDF Stampa E-mail

5 Febbraio 2015

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Da Rassegna di Arianna del 3-2-2015 (N.d.d.)

 

Non è necessario essere esperti di linguistica per comprendere che tra la lingua e la società intercorrono parecchi legami. Si può dire che una lingua si sviluppi in relazione allo sviluppo del popolo che ne è depositaria, quindi anche dei mutamenti che la società relativa a quel particolare popolo subisce nel corso della storia.

La stretta interconnessione tra il linguaggio e le attività umane si riflette nella costante evoluzione della lingua, paragonabile all’evoluzione delle specie viventi. In tal senso, il lavoro dell’etimologia si può considerare analogo a quello della biologia evolutiva e, nel caso delle lingue morte, della paleontologia. Ciò su cui intendo soffermarmi in particolare è l’evoluzione – o, per meglio dire, la degenerazione – a cui la lingua italiana sta andando incontro in questi anni.

Non è mia intenzione, specifico subito, criticare il ruolo primario che la lingua inglese ha incontestabilmente assunto a livello mondiale. Simili discussioni trascendono di gran lunga l’obiettivo di questo articolo e richiederebbero ampi quanto accurati studi di linguistica, storia ed economia. Mi preme invece evidenziare come le trasformazioni subite dalla lingua italiana siano un indice di quelle assunte dalla nostra società a causa dell’influenza straniera, in primis quella degli USA.

Che il nostro linguaggio abbia importato una miriade di termini inglesi, soprattutto negli ultimi decenni, è cosa risaputa e non sorprende nessuno. Sorprende invece come questi termini siano penetrati sempre più in quegli ambienti all’interno dei quali la lingua italiana dovrebbe essere tutelata, promossa e rafforzata. Anche le alte sfere della politica, dell’economia e dell’informazione parlano ormai un itanglese che conferisce ai suoi locutori la stessa serietà e affidabilità della macchietta del cumenda milanese resa celebre da Guido Nicheli. Se fosse solo un problema di serietà, ci si potrebbe mettere anche il cuore in pace: sarebbe solo l’ennesima conferma di quanto l’attuale classe dirigente del Paese sia ridicola. In realtà, il problema è ben più grave e non riguarda solo l’estetica del linguaggio.

In un mondo sempre più interconnesso, è inevitabile che dei termini siano presi in prestito da altre lingue per esprimere determinati concetti in modo economico. Anche l’italiano, quando la sua rilevanza culturale era di gran lunga superiore a quella attuale, ha diffuso il proprio lessico in tutto il mondo, dalla pizza alle agogiche. D’altro canto, risulta molto più pratico per noi parlare di computer che non di calcolatori elettronici, o di Schadenfreude per esprimere appieno quella perfida felicità che scaturisce dalle sfortune altrui. Finché si tratta di concetti impossibili (o comunque molto difficili) da esprimere nel proprio linguaggio natio, non vi è nulla di inconsueto.

Il problema nasce quando dei concetti che potrebbero essere espressi in italiano senza alcun problema di comprensione, sono invece forzatamente tradotti in inglese come se la nostra lingua non fosse in grado di esprimere il concetto. Cos’ha in più un brand rispetto a una marca, la fashion rispetto alla moda o, peggio ancora, la spending review nei confronti di un taglio alle spese? La questione, a mio parere, si articola su due nodi fondamentali.

Il primo, il più semplice da individuare, è la confusione che un simile linguaggio genera. La chiarezza d’espressione è da sempre un’acerrima nemica di chi mira a nascondere e fuorviare. Un politico (diciamo pure un Presidente del Consiglio) che inserisce gratuitamente termini inglesi in un discorso che dovrebbe essere il meno ambiguo possibile fa pensare, più che al rappresentante di milioni di cittadini, ad un imbonitore dalla parlantina sciolta pronto ad appioppare qualche prodotto scadente, quando non pericoloso, al malcapitato che lo sta ad ascoltare.

Il secondo punto focale è come questo linguaggio rifletta il servilismo della nostra attuale classe dirigente nei confronti degli Stati Uniti; un chiaro esempio di imperialismo culturale che, pur non essendo violento quanto quello militare, è pericolosamente pervasivo. La nostra cultura nazionale è sempre più ridotta ad un ruolo di nicchia mentre la maggior parte di noi guarda solo film americani, ascolta musica americana, parla come gli americani, pensa come gli americani. Si toglie costantemente spazio alla cultura italiana come se, nonostante i suoi secoli di storia, non riuscisse a comprendere o ad esprimere dei concetti in realtà molto semplici. Il colmo è stato raggiunto di recente con l’adozione da parte della Marina Militare di un patetico slogan inglese, come a voler rimarcare il ruolo mercenario delle nostre forze armate svolto a favore degli USA nei Balcani, in Afghanistan e in Iraq.

Invece di tutelare un linguaggio che, data la sua storia e il suo ruolo culturale, dovrebbe essere un motivo di vanto per tutti gli italiani, lo si infarcisce di termini anglosassoni per rendere ancor più facile la nostra dominazione da parte dell’altra sponda dell’Atlantico. L’equivalente, per intenderci, del buttare via un piatto di pastasciutta fatto con tutti i crismi per trangugiare dei vermicelli scotti conditi col ketchup, il tutto spacciato come “innovativo” e “giovanile”.

Le condizioni della lingua italiana sono quindi un sintomo della salute, di certo non buona, della società italiana. Non vorremmo dover arrivare alla morte dell’italiano per capire che anche la nostra società l’ha seguita nella tomba. Se qualcuno, tuttavia, pensasse che questo articolo sia troppo catastrofista, forse due semplici parole come “Very Bello” potrebbero fargli cogliere appieno la gravità della situazione.

 

Elia Ansaloni 

 
Europa non è Occidente PDF Stampa E-mail

4 Febbraio 2015

 

Da Rassegna di Arianna del 20-1-2015 (N.d.d.)

Sembra di essere tornati ai tempi delle Crociate, quando, per riconoscersi, l’Europa doveva essere la negazione dell’altro. Nel presente come nel passato, l’altro che dovremmo negare per riconoscere noi stessi è rappresentato dall’Islam, religione di fanatici e terroristi. O almeno questo è quello che ci viene detto da diversi tempo dai vari Salvini, Meloni, Santanché ed altre persone davanti alle quali anche Goffredo di Buglione impallidirebbe. Denigrare l’Islam quindi, ma per riconoscerci in cosa? “Nell’Europa!” Sostengono loro e potrebbero pensare in molti. E invece no. Perché questa barbara propaganda anti-islamica non è figlia di una cultura millenaria come quella europea, ma di perfide motivazioni occidentali. Si è soliti considerare questi due termini – europeo e occidentale – come dei sinonimi. Esattamente questo è l’errore principale, causa di conseguenze drammatiche. Questi termini erano sinonimi quando il mondo finiva con le Colonne d’Ercole. Con la scoperta del Nuovo Continente, due mondi totalmente distanti si sono scontrati: prima con l’imposizione dei valori di uno sull’altro (colonialismo) e poi, con il passare del tempo, con l’imposizione di quegli stessi valori, rafforzati, al contrario (mondialismo). Il risultato è stato la distruzione di una civiltà (quella autoctona americana) e, con la sottomissione di un continente all’altro, la distruzione di una cultura già deteriorata nel corso del tempo (quella europea appunto). Oggi, l’Occidente post-moderno è, di fatto, la negazione dell’Europa. Di conseguenza, la cultura occidentale attuale, con la sua nuova scala di valori (tecnocratici, mondialisti e consumisti), sta negando secoli di storia europea. Una storia che ripercorriamo brevemente perché, come diceva Michelet: «Chi vorrà limitarsi al presente, all’attuale, l’attuale non lo comprenderà».

Quello di Europa è un concetto strettamente medievale. Nel mondo antico, il termine veniva utilizzato per definire unicamente una circoscrizione territoriale, peraltro nemmeno ben definita. Per prime, furono le culture barbariche cristianizzate a considerare l’Europa non solo un continente, ma un insieme di popoli che all’interno di esso condividevano qualche importante legame culturale ed ideale. Nel VII e VIII secolo gli europenses erano identificati con le popolazioni che vivevano sotto l’egemonia dei franchi. In questo senso, l’Europa non rappresentava l’intero continente, ma unicamente quella parte che sottostava all’autorità di Carlo Magno, tuttavia: «l’accentuazione di questa dimensione non cancellò la fondamentale consapevolezza che l’Europa era una totalità formata da parti distinte» (Paolo Delogu). Questa concezione organica derivava dall’interpretazione delle culture barbariche del mito biblico di Iafet, progenitore comune di tutti i popoli europei. Da un lato, egli rappresentava la coesione e le affinità tra i vari popoli; dall’altro, a seguito della ramificazione della discendenza, spiegava l’autonomia di ciascuno di loro. Proprio per questa ragione, originariamente, l’idea di Europa non assunse quella portata integralista, che le fu invece trapiantata nei secoli centrali della media aetas, da concetti totalizzanti, quali christianitas e ecclesia (romana). Soltanto a partire dal XIV secolo, con la crisi di istituzioni considerate prima universali, il termine ricominciò ad assumere il significato originario, non solamente da un punto di vista culturale, religioso e politico, ma anche economico; definendo gli europei, non nel senso ristretto del VII secolo, bensì come tutti i membri di una comunità, territorialmente comunque mai ben definita, al di sopra delle distinzioni nazionali.

Franco Cardini osserva che, di fatto, oggi l’Europa non esiste. È esistita in diverse maniere nel passato, ma le sue sono state tutte false partenze che non hanno portato alla costruzione di nulla, se non a quella di diverse istituzioni e di una moneta. Perciò, se veramente si vuole parlare di Europa, bisogna ritrovare le sue radici, non tanto nel passato, ma in particolare nel futuro. Un futuro capace, per usare le parole di Serge Latouche di “decolonizzare il nostro immaginario”, ovvero di non farci accettare la realtà così come essa ci appare, ma di pensare il possibile, il diverso. Questo significa concepire un’altra Europa, composta da popoli e non da banche, politicamente autonoma e culturalmente autentica, nel rispetto della diversità, sia al suo interno che al suo esterno. Un’Europa che si ricordi di essere il risultato della commistione di più radici e che non imponga la sua weltanschauung al resto del pianeta.

Ma, soprattutto, significa considerare l’idea di Europa come indipendente da quella di Occidente, americanizzato ed etnocentrista. Perché nel vedere marciare contro il terrorismo personaggi come Netanyahu e Stoltenberg, assistere all’iperconsumo di merci con su scritto jesuischarlie e fomentare odio per poter scatenare nuove guerre umanitarie, non possono non risuonare le parole di René Guénon: «Da diverse parti si parla molto, oggi, di “difesa dell’Occidente”; ma sfortunatamente si sembra non capire che è soprattutto contro se stesso che l’Occidente ha bisogno di essere difeso». L’Occidente, perciò, dovrebbe suicidarsi, affinché l’Europa viva.

Lorenzo Pennacchi

  

 

 

 
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