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Declino europeo PDF Stampa E-mail

27 Maggio 2014

 

 

Mentre l’Europa è totalmente presa dall’incantamento delle elezioni del Parlamento europeo sembra che la grande Storia stia imboccando altri sentieri.

Si tratta di cambiamenti epocali che avranno l’effetto di spostare sempre di più il centro geopolitico globale dall’asse USA-UE all’asse Russia-Cina, confinando, nel lungo termine, l’Europa alla periferia del mondo.

Mi riferisco in prima battuta al contratto di fornitura di gas russo alla Cina che non solo è assolutamente senza precedenti, ma la cui reale importanza va ben oltre gli importi, pur mirabolanti, del controvalore economico.

Infatti, a mio avviso, approfondendo la notizia dello storico contratto di fornitura del gas siberiano alla Cina, pomposamente definito “un contratto senza precedenti” l’attenzione dovrebbe essere rivolta prima di tutto all’aspetto geopolitico di quest’accordo.

Innanzitutto notiamo la singolare sincronia della firma dell’accordo con il ritiro delle truppe russe dai confini ucraini e il conseguente allentamento della tensione su questa delicatissima area dello scacchiere internazionale.

Singolare che Putin abbia gonfiato i muscoli fino a pochi giorni dal suo viaggio in Cina per poi, appena andato in porto il supercontratto, mostrare evidenti segni di rilassamento, giungendo oggi a dichiarare di accettare serenamente gli esiti delle elezioni ucraine.

Non trovate strano questo comportamento?

La sincronicità in politica internazionale non è mai casuale.

In realtà Putin ha portato a casa ben più dei 400 miliardi di dollari e rotti per la vendita del gas naturale alla Cina e relativa tecnologia, vale a dire una vittoria schiacciante su quelli che si sono dimostrati nemici mortali della Russia: gli USA e i burattini dell’Unione Europea.

Qual è stato dunque il messaggio che la Russia ha voluto dare con il cambiamento di atteggiamento nei confronti dell’Ucraina, irretita nelle trame della Nato, al fine di costituire una spina nel fianco della difesa russa?

Qualcosa del tipo: “Cari ucraini, fino a ieri eravate importanti perché costituivate un problema politico ed economico, visto che eravate in grado di mettere a rischio le nostre forniture di gas all’Europa, ma da oggi lo siete molto di meno. Fate pure come credete, se pensate che l’Europa vi difenderà e pagherà i vostri debiti, andrete incontro a grosse delusioni. Anzi, penso che d’ora in avanti gli USA e i loro servi perderanno molto dell’interesse che vi riservavano”.

 

Credo sia necessario rimarcare che perdere il gas della Siberia orientale, ora destinato al mercato cinese, abbia costituito, senza ombra di dubbio, un fallimento storico degli Stati Uniti ma soprattutto dell’Unione europea.

Se l’Europa, infatti, invece di creare ad arte conflitti armati in Ucraina per ostacolare la decisione dell’ex-premier Yanukovych di posporre la firma dell’accordo per l’ingresso nell’Unione, avesse dato alla Russia assicurazioni sulla continuità delle forniture di gas, avrebbe mostrato un atteggiamento ben più saggio in termini di politica estera.

Vi siete mai chiesti perché – diversamente dall’Europa – la maggior parte dei Paesi asiatici se ne è altamente fregata, nel corso della crisi ucraina, dei proclami USA-UE, non prendendo assolutamente posizione contro la Russia?

E adesso il gas della Siberia sembrerebbe perduto per l'Europa. Va da sé che a livello di trasporti e d’infrastrutture esistenti, sarebbe stato molto più conveniente il trasporto di tale gas verso l'Europa. Invece, nonostante il prezzo basso che i cinesi hanno offerto inizialmente, la Russia ha chiuso l’accordo con la Cina.

Perché?

Beh, se date una scorsa ai giornali europei di questi ultimi vent’anni troverete ripetuta in tutte le salse la minaccia di non acquistare più forniture energetiche dalla Russia. Una scelta considerata dai miopi strateghi europei il modo migliore per danneggiare l’ingombrante vicino.

Se allora, anno dopo anno, un Paese si sente sulla testa la spada di Damocle di questa chiusura improvvisa dei rubinetti di valuta estera, cosa pensate che faccia?

Appare del tutto naturale che si guardi intorno alla ricerca di compratori alternativi.

Perché l’Europa si è sempre comportata in questo modo, anche se poi, di fatto, ha continuato imperterrita a comprare il gas russo?

Se è vero che petrolio e gas naturale valgono una parte sostanziale del PIL russo – e questo ha costituito l’asso nella manica di Putin durante il braccio di ferro in Ucraina - la Germania, tanto per fare un esempio, importa dalla Russia un terzo delle sue forniture di gas e l’Europa, pur ricevendo gas a sufficienza al momento, avrà in futuro bisogno di quantità sempre maggiori di gas. È vero che potrebbe riceverne dagli USA ma, dato che questi lo estraggono con il fracking, se si verificassero dei disastri provocati da questo metodo, sarebbe possibile una interruzione dell’estrazione, se non addirittura una sospensione.

Motivi di politica squisitamente europea non ce ne sono; spiritualmente, storicamente, culturalmente ed economicamente la Russia ha maggiori affinità con l’Europa che con la Cina.

E allora?

Chiedetelo ai nostri padroni a Washington, che dettano regole e impongono condizioni ai vassalli europei.

Ma la politica estera americana che ha sempre cercato di far litigare tra loro i propri nemici – il classico divide et impera – questa volta ha segnato un clamoroso autogol.

Obama è riuscito nel non – per lui – auspicabile intento di spingere la Russia tra le braccia della Cina; esattamente il contrario di quello che più astutamente fece a suo tempo Richard Nixon, siglando un accordo con Mao Zedong in modo da far capire ai sovietici che USA e Cina erano uniti contro di loro, mentre, grazie alla miopia politica di oggi, Russia e Cina sono contrapposti agli USA.

Ma c’è di più.

Putin a Pechino ha ancora una volta parlato di stabilire negli scambi commerciali con la Cina “reciproci pagamenti in valuta nazionale”, che in soldoni equivale a tagliar fuori il dollaro USA.

Questo è l’incubo più grande per i padroni del mondo; non a caso hanno sino a oggi annientato tutti i Paesi che avevano iniziato a non usare i petroldollari nelle loro transazioni energetiche.

Ma Russia-Cina è un boccone troppo grande da ingoiare.

 

Già oggi il dollaro – pur essendo ancora la valuta di riserva più importante – è passata dal 55% degli scambi internazionali nel 2000 al 33% alla fine del 2013, mentre, per converso, le riserve in “altre valute” dei mercati emergenti hanno visto, dal 2003, un incremento del 400%.

Senza contare che prendere le distanze dal dollaro potrebbe costituire la prima tappa di un percorso che conduce ad una nuova valuta internazionale, probabilmente costituita da un “paniere” di valute dell’area BRICS.

Putin ha parlato di ottimizzare la cooperazione tra banche russe e cinesi: in termini politico-strategici questo significa stabilire meccanismi tali da rendere inoffensive le eventuali sanzioni economiche che USA-UE volessero imporre ai due Paesi.

“Nel corso dell'incontro, abbiamo preso in considerazione anche modalità di diversificazione commerciale per ridurre la dipendenza dalla situazione economica globale....”

Non dimentichiamo che da quest’anno la Cina è la prima potenza economica globale, avendo portato a termine lo storico sorpasso sull’economia a stelle e strisce.

Da questo all’incremento degli scambi commerciali e a possibili collaborazioni nel settore militare il passo è breve.

E qui i pentastellati generali del Pentagono iniziano a mostrare segni di nervosismo.

Tuttavia, nonostante gli strateghi americani vedano come il fumo negli occhi il delinearsi di un mondo in cui non ci sia una sola potenza egemone, le linee di sviluppo economiche e politiche stanno andando in quella direzione e non è difficile incominciare ad intravedere le prime crepe nel progetto del“New american century”.

Per carità, non sarà certo questione di mesi o di pochi anni, ma a partire da questo Maggio 2014, si è manifestato qualcosa di veramente importante: il primo passo verso un mondo meno sbilanciato verso l’Estremo Occidente.

E l'Europa è la grande esclusa.

 

Piero Cammerinesi 

 
Uscire dall'euro? PDF Stampa E-mail

24 Maggio 2014

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Da Rassegna di Arianna del 14-5-2014 (N.d.d.)

 

Si è scatenata una campagna terroristica sugli effetti di un’uscita dell’Italia dall’Euro: inflazione alle stelle, mutui insostenibili che costringerebbero a vender casa, termosifoni spenti e tutti all’addiaccio, cure mediche proibitive, aziende fallite e via dicendo. [...]

Il ragionamento è più o meno questo: l’Euro, giusta o no che fosse la sua nascita, ormai c’è ed uscirne provocherebbe una catastrofe economica senza precedenti, per cui teniamocelo perché è l’unica certezza che abbiamo.

Questo ragionamento sottintende che l’Euro sia destinato a restare in piedi, solo che lo si voglia. E questo è già il primo punto debole del ragionamento: ma chi vi ha garantito che l’Euro sia destinato a restare in piedi?

L’Euro non è sorto dal nulla, ma da precise condizioni politiche ed economiche: la Germania doveva far accettare la sua riunificazione e Mitterand pensò che l’unificazione monetaria avrebbe reso più accettabile la cosa, peraltro si era in un periodo espansivo dell’economia europea e si sperava che la moneta unica avrebbe dato ulteriore spinta ai paesi meno forti, favorendo una dinamica virtuosa convergente delle diverse economie nazionali che, a sua volta, avrebbe spinto verso una celere unificazione politica.

Venti anni dopo queste condizioni non ci sono più: l’asse franco-tedesco si è notevolmente logorato, con la Francia che pencola penosamente verso gli Usa e la Germania che ancora guarda ad est, l’unificazione politica è una leggenda persa nelle brume di un futuro vaghissimo, da sette anni infuria una crisi senza precedenti dal 1929 in poi, le economie nazionali europee divergono più che mai e diversi paesi sono sull’orlo del default. In queste condizioni politiche e finanziarie, il rischio di un crollo dell’Euro è più che una semplice possibilità teorica. Non dico affatto che la fine dell’Euro sia un dato scontato, ma semplicemente che è uno degli esiti politici da prendere in considerazione.

 

In primo luogo, se dovessero verificarsi default di una serie di paesi come Grecia, Portogallo, Irlanda la sopravvivenza della moneta unica diverrebbe assai problematica. Se, poi, il default dovesse riguardare Italia o Spagna, non si vede come la costruzione possa restare in piedi.

Ma anche sviluppi imprevisti della crisi Ucraina potrebbero innescare dinamiche divaricanti nella Ue tali da mettere a rischio la moneta.

Senza calcolare che, ad un certo punto, i costi di mantenimento dell’unione monetaria potrebbero rivelarsi tali da rendere inevitabile l’uscita di alcuni partner, con l’effetto di un “rompete le righe” generalizzato. Che è esattamente la prospettiva più probabile a verificarsi. E non è detto che ad iniziare debbano essere i paesi deboli come Grecia o Portogallo: potrebbe iniziare uno scollamento anche di uno dei paesi forti e persino la Germania non è esente da queste tentazioni.

E se la cosa non sarà stata preparata e dovesse avvenire con un improvviso crack (poco importa se finanziario o politico), allora le condizioni potrebbero essere esattamente quelli descritti di una tempesta devastante. E qui si capisce cosa non funziona nel ragionamento degli “euristi ad oltranza”: non prevedere il rischio di un crollo improvviso della moneta e non capire che dalla moneta unica si può uscire in modo scarsamente traumatico, a condizione che questo avvenga nei modi e nei tempi opportuni.

Paradossalmente, i fautori di “Euro o muerte” ragionano allo stesso modo della Lega e dei populisti che tanto disprezzano. E infatti loro ed i populisti sono solo le due facce della stessa medaglia. I populisti più estremi prospettano una uscita dalla moneta unica, con ritorno alla moneta nazionale, con una decisione semplice ed immediata: hic et nunc! E gli “euromani” ragionano solo su questo scenario. Ma dall’Euro non si può uscire come da una festa fra amici: “scusate dobbiamo andare: abbiamo lasciato i bambini soli a casa”.

Dopo di che, liberatici dall’orrenda moneta, tutto ricomincia a girare per il verso giusto e le economie periferiche d’Europa rifioriscono d’incanto. Qui è bene dire che, se è vero che l’Euro è una camicia di forza e le politiche di austerità che lo accompagnano sono un disastro, però non è la causa di tutti i mali, liquidata la quale, tutto va a posto.

Queste sono leggende: al di là dell’Euro, c’è una crisi mondiale che continuerebbe anche dopo la sua fine e che richiede un ripensamento complessivo dell’ordinamento neoliberista dell’economia mondiale.

In secondo luogo non è detto che la fine dell’Euro debba segnare necessariamente il ritorno alle monete nazionali o che questo debba essere un approdo definitivo. Ci sono molte soluzioni intermedie come, ad esempio, lasciare l’Euro come unità di conto (come era l’Ecu) cui agganciare le monete  nazionali, con larghe bande di oscillazione prestabilite, in modo da dare il tempo di far riprendere la bilancia dei pagamenti dei paesi del sud Europa. Oppure adottare, per un certo periodo, un regime di doppia circolazione, con retribuzioni date in parte con una moneta e in parte con l’altra. Dopo di che, superato il momento peggiore, si può tornare a ragionare sulla cosa.

Ovviamente, l’operazione di passaggio sarebbe abbastanza complessa e richiederebbe approfonditi negoziati per regolare tutte le materie relative (ad esempio, la conversione dei mutui nelle nuove monete, senza danni per i mutuatari, tanto per dirne una). D’altra parte, neppure il passaggio all’Euro è avvenuto in due minuti: da Maastricht all’entrata in funzione della moneta unica sono passati ben 10 anni. E dunque anche questo passaggio richiede i suoi tempi ed i suoi modi di attuazione.

Soprattutto, non è detto che la Ue debba restare questo mostro onnivoro che è oggi: di fatto questa fusione delle tre  europe (del nord, del sud e dell’est) non ha molto funzionato né politicamente (e si pensi al fianco est), né economicamente (e si pensi al fianco Sud). Forse l’ipotesi di una unificazione politica potrebbe essere più facilmente realizzata fra paesi più omogenei, con tre federazioni a sua volta alleate fra loro. Tre federazioni europee (del nord, del sud, dell’est) sembrano una soluzione più praticabile di un’improbabilissima unione politica di tutto il continente e la questione della moneta potrebbe trovare uno scioglimento in questo ordinamento a tre.

Insomma, la Storia non è finita, come pensava quell’imbecille di Francis Fukuyama, e l’esistente è solo il presente. Non l’eternità.

 

Aldo Giannuli

 

 




 

 
Il regno del malaffare PDF Stampa E-mail

22 Maggio 2014

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 Da Il Gazzettino del 16-5-2014 (N.d.d.)

 

Nella prima conferenza stampa, all'indomani dell'arresto di Claudio Scajola, il Procuratore di Reggio Calabria Cafiero De Raho, ha dichiarato: «L'aspetto che colpisce è come una persona che ha ricoperto ruoli al vertice dello Stato possa curarsi di un'altra persona condannata e latitante nella consapevolezza di chi si muove come se essere condannati per associazione mafiosa non conti nulla. Ė impressionante». Scajola è stato ministro dell'Interno cioè colui che dovrebbe contrastare il fenomeno mafioso e ogni forma di criminilità. In contemporanea è esploso lo scandalo Expo, poi quello degli sperperi milionari e clientelari della Sogin e da ultimo il coinvolgimento, sia pur a livello di indagini preliminari, di Giovanni Bazoli, ex consigliere di Ubi, banchiere di lungo corso, cattolico, finora 'al di sopra di ogni sospetto', in affari poco chiari della quinta Banca italiana.

Sì, è impressionante ciò a cui stiamo assistendo in Italia. Adesso Renzi, per l'Expo, ha nominato una task force che dovrebbe controllare la legalità delle operazioni. Chiude la stalla quando i buoi sono scappati. Ma a parte questo non c'è nessuna certezza che fra i controllori ci siano soggetti migliori dei controllati («Qui custodiet custodes?»). Perché in Italia il più pulito c'ha la rogna. E' un Paese marcio fino al midollo.

L'altro giorno La Stampa mi ha intervistato per chiedermi se ci trovavamo di fronte a una nuova Tangentopoli. Una domanda finto-ingenua. Tangentopoli non è mai finita. Semplicemente, come un virus mutante, la corruzione ha cambiato alcune sue modalità. Del resto che cosa ci si poteva attendere di diverso se quasi all'indomani di Mani Pulite, con i testimoni del tempo ancora in vita, tutta la classe politica e buona parte di quella giornalistica, con un gioco delle tre tavolette trasformò i magistrati nei veri colpevoli, i ladri in vittime e Antonio Di Pietro, da idolo delle folle, divenne l'uomo più odiato d'Italia? Nel frattempo tutti i governi, di destra e di sinistra, hanno inzeppato i Codici penali di norme dette 'garantiste' che rendono quasi impossibile perseguire i reati economico-finanziari, quelli di 'lorsignori', e comunque di far fare qualche anno di gabbio ai responsabili.

Ma al di là delle sanzioni penali, manca la sanzione sociale. A me colpì la vicenda di Luigi Bisignani. Bisignani, già trovato con le mani sul tagliere della P2 (uffa, che barba, storia vecchia), nella stagione di Mani Pulite fu condannato per reati contro la Pubblica Amministrazione. Il cittadino normale si sarebbe aspettato che uno così non avrebbe mai potuto mettere più piede in un ufficio pubblico. Ma nel 1996 lo troviamo bel bello come principale consigliere di Lorenzo Necci, amministratore straordinario delle Ferrovie arrestato in quell'anno. Evidentemente esiste una vastissima framassoneria di politici, di ex politici, di amministratori, di ex amministratori, di finanzieri, di imprenditori, di brasseur d'affaires, uomini che si fiutano, si riconoscono, si cooptano, si autotutelano per combinare insieme affari sporchi ultramilionari. Il che ha dei riflessi sul cittadino comune che, di fronte a questo mulinar di denaro criminale si dice: «Ma proprio io devo far la parte del cretino e ostinarmi a rimanere onesto?». Per rimanere onesti in Italia bisogna essere dei frati trappisti. Perché una differenza con la vecchia Tangentopoli c'è. Allora la gente scese in strada colma di indignazione. Oggi non si muove foglia. In parte siamo diventati, a nostra volta, dei disonesti, in parte ci siamo mitridatizzati e consideriamo la corruzione, anche la più sfacciata e macroscopica, un fatto normale, banale, che fa parte nostra vita. Pubblica e privata.

Massimo Fini

 
Servizio civile PDF Stampa E-mail

19 Maggio 2014

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 "Tenere un milione di uomini sotto le armi è un valido mezzo per calmierare la disoccupazione": così scriveva da Saigon, in "Pelle di leopardo", Tiziano Terzani nel 1972, durante le ultime fasi della Guerra del Vietnam, di cui quel libro è una magistrale raccolta di reportages e corrispondenze.

Ho pensato a queste parole di Terzani leggendo l' ultima trovata dei "renzini": il Servizio Civile per 100.000 giovani, 8 mesi più altri 4 eventualmente prorogabili.

Nulla da eccepire, un bel parcheggio per disoccupati under 30.

Vogliamo guardare freddamente in faccia la realtà e analizzare il tutto?

Il Servizio Civile è nato negli anni Settanta come alternativa per gli obiettori di coscienza che, per vari motivi, ripugnavano di servire sotto le armi: abolita la leva obbligatoria, non ha più alcun senso neppure il Servizio Civile.

Tant'è, infatti, che la copertura finanziaria, dal 2006 ad oggi, è stata in decrescita esponenziale sino ad un budget di 70 mln di euro per meno di 14.000 posti per l' anno 2013-14; inoltre il 70% di coloro che svolgono tale servizio non trovano lavoro nonostante la formazione che fa "curriculum".

Se non trova lavoro il 70% di 14.000 partecipanti, vorrebbe dirmi il premier Renzi le chances che avranno altri 86.000 giovani da inserire in tale sistema, a parte 8 mesi parcheggiati da qualche parte?

Sento già le urla scomposte dei sicofanti di regime e dei buoni samaritani in salsa 2.0: insensibile, il Servizio Civile è un arricchimento umano e personale, un mezzo per rendersi utili, per dare solidarietà, eccetera eccetera...

Rispondo subito a lor signori: lo faccio con un ragionamento logico, che fila.

Visto che il Terzo Settore (no profit, onlus, etc) è in espansione ed è il futuro (questo è verissimo) ed è, certo, utilissimo a livello sociale e visto che la disoccupazione è ormai strutturale e le capacità di crescita del PIL dell' economia reale, in Paesi avanzati saturi a meno di speculazioni e bolle immobiliar-finanziarie che prima o poi esplodono, è ormai nulla, perchè non trasformare da "no profit" a "profit" tali associazioni e rimettere in circolo un giro economico forse più sano e più legato al reale?

Invece che progetti inutili quali EXPO o grandi opere che hanno una ricaduta effimera nel breve, perchè non sviluppare davvero il Terzo Settore, ma in modo serio?

Che senso ha che nelle Croci Rosse ci sono volontari sulle ambulanze (non retribuiti) per un lavoro così impegnativo e di responsabilità? Magari sono volontari che poi si scopre hanno un lavoro salariato, al di fuori del loro servizio: che senso ha? Che senso ha fare un "presidio"(mica leggero, a volte) di diverse ore, gratis et amore Dei?

Non sarebbe meglio formare un lavoratore salariato traendolo dai disoccupati e mettendo alla porta quello che un salario lo ha già? E' una questione di avverbio di negazione:va tolto il "no" davanti al profit, punto e basta.

Dite che questo è mercantilismo della solidarietà, mercificazione del sentimento verso il prossimo?

Va bene, pensatelo..continuate a usare 100.000 giovani l' anno come "esercito di riserva del proletariato"(Marx) per la gioia delle ONLUS che hanno tanta bella manodopera usa e getta e intanto il 42% dei giovani 18-35 sono a spasso..ma tanto, si sa, fa curriculum..così arriviamo ad avere gente di 30 anni che parla inglese, cinese, russo, hindi, ha 5 lauree, 2 Erasmus, 3 certificati, 14 corsi di formazione e poi..sta al bar a giocare col flipper o le slot in quanto inattiva.

Il Terzo Settore sarebbe un volano enorme per una economia ormai ingabbiata a patto che entri, appunto, nei meccanismi della economia e che si liberi delle pastoie del lavoro volontario: andrebbe rivisto, con leggi ad hoc, da capo a piedi. Si sta bruciando una generazione, forse più d' una: non è tempo, questo, di essere "buoni samaritani".

Simone Torresani

 
Elezioni: che fare? PDF Stampa E-mail

16 Maggio 2014

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Avvicinandosi un nuovo appuntamento con le urne, ritorna la domanda di sempre: che fare?

Trattandosi di eleggere il Parlamento europeo, logica vorrebbe che l’ Europa fosse il tema unico su cui riflettere. Tuttavia l’evidente inutilità di quel Parlamento e la significatività delle ricadute che il voto avrà sugli equilibri politici interni delle singole nazioni, invitano a riflettere su quale decisione prendere tenendo conto dei due fattori, il giudizio sull’Europa e le conseguenze del voto sul piano interno.

Per quanto riguarda il primo punto, non possono esserci dubbi sulla necessità di prendere in considerazione soltanto partiti e movimenti fortemente critici verso questa UE impresentabile, semplice appendice dell’Impero Atlantico, espressione politica del predominio di banche e monopoli.

Allora passiamo in rassegna i competitori a vario titolo critici verso la UE.

La lista Tsipras è un’accozzaglia raccogliticcia di reduci del peggior sinistrismo. Il loro antieuropeismo si ridurrà alla richiesta di rivedere i parametri di Maastricht. Il resto saranno appelli ai diritti dei gay e accoglienza indiscriminata degli immigrati. Quanto alle ricadute del voto a Tsipras sugli equilibri interni, non sarebbero altro che un rafforzamento della corrente civatiana del PD. Alla larga.

La Lega di Salvini, per evitare la sparizione dopo gli scandali e i fallimenti politici, ora punta decisamente sull’antieuropeismo e sul ritorno alla lira. Siamo abituati alla rettifica del tiro della Lega. Esordì contro i terroni. Poi se la prese con “Roma ladrona” e propose il rimedio della secessione. Il terzo tempo fu quello della campagna contro gli immigrati e del federalismo. Ora Salvini, che non manca di fiuto politico, si appoggia al Front National di Marine Le Pen, ma in modo del tutto strumentale perché fra il nazionalismo di Le Pen e il localismo della Lega c’è incompatibilità. Se la Lega dovesse avere un successo elettorale, lo spenderebbe per alzare il livello delle richieste in una nuova alleanza con Berlusconi. Alla larga.

Fratelli d’Italia appare fra i critici dell’UE il partito più coerente, più vicino alle posizioni del Front National, che deve essere considerato il punto di riferimento di quanti vorrebbero disgregare l’attuale carrozzone europeo. Però accanto a una presentabile Giorgia Meloni troviamo un reducismo non meno raccogliticcio di quello di Tsipras. Ci vuole un bel coraggio per votare un partito fra i cui dirigenti ha ancora voce in capitolo La Russa. Anche Fratelli d’Italia, del resto, userebbe un successo elettorale per una nuova alleanza con Berlusconi. Alla larga.

Resta M5S. Che abbia deluso molti di quanti lo avevano votato, è indubbio.

Il suo antieuropeismo è tutto da dimostrare, essendo altalenante come tutte le posizioni assunte dal Movimento sui temi più significativi, a parte la moralizzazione della vita politica e la lotta alla casta, l’unico punto veramente qualificante di Cinque Stelle e l’unico perseguito con coerenza. Su tutto il resto, Grillo e Casaleggio non fanno altro che inseguire calcoli elettoralistici, spostandosi qua e là secondo gli orientamenti che vengono dai sondaggi. Col calcolo elettorale si spiega anche il rifiuto della mano tesa da Marine Le Pen, che proprio per la chiusura di Grillo è stata costretta a cercare nella Lega una sponda italiana al suo progetto. Grillo ha rifiutato quell’approccio perché sapendo che il Front National è esposto alla solita accusa stantìa di neofascismo, non vuole prestare il fianco alla facile polemica di chi già lo accusa di populismo fascistoide. Dal punto di vista di un’azione coerente ed efficace per il superamento dell’attuale UE, M5S è inaffidabile. L’unico motivo per cui potrebbe essere votato è l’ipotesi che riesca a superare le percentuali del PD. In questo caso il renzismo sarebbe già finito e il PD, il pilastro politico del conservatorismo italiano, entrerebbe in una crisi finalmente irreversibile. Sul cosa farebbe M5S di questo successo e con quali linee programmatiche cercherebbe di orientare un sistema Italia allo sfacelo, è lecito  lo scetticismo.

In definitiva, mai come in questa circostanza l’astenersi dal voto sembra la decisione più fondata.

Con un’avvertenza: al potere la percentuale dei non votanti non interessa minimamente. Anche se dovesse votare solo il 20% degli aventi diritto, si farebbero i conti sulle percentuali ottenute fra quei pochi milioni di votanti. Non illudiamoci che l’astensionismo abbia una carica dirompente. Astenersi ha un valore più morale che politico.

 

Luciano Fuschini  

 

 

  

 
Il mostro in noi PDF Stampa E-mail

13 Maggio 2014

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Da Libero Pensare del 9-5-2014 (N.d.d.)

 

Il mostro è in prima pagina.

Ma che sorpresa: l’uomo che ha crocifisso e seviziato una prostituta alle porte di Firenze è un ‘man next door’, un uomo della porta accanto.

Uno qualunque, insomma, come il nostro vicino di casa.

Un tipo normale, con moglie e figlio, con il suo lavoro, gli amici.

È naturalmente già saltato fuori qualcuno del vicinato a dire che sì, uno qualunque, però era un po’ strano, taciturno, ma questo è da copione.

Una vita apparentemente come quella di chiunque, certo, solo che si scopre che aveva già stuprato e seviziato altre prostitute in passato e che tutto nasceva dalla perversa eccitazione che il soggetto ricavava dalla sofferenza della propria vittima.

Così tra breve inizieranno i tour-de-force mediatici con psicologi, criminologi, tuttologi assortiti ad analizzare, sezionare, intervistare, pontificare.

The show must go on.

Fino alla prossima volta in cui tutto lo show ricomincerà da capo, in occasione del prossimo crimine incomprensibile.

 

Ma il problema è tutto qui; che si continua a considerare incomprensibile quel crimine.

Non si vuole riconoscere la presenza di un elemento malato, di un elemento patologico in ogni essere umano, in ciascuno di noi.

Evidentemente questo elemento patologico può restare sconosciuto per tutta la vita o emergere distruttivamente in certe circostanze.

Come esiste un impulso verso il Mondo spirituale in ciascun’anima – anche nelle anime più immerse nel materialismo - allo stesso modo ne esiste uno verso il mondo sub-umano, verso la possessione da parte degli istinti.

E, visto che le persone non approfondiscono, non indirizzano i propri pensieri verso lo Spirito, ma in qualche modo assopiscono, stordiscono questo impulso - rivolgendosi allo Spirito solo con vuote chiacchiere o vani sentimentalismi - avviene che la situazione si ribalta.

Infatti, spiritualmente esiste una legge secondo la quale, se un impulso elevato viene stordito nell’anima, si ribalta nel suo contrario.

Le perversioni, tutte le orribili anomalie sessuali sono dunque il rovesciamento, la controimmagine di elevate virtù che si realizzerebbero nel Mondo spirituale, se s’indirizzassero in quella direzione le forze che invece si riversano nel mondo fisico.

“Si deve riflettere sul fatto – così Rudolf Steiner - che ciò che si esprime in impulsi spregevoli nel mondo dei sensi, se venisse utilizzato nel Mondo spirituale, potrebbe produrre risultati sublimi nel Mondo spirituale. Questo è straordinariamente importante”.

Insomma, se non viene compresa la corretta distinzione tra Mondo spirituale e mondo sensibile esteriore il sublime si capovolge nel mostruoso.

Ho avuto modo di approfondire quest’argomento in un’altra occasione, quella del “mostro di Cleveland” che tenne segregate tre ragazze per anni usandole come schiave sessuali.

Nelle considerazioni fatte allora risaltava una riflessione che vorrei riprendere qui.

La questione, cioè, che se noi vogliamo approfondire la conoscenza di queste forze distruttive – il Male - non ci dobbiamo rivolgere agli effetti esteriori, ma dobbiamo indagare il principio del male all’interno della nostra individualità, dove si esprime nei nostri pensieri, sentimenti o azioni.

Comprendiamo insomma qualcosa del male non tanto indagando sulle azioni – più o meno malvage - ma sulle ‘inclinazioni’ alle azioni.

Se lo facciamo mediante una profonda esperienza interiore scopriamo che “non esiste crimine alcuno sulla Terra verso il quale ogni uomo non abbia una inclinazione inconsapevole, indipendentemente dal fatto che nell’uno o nell’altro individuo tale inclinazione al male porti all’azione malvagia, in quanto questo fatto dipende da tutt’altri fattori rispetto all’inclinazione stessa”.

Attraverso queste considerazioni dunque lo scenario muta radicalmente e si comprende che non sarà mai possibile gettar luce su questo enigma se si continuerà ad indagare questo delicatissimo aspetto dell’anima umana solo da un punto di vista materialistico, in quanto il male non è che bene rovesciato, gli impulsi più elevati si ribaltano nelle perversioni più mostruose.

“Abbiamo così il crimine – continua Steiner - in quanto l'uomo lascia sprofondare la sua natura migliore, non la peggiore, nel fisico-corporeo, che, come tale, non può essere cattivo, e ivi sviluppa quelle proprietà che non appartengono alla corporeità fisica, ma alla parte spirituale. Perché possiamo noi uomini essere malvagi? Perché possiamo essere esseri spirituali! Perché l’uomo deve avere le proprietà che possono renderlo malvagio, altrimenti non potrebbe mai innalzarsi al Mondo spirituale”.

Se cerchiamo di comprendere intimamente il senso di queste parole – immergendoci in profondità nella nostra anima – siamo forse in grado di intuire sia la ‘corresponsabilità’ di ciascuno di noi per il male che ci circonda, che il significato più profondo del rapporto bene-male nella nostra esistenza terrestre.

 

Piero Cammerinesi

 

 

 

  

 
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