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Immorale sacrificare il proprio popolo per interessi altrui PDF Stampa E-mail

1 Dicembre 2022

 Da Appelloalpopolo del 28-11-2022 (N.d.d.)

L’economia sociale di mercato è una economia che vuole assicurare la piena occupazione e lo stato sociale mediante il mercato, ossia mediante la vittoria nel mercato. È dunque una economia “fortemente competitiva”, come prevedono i Trattati. È una economia che assicura a uno Stato la “possibilità” di mantenere ed eventualmente promuovere la piena occupazione e lo Stato sociale, se e nella misura in cui vincerà la competizione con altri Stati. Lo Stato sociale, in questa economia, si regge con i surplus commerciali e con le imposte che derivano dalle imprese che realizzano i surplus, nonché dai lavoratori che vi lavorano. È dunque un’economia che è sociale per alcuni e non per altri. È  l’economia dello Stato sociale condizionato e dell’alta disoccupazione strutturale permanente. Per questa ragione l’Europa non è uno Stato e un soggetto geopolitico, bensì un campo di battaglia tra imprese e tra Stati. È  il campo da gioco in cui si gioca la partita permanente tra Stati e imprese.

Questa costruzione, oltre ad essere opinabile nella sua essenza, ha due limiti interni. In primo luogo, gli Stati europei, sprovvisti di poteri sovrani ma abilitati a scrivere le regole della loro competizione, sono più deboli degli Stati sovrani, quando si verifica uno shock esterno. Gli Stati europei, infatti, non possono utilizzare i poteri sovrani come gli altri Stati, visto che per ora quei poteri sono sospesi; possono soltanto riscrivere le regole della competizione. Possono scrivere nuove e diverse regole della competizione e basta. È  ciò che è accaduto dal 2008. Gli Stati Europei hanno tardato a reagire e, quando lo hanno fatto, hanno reagito nell’unico modo che avevano: hanno riscritto regole della competizione (tra Stati e imprese europee) che avrebbero dovuto avere carattere “eccezionale”. Queste regole tuttavia, fondamentalmente illegali, perché in contrasto con i Trattati, perdurano da dodici anni (dodici anni di eccezionalità e di illegittimità) e si moltiplicano anziché essere cancellate. In secondo luogo, il ritorno della Storia, nella forma della necessità degli Stati Uniti di riattivare la produzione interna, non può che andare a danno dei soggetti geopolitici produttivi politicamente più deboli, che non sono il Giappone, la Russia, l’India, la Cina, il Brasile, il Sudafrica o la Corea del sud, ossia gli Stati sovrani, ma, ovviamente proprio gli Stati europei, che per ora hanno deciso di sospendere la sovranità. La riattivazione produttiva interna nell’ottica della classe dirigente statunitense deve avvenire distruggendo l’economia europea, attraverso la separazione della produzione europea dall’energia russa (la guerra promossa in Ucraina è un’azione sia antirussa sia antitedesca e a ricasco antitaliana).

 

Stati europei sovrani avrebbero badato ai loro interessi e si sarebbero schierati, in tutto o in parte, a fianco della Russia. Non perché la Russia abbia ragione, bensì perché mantenere rapporti con la Russia è nel loro oggettivo interesse. Nelle dispute internazionali gli Stati sovrani e che non siano simili a colonie, si schierano sempre nel loro interesse, molto più di quanto lo facciano i singoli uomini. Un uomo coraggioso, infatti, può sacrificare se stesso e la sua famiglia per ragioni morali. Capita raramente, ma un uomo su mille statisticamente si comporta così, in modo altruistico. Invece, chi agisce per conto di uno Stato non dovrebbe mai sacrificare il popolo per interessi morali. È  morale sacrificare se stessi e la propria famiglia per un interesse altrui e morale. È  invece immorale sacrificare il proprio popolo, per interessi altrui e (reputati) morali. Invece, essendo l’Unione Europea composta da Stati deboli, non sovrani (più correttamente: a sovranità sospesa), gli Stati non hanno la forza (oltre a non avere il potere) di perseguire il proprio interesse.

Si può essere europeisti. Si può essere contenti che esista l’Unione Europea. Ma bisogna farlo sapendo che l’Unione Europea è questo campo da gara, disciplinato da undici anni da norme eccezionali e illegali, nel quale si svolge la competizione tra Stati impotenti, e asserviti, che mascherano la loro impotenza, dichiarando ai cittadini che essi agiscono (nella guerra civile ucraina) per ragioni morali, tacendo che stanno sacrificando gli interessi dei cittadini e delle imprese degli Stati dell’Unione (non di tutti ma di molti).

Stefano D’Andrea

 
Il vuoto non esiste PDF Stampa E-mail

30 Novembre 2022

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Il vuoto è corpo integrante della dimensione materialistica e razionalistica, dimensione che oggi regna sui nostri pensieri. Essa fa la cultura e forgia le modalità di vita fondate su pilastri via via più effimeri e virtuali. Si tratta di un piano di lavoro bacato, la cui missione ultima ed esiziale è assistere al precipitare di chiunque non se ne sia emancipato. Quel vuoto è concreto, sebbene metafisico, spirituale. Nella fanfara trionfante dell’opulente mondanità, gli individui marciano, smargiassi o miserabili, verso le voragini.[…]

Dunque, il vuoto è parte integrante della nostra cultura, vera spada di Damocle appesa sopra la storia. Tuttavia, possiamo emanciparci dal rischio che questa precipiti. Come già segnalato da millenni da tutte le tradizioni sapienziali che ogni geografia del mondo ha generato, l’uomo ha riconosciuto cosa gli produce sofferenza e cosa gliela crea. È un discorso che riguarda l’io separatore, la scienza analitica, l’individualismo, l’edonismo e altro ancora. Per tutti si tratta, in sostanza, della separazione dal tutto, dall’Uno originario, regno di tutte le idee dal quale gli uomini estraggono soltanto quelle idonee e permesse dalla loro biografia. Ma se la matrice materialistica svolge il suo miglior servizio in contesto meccanico-amministrativo, quando viene mutuata – accade inconsapevolmente – a quello relazionale, il disastro è tanto in nuce quanto conclamato. Il principio di causa effetto, efficace descrizione di un mondo limitato a pochi elementi, pressoché statici, non si addice a rappresentare e ad esaurire le dinamiche latenti in una relazione tra gli universi diversi che siamo.

 

In questi tempi contemporanei, viene in aiuto – ma in ultima posizione – la fisica quantica. La sua natura illogica, la sua modalità non protocollabile di rappresentare il mondo in forma probabilistica e non deterministica, la sua capacità di riconoscere la verità di un mondo dove il tempo e lo spazio non sono quelli che ci hanno insegnato, regolari e misurabili, non sono che rappresentazioni idonee a riconoscere il carattere profondo delle relazioni e ad annullare così il vuoto. Allora, entanglement ed emozioni hanno di che raccontarsi. Probabilità e rischi di una relazione possono essere riconosciuti nel principio di indeterminazione, il sentimento di un elemento della relazione corrisponde all’idea che la realtà vari in occasione della sua osservazione di essa. La sincronicità sostituisce la consequenzialità. La considerazione non è più avviene questo a causa di quest’altro, ma cosa significa ciò che sta avvenendo ora?

Ed è proprio in quest’ultima domanda che si può cogliere l’assenza del vuoto, in quanto segnale che tutto è collegato, che tutto è un solo organismo, che separarne una parte è la pornografia scientista. La logica e i suoi saperi cognitivi, somma di dati alieni alla vita, tanto lustri ed esclusivi nel mondo del causa/effetto, perdono potere. L’illogico torna a far parte di questo mondo a pieno titolo.

 

La fisica quantica dà, dunque, dignità ai cosiddetti ciarlatani, quel popolo che non voleva né poteva sottostare al campo autoreferenziale della scienza moderna, esclusivamente fondata sui pilastri della fisica meccanica e sull’assolutismo del metodo scientifico come sola fonte e sede di verità definitiva. Struttura alla quale, si badi, le condivisibili considerazioni di Popper non spostano di una virgola la natura del sistema analitico della conoscenza. Dando dignità a tutto il non scientifico, possiamo trovare in ciò che l’ascolto e l’empatia ci insegnano le doti utili a gestire le relazioni anche con noi stessi. Doti che implicano una migliore condizione di vita, quindi una migliore società, cultura, politica, educazione. Migliore vita allude a realizzare uomini compiuti, ad evolvere verso l’invulnerabilità sempre più solida ed estesa. Ovvero individui all’altezza di muoversi secondo la loro natura. Mai più si troveranno davanti a un vuoto baratro in cui perdersi. Il non vuoto che anche la fisica quantica ci segnala ha in sé il potere di frenare la corsa ammattita verso il vuoto vero, alla quale l’uomo ha educato se stesso.

 

Lorenzo Merlo

 
La politica dei bonus PDF Stampa E-mail

29 Novembre 2022

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 Ha fatto il giro della stampa estera l' iniziativa di un borgo salentino nei pressi del Capo di Leuca di istituire un bando per l' agevolazione di acquisti e ristrutturazioni di case inabitate nel centro storico, con cifre che andranno-a fondo perduto-sino alla bellezza di 30.000 euro. Si tratta dell' ultima iniziativa atta a contrastare il fenomeno dello spopolamento dei piccoli paesi-appenninici e non solo, essendo in questo caso a un tiro di schioppo dallo Jonio-della cosiddetta "Italia minore"(che a ben vedere sarebbe l' Italia autentica e maggiore, altro che minore!). Che dire? Diciamo subito che per una volta  non si deve fare nessuna critica: l' iniziativa in sé è più che lodevole, la Giunta comunale senz' altro sta agendo con le migliori intenzioni possibili, il problema esiste davvero e mette a rischio centinaia e centinaia di piccoli Comuni che vedono l' erosione lenta e irreversibile a livello demografico, riducendosi a borghi di vegliardi e un borgo di vegliardi, con tutto rispetto parlando, non ha futuro alcuno. Sulla bontà delle intenzioni e sul fine nulla da dire, tutt'altro: siamo noi i primi "sponsor" divulgatori per far rinascere questi meravigliosi microcosmi.

Molto da dire,invece,a livello concettuale sui mezzi utilizzati per raggiungere il fine e in questo caso come per altri vale sempre lo stesso ragionamento che feci qualche tempo fa riguardo i bonus e i ministeri ad hoc per incentivare la natalità in Italia: non si risolvono questi problemi regalando soldi a pioggia sperando di accalappiare gente qua e là ingolosita o smaniosa. Il denaro deve essere uno strumento per raggiungere un obiettivo e non viceversa; le persone vanno invogliate non con promesse e bonus ma mostrando loro un concreto e sostenibile progetto di vita,spingendole a rimettersi in gioco ed in discussione e facendo accettare come solida e concreta la sfida di poter iniziare daccapo una nuova vita,migliore,farli sentire dei pionieri e dar loro un posto e un ruolo da interpretare sino in fondo. Creare l' humus culturale adatto a estrarre le energie latenti ,per farle prorompere all' esterno. Ci stiamo abituando a questo errato messaggio: esiste un problema e la soluzione ad esso consiste nell' invogliare o nell' ingolosire qualcuno a fare una cosa solleticandone il portafogli.Sarebbe come dire: dai,se metti al mondo un figlio ti diamo la paghetta e se decidi di fare un investimento immobiliare in un centro storico che sta morendo ti diamo un incentivo a fondo perduto.Tipico modo di monetizzazione del pensiero attualmente in voga in quest' epoca minore e balorda: siccome tutto ruota intorno ai quattrini, allora il denaro deve essere la bacchetta magica e il deus ex machina che,come nella miglior tradizione teatrale antica,cala dall' alto e risolve il guaio . Non è così,per nulla. Così come mettere al mondo un figlio è soprattutto una questione culturale e non solo economica, anche trasferirsi e comprare casa in un paesino sperduto non è affare da risolversi con un bonus .

Far rinascere un paese che muore significa anzitutto ricostruirne la comunità perduta e ripristinare il "gioco delle generazioni" all' interno di quei fantastici microcosmi umani che erano i nostri borghi d' una volta: comunità peculiari, influenzate dal "genius loci" e da mille altri fattori ambientali,antropologici e culturali che rendevano quei borghi degli "unicum"di cui a titolo esemplificativo potremmo prendere la descrizione di Spoon River nella omonima antologia scritta da E.L.Masters,rappresentazione di un tipico villaggio rurale dell' Illinois di fine Ottocento-inizio Novecento.

Il pericolo di queste iniziative è che le case vengano acquistate da facoltosi pensionati nordeuropei o italiani settentrionali per svernare nel clima meridionale -lasciandole vuote per parte dell' anno e tornando,quindi,punto e a capo-oppure da persone intenzionate a sfruttare gli immobili come strutture ricettive turistiche,andando all' incasso nei mesi estivi e primaverili. Difficilmente queste case verranno acquistate da giovani coppie con o senza figli,la vera linfa per ridare vita al corpo secco dei centri storici. Che vogliamo fare di questi borghi? Dei luna park turistici estivi da maggio a ottobre (la cosiddetta stagione allargata del turismo) i cui introiti,per inciso,andranno solo parzialmente a riverberarsi sulle comunità locali-perché tasse a parte(esempio la Tari) se in un borgo manca tutto e i negozi chiudono,il turista usa la casa solo come dormitorio e va a mangiare e a divertirsi altrove; in quanto agli F24 sugli affitti i soldi vanno all' Agenzia delle Entrate e non al Comune-oppure vogliamo veramente farli rivivere? Non sarebbe forse meglio estendere i bonus più che alle case ai mestieri? O creare delle specie di Zone Economiche Speciali in questi borghi con agevolazioni estese per esempio a: -Coppie che si trasferiscono in loco(bollette agevolate per i primi due -tre anni,Tari ridotta,ecc.) -Se la coppia ha uno o più figli,ancora più aiuti -Primi tre anni senza tassa alcuna a chi decide di aprire negozi o altre attività di vicinato e affitti agevolati sui locali commerciali a 1/3 del prezzo di mercato corrente per almeno i primi cinque anni -Agevolazioni quinquennali e sgravi fiscali almeno quinquennali a tutti gli imprenditori agricoli e vendite dei terreni incolti a prezzi simbolici,non superiori ai 100 euro.Analoghe misure per attività di allevamento. -Burocrazia a  zero e agevolazioni almeno quinquennali (con estensione a sei,sette anni,per lanciare l' impresa) a tutti coloro che decidono di aprire una attività di piccola e media impresa legata ai prodotti del luogo(dall' artigianato all' agroalimentare). Infine vendita di case sfitte o abbandonate a prezzi agevolati e agevolazioni e sgravi o bonus edilizi per la ristrutturazione. Dite che è osare troppo? No,è osare ancora troppo poco.Ed è il solo sistema per far tornare a vivere una pletora di borghi morenti che rappresentano un capitale unico e insostituibile,una vera ricchezza nascosta di valore inestimabile.

Non servono vecchi e pensionati a scaldarsi le ossa al bel sole d' Italia o a respirare aria frizzante di montagna,servono giovani coppie e bambini per ridare vita alle strade,ai vicoli,alle piazze; servono i negozi dei parrucchieri,dei vinattieri,dei minimarket alimentari,dei panettieri e fornai,dei macellai e di tutte le altre esigenze, dai computers e telefonia mobile alle sedi distaccate delle compagnie di assicurazioni e vedrete che seguiranno anche nuovi sportelli bancari,nuovi poliambulatori medici,vedrete che quella farmacia assumerà un dipendente in più o forse nella parte opposta del borgo una nuova farmacia le farà concorrenza, spartendosi entrambe il paese. Vedrete che quel plesso scolastico oggi polveroso e con solo una classe stenta risuonerà di nuove grida infantili e di nuove sezioni.

Non si può,non è possibile far risorgere queste realtà senza creare dapprima le fondamenta che tutto sostengono: senza creare cioè una nuova comunità inserita nella cornice peculiare dell'ambiente circostante. Il turismo? Di quello i borghi ne hanno fatto a meno per secoli e secoli ,possono farne a meno ancora per un pezzo. Il settore turistico,specie nell' epoca odierna dell' effimero, è volubile: quel luogo che oggi diciamo "social" e alla moda domani stesso può essere messo nel dimenticatoio,a scapito di un altro; il turismo di massa crea solo erosione delle risorse e danni; pensare inoltre di usare il turismo come architrave economico in paesini di due,tre ,al massimo quattromila anime per 12 mesi l' anno è qualcosa di insensato.Non stiamo parlando di Roma,Firenze,Napoli,Venezia ma di piccole realtà.Passati i cinque,massimo sei mesi della stagione che si fa? Si risprofonda nella noia e nell' oblio,in attesa di un' altro giro di ruota?

Non si veda questo come articolo di critica alle amministrazioni che decidono tali iniziative o vendite a prezzi simbolici: sindaci e assessori fanno quel che possono,le coperte delle risorse sono già corte in ambito di governo nazionale,figuriamoci in ambito puramente locale.Diciamo che a modo loro lanciano idee seppur imperfette ed incomplete,sta a noi perfezionarle e completarle. Sappiamo ,siamo consapevoli che oggidì non è per nulla possibile mettere in pratica le buone intenzioni e le idee scritte in queste righe: mancano soldi,risorse-e ce ne vorrebbero a profusione,a iosa,di soldi e di risorse-e manca proprio il concetto culturale e mentale per mettere in pratica simili iniziative.Per riassumere e farla breve,non esiste nessuna condizione a partire dal dato di fatto che non abbiamo alcuna sovranità monetaria ed economico-finanziaria. E senza questo, gli "scripta" diventano "verba" che "volant". Consideriamo questi scritti come metapolitici o se vogliamo metasociologici e teniamoli in caldo per un eventuale futuro in cui ci saranno le condizioni per attuare i concetti qui esposti e ragionati. Vediamolo insomma come un messaggio di un naufrago in bottiglia e affidiamolo al mare.

Simone Torresani

 
Siamo liberi PDF Stampa E-mail

28 Novembre 2022

 Da Appelloalpopolo del 25-11-2022 (N.d.d.)

Siamo liberi di studiare e di non credere a opinioni.  Siamo liberi di amare il ragionamento e non idoli.

Siamo liberi di educare i figli allo studio, al rigore, alla passione e ad essere originali.  Siamo liberi di non seguire le mode.

Siamo liberi di accettare i nostri limiti e difetti e di combatterli. Siamo liberi di non vedere la TV.

Siamo liberi di essere ambiziosi e umili. Siamo liberi di sacrificare tempo denaro e affetti per le nostre idee.

Siamo liberi di tentare di lasciare una traccia. Siamo liberi di vivere fuori dal tempo.

Siamo liberi di credere che bullismo, problemi di genere e cambiamento climatico siano distrazioni.

Mancano le libertà politiche e, per chi ne ha bisogno, quelle sociali e manca l’azione etica dello Stato. Questo sì.

Ma le libertà individuali per principio nessuno può togliercele.

Stefano D’Andrea

 
Pensa come vuoi ma pensa come noi PDF Stampa E-mail

26 Novembre 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 24-11-2022 (N.d.d.)

Il capitalismo rimane sempre quella roba lì che tutto mercifica in funzione del profitto, e del potere, che aumenta in relazione al primo. Mercificazione che rende strumentale i rapporti umani al punto di capovolgerli di senso. Per cui, diventa sempre più complicato distinguere la sincerità dall’inganno, visto che tutto è inquinato dall’etica del profitto. Ma oggi la relazione capitalismo-profitto, nei mercati più “evoluti”, passa sempre meno per la vendita del prodotto in sé, che deve conquistarsi la domanda attraverso la “bontà” declamata. Il capitalismo odierno ha bisogno di conquistare il cuore e la mente dei consumatori, ha bisogno di imporre il suo “punto di vista”. Un punto di vista capace sì di predisporre all’acquisto della merce proposta, ma che introduca nella testa del consumatore l’idea che quella sia la cosa “giusta” da fare. Il cosiddetto capitalismo della sorveglianza è tutto qua: pilotarci al punto da farci credere di essere noi i timonieri.

Che si tratti di manipolare le coscienze, per renderle compatibili alle nuove esigenze di mercato, ce lo spiega bene Boni Castellane oggi, nel suo articolo “Nel nuovo capitalismo l’industria vende dottrine, non prodotti”, dove lo spunto è offerto dai licenziamenti decisi da Musk per Twitter. In Twitter lavoravano schiere di dipendenti il cui compito principale era quello di misurare e selezionare i contenuti degli utenti, valutandone la cifra di “woke” contenuta in essi. “Lavorare” in Twitter consisteva, dice il nostro Castellane, nel vagliare e censurare ciò che gli utenti scrivevano e questo ben oltre la naturale funzione di moderazione e di limitazione per i trasgressori delle regole. Esclusivamente i contenuti in linea con i capisaldi della cultura “woke” potevano contare non solo sull’impunità ma sul più convinto sostegno. Castellane conclude il suo articolo affermando che nella società della fine del lavoro il compito principale dei marchi mondiali di vertice non è quello di vendere prodotti: i social non producono niente, al massimo fanno pubblicità, le case di moda non vendono a un vasto pubblico, e ciò perché l’unica cosa che conta davvero è il messaggio politico, l’indottrinamento culturale, la definizione di bene e di male, gli stili di vita suggeriti. Ciò che si vende è essenzialmente messaggio culturale, perché la mente del consumatore deve essere plasmata, quella è la vera finalità dei mercati più avanzati, i quali servono per mostrare come bisogna vivere, cosa pensare, quali limiti oltrepassare, in che modo e in che momento. A quel punto vendere un prodotto è l’ultimo dei problemi. Bravo Castellane!

D’altronde come non rendersi conto, per esempio, che nell’attuale campionato mondiale in Qatar l’oggetto non sia il calcio, ma come i calciatori, nonostante gli accordi Fifa-Qatar, riescano a far passare il messaggio che sembra essere diventato la ragione di vita del nuovo capitalismo: la dottrina Lgbt. Tutto il resto è noia.

Antonio Catalano

 
Come la tratta degli schiavi PDF Stampa E-mail

25 Novembre 2022

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 Da Comedonchisciotte del 23-11-2022 (N.d.d.)

Diversi anni fa il noto regista Nanni Moretti girò una scena in cui gridava a Massimo D’Alema, allora segretario del partito PDS (DS, PD, Quercia, Olivo, o comunque si facesse chiamare in quel momento il partito degli ex comunisti fulminati sulla via di Mosca e convertitisi piamente al più bieco credo liberista): “D’Alema,  di’ una cosa di sinistra!” La scena rimase più celebre del film da cui è tratta, ma né D’Alema né i suoi successori dissero mai più “qualcosa di sinistra”, tanto che nel corso degli anni della sinistra è rimasto solamente l’involucro vuoto e qualche ammiccamento a quelli che allora si chiamavano diritti civili. Ma pochi giorni fa, ho sentito di nuovo un politico italiano a dire “qualcosa di sinistra”: paradossalmente è stato il presidente del consiglio in carica e capo del partito più a destra nel panorama politico italiano (almeno tra quelli rappresentati in parlamento), nell’ambito di una disputa sulla ripartizione dei “migranti” con il presidente francese. La Meloni ha accusato senza mezzi termini la Francia di neocolonialismo, di sfruttamento delle popolazioni africane tramite signoraggio monetario e di ipocrisia sui “migranti” che si fa vanto di accogliere  mentre è in buona parte la causa dell’emigrazione medesima. Come dovrebbe essere chiaro a tutti, infatti, si aiutano le popolazioni africane non tanto trasferendo all’estero i più giovani e intraprendenti, ma creando le condizioni di sviluppo in patria o, quantomeno, evitando di sfruttarli come popoli coloniali. Sorprendente. Immagino che il discorso sia stato decisamente troppo ardito per un presidente del consiglio e che, anche se ci saranno veloci ammende, queste parole non saranno dimenticate facilmente in certi ambienti e probabilmente dovranno essere adeguatamente pagate al potere internazionale al momento opportuno. Dato, però, che non sono presidente del consiglio, ma semplice cittadino per di più privo di rappresentanza politica nelle istituzioni, penso di poter aggiungere qualche ulteriore considerazione sulla vicenda “migranti”. I burocrati non eletti di Bruxelles  e in generale i governi europei e americano sostengono pubblicamente l’immigrazione di massa principalmente con considerazioni umanitarie: è nostro dovere accogliere i migranti poiché sono bisognosi di aiuto. Un atteggiamento, per inciso, piuttosto simile a quello della chiesa nel corso dei secoli che ha sempre ritenuto di dover proteggere i  miseri come esercizio di pietà e mai di giustizia, come invece una sinistra degna di questo nome dovrebbe fare. Ma ovviamente quella umanitaria non è la vera ragione per la quale i governi occidentali promuovono e propagandano l’immigrazione di massa: banalmente, se davvero lo fosse, rimarrebbe impossibile spiegare gli innumerevoli episodi di aggressione armata dei medesimi governi occidentali a quelle popolazioni ora “migranti” avvenute negli ultimi anni e ancora in corso.

 

Come è possibile credere che i governi americano ed europei amino i popoli migranti e vogliano aiutarli quando al medesimo tempo li uccidono letteralmente a milioni a casa loro? L’aggressione manu militari degli Stati Uniti al Vietnam, alla Cambogia, al Laos, alla Serbia, all’Iraq, all’Afghanistan, alla Libia, alla Siria (e l’elenco non è certo esaustivo), accompagnata ed appoggiata attivamente da tutti i loro stati satelliti ha provocato cataste di morti che non sono mai stati mostrati in televisione: e adesso vengono a dirci che appoggiano l’emigrazione di questi stessi popoli per motivi umanitari? È come credere che le docce di Auschwitz servissero davvero contro i parassiti.  Al momento attuale le potenze occidentali (meglio: la potenza, visto che il resto è oramai composto soltanto fantocci), è impegnata nel massacro del popolo russo/ucraino, e allo stesso tempo nell’”accoglienza” dei profughi.

Quali sono allora i veri motivi che inducono le élite occidentali che controllano i governi a fare dell’immigrazione di massa uno dei pilastri della loro politica? Un primo banale motivo è quello della creazione di ciò che Marx chiamava “un esercito di lavoratori di riserva”, poveracci disposti a lavorare per il semplice sostentamento da contrapporre ai lavoratori europei e americani oramai abituati ad altri standard di vita a tutto vantaggio del proprio profitto. Mi pare infatti evidente che non siano gli operai a trarre guadagno dalla presenza dei “migranti”, ma chi ha la possibilità di farli lavorare per i propri interessi. Probabilmente a ciò si aggiunge un disegno più generale di annacquamento delle popolazioni europee e americane in modo da fiaccare con questioni etniche la loro resistenza ad un peggioramento delle condizioni  di vita così da poterle portare pian piano indietro nel tempo fino, magari, ad uno standard di puro sostentamento. In altre parole il tenore di vita delle popolazioni occidentali è più alto del necessario dal punto di vista delle élite, occorre riportarli a più accettabili livelli: l’immigrazione di massa è uno dei   mezzi usati assieme alla “transizione ecologica”. Il fine che si può intravedere è la creazione di un mondo dove una ristrettissima aristocrazia cosmopolita regni su una plebe senza diritti che vive ad un livello di poco superiore alla sussistenza e possibilmente ridotta drasticamente di numero, poiché l’eccessiva numerosità crea problemi di controllo e rovina il “loro” pianeta. Per convincersene, basta notare che a finanziare la tratta dei migranti sono quegli stessi oligarchi che apertamente stanno dietro al progetto del “nuovo ordine mondiale” (avete notato che lo stesso tipo di persone si chiamano miliardari filantropi o anche “visionari” se sono occidentali oppure oligarchi se sono russi?). Le organizzazioni che usano sono chiamate ong dal circo mediatico al loro servizio, cioè organizzazioni non governative. Cosa diavolo vuol dire organizzazioni non governative? Quando mai un’entità si definisce per ciò che non è? Probabilmente quando si vuol nascondere ciò che è. Anche la bocciofila di Treviso è un’organizzazione non governativa, anche l’associazione micologica di Monterotondo lo è. Ma dire che sono ong non chiarisce in nulla che cosa effettivamente sono. Nella fattispecie si tratta di organismi che vanno a prendere gli immigrati clandestini dalle coste libiche per trasportarli nei porti italiani, oppure organismi che si occupano di organizzare l’eversione di governi non graditi. E spesso non sono neppure non governative, in quanto sono creature dei servizi segreti. Per quale motivo poi gli americani avrebbero il diritto di decidere quale governo debba governare in Iraq, in Russia o in Afghanistan, nessuno ce lo ha mai spiegato.

La tratta dei migranti ha evidenti analogie con la storica tratta degli schiavi che serviva a procurare lavoratori per lo sviluppo delle colonie americane, dato che gli indigeni erano stati decimati dagli eccidi, ma, più sostanzialmente, dalle malattie. Anche allora il viaggio era costoso e pericoloso, la grande innovazione, se mai, è stato indurre i nuovi schiavi a desiderare la loro condizione, la si è ottenuta anche aiutando a creare in patria condizioni talmente abbrutite da rendere desiderabile qualsiasi altro destino. Cosa che non accadeva nella vita millenaria dei tradizionali villaggi africani dei tempi della tratta storica. Una cosa è vivere in un villaggio in mezzo alla foresta con le proprie tradizioni e la propria cultura intatte, un’altra vivere in un sobborgo di Lagos cercando di non morire di stenti, mentre la popolazione esplode e gli stranieri si portano via il petrolio quasi per nulla. Questa volta non si tratta più di popolare un territorio spopolato, ma di contribuire alla distruzione di una popolazione che ha raggiunto un livello di vita troppo alto per i desideri delle nuove élite. In fondo che gusto c’è a sdraiarsi su una spiaggia dei caraibi con un mojito in mano se un ragioniere di Gallarate può fare impunemente la stessa cosa?

Nestor Halak 

 
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