Avviso Registrazioni

Scusandoci per l'inconveniente, informiamo i nuovi utenti i quali desiderino commentare gli articoli che la registrazione deve essere fatta tramite Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

Login Form






Password dimenticata?
Nessun account? Registrati

Cerca


 
  SiteGround web hostingCredits
Comunicato di Movimento Zero per Uniti e Diversi PDF Stampa E-mail

19 marzo 2011

No ad ogni intervento militare contro uno stato sovrano

Dopo il voto, inaccettabile, del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha autorizzato, insieme alla no-flight zone, il ricorso a "tutte le misure necessarie" (di fatto il via libera ai bombardamenti), si moltiplicano le notizie di un imminente intervento militare anglo-francese (con una misera foglia di fico araba) sulla Libia.
Noi, che siamo cittadini di un paese che porta responsabilità grandi per la situazione che storicamente si è creata in quel paese, ci dichiariamo disponibili a sostenere ogni azione legittima che contribuisca a fermare lo spargimento di sangue e a trovare una soluzione politica alla crisi, mentre dichiariamo la nostra ferma contrarietà ad ogni azione bellica condotta dall'esterno contro un paese sovrano.
Quale che sia il regime, quale l'ordinamento che lo regge, la Libia resta un paese sovrano. Un paese diviso, in preda a una guerra civile assai grave, che ha già prodotto migliaia di vittime, ma non vi sono tribunali esterni, tanto meno armati, che potranno sciogliere legittimamente i nodi che vi si sono aggrovigliati. Non c'è alcuna legittimità in questa impresa, se verrà tentata.
L'obiettivo è consegnare la Libia a un partner affidabile in qualità di fornitore di materie prime energetiche.
Sappiamo già che la no-flight zone sarà presa come pretesto per bombardamenti, come al solito "chirurgici", di cui altri morti, militari e civili, saranno il prezzo che il popolo libico dovrà pagare.
Ironia della sorte, toccherà di nuovo a Francia e Inghilterra il ruolo infausto che assunsero nella lontana crisi di Suez. Allora agirono apertamente nel loro interesse. Oggi fingono di farlo per "ragioni umanitarie".

Massimo Fini, Giulietto Chiesa, Maurizio Pallante, Marino Badiale, Gennaro Carotenuto, Angelo Del Boca, Fernando Rossi, Alex Zanotelli.

Per firmare la petizione di "Uniti e Diversi" contro l'intervento militare in Libia, clicca qui:

Firma l'appello

 
La verità per pochi e la verità per molti PDF Stampa E-mail

12 marzo 2011

Image

In tutte le grandi ideologie, le grandi visioni del mondo, si può cogliere un livello che potremmo definire esoterico e uno essoterico. Non si tratta della teoria aberrante della doppia verità: non si parla di una verità riservata ai pochi e di un’altra, diversa, data in pasto al popolino, perché i due messaggi qui non sono in contraddizione. Il livello esoterico è quello di pertinenza degli iniziati, il livello essoterico è la parte della dottrina che viene più divulgata e che più deve fare i conti con le realtà contingenti, immergendosi nel qui e ora del confronto politico e culturale. Livello esoterico, nell’accezione che propongo, non significa necessariamente qualcosa che abbia a che fare con sette segretissime e riti misteriosi. Per fare qualche esempio, il livello esoterico del liberalismo è la dottrina cosmopolita, la concezione di un’umanità unificata, una comunità universale fraterna illuminata dalla Ragione e guidata dalla scienza, con un governo mondiale e, come corollario logico, una moneta unica. Queste teorie esistevano già fra il Seicento e il Settecento, ma non a caso furono affidate ai circoli semiclandestini delle Logge massoniche. Alle masse furono offerte le parole d’ordine più accattivanti della libertà, dell’uguaglianza davanti alla legge, dei diritti naturali, del libero scambio e della libera iniziativa che avrebbero garantito progresso e abbondanza di beni materiali per tutti.
Il marxismo ha coltivato un ideale in sostanza molto simile, quello della pace universale nell’internazionalismo proletario, variante del cosmopolitismo illuminista, l’ideale dell’abbattimento delle frontiere e della divisione internazionale del lavoro. Questo obiettivo è stato dichiarato, ma è rimasto a un livello più implicito, più per iniziati rispetto agli obiettivi mobilitanti del riscatto dei salariati attraverso la lotta di classe, dell’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, del diritto al lavoro per tutti, del diritto alla casa, all’assistenza sanitaria e all’istruzione gratuite: questo era il livello essoterico, che si esprime nei programmi politici ed elettorali.
L’antimodernità è una grande visione del mondo, che è stata elaborata da decine di pensatori di diversa sensibilità e diverso indirizzo, da De Maistre in poi, un ideale che ha due secoli di vita. Anch’esso presenta un livello esoterico e uno essoterico. A livello esoterico l’elaborazione parte dal ripudio dell’idea di progresso, dal momento che l’andamento della storia è ciclico, o per meglio dire assume la figura della spirale. Da secoli viviamo nell’Età Oscura, quella che già l’antica saggezza indù definiva kali-yuga; chi vive con tormento interiore questa decadenza, non può fare altro che “cavalcare la tigre” rassegnandosi a essere incompreso, vivendo da straniero in un’epoca che gli è estranea, con l’unico intento di poter fare un’opera di educazione nei confronti di altre sensibiltà simili alla sua, per tenere accesa una luce di speranza in una svolta futura, quando la decadenza sarà giunta al punto di rottura. Una concezione come questa è fatalmente destinata a pochi, collocandosi quindi in una dimensione esoterica. Un simile atteggiamento “eroico” confligge con le esigenze di persone che nell’età oscura vivono e con essa devono fare i conti. Il livello esoterico per essere praticato coerentemente esige individui del tutto autonomi e provvisti di una rendita sostanziosa. Chi ha doveri e responsabilità verso una famiglia, una comunità, un ambiente di lavoro, deve proiettarsi sul terreno essoterico. Questo significa riformulare gli obiettivi in modo che possano incidere sulla realtà circostante. La difficoltà consiste nel non perdere la carica di opposizione radicale al sistema, nel momento in cui si entra nei suoi meccanismi per cercare di rovesciarlo (sperare di cambiarlo dall’interno sarebbe già partire col piede sbagliato). Per gli antimoderni si tratta di aprirsi alla convergenza con coloro che si ribellano alla mercificazione di tutte le relazioni umane, alla distruzione di tutto ciò che era spirito comunitario, all’onnipotenza della speculazione finanziaria, alla sottomissione a un Impero omologante e totalizzante.
Scegliere la prima via, quella del ritiro esoterico in un piccolo gruppo di iniziati che si propongono solo di fare alcuni proseliti, oppure la seconda, che comporta lo sporcarsi le mani nel lavoro politico quotidiano e anche nel compromesso, comporta un’analisi preliminare. Solo l’analisi del momento storico può avere valore dirimente nella questione della via da scegliere. Se l’analisi ci suggerisce che dobbiamo attenderci ancora lunghi anni o decenni di progressiva e squallida decadenza, non resta che il rifugio nel piccolo gruppo che al suo interno mantiene accesa la fiammella. Se l’analisi ci dice che il sistema non è più in grado di puntellare le proprie contraddizioni, è il momento di intraprendere la via del fare massa sul terreno della politica attiva e propositiva. Io sono propenso a pensare che il decennio appena iniziato sia quello delle svolte decisive, quindi suggerirei di operare con altri in unità di intenti e in spirito di apertura, abbandonando reticenze e timori di perdere la nostra carica di opposizione radicale. Le condizioni devono essere soltanto due: un progetto che sia di vera e totale rottura con un presente che detestiamo e il ripudio di retoriche resistenziali e nostalgie fasciste. Resistenza e fascismo appartengono al vecchiume di un passato ormai lontanissimo, superato da quasi 70 anni di eventi tanto profondi e sconvolgenti da valere quanto secoli. Finiamola di rivangare il vecchio. Lo diciamo noi che ci appelliamo al passato contro i falsi progressismi. Ma il nostro passato è antico, quell’antico che resta eternamente valido. Vecchio e antico non sono sinonimi.

Luciano Fuschini

 
Centocinquant'anni di menzogne PDF Stampa E-mail

5 marzo 2011

Image

L’Italia l’ha voluta il cielo. Gli Dei, nella loro infinita grandezza, la cinsero della corona delle Alpi e la circondarono col mare. Nessun altra nazione corrisponde ad un territorio così naturalmente definito. Il resto del mondo appartiene alle categorie fisiche e politiche, come le cartine geografiche. L’Italia è invece espressione della volontà celeste. Numa Pompilio vi pose l’axis mundi, Augusto Imperatore ne delineò i confini fisici, Dante Alighieri la sublimò in prosa, Federico II ne ribadì la centralità cosmica. L’unità di destino e storia, di popolazioni italiane già prima dell’Italia politica, era quindi nella natura delle cose.
Quello che non doveva accadere, ed invece è tragicamente avvenuto, è la nascita di uno Stato unitario disceso da un progetto coloniale e quindi sostanzialmente antinazionale, prevedendo esso fin dall’inizio che alcuni italiani dovessero patire il massacro indiscriminato, la spoliazione economica e culturale, la calunnia storica, affinché sorgesse l’italietta asservita alla massoneria ed alla finanza francese ed inglese. Non doveva accadere che il primo Re d’Italia si chiamasse secondo, tradendo appunto il vizio coloniale d’origine. Non doveva accadere che figure di terz’ordine della storia quali Cavour, Vittorio Emanuele II (o il figlio del macellaio fiorentino), lo stesso Garibaldi senza orecchie, e poi i Bixio, i Cialdini, i Crispi, i fratelli Bandiera, Carlo Pisacane, Luigi Settembrini, Carlo Poerio, buoni per tre righe di cronaca, dovessero rappresentare la nostra memoria fondativa al posto di Romolo, Muzio Scevola, Scipione, Cesare, Augusto, Ettore Fieramosca, i Medici di Firenze, i Borbone di Napoli e Due Sicilie, e cito per ultimi costoro non a caso. Perché quello che prima d’ogni altra cosa non doveva accadere, è la creazione di un immaginario unitario basato sui falsi storici, sui miti di cartapesta, sulle verità da quattro soldi; sulla diffamazione e la calunnia delle genti del Sud e della loro storia gloriosa.
Potevamo unirci anche scrivendo la verità sulla ricchezza del Regno delle Due Sicilie, ricordandone i primati economici, sociali, sanitari, finanziari, culturali, artistici. Il Regno del Sud era uno stato sovrano ed indipendente, con una dinastia regnante autoctona da cinque generazioni. Se c’erano territori nazionali da liberare da stranieri, questi erano la Lombardia ed il Veneto, terre italiane occupate dall’Austria. Il nord sviluppato ed industriale è un mito creato per giustificare le ruberie e le politiche di drenaggio di capitali dal sud, che avvennero in maniera feroce a partire dal 1861. La ricchezza nazionale era detenuta in primis dal Regno delle Due Sicilie, poi dal Granducato di Toscana e dal Regno Pontificio. Il nord era la parte più povera ed a tratti degradata del paese, la meno industrializzata e meno produttiva. L’89 per cento delle morti per pellagra, cioè a causa di denutrizione, nel 1861 avveniva nel nord Italia. Gli addetti all’agricoltura nel  1861 erano maggiori al nord che al sud, ma nello stesso anno il 16  per cento dei meridionali era addetto all’industria contro l’11,8 del nord italia. Nel 1911, dopo cinquant’anni di politica coloniale, i sudisti diventarono terroni ed al nord nacquero i triangoli industriali. Gli addetti all’industria del sud scesero al 9,8 per cento, quelli del nord salirono al 14,7.
Potremmo proseguire con centinaia di statistiche simili, anche se i numeri non esprimono tutto. Perché vanno ricordati anche gli scempi politici e culturali che l’italietta dei Savoia ha regalato al sud, e che la Repubblica nata dall’invasione straniera continua a regalare, a partire dalla mafia che prima di allora non si era mai conosciuta e mai neanche nominata. Oggi, paradossalmente, coloro i quali furono liberati dagli stranieri e che dall’unità d’Italia trassero i maggiori benefici economici e sociali, sono proprio gli inneggianti a fantasiose e grottesche patrie dai nomi deliranti. La Terra dei Padri non si discute. Le piccole patrie corrispondenti ai confini di una regione o addirittura di una provincia sono entità possibili in chiave amministrativa, ma certamente non reggono lo status di Nazione, che comporta aspetti se non più spirituali e religiosi, almeno culturali e storici. Nascere italiani, di Milano o Palermo, Vicenza o l’Aquila, credo che continui ad essere un privilegio, pur volendo considerare le brutture che la società moderna riserva anche alla nostra terra.
L’Italia unita politicamente poteva essere una buona Patria per tutti, ma non lo è stata. Attendiamo fiduciosi che il modello platonico di Italia, scritto nei cieli e non ancora realizzato in terra, si realizzi coerentemente col destino cosmico che ad essa fu riservato. Per realizzare compiutamente questo sogno, bisognerà restituire ad ogni italiano la dignità della sua storia pre-unitaria, e non continuare in eterno con questa mistificazione dei buoni e patriottici ricchi che vennero a liberare i poveri e degradati sudditi di una dinastia retrograda. Solo alla verità possono ispirarsi i sogni. Solo dai sogni nascono le società di uomini liberi.

Marco Francesco De Marco

 
Sette interrogativi sulle rivolte islamiche PDF Stampa E-mail

di Matteo Simonetti

26 febbraio 2011

Image

La mancanza di osservazione è ciò che contraddistingue la massa odierna. Questa superficialità e la tendenza a mettersi supini è ciò che fa prosperare senza problemi gli attuali autocrati dell'occidente pseudo-democratico. Prendiamo ad esempio la vicenda delle rivolte nel Maghreb e nel vicino e medio oriente. Non voglio qui dare la mia interpretazione dei fatti, la cui complessità richiederebbe un altro articolo, ma soltanto mostrare alcuni punti nevralgici delle versioni ufficiali che i nostri media ci propinano quotidianamente e che sono bevuti come aperitivi dai politici nostrani.

Primo punto: la sincronia delle sommosse
Com'è possibile che in Paesi così lontani e diversi, alcuni di ispirazione socialista, altri nei quali l'islam è più centrale, nello stesso momento, le sommosse esplodano così improvvisamente, senza alcuna motivazione scatenante, ad esempio un peggioramento repentino di ciascuna situazione? Si tenga conto che si tratta di un inedito storico e che queste nazioni hanno motivi di rivolta molto diversi: nel Bahrein un contrasto tra maggioranza sciita e dirigenza sunnita, in Iran un'opposizione filo-occidentale, in Egitto invece motivi di matrice islamica e via dicendo. La rapidità del propagarsi della rivolta si spiega solamente con l'ausilio dei mezzi della rete internet. Ma se questo è vero non può trattarsi di un movimento di popolo, perché non sarebbe possibile farlo neanche in Italia, dove i pc sono forse un po' più diffusi che nel Maghreb. Quindi c'è una minoranza occidentalizzata e internazionalizzata che coordina il tutto, coinvolgendo la gente che in Africa ha sempre del malcontento da portare in superficie (grazie alla mancanza di scrupoli dell'occidente). A chi risponde questa minoranza? Sappiamo da un recente articolo de Il Giornale che l'opposizione iraniana della cosiddetta “rivoluzione verde“ ha sede a Parigi, da dove si diramano telefonicamente e via internet le direttive. Obama ha recentemente dichiarato che gli Usa non si immischieranno nelle faccende interne dell'Egitto ma anche che sosterranno con vari milioni di dollari gli insorti. Non ci è dato sapere se gli aiuti sono già arrivati, né da quando. Nel frattempo, proprio nel giorno della capitolazione di Mubarack, creatura Usa, Obama conferma gli aiuti all'esercito Egiziano con oltre un miliardo di dollari. Tutto ciò ci lascia sconcertati, ma andiamo avanti.

Leggi tutto...
 
Diversità omologanti PDF Stampa E-mail

21 febbraio 2011

Image

Nella civiltà progressiva non manca mai l'occasione di ribadire l'importanza della diversità, la sua tutela e il suo rispetto. Ci si rende conto del dilagare di una mentalità omologante e standardizzata, e si comprende l'importanza della varietà dei fenomeni nella loro manifestazione. Tuttavia accade spesso che la tutela della diversità venga condizionata dalla stessa omologazione che pretende di combattere, e finisca per diventare una sua variante. Ovvero si tenta di far fronte ad un nemico con i mezzi forniti dal nemico stesso, e non ci si accorge che anzichè combatterlo lo si rinforza.
Quante volte, giusto per fare un esempio, sentiamo incalzare le associazioni per i diritti degli omosessuali per difendersi dalle discriminazioni che essi subiscono? Ossia, per essere più precisi, quante volte li sentiamo rivendicare la possibilità di usufruire degli stessi diritti di tutti in materia di matrimonio e adozione dei figli? Eppure in questo modo non fanno altro che omologare la loro categoria alla normalità vigente, presa a modello insostituibile. Questo vuol dire parificare, normalizzare, ossia riportare tutto ad un'unica dimensione, la normalità eterosessuale.
Eppure i difensori dei diritti dei gay per certi aspetti non avrebbero tutti i torti. E' presente nella nostra società infatti un atteggiamento ostile nei confronti dell'omosessualità, che si spiega con l'eredità monoteista di una presunta "normalità" naturale proveniente da Dio, una e unica. Affermare infatti che l'omosessualità è contraria alla natura dell'uomo -ossia una sorta di malattia- è una colossale sciocchezza, e definire "peccato" la sua pratica è stato appunto il dettame che la Chiesa cattolica ha portato avanti fino a ieri (anzi, fino a oggi). L'omofobia della modernità, la volontà dell'uomo moderno di escludere l'omosessuale dal proprio campo visivo e mentale, consiste quindi in una tendenza all'uniformità, e all'omologazione verso la "normalità" eterosessuale.
Nell'antichità classica invece l'omosessualità era accettata come uno dei tanti aspetti della sessualità, e così succedeva in molte culture extra-europee e primitive. Tuttavia, proprio tali culture, compresa la classicità greca e romana, mai si sognarono non solo di concedere, ma nemmeno di chiedere il diritto a un tale tipo di matrimonio: gli antichi infatti accettavano l'omosessualità come una componente della natura, perchè per un uomo antico la natura non era l'uniforme e unico frutto di un unico Dio, ma uno dei tanti aspetti di un divino molteplice. Ma proprio perchè l'accettavano per come era, ne accettavano anche il fatto che fosse un aspetto inusuale, minoritario, non normale: non certo una malattia, ma piuttosto un'anomalia, una particolarità, sulla quale non era possibile costruire nè una famiglia nè tanto meno una società.
Ci troviamo quindi nella situazione, quasi paradossale, che la modernità, a fronte di una condizione omologante -l'esclusione- propone una soluzione altrettanto omologante, ossia la parificazione. Parificazione rivendicata peraltro proprio da quella stessa cultura progressista che in tempi non troppo lontani disprezzava apertamente il matrimonio come il frutto di una mentalità borghese, e la famiglia mononucleare come la conseguenza classista e oppressiva di quella stessa mentalità.
Questo tipo di situazione, per cui a fronte di un male si risponde con lo stesso male uguale e contrario, pare una condizione senza uscita per il mondo moderno. Gli esempi non mancano. Uno su tutti: la parità dei sessi, ossia l'ingresso della donna in una società maschilista, cioè allineata al pensiero maschile. Che cosa è la parità dei sessi, di fatto, se non l'adattamento della donna al modello dell'uomo? E' inutile affermare che così non dovrebbe essere, che la parità non dovrebbe cancellare le differenze e via dicendo...di fatto, anche qui la modernità ha imposto una soluzione analoga al caso precedente, alla condizione per cui la donna è inferiore e sottomessa all'uomo. Anche in questo caso, l'eredità monoteista è palese, perchè nella sua tendenza a moralizzare tutto (il bene e il male) il cristianesimo ha trasformato quello che era un aspetto naturale, cosmico della realtà -ossia la componente tellurica, lunare, femminile del mondo- in un male. La femminilità è diventata da "Terra" del cosmo a potenziale fonte del male: in epoca moderna, ossia dal Rinascimento in avanti, la donna è diventata potenziale comunicatrice con il demonio, e anche la caccia alle streghe, che comincia appunto in questo periodo, ne è la riprova.
Anche in questo caso la segregazione della donna costituisce una forma di omologazione in ottica maschile. Ma analogamente la modernità non offre una vera via d'uscita: la donna rivendicando la parità con l'uomo, non ha fatto altro che mettersi al suo livello creando un diverso tipo di omologazione. Questo è il leitmotiv di ogni tipo di "rivoluzione" moderna, di trasformazione che la modernità suggerisce: a fronte di una distorsione, si agisce proponendo come soluzione una distorsione ulteriore.
E' evidente questa tendenza anche nelle soluzioni che si propongono per fare fronte al fenomeno epocale delle migrazioni di massa dai paesi più poveri a quelli più ricchi. Lo viviamo quotidianamente: è comune infatti l'opinione che vi siano ancora da fare dei passi in avanti in ambito sociale e culturale per colmare il divario tra una società avanzata improntata a valori illuministici come la nostra, e le altre arretrate ancora basate su concezioni arcaiche e primitive. Si tratta evidentemente di una favola, derivante da una visione progressiva della storia, tipica dell'anomalia moderna, secondo la quale le varie civiltà non sarebbero altro che stadi diversi di un'unico processo di evoluzione lineare della civiltà. Così, se da parte di certi ambienti conservatori vi è il rifiuto di accettare la diversità culturale -per esempio nei confronti dell'Islam- con la conseguente volontà di ricacciare i migranti al loro Paese, da parte di ambienti progressisti c'è sì la disponibilità ad accettare i nuovi abitanti, purchè beninteso la diversità della loro cultura non contraddica i princìpi dei diritti dell'uomo -libertà, uguaglianza, parità, laicità- su cui ogni cultura si deve basare. Come dire, ben venga la diversità delle civiltà, purchè esse si conformino ai nostri universali princìpi!
Anche qui la modernità non si comporta diversamente rispetto agli esempi riportati prima: a fronte del rifiuto della diversità in nome della superiorità della nostra civiltà, si propone come soluzione di accettare le altre culture a patto che diventino come la nostra. La modernità non lascia via di scampo: se da una parte elimina creando uniformità, dall'altra accetta solo parificando, ma sempre l'uniformità si viene a creare. Da una parte o dall'altra, il risultato è il medesimo, perchè unica e uniforme è la matrice della anomalia che viviamo.

Massimiliano Viviani

 
Reato e colpa PDF Stampa E-mail

14 febbraio 2011

Image

Le questioni di parole non sono formalità, sono sostanza. Il rigore nell’uso di termini è la condizione necessaria  per una comunicazione corretta e una discussione che non sia un dialogo fra sordi. Per questo è sempre necessario definire i termini e delimitare il loro campo semantico.
Reato si riferisce a quei comportamenti che sono passibili di sanzione penale. Ha a che fare sempre con una legge, con una norma scritta. Peccato appartiene al campo semantico delle religioni, soprattutto monoteiste. Il peccato è un’offesa alle leggi divine più che a quelle umane. Con la caduta dello spirito religioso, questo termine è pure caduto in disuso. Ormai evitano di utilizzarlo perfino i preti. Colpa si riferisce a comportamenti esposti a una sanzione morale, non necessariamente punibili a termine di legge. La colpa è giudicata da una morale che può essere anche laica, mentre il peccato appartiene sempre al campo semantico delle religioni.
Ebbene, tutto questo pistolotto di sapore pedantesco è la premessa obbligata a qualche considerazione in margine alle notti di Arcore. Un fatto che non ha avuto il rilievo che meriterebbe è la scomparsa del concetto di colpa in tutta la discussione che si è accesa. I difensori di Berlusconi si sforzano di dimostrare che non c’è stato reato: né concussione, né favoreggiamento della prostituzione, né sfruttamento della stessa. Se non c’è reato, il premier esce pulito, perché a casa propria ognuno fa quello che vuole. Gli accusatori di Berlusconi e della sua corte si sforzano di dimostrare che invece di reati si tratta. Anch’essi sono nella stessa logica dei loro avversari: non facciamo del moralismo, qui ci sono dei reati perseguibili per legge. Fare del moralismo, essere dei moralisti, sono diventati comportamenti e modalità di cui vergognarsi. Un tempo i moralisti erano i fustigatori dei costumi, individui benemeriti nella società. Oggi ci si vergogna perfino della parola.
Tutt’al più si sostiene che un capo di governo non può permettersi nel privato di comportarsi come un comune cittadino. Certi comportamenti espongono uno statista al ricatto e pregiudicano la sua sicurezza. Tutto qui. Se fosse un comune cittadino, un settantaquattrenne danaroso e influente nel mondo dello spettacolo  potrebbe benissimo organizzare orgette attirando giovanissime con la lusinga dei soldi e di apparizioni sugli schermi della TV o del cinema.
Bisogna riflettere sulla gravità di questo modo di pensare, comune a tutti, destra e sinistra. Bisogna aprire gli occhi sul fatto che questo modo di pensare demolisce i princìpi stessi della corretta convivenza. Al fondo di questa sconfortante aberrazione sta l’abolizione del concetto di colpa. Che un vecchio ricco e potente attiri giovinette e le corrompa coi suoi soldi e col suo potere è qualcosa di peggio di un reato: è una colpa, una colpa grave, che sia o non sia presidente del consiglio. Io sono un grande estimatore di P.P.Pasolini. Sono fra quelli che ne rimpiangono la scomparsa. Era un militante della sinistra e allo stesso tempo un nemico della modernità. Un grande polemista antiprogressista, con tratti reazionari. Ebbene, pur stimandolo moltissimo, riconosco che certi suoi comportamenti erano gravemente colpevoli. Cercare avventure erotiche con ragazzi di borgata affascinandoli con la sua Mercedes argentata e col miraggio di farli entrare nel mondo del cinema forse non era reato, ma era qualcosa di peggio: una colpa.
Ecco il punto decisivo, il più rilevante in tutto lo squallore delle orge di Arcore e della relativa discussione: la rimozione totale del concetto per il quale ciò che conta è l’assunzione della responsabilità piena del proprio ruolo e della propria condizione, compresa la responsabilità attinente alla propria età. Se si viene meno a quelle responsabilità, si è in colpa. Che Berlusconi abbia commesso un reato o non l’abbia commesso è per me irrilevante. Deve dimettersi perché è incorso in una grave colpa venendo meno alla responsabilità del proprio ruolo e della propria condizione. La cosa più triste è proprio la costatazione che tutti i contendenti della feroce diatriba sul bunga bunga, su Ruby Rubacuori e il nano affetto da satiriasi, sono in realtà sulla stessa lunghezza d’onda. Tutti all’interno della filosofia del “proibito proibire”, del “godersi la vita”, del “non sono un moralista”.
La Chiesa è stata molto cauta nel condannare. Del resto chi ha tanti pedofili nelle sue file fa meglio  a tacere. Il clamore è venuto da sinistra. Anche a questo proposito bisogna intendersi. Ci sono state almeno tre sinistre. Quella operaista, stalinista, dura, disciplinata, pericolosa nel suo dogmatismo fanatico ma ancorata a saldi princìpi morali. Per quella sinistra certi comportamenti erano non diritti di libertà ma luridume della decadenza borghese. In ogni sezione del vecchio PCI  c’era la Commissione dei Probiviri, anziani militanti che godevano di considerazione e che avevano il compito di vigilare sulla moralità degli iscritti. Perfino l’adulterio veniva sanzionato (se non era del Capo, Togliatti: fin lì non si arrivava). Un iscritto sposato che avesse un’amante veniva prima richiamato, poi, se persisteva, poteva essere espulso. Proprio il sunnominato P.P.Pasolini conobbe dolorosamente la severità dei probiviri, quando fu espulso dal partito per omosessualità. Quella sinistra si è dissolta, non esiste più. Una seconda sinistra fu la socialdemocrazia, quella che ha dato vita alle cooperative, ai sindacati, che ha promosso la programmazione economica e i servizi sociali, che ha garantito ai salariati una lunga stagione di conquiste e di relativo benessere, pur non essendo mai uscita dalla logica del capitalismo. Anche questa sinistra è sparita. I suoi ultimi esponenti si sono convertiti al liberal-liberismo e sono i più fedeli sudditi dell’Impero tricefalo (New York, Londra, Tel Aviv). Resta una sola sinistra, quella anarcoide del “vietato vietare”, quella che parla sempre di diritti e mai di doveri, quella fru fru dei Vendola e affini, quella che parla di reati e non di colpe. Dovrebbe avere il pudore di tacere.

Luciano Fuschini

 
<< Inizio < Prec. 191 192 193 194 195 196 197 198 199 200 Pross. > Fine >>

Risultati 3185 - 3200 di 3744