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Ardire di essere illiberali PDF Stampa E-mail

31 maggio 2011

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“Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino ad allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, conoscenza, ecc. – tutto divenne commercio. E’ il tempo della corruzione generale, della venalità universale o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale o fisica, divenuta valore venale, viene messa sul mercato per essere apprezzata al suo giusto valore” (Marx, Miseria della filosofia, Risposta alla filosofia della miseria di Proudhon).

L’era della mercificazione totale, magnificamente ritratta nella pagina di Marx, è giunta. Si è compiuta.
Si è compiuta, perché la nostra generazione ha vissuto anni nei quali tutto era alienabile e tutto è stato alienato. Il prestigio di uomo di cultura e di uomo di sport è stato venduto mediante contratti di sponsorizzazione. Può apparire curioso ma fino a pochi decenni fa ripugnava, non soltanto alla coscienza sociale, bensì anche all’ordine giuridico, che qualcuno potesse vendere il proprio prestigio. La giurisprudenza, in tempi che culturalmente ci appaiono lontanissimi ma che storicamente sono vicini, negava validità ai primi contratti di sponsorizzazione. Gli occhi, le anime, le menti dei telespettatori sono continuamente venduti al capitale marchio. Questa vendita è il fondamento strutturale della moderna società capitalistica. Anche in questo caso, fino al recente avvento della televisione commerciale, il fenomeno aveva un rilievo relativo e non poteva essere definito strutturale. L’utero è stato affittato; lo sperma e l’ovulo venduti. I divieti di alcuni stati nazionali poco hanno potuto contro il mercato globale, che gli stati, becchini di sé medesimi, hanno concorso a creare.
Saper vendere la propria persona è diventata la prima e più importante qualità per ogni uomo che intenda percorrere una carriera. E sapersi vendere significa comportarsi come l’altro si attende da te. “Sono come tu mi vuoi” è la regola imperante. Ed è regola diabolica, perché auto-impone la vendita dell’anima. L’esercizio dei poteri pubblici è stato venduto: da chi è stato al vertice del potere politico di uno stato europeo (si pensi al caso dello spregevole Schroeder), cosa mai accaduta prima, e da milioni di più modesti funzionari, in quantità un tempo impensabili anche nei periodi di grande corruzione. Medici vendono il loro ruolo e la loro missione alle case farmaceutiche. Le Università, in cambio delle tasse pagate da alcune categorie di iscritti (consulenti del lavoro, finanzieri, guardie forestali, ecc.) e dei finanziamenti che lo Stato italiano, ormai miserabile, ha elargito (anche) in funzione di quelle categorie di iscritti, hanno venduto il titolo di dottore. La simpatia, la sveltezza e la purezza dei bambini sono vendute in programmi televisivi, dove piccole anime innocenti cantano canzoni con testi da adulti, sebbene, a rigore, sovente si tratti di testi da adulti-minorati. I tempi in cui le apparizioni televisive dei bambini erano limitate allo zecchino d’oro appaiono lontanissimi; e invece sono appena dietro di noi.
Mai la prostituzione è stata diffusa come nel nostro tempo. E nell’epoca di internet il primato sulla rete spetta ai siti pornografici. Tramite il telefono voci di donna vendono compagnia a giovani e vecchi arrapati. Finanche l’erezione e l’eccitazione sono state vendute e acquistate nella forma di viagra e simili. Sono stati acquistati nasi, seni, zigomi, occhi, fianchi e glutei. Gli psicofarmaci impazzano. Anche la felicità o meglio la serenità ormai è in gran parte venduta. E nella madrepatria della mercificazione, persino la calma e l’attenzione dei bambini sono vendute e acquistate: si paga denaro per ottenere “sostanze” (psicofarmaci) che servirebbero a calmare e rendere attento un bambino.
Come se ne esce? Dico astrattamente, magari con un percorso lungo un secolo. E’ pensabile una proposta politica alternativa a quella dominante che tralasci il tema della mercificazione? Assunto l’orizzonte della mercificazione totale, come orizzonte comune al pensiero dominante e a quello che stiamo ipotizzando “critico”, può quest’ultimo essere davvero considerato come “critico” se affonda sulla medesima indifferenza dei valori sulla quale poggia il sistema dominante? Il partito alternativo al partito unico delle due coalizioni, se e quando verrà, deve essere anche, per certi versi, un “partito della verità e della giustizia”?
Ripeto la domanda, perché nella nostra cultura suona come un’assoluta novità: il partito alternativo al partito unico delle due coalizioni, che si spera venga prima o poi ad esistenza, deve essere anche unpartito della verità e della giustizia”?
La mercificazione totale non è periferica rispetto al sistema che si vorrebbe contestare; ne è il cuore pulsante. Se è sovrastruttura, è elemento di quella parte della sovrastruttura che condiziona la struttura. So che un tempo avrei sorriso e sarei persino inorridito per la domanda che pongo; mentre oggi essa mi appare domanda dotata di senso: domanda radicale. Una delle più profonde e importanti domande imposte dal pensiero critico.
Offrire una risposta negativa –non abbiamo bisogno di un partito della verità e della giustizia– appaga il nostro sentirci occidentali, eredi dell’illuminismo, atei o agnostici e comunque laici; ma al tempo stesso pone in dubbio e anzi direi in crisi il nostro anticapitalismo o comunque il nostro essere critici nei confronti dell’esistente, posto che l’era ritratta da Marx, ormai giunta a compimento, è l’era del capitalismo trionfante che stiamo vivendo: l’era della mercificazione totale. La risposta negativa si nasconde dietro un dito, quando muove dalla considerazione che sia sufficiente attribuire al cittadino il diritto di non acquistare. Questo è proprio il pensiero dominante, che ha orrore di norme che pongano il divieto di produrre e di vendere: lo schiavo, come è noto, è schiavo in primo luogo perché pensa come uno schiavo.
La risposta positiva è coerente con la critica del capitalismo e con il pensiero critico in generale, ma impone una riflessione sull’eredità dell’illuminismo e segnatamente sul principio della separazione del giudizio politico-giuridico dal giudizio morale. L’esito della inesorabile applicazione secolare del principio di separazione è stato la scomparsa della morale –non della vecchia morale, che si voleva abbandonare per un’altra, bensì della morale tout court– e quindi la mercificazione totale: là dove tutto è merce non vige morale. Nulla è inalienabile. Io comincio da un po’ di tempo a rispondere in senso positivo.
Sarebbe opportuno che tutti coloro che si considerano antagonisti del sistema si interrogassero: fino a che punto il liberalismo (di Einaudi, tra l’altro, non quello di Croce) ha conquistato i nostri cuori e ottenebrato le nostre menti? Antagonismi, socialismi, comunismi, ambientalismi, gli altri mondi possibili, le utopie eque e solidali, le ricollocazioni geopolitiche, le sovranità politiche o monetarie, le teorie dei “beni comuni”, le decrescite sono intrinsecamente e essenzialmente soltanto “forme buone” (ossia semplici miglioramenti) del liberalismo? Stanno dentro l’epoca della mercificazione totale e si accontentano, in pieno spirito liberale, di indicare ad alcuni la strada per una vita migliore? Se è così, perché ipocritamente continuare a sentirsi parte di una critica radicale?
Suvvia, cominciate a pensare che cosa vietereste; quale vendita sanzionereste! E dopo averlo pensato ditelo: “vieterei questo e quest’altro”. Fatevi paura, interrogandovi; poi superate la paura e impaurite i vostri commensali con frasi che li sconvolgeranno. Ardite essere illiberali! Sarà l’inizio della emancipazione da un pensiero totalitario che tutti ci ha conquistati.

Stefano D’Andrea

Appello al popolo

 
Due totalitarismi a confronto PDF Stampa E-mail

26 maggio 2011

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Una volta ucciso Bin Laden, poche settimane fa, è partito il solito leitmotiv secondo cui in questo modo si è salvata la democrazia occidentale, come se a minacciarla fosse un agente esterno e non parassiti interni che la consumano puntando diritto al suo cuore: il potere che corre, o dovrebbe correre, dal basso verso l'alto, dal popolo ai suoi rappresentanti. Infatti minaccia infinitamente di più la democrazia di uno Stato una legge elettorale come il Porcellum di Calderoli, che non permette ai cittadini di scegliersi chi li dovrebbe rappresentare, che un Bin Laden qualunque. Questo perché i terroristi fondamentalisti non colpiscono e uccidono per scardinare la democrazia, di cui a loro non frega niente, ma perché non accettano le imposizioni di un'altra cultura. Ma anche fosse, forse che dopo il 2001, anno dell’attentato alle Torri Gemelle, i governi occidentali sono diventati meno esecutivi, i parlamenti meno legiferanti e i voti elettorali meno liberi?
Tralasciando queste sottigliezze, poi, c'è da dire che l'Islam fondamentalista e l'Occidente non sono altro che due aspetti dello stesso problema, il totalitarismo. Ma paradossalmente (paradossalmente per gli occidentali e non per gli islamici) è di gran lunga più pericoloso e letale quello occidentale che quello islamico. Mentre il fondamentalismo islamico infatti si caratterizza progettando attentati, non foss'altro perché non ha la ricchezza e la potenza di fuoco necessaria per dominare il nemico (altrimenti, probabilmente, non esiterebbe), l'Occidente non combatte per dar prova della sua esistenza, ma per dominare "l'altro". Ieri territorialmente, con l'eurocentrismo prima e con il colonialismo classico poi, oggi perché ha il bisogno vitale di rapinare l'energia altrui e di conquistare, con le buone o con le cattive, nuovi mercati perché i suoi sono saturi. La differenza sta nell'obiettivo: il dominio occidentale tende ad essere solo economico, quello islamico, che dell'economia non sa che farsene, di pensiero religioso (il nostro fu anche religioso fino a che le Guerre di Religione, nel ‘700, non posero fine all’Europa cristiana a favore di quella laica). Ma sempre di due totalitarismi si tratta.
È comunque più pericoloso per la pace mondiale quello occidentale perché militarmente e tecnologicamente più avanzato: il massimo della forza devastatrice dell'Islam fondamentalista, che non può contare nemmeno su aerei da guerra, è stato buttar giù due grattacieli (l'11 settembre) e uccidere 3000 civili, il resto sono attentati a metropolitane con decine di morti. L'Occidente, invece, con le armi che dispone ha non solo la capacità di mirare con precisione e a distanza di migliaia di chilometri un obiettivo come può essere un grattacielo, ma possiede le armi necessarie per poter radere al suolo una intera città. La guerra in Afghanistan ha provocato la morte di più di 60 mila civili, 20 volte l'orrore delle Torri Gemelle; secondo uno studio Unicef, tra il 1991 e il 1998, a causa dell'uranio impoverito utilizzato dagli americani nella prima guerra del Golfo, ci sono stati 500 mila decessi di bambini iracheni sotto i 5 anni, una strage ben più ampia di quella causata dall'esplosione delle due bombe atomiche nella seconda guerra mondiale. E i loro bambini morti non sono meno bambini dei nostri.
Ma ciò che più distingue il totalitarismo occidentale da quello fondamentalista islamico, ed è proprio questo a fare più paura, è la motivazione. Mentre i fondamentalisti, infatti, giustificano i loro attentati con la motivazione naturale per la quale combattono, e cioè cancellare, o quantomeno contenere, la cultura totalitaria avversaria; mentre si sentono integralisti, e non lo nascondono, l'Occidente è sinceramente convinto di avere dalla sua il diritto e la morale. Si dice: "il nostro è il migliore dei mondi possibili", e questo è ritenuto sufficiente per disgregare tutti gli altri mondi, per “bombardare con la serenità della buona coscienza”, per torturare alla stregua della Santa inquisizione le proprie vittime (vedi Guantanamo), con la pretesa di farlo per il Bene.

Marcello Frigeri

 
Indignati! PDF Stampa E-mail

22 maggio 2011

Mentre dalle nostre parti ci si scalda per questioni come la "battaglia" tra Pisapia e la Moratti, altrove, come in Spagna per esempio, dove stanno assaggiando le attenzioni del FMI e di Standard & Poor's, ci si sta organizzando per andare, sembra, nella direzione giusta. A Madrid sono diversi giorni che i cosiddetti "indignados" stanno occupando la "Puerta del Sol", la piazza principale della città, seguiti da altre città spagnole. Si era partiti per protestare contro il ridicolo bipolarismo di plastica che oramai campeggia ovunque -non più solo negli Usa- e si è finiti per arrivare al nodo del problema, ossia all'offensiva dei grandi capitali finanziari contro i Paesi europei più deboli per scardinare l'euro e l'economia europea. Non sappiamo se la contemporanea messinscena costruita per cacciare Strauss-Kahn dal Fmi, sia solo una coincidenza o qualcosa di più. Di fatto, tira una brutta aria. Per ora, limitiamoci a esprimere tutto il nostro incondizionato appoggio ai cittadini spagnoli per il loro coraggioso intervento. Forse, a breve, in piazza dovremo scendere anche noi.

Comunicato di Movimento Zero

 
Il buon selvaggio PDF Stampa E-mail

17 maggio 2011

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Il disastro di civiltà dal cui vortice siamo triturati non potrebbe essere esemplificato meglio che dalle condizioni dell’infanzia e dell’adolescenza nei Paesi cosiddetti più avanzati. Negli Usa un’altissima percentuale di bambini al di sotto dei dieci anni fa uso di psicofarmaci. In tutto il mondo occidentale, i cui confini si vanno espandendo a macchia d’olio, ragazzini e adolescenti soffrono di malanni psicosomatici un tempo impensabili in quella fascia d’età: ulcere, gastriti, coliti, insonnia, asma, crisi di panico. Manifestazioni di stati d’ansia che ne fanno dei nevrotici quando sono ancora nell’alba della vita. Ammettiamo pure che in molti casi questi sintomi siano catalogati come morbosi soltanto perché un’altra delle follie della nostra epoca vuole che ci rappresentiamo come malati, attuali o potenziali, dalla culla alla bara, docili prede del mostruoso ingranaggio della Sanità. Resta comunque la realtà di un disagio diffuso anche nell’infanzia.
Una ricercatrice americana, psicologa dell’età evolutiva, certa Darcia Narvaez, ci propone sue interessanti conclusioni su come dovrebbero essere allevati i figli perché crescano in modo sereno e armonico. Le sue conclusioni sono dedotte da uno studio comparato che analizza gli effetti dei nostri sistemi e di quelli di comunità cosiddette primitive che vivono ancora, in alcune nicchie, di caccia e pesca. Queste dovrebbero essere le regole auree: 1) parto naturale; 2) allattamento al seno, anche fino ai 5 anni (periodo che appare fin troppo prolungato, ma la saggezza antica era concorde nel raccomandare un lungo allattamento. Il Corano prescrive 30 mesi); 3) massimo contatto fisico col piccolo; 4) pronte risposte alle sue richieste; 5) condivisione della cura da parte di più adulti; 6) incoraggiamento a giocare all’aperto con altri bambini, anche di età diversa.
Garantite queste condizioni, la persona si formerebbe in modo semplice, naturale, sereno e armonico, con effetti soltanto benefici nella sua vita e nella società tutta. Ebbene, è evidente che gran parte di queste condizioni, così ovvie e naturali, sono oggi di impossibile realizzazione. L’allattamento  per un lungo periodo è visto dalla maggior parte delle mamme come un’insidia inammissibile alla bella consistenza del seno, che richiederebbe poi l’innesto costoso di silicone da parte del chirurgo estetico; anche quelle che non si pongono tali problemi devono comunque fare i conti con orari di lavoro che non consentono queste cure continue all’infante: Marchionne ha imposto un contratto che taglia i tempi di pausa secondo una logica che non è certo quella del rispetto delle esigenze di un corretto allevamento della prole; la psicologia d’accatto che è diventata patrimonio diffuso della povera cultura comune, ha inculcato l’idea che prolungare l’allattamento al seno, indulgere al contatto fisico col bambino e rispondere sempre alle sue richieste sono comportamenti che provocano una dipendenza eccessiva dalla madre. Come è possibile poi condividere la cura con più adulti, quando la famiglia allargata non esiste più e viene esaltata la mobilità, con la conseguenza che i coniugi, obbligati entrambi al lavoro per sbarcare il lunario, sono quasi sempre separati da lunghe distanze per gran parte della giornata? Il rimedio è nei nidi d’infanzia e nelle scuole materne, unici luoghi in cui è possibile anche soddisfare l’esigenza del gioco all’aperto, precluso negli spazi urbani dalla marea delle automobili e perfino nei parchi pubblici insidiato da pericoli. Ma le cure di un personale stipendiato non sono paragonabili a quelle di una comunità unita da legami affettivi e di parentela. Le pratiche di psico-pedagogia vanno nella direzione contraria alla semplicità naturale delle culture cosiddette primitive. Ora l’unico figlio deve realizzare fin da piccolo le ambizioni frustrate dei genitori: deve danzare, deve imparare a suonare uno strumento, deve praticare uno sport ed essere vincente, deve nuotare, deve imparare le lingue perché gli specialisti garantiscono che nei primi anni di vita si è estremamente ricettivi. Il tutto in un ambiente familiare quasi sempre attraversato da tensioni, incomprensioni, litigi. Perché stupirci poi del disastro che siamo?
La condizione degli adolescenti è ancora più infelice. Anche a questo proposito i “selvaggi” hanno qualcosa da insegnarci. Si sa che il dramma dell’adolescenza è quello di vivere una lacerazione fra l’attrazione del mondo dell’infanzia e le pulsioni di un’età più adulta. Ebbene, questa dolorosa e sempre più protratta crisi di identità non esisteva nelle comunità tribali. Prima del superamento di una prova di passaggio, una sorta di iniziazione, l’individuo era trattato da tutti come un bambino, dopo il superamento di quel rito era visto da tutti come un adulto. Non si può nemmeno obiettare che in questo modo si forza la natura del ragazzo, ancora in parte infantile, perché l’essere percepito da tutti in un certo modo faceva sì che il ragazzo stesso acquisisse ben presto quella percezione di sé. Profonda saggezza che ci è fatalmente preclusa.
Queste riflessioni non vogliono essere una riproposizione del mito del “buon selvaggio”. Nemmeno quel Settecento che mise in circolo il mito, proponendo all’ammirazione degli europei i costumi dei popoli caraibici o californiani (può far sorridere, ma allora California era sinonimo di terra selvaggia), credeva alla possibilità di tornare a quel tipo di vita e a quella organizzazione sociale. Il mito del buon selvaggio era un espediente retorico per denunciare l’irrazionalità del modello di civiltà che si stava instaurando e di cui ora vediamo le estreme conseguenze. Anche oggi il richiamo a quei costumi più sani ha solo un valore di mònito e di denuncia. Nessuna idealizzazione del mondo tribale. Fra l’altro, trattandosi di comunità chiuse, le relazioni endogamiche provocano nel tempo una decadenza anche biologica, come sembra ampiamente documentato.
Richiamare i princìpi di un sano allevamento della prole significa riproporre l’idea che si possono dare una civiltà e un’economia in cui il padre abbia quella che veniva chiamata la “giusta mercede”, intendendo con questa espressione un salario che consenta una vita dignitosa a tutta la famiglia, in modo che la madre possa dedicare ai figli le cure dovute; oppure significa che la madre lavoratrice possa godere di tempi di lavoro e di assistenza che non sacrifichino la cura dei bambini; significa che il posto di lavoro deve essere quanto più possibile stabile per consentire l’unità della famiglia. Ma tutto ciò non è possibile in un clima di spietata concorrenza internazionale, perché i costi di produzione non sarebbero più concorrenziali. Di qui l’esigenza di entrare nella logica dell’autoproduzione e dell’autoconsumo, entro i limiti del possibile. Tutto si tiene. Modificare alcuni elementi del quadro comporta la ristrutturazione dell’insieme. Di questo si parla, non del mito del buon selvaggio, né di semplice puericultura.

Luciano Fuschini

 
Il fanatismo e’ l’oppio dei popoli. Lettera aperta ad un amico comunista PDF Stampa E-mail

11 maggio 2011

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Caro R., diversi giorni fa, in risposta ad una mia mail in cui inoltravo materiali secondo i quali sembrava si stesse configurando una responsabilità del Mossad nell’assassinio di Vik Arrigoni, mi rimproveravi (per l’ennesima volta) di usare, invece del termine ‘Israeliani’, quello di ‘Ebrei’, affermando che così facendo io avallo la connotazione razziale e religiosa che Israele vorrebbe dare al suo Stato. A parte questo argomento, su cui possiamo tornare in futuro (per l’ennesima volta, tra parentesi, ti rispondo che gli ‘Ebrei’ non li ho inventati io: si sono ‘inventati’ da soli), quel che mi ha colpito della tua lettera è stata una frase: “comunque, la religione è l’oppio dei popoli”.
Ti confesso che mi son corsi i brividi lungo la schiena. D’improvviso ho rivissuto anni ed anni di frequentazione dei partiti della sinistra, anni di ‘ateismo militante’, anni in cui ogni cedimento alla dimensione ‘spirituale’ veniva stigmatizzato come una deriva piccoloborghese, ed in quanto tale irriso ed additato al pubblico ludibrio.
Ma mi son venute in mente anche altre cose. Quelle cupe e grottesche istituzioni che furono i Musei dell’Ateismo, sparsi per ogni dove in Unione Sovietica; e le splendide cattedrali ortodosse moscovite – monumenti d’arte, prima che di religiosità – abbattute per costruire piscine per il popolo (serviva proprio quel posto lì, al popolo?).
Ed altre ancora. Conosci il ‘volo dell’Anima’? Nello Sciamanesimo viene così chiamata la capacità degli Sciamani di spostarsi, durante la trance, in corpi o forme differenti, assumendo sembianze a volte non umane, e di trovarsi in vari luoghi nello stesso momento. Pare che Stalin, nella sua campagna per estirpare simili ‘barbariche’ credenze dalle popolazioni siberiane, facesse caricare gli sciamani sugli elicotteri, dai quali poi, giunti a varie centinaia di metri di altezza, venivano buttati giù, al grido di: “Adesso vola!”.
Anche mi è tornata alla mente quella scena del film “Sette anni in Tibet” (J.J. Annaud, USA/GB, 1997), versione un po’ romanzata ma accettabile del bel libro omonimo dell’ austriaco Heinrich Harrer, in cui Mao Tse-Tung, invitato a Lhasa da Sua Santità il Dalai Lama per discutere del futuro del suo Paese, calpesta con spregio i mandala di burro realizzati in suo onore, sibilando anch’egli rabbiosamente tra i denti: “La religione è l’oppio dei popoli”. Ancora pochi mesi, e il Tibet sarebbe stato invaso da una dittatura al cui confronto il Reich nazista impallidisce, e avrebbero avuto inizio il genocidio e l’etnocidio che, ormai, ne hanno quasi completamente cancellato popolo, identità e cultura. In onore, naturalmente, di quella Dea Ragione in nome della quale temo siano stati commessi più delitti di quanti ne abbiano commessi tutte le religioni del mondo messe insieme.
E tu mi scrivi così. Siamo dunque ancora a quei passi? Il Comunismo pare sia morto, e sinceramente ciò non mi rende felice: sono ancora convinto, come anche Sua Santità il Dalai Lama ha dichiarato (nonostante tutto quel che ha passato!), che “il marxismo sia l’ultimo custode filosofico di valori etici che il capitalismo distrugge con la religione del profitto”. Tuttavia, quando leggo affermazioni come la tua, e ricordo a quali mostruosi esiti hanno condotto, quasi oso pensare che anche Sua Santità, nella Sua infinita benevolenza, si sia illuso.
So bene che questo in cui viviamo oggi è forse il peggiore dei mondi possibili, ma tuttavia mi chiedo che succederebbe, se il ‘Comunismo’ dovesse ritornare? Ancora chiese abbattute? Ancora culture cancellate? Ancora religiosi e ‘credenti’ cacciati a frustate? È ‘libertà’, questa? È ‘umanesimo’? È ‘socialismo’?
Scusami, ma non lo credo, e continuo a pensare di aver fatto la scelta giusta abbandonando quelle sponde politiche. Forse sono ancora ‘comunista’ nel cuore, ma farò fatica a credere ancora ad una proposta politica comunista. Almeno fino a quando mi verrà fatta con parole come quelle che tu hai usato.

Giuliano Corà

http://giulianolapostata.wordpress.com/

 

 

 
L'ultima prova del test: la morte di Bin Laden PDF Stampa E-mail
5 maggio 2011

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Ma, mi chiedo, fino a che punto si spingeranno? Sparare bugie così grosse senza che nessuno batta ciglio, senza che nessuno si fermi a dire: “Ma che state dicendo, siete scemi?”, dev'essere parte di un esperimento al quale siamo da tempo sottoposti. Vedere fino a quanto si può condizionare la gente a subire tutto senza pensare, fino a che punto si può renderci proni al verbo del potere, sempre più assuefatti all'assurdità...sì, dev'essere senz'altro una specie di gioco.
Riflettiamo un attimo: la superpotenza mondiale ha un mortale nemico, uno che tanti danni ha fatto, che tante persone ha ucciso, uno che ha creato una rete di assassini e che sa nascondersi alla perfezione. Per lui si è addirittura fatta una guerra, con centinaia di migliaia di morti e miliardi di dollari di spesa, senza alcun risultato. Ad un certo punto però la superpotenza scopre dove si trova il suo nemico. Non si tratta di un bunker sotterraneo protetto da un esercito, da scudi stellari e bombe atomiche, ma di una villa, difesa da una decina di uomini. Praticamente è servito su un piatto d'argento. Cosa fa la superpotenza? Manda un commando per ucciderlo. Non per catturarlo, ma proprio per ucciderlo! Questa almeno è la dichiarazione resa, sotto anonimato, da un alto funzionario della sicurezza statunitense alla Reuters.
Lo uccidono rinunciando a condurre interrogatori sfiancanti che avrebbero portato allo scoperto pure l'ultimo garzone di Al Qaeda e distrutto per sempre l'organizzazione, ad un processo che sarebbe stata un'umiliazione ed una vera vendetta, alla possibilità di far luce sulle modalità di abbattimento delle torri gemelle, che tanto mettono in imbarazzo l'estabilishment americano...Ognuna di queste possibilità persa per sempre, non per una reazione imprevista di Osama che ha tentato di difendersi, ma perché la morte era l'obiettivo sin dall'inizio.
Già ci sarebbe da sbellicarsi dalle risate, ma andiamo avanti. Poi cosa fa la superpotenza, mostra il mostro al mondo intero, facendo vedere come viene ridotto un nemico degli Usa? Organizza un prelievo del cervello, per vedere se il male assoluto ha un'origine fisiologica? No, butta il corpo in mare il giorno stesso, così nessuno può più sapere, per il resto dei tempi, se ci sia un corpo, di chi sia, quando sia stato ucciso, o se nella bara ci sia una coppia di antilopi, o dieci chili di noci, o se ci sia davvero una bara...Però dicono di aver fatto un prelievo del Dna. E chi c'era quando l'hanno fatto a testimoniare come ciò sia avvenuto? Un generale e tre marines?
Si tratta di un test, non c'è dubbio. Per vedere quanto siamo pronti a bere cazzate. Anzi, questa è l'ultima prova alla quale hanno sottoposto l'opinione pubblica. Ce ne sono state tante ultimamente. Voglio raccontarvi la penultima: prima si è votata una risoluzione Onu che imponeva una no-fly zone, poi si è detto che imporre questa no-fly zone consisteva nell'andare a distruggere gli aerei prima che decollino, poi anche la contraerea, non solo in quella zona, ma ovunque si trovi, poi che tutti i carri armati rientravano nelle cose da distruggere, poi la stessa risoluzione di pace permetteva di armare ed istruire i ribelli, poi che si potevano falciare assembramenti di persone sul terreno (e infatti abbiamo saputo che l'hanno fatto solo 2 volte, quando per errore hanno fatto fuori i ribelli), poi che si poteva bombardare con i droni e i bombardieri obiettivi militari ed infine che il figlio e le serve di Gheddafi sono obiettivi militari strategici. Non male eh?
Ma l'ultima prova, la cazzata Bin Laden, è davvero il coup de théatre. Se avrà esito positivo, se la gente berrà anche quella, allora sapranno di non avere più limiti e potranno perfino convincerci che la migliore cosa da fare per noi è suicidarci. No, questo non lo faranno mai: rendiamo più come bestie da mungere.
Infatti -ed è assurdo che i quotidiani non se lo chiedano (ma forse non così tanto se guardate chi sono i loro proprietari)- com'è che la morte di Bin Laden esce fuori proprio adesso che Obama sta perdendo i colpi e che alle prossime elezioni sarebbe andato a picco? E infatti dice: “adesso siamo tutti più uniti”, mentre la cattolica Merkel applaude all'omicidio di cui dice essere felice. E' un caso che Bin Laden sia stato “ucciso” proprio adesso, che si è trovato un modo più semplice di invadere i paesi? Infatti è certamente meglio pagare qualche gaglioffo per fargli inscenare una rivolta di piazza, poi correre a sostenerlo con le bombe, che tirare in ballo Al Qaeda e doversi inventare un sacco di attentati, di morti, ecc. Bin Laden non serve più. E in effetti la Bhutto, guarda caso prima di essere assassinata, aveva detto che Bin Laden era morto nel 2007. Vacci a capire qualcosa!
Ma, direte voi, almeno avranno fatto dei filmati durante la missione, delle foto, degli schizzi a matita, che il mondo possa vedere per saperne qualcosa? Certo, ma stasera, 4 Maggio 2011, Obama dichiara che non le mostrerà a nessuno perché ne va della sicurezza nazionale. Sì, nelle foto si vede la faccia di Hilary che ride. Però hanno fatto e trasmesso un cartone animato (Tg5) che ricostruisce il commando!
Mettiamo il caso però -anche se a mio parere non è per niente scontato- che l'uccisione sia avvenuta davvero. In questo caso si tratta dell'ennesima dimostrazione della mentalità barbara e violenta degli americani. Sapete come hanno chiamato la missione Bin Laden? Geronimo! Uccidere Bin Laden evidentemente era come far fuori chi si opponeva con le lance all'espansione americana delle colt.
Nulla di nuovo sotto il sole.

Matteo Simonetti

 
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