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Cambiamenti geopolitici PDF Stampa E-mail

20 Ottobre 2022

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 Da Comedonchisciotte del 15-10-2022 (N.d.d.)

Il 6 ottobre, quando l’Unione Europea (UE) ha deciso di imporre un tetto al prezzo del petrolio russo come parte di un nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca, 23 ministri del gruppo OPEC+ dei Paesi produttori di petrolio si sono espressi a favore di un forte taglio della loro quota di produzione comune. La loro decisione collettiva di diminuire la produzione di circa due milioni di barili di petrolio al giorno ha suscitato forti reazioni, soprattutto negli Stati Uniti, e si è parlato addirittura di “dichiarazioni di guerra.” L’UE si sente ingannata, in quanto i tagli alla produzione dell’OPEC+ potrebbero far salire i prezzi dei carburanti e smorzare gli effetti dei loro otto pacchetti di sanzioni. Nonostante la narrazione di un mondo che si avvia verso un'”era post-petrolifera,” sembra che il vecchio cagnaccio sia ancora vivo. L’OPEC e dieci produttori di energia non OPEC – tra cui la Russia – coordinano la loro politica di produzione dal dicembre 2016. All’epoca, gli analisti davano a questo formato “OPEC-plus” poche possibilità di poter cambiare le cose. All’epoca, ricordo lo scherno di molti che avevano dileggiato l’annuncio in sala stampa del Segretariato generale dell’OPEC a Vienna. Negli ultimi anni, però, l’OPEC ha superato la tempesta del mercato petrolifero globale ed è emerso come un attore chiave.

Ricordiamo la situazione eccezionale della primavera 2020, durante i lockdown a livello mondiale per la pandemia COVID-19, quando le contrattazioni dei futures per i vari tipi di petrolio statunitensi erano state, a volte, persino quotate a prezzi negativi, per poi risalire a nuove vette nell’aprile 2021. A differenza di ciò che era accaduto nel mercato petrolifero tra il 1973 e il 1985, quando il consenso tra i membri dell’OPEC era scarso e molti avevano già scritto il necrologio dell’organizzazione, oggi, ex rivali come l’Arabia Saudita e la Russia riescono a far convergere i loro interessi in un fronte comune. All’epoca, per Riyadh era una prassi normale tenere in considerazione ed eseguire all’interno dell’OPEC gli interessi di Washington, bastava una telefonata dalla capitale statunitense. Quando, all’inizio degli anni ’70, l’Arabia Saudita aveva nazionalizzato la compagnia petrolifera statunitense ARAMCO – che agiva come la longa manus degli Stati Uniti nel Regno – nell’ambito di una grossa spinta mondiale alla nazionalizzazione, agli Stati Uniti era stato promesso un risarcimento con una semplice stretta di mano. L’era delle “Sette Sorelle,” un cartello di compagnie petrolifere che si dividevano il mercato del petrolio, si era conclusa allora. Tuttavia, per i politici statunitensi – almeno dal punto di vista psicologico – quest’epoca esiste ancora. “È il nostro petrolio” è un’espressione che sento pronunciare spesso a Washington. Queste voci erano particolarmente forti durante l’invasione illegale dell’Iraq guidata dagli Stati Uniti nel 2003.

Per capire veramente il nocciolo del conflitto in Ucraina – dove infuria una guerra per procura – bisogna scomporre il confronto in questo modo: gli Stati Uniti e i loro alleati europei, che rappresentano e sostengono il settore finanziario globale, sono essenzialmente impegnati in una battaglia contro il settore energetico mondiale. Negli ultimi 22 anni abbiamo visto quanto sia facile per i governi stampare carta moneta. Nel solo 2022, il dollaro USA ha stampato più cartamoneta che in tutta la sua storia. L’energia, invece, non può essere stampata. E qui sta un problema fondamentale per Washington: il settore delle materie prime può superare l’industria finanziaria. Quando, nel 2005, avevo pubblicato il mio libro “The Energy Poker,” mi ero occupata anche della questione valutaria, ovvero se nel lungo periodo il petrolio sarebbe stato prezzato in dollari. All’epoca, i miei interlocutori dei Paesi arabi dell’OPEC avevano detto all’unanimità che il dollaro USA avrebbe continuato ad essere usato nelle transazioni. Tuttavia, 17 anni dopo, questa opinione si è drasticamente ridimensionata. Riyadh si sta avvicinando all’idea di commerciare il petrolio in altre valute, come indicato quest’anno nelle discussioni con i Cinesi, che vorrebbero commerciare in yuan. I Sauditi continuano inoltre ad acquistare prodotti russi e, come altri Stati dell’Asia occidentale e del Sud globale, hanno scelto di ignorare le sanzioni occidentali contro Mosca e si stanno sempre più preparando alla nuova condizione internazionale di multipolarità. Washington, quindi, non ha più la capacità di esercitare un’influenza assoluta sull’OPEC, che ora si sta riposizionando geopoliticamente come OPEC+ allargato.

La riunione ministeriale dell’OPEC+ del 6 ottobre è stata una chiara anticipazione di queste nuove circostanze. Le tensioni intrinseche tra due visioni del mondo si sono manifestate, subito dopo la riunione, nella sala stampa, dove un ministro del petrolio saudita ha rimesso in riga l’agenzia di stampa occidentale Reuters e dove i giornalisti statunitensi hanno attaccato ferocemente l’OPEC, reo di “tenere in ostaggio l’economia mondiale.” Il giorno dopo, la Casa Bianca ha annunciato a malincuore una politica dura. I tagli alla produzione dell’OPEC+ hanno fatto vacillare Washington tra il mettere il broncio e la ricerca di vendetta, in particolare nei confronti dei Sauditi, un tempo compiacenti. Tra poche settimane si terranno negli Stati Uniti le elezioni di medio termine e le conseguenze dell’aumento dei prezzi dei carburanti si manifesteranno senza dubbio alle urne. Per quasi un anno, il Presidente Joe Biden ha ampliato le forniture di carburante degli Stati Uniti attingendo alla riserva strategica di petrolio, ma non è stato in grado di controllare né il prezzo alla pompa, né la crescente inflazione. Il Congresso degli Stati Uniti minaccia di utilizzare la cosiddetta legge “NOPEC” – con il pretesto legale di vietare i cartelli – per sequestrare i beni dei governi OPEC. L’idea circola da decenni a Capitol Hill, ma questa volta nuove emozioni irrazionali potrebbero avere il sopravvento. Ma le azioni ostili o minacciose degli Stati Uniti rischiano di ritorcersi contro e addirittura di accelerare i cambiamenti geopolitici in atto in Asia occidentale, dove, negli ultimi anni, molti Paesi sono usciti dall’orbita statunitense. Molte capitali arabe non hanno dimenticato la destituzione del presidente egiziano Hosni Mubarak, avvenuta nel 2011, e la rapidità con cui gli Stati  Uniti hanno abbandonato il loro alleato di lunga data. Il prezzo del petrolio è un sismografo dell’economia mondiale e anche della geopolitica globale. Con i tagli alla produzione, l’OPEC+ sta semplicemente anticipando le prossime conseguenze della recessione. Inoltre, alcuni Paesi produttori non riescono a incrementare la produzione a causa del divario di investimenti che persiste dal 2014: un prezzo basso del petrolio non può essere sostenuto se nel settore non ci sono grandi investimenti di capitale. Si prevede che la situazione dell’approvvigionamento energetico peggiorerà ulteriormente a partire dal 5 dicembre, quando entrerà in vigore l’embargo sul petrolio imposto dall’UE. Saranno alla fine le leggi fondamentali della domanda e dell’offerta le responsabili delle numerose distorsioni dei mercati delle materie prime e le sanzioni antirusse imposte dall’UE e da altri Paesi (per un totale di 42 Stati) hanno interferito pesantemente con l’offerta globale. Le due principali crisi finanziarie globali – quella immobiliare e bancaria nel 2008 e quella pandemica nel 2020 – hanno portato a un’eccessiva stampa di carta moneta. Ironia della sorte, era stata la Cina a far uscire l’economia globale paralizzata dalla prima crisi: Pechino aveva stabilizzato l’intero mercato delle materie prime nel 2009/10, fungendo da locomotiva globale e portando lo yuan negli schemi di cambio.

Fino all’inizio degli anni ’90, la Cina soddisfaceva il proprio consumo interno di petrolio con una produzione interna di 3-4 milioni di barili al giorno. Ma, quindici anni dopo e con un’economia in rapida espansione, la Cina è diventata il primo importatore di petrolio al mondo. Questo status rivela il ruolo cruciale di Pechino nel mercato petrolifero globale. Mentre l’Arabia Saudita e l’Angola sono importanti fornitori di petrolio, la Russia è il principale fornitore di gas per la Cina. Come ha giustamente osservato l’ex premier Wen Jiabao: “ogni piccolo problema moltiplicato per 1,3 miliardi finirà per essere un problema molto grande.” Negli ultimi 20 anni ho sostenuto che i gasdotti e le linee aeree si stavano spostando verso est e non verso ovest. Probabilmente, uno dei più grandi errori della Russia è stato quello di investire in infrastrutture e contratti per un mercato europeo promettente ma ingrato. La cancellazione del progetto South Stream nel 2014 avrebbe dovuto servire da lezione a Mosca per non raddoppiare il Nord Stream nel 2017. Tempi, nervi e denaro avrebbero potuto essere spesi meglio per espandere la rete verso est. Dall’inizio del conflitto militare in Ucraina nel febbraio 2022, abbiamo assistito alla guerra dell’industria finanziaria guidata dall’Occidente contro l’economia energetica dominata dall’Est. La spinta sarà sempre a favore di quest’ultima, perché, come già detto, a differenza del denaro, l’energia non può essere stampata. I volumi di petrolio e gas necessari per sostituire le fonti energetiche russe non possono essere reperiti sul mercato mondiale entro l’anno, e nessuna merce è più globale del petrolio. Qualsiasi cambiamento nel mercato del petrolio influenzerà sempre l’economia mondiale. “Il petrolio fa e disfa le nazioni.” È una citazione che incarna l’importanza del petrolio nel plasmare gli ordini globali e regionali, come era avvenuto in Asia occidentale nel periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale: prima gli oleodotti, poi i confini. Il defunto ex ministro del petrolio saudita Zaki Yamani una volta aveva descritto le alleanze petrolifere come più forti dei matrimoni cattolici. Se così fosse, il vecchio matrimonio USA-Saudita è attualmente in fase di disgregazione e la Russia ha chiesto il divorzio dall’Europa.

Karin Kneissl (tradotto da Markus) 

 
I valori dell'Occidente PDF Stampa E-mail

18 Ottobre 2022

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La Destra viene accusata di non aderire ai “valori dell’Occidente”. In effetti se i valori della Destra fossero Dio, Patria e Famiglia, sarebbero in antitesi con i “valori dell’Occidente” vigenti oggi: materialismo scientista, abbattimento delle frontiere in nome del cosmopolitismo, demolizione della famiglia attraverso teorie gender, conflitto fra i sessi, omofilia. Dio, Patria e Famiglia sono valori veri e antichi. La fede religiosa, purché non fanatica e superstiziosa, è veicolo di moralità e suggerisce comportamenti virtuosi; l’amor di patria è precondizione dell’indipendenza nazionale; la famiglia resta la struttura basilare del vivere civile e la prima agenzia educativa.

Il guaio è che questa Destra non è quella di Dio, Patria e Famiglia. Questa è la Destra dell’atlantismo, della flat tax, dell’ossequio al dio dei Mercati e delle Borse. Se fosse veramente neofascista, ricorderebbe che le nostre città furono bombardate non dai russi ma dagli anglo-americani e che l’Italia fu occupata da loro, non dai russi che noi avevamo aggredito; se fosse veramente neofascista sarebbe statalista, quindi subordinerebbe gli interessi privati a una programmazione dei poteri pubblici, come accadde in Italia almeno negli anni Trenta. Verrebbe da dire: magari fosse neofascista. Parallelamente, considerando che PD e sinistrismi vari sono oggi schierati dietro la NATO, l’americanismo, l’europeismo, il liberismo economico, la difesa di tutte le perversioni e gli eccessi di una civiltà decadente spacciati per “diritti dell’individuo”, verrebbe da dire: magari fosse neocomunista. Del resto, se Fratelli d’Italia fosse veramente il fascismo risorto, visto che è diventato il partito di maggioranza nell’Italia della Resistenza, della Costituzione “più democratica del mondo”, delle lotte sindacali, della Repubblica in cui prosperò il più forte e organizzato partito comunista dell’Occidente, qualcuno dovrebbe porsi un po’ di domande. Come mai in questa Italia un neofascismo è tornato maggioranza? Ci sarà la colpa di qualcuno? Chi ha gettato al macero un grande patrimonio di conquiste sindacali e democratiche?  Non sarà il PD a porsi queste domande. La discussione fra i piddini verterà su una sola alternativa. Allearsi con Renzi-Calenda o con Conte. Questo è il livello della politica nell’Italia dello sfacelo morale, civile, culturale.

La verità è che sull’essenziale Fratelli d’Italia e PD sono convergenti. Atlantismo, europeismo, soggezione al dio dei Mercati e delle Borse. C’è qualche differenza sul tema delle tasse, dell’immigrazione e dei cosiddetti diritti civili. Su tutto il resto c’è l’adesione allo stesso modello di civiltà che sta cadendo a pezzi e sta trascinando con sé il mondo nel baratro. Bisogna combattere il governo della Destra non per la sua presunta estraneità al sistema vigente ma proprio per la sua sostanziale adesione allo stesso modello che ispira il progressismo sinistroide.

Luciano Fuschini

 
Germania perdente PDF Stampa E-mail

17 Ottobre 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 15-10-2022 (N.d.d.)

Abbiamo finalmente il primo perdente ufficiale del conflitto: la Germania (non sorprendentemente, il Paese europeo che "ospita" il maggior numero di truppe USA: circa 35.000 a fronte di un esercito tedesco che non supera i 90.000 effettivi).

Per anni la cancelliera Angela Merkel ha cercato di attuare una politica del doppio binario lavorando al contempo con Russia e Stati Uniti per trasformare la Germania nel principale centro di distribuzione del gas russo in Europa. A questo scopo, mentre assecondava i desideri di Washington di boicottare il corridoio meridionale (South Stream) che dalla Russia avrebbe dovuto portare il gas in Europa via Mar Nero, Turchia e Bulgaria, dall'altro lato, spingeva per la realizzazione del North Stream 2. A questo proposito bisogna ricordare che entrambi i corridoi (nord e sud) puntavano ad aggirare l'Europa orientale trasformata dai piani USA in antemurale atlantista contro la Russia. Già alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza del 2007 Vladimir Putin dichiarava: "E adesso, invece, loro stanno cercando di imporre a noi nuove linee di separazione e muri. Muri che, seppur virtuali, nondimeno tracciano divisioni nette, tagliando trasversalmente il nostro continente. Ci vorranno decenni, e diverse generazioni di diplomatici, per demolire questi muri." Va da sé che in quel periodo Putin parlava ancora di “grande famiglia europea”. Qualcosa che non si ritrova più nei suoi discorsi. Il 24 febbraio, infatti, si riferì agli europei occidentali in questi termini: “I loro satelliti [degli USA] non solo accettano docilmente ogni decisione e ripetono 'sì' come pappagalli, ma ne seguono i comportamenti e si conformano con entusiasmo alle regole che vengono loro imposte. Pertanto si può affermare con buona ragione che l'intero blocco occidentale, che gli Stati Uniti hanno plasmato a loro immagine e somiglianza, è intrinsecamente il medesimo impero delle menzogne”.

Tornando a Germania e Stati Uniti, il loro boicottaggio del South Stream ebbe iniziale successo. A seguito di un imponente attacco speculativo al sistema bancario bulgaro e di un incontro a porte chiuse tra i rappresentati del governo di Sofia ed una delegazione USA guidata dal fu John McCain (già protagonista di Euromaidan a Kiev con Victoria Nuland, addirittura raffigurata in un affresco nella cattedrale di Ternopil – giusto per dare un'idea della desacralizzazione dello spazio ortodosso orientale portata avanti a tappe forzate dal 1999 in poi), la Bulgaria optò per la sospensione dei lavori. A sua volta, il progetto sostitutivo (il TurkStream) dovette subire non pochi attacchi. In quel  periodo (15 novembre 2015) arrivarono l'abbattimento di un caccia russo da parte della Turchia (cosa che portò ad una immediata fuga di capitali da Mosca ed Ankara) ed il tentato golpe contro Erdogan (luglio 2016). L'obiettivo, naturalmente, era quello di favorire lo sviluppo di corridoi alternativi (TANAP, TAP, BTE) volti a garantire l'afflusso di gas azero in Europa (progetti comunque dal volume piuttosto basso che, al massimo, avrebbero potuto avere un ruolo complementare al South Stream). Già a partire dal settembre 2016, il riavvicinamento tra Russia e Turchia portò ad un rinnovato interesse per il TurkStream divenuto realtà tra 2017 e 2020. Il controllo russo sulla fascia settentrionale del Mar Nero, in questo senso, è fondamentale per mettere in sicurezza questo corridoio ed evitargli un destino in stile Nord Stream. Il controllo russo sulla Crimea (con la base navale di Sebastopoli), in particolare, consente alla flotta russa del Mar Nero di avere un prezioso punto di appoggio e rifornimento. Non a caso, l'ex generale USA, ex direttore della CIA ed ora direttore del KKR Global Institute (fondo di investimento al quale appartiene l'Axel Springer SE che possiede i giornali tedeschi Die Welt e Bild) David Petraeus ha suggerito di affondare completamente la flotta russa del Mar Nero in caso di utilizzo russo di armi nucleari tattiche anche a basso potenziale. Cosa che lascia presagire la non remota possibilità di operazioni “falsa bandiera” visto che difficilmente i russi utilizzerebbero armi nucleari in prossimità al loro territorio. Il KKR è anche famoso per aver finanziato l'Operazione Timber Sycamore con la quale la CIA riforniva i “ribelli moderati” in Siria. La Crimea e Mariupol in mani russe, inoltre, consentono a Mosca il pieno dominio sul sistema “cinque mari”: una rete idroviaria ideata da Stalin che, attraverso fiumi (Don e Volga) e canali artificiali connette le principali città interne della Russia ai mari del nord (Baltico e Bianco) ed a quelli del sud (Azov, Caspio, Mar Nero). L'avvento al potere dell'inetto Scholz, il sabotaggio del Nord Stream, ed il protagonismo di Erdogan (che scalzano la Germania dal ruolo che per essa pensò l'ex cancelliera) segnano il definitivo fallimento della strategia di Angela Merkel. Un fallimento di cui è comunque corresponsabile visto che nulla ha fatto realmente per vigilare sul rispetto degli accordi di Minsk negli anni passati. Di fatto, l'unica via che avrebbe potuto frenare il conflitto in corso.

P.S. Da non tralasciare il fatto che da quando il norvegese Jens Stoltenberg (uomo dei Clinton e di Tony Blair) è segretario della NATO (dal 2014, dice nulla?), il suo Paese, nonostante l'usura dei giacimenti e con tanto di nuovo collegamento verso la Polonia, ha enormemente aumentato i propri profitti derivati dalla vendita di gas e petrolio. Per il 2022 si parla di 109 miliardi di dollari di guadagni (un aumento di oltre 80 miliardi rispetto all'anno precedente).

Daniele Perra

 

 

 
Verità scomode PDF Stampa E-mail

16 Ottobre 2022

 Da Appelloalpopolo del 14-10-2022 (N.d.d.)

La pace o è l’esito di una vittoria (e della sconfitta) in una guerra oppure è la conseguenza di un accordo per non farsi la guerra. Quindi, la pace o presuppone una guerra conclusa o serve a non farne una concepita come possibile.

La guerra è la natura e la pace è cultura. La guerra è la norma e la pace l’eccezione; e tale rimane anche quando, come spesso accade, dura più della guerra.

Se dopo una sconfitta la pace dura molto, vuol dire che la servitù si è consolidata: che è accettata anche se mediaticamente rimossa. Dalla servitù si esce con una vittoria in una guerra o approfittando della sconfitta in una guerra dello Stato che ci vinse.

Stefano D’Andrea

 
L'ossessione di essere vincenti PDF Stampa E-mail

15 Ottobre 2022

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 Da Appelloalpopolo del 12-10-2022 (N.d.d.)

La cronaca ci riferisce dell’ennesimo suicidio di un giovane che non regge alla vergogna di un fallimento personale. Questi episodi drammatici ormai si verificano con una frequenza crescente e preoccupante. Solo negli ultimi dodici mesi due miei concittadini, un ventinovenne e un ventitreenne. In entrambi i casi ragazzi che non avevano avuto il coraggio di dire ai loro genitori e amici che non si sarebbero laureati per tempo. L’anno scorso ne parlavo con una collega, che mi diceva che questi casi si sono sempre verificati, a sua memoria, e che a suo dire sono il segno evidente della eccessiva fragilità emotiva dei ragazzi, che non sono più educati con la durezza di una volta. Io rifiuto questa lettura, a mio avviso semplicistica, e credo che il problema risieda in un altro aspetto degenere della contemporaneità. Un esempio eclatante spesso citato è quello giapponese, che è controfattuale. Di certo, infatti, non si può imputare alla società giapponese e alla tradizione pedagogica nipponica di essere troppo “lasca”. Al contrario, il Giappone è un paese in cui si pratica una disciplina dura, si educa alla repressione delle emozioni, alla dedizione totale ai doveri e al sacrificio finalizzato alla realizzazione individuale. Ecco, in comune col Giappone e con altri modelli sociali di differenti latitudini io ravviso un male diffuso in tutti i paesi del cosiddetto Occidente industrializzato. Uno spettro che permea lo spirito del tempo, l’ossessione di essere “vincenti”, di essere “i migliori”, di sentirsi “falliti” se non si eccelle, di provare vergogna se non si arriva.

Questa ossessione è ravvisabile già nei giovani adolescenti con cui ho a che fare ogni giorno. Un quindicenne dovrebbe essere un sognatore, un idealista, un folle che sogna di cambiare il mondo. Almeno io mi ricordo un’adolescenza vissuta con queste velleità e tutto ciò che ho studiato mi induce a pensare che io sia stato un adolescente non troppo lontano dagli standard, seppure forse più turbato di tanti amici. Oggi invece sento molti ragazzi parlare di “successo” e di “ricchezza”, li vedo misurarsi con l’ossessione della valutazione, che pare essere l’unica cosa che conta. Ravviso una debolissima motivazione intrinseca, una scarsa attitudine allo studio intrapreso per nutrire la propria curiosità e una potentissima forza che li spinge a raggiungere la prestazione, la performance, a riportare a casa “un numero”, il più alto possibile.

Questo postmodernismo senza valori, senza ideali, senza fede, che misura tutto in prestazioni e in valore monetario è la fine dell’umanità. Se a un certo punto sbatti contro un muro, quello della realtà, che ti dice che forse non vali quello che pensavi e che non performi come “dovresti”, cioè come gli altri si aspettano che tu renda, allora puoi pensare che non vali nulla e non hai le carte giuste per stare al mondo. E di questo devi solo vergognarti e soccombere, perché non hai gli strumenti cognitivi per superare questa spirale negativa e ti mancano anche le strutture argomentative per apprezzare la tua esistenza al di fuori del contesto di “mercato”. Questo pensiero degenere mi inquieta e mi motiva ancor più a comunicare ai ragazzi che la vita è altro. La performance, il rendimento, non misurano la persona. Siamo più che i nostri titoli e i nostri voti, non siamo mezzi di produzione che stanno sul mercato, concetto che ci viene più o meno direttamente comunicato quasi ogni giorno e che abbiamo ormai introiettato. Siamo persone dotate di un cuore e un cervello e le nostre vite valgono sempre la pena di essere vissute e di essere con-vissute, perché vivere vuoi dire condividere la propria esistenza con gli altri, aiutarsi, apprezzarti, amarsi e costruire insieme qualcosa: un’amicizia leale e duratura, una famiglia, una comunità di persone che condividono una esperienza di spiritualità, un’associazione sportiva o culturale in cui si coltiva una passione e, perché no, un partito politico in cui si metta in pratica la partecipazione all’organizzazione sociale ed economica della collettività. La vita è tanto di più di quello che oggi viene detto. E certi fallimenti non sono più la fine del mondo, se metti sul piatto della bilancia tutto ciò che può darti la vita.

Gianluca Baldini

 
La natura spirituale dell'universo PDF Stampa E-mail

13 Ottobre 2022

 Da Rassegna di Arianna del 9-10-2022 (N.d.d.)

Questa è la storia del principale inventore italiano vivente, padre del microprocessore, del touch screen, dei telefoni precursori dello smartphone e della tecnologia digitale, che a un certo punto ebbe una crisi spirituale, ripudiò il materialismo e lo scientismo e scoprì che l’uomo è irriducibile a una macchina o un computer, irriproducibile e insostituibile da un robot, un algoritmo o dall’intelligenza artificiale. E la coscienza esiste davvero, come il libero arbitrio e la nostra identità spirituale, mentre il materialismo ci conduce in un vicolo cieco. Sto parlando di Federico Faggin, vicentino, 81enne, che vive in America dal 1968. Suo padre Giuseppe era un grande studioso di filosofia e di Plotino, di cui curò le Enneadi; Federico invece preferì studiare da perito tecnico, con grande delusione del padre. Appena diplomato entrò nella Olivetti, si laureò in fisica, partì per gli Usa e da lì iniziò la sua attività d’inventore e imprenditore. Grandi scoperte, grandi successi, a partire dal primo microprocessore al mondo; ma era inquieto e scontento, in crisi. Fino a che nel Natale del 1990 al lago di Tahoe, Faggin in una notte avvertì, lui dice, “una fortissima energia irradiarsi dal suo petto” e da allora intraprese un cammino spirituale di conoscenza e di autoconoscenza, intrecciandolo con la ricerca scientifica. Il suo sogno era dimostrare che il mondo non è frutto del caos, del caso, degli atomi e di un “orologiaio cieco” ma di “enti coscienti che esistono da sempre”. Il risultato che ne derivò dopo lunghi anni di studi fu la scoperta della coscienza e del suo regno, tra creatività, libero arbitrio, emozione e consapevolezza di sé. A questo suo itinerario di scienza e di pensiero, Faggin ha dedicato ora un libro, Irriducibile (edito da Mondadori). Da studioso di pensiero e cercatore spirituale ho trovato questo libro entusiasmante; riconcilia con la vita, con la morte, col mondo e con la scienza. Provo a dire in sintesi e da profano i risultati della sua ricerca.

Faggin mostra “la natura spirituale dell’universo”; la materia è fatta di energia vibratoria, una cellula è ben più di un miscuglio di atomi e molecole. Il materialismo riteneva che tutto ciò che esiste sia prodotto dall’interazione di atomi e molecole, vecchia concezione della fisica superata ormai dalla fisica quantistica. Per il biologo secentesco Francesco Redi “Omne vivum ex vivo” e come un vivo nasce solo da un vivo (non può nascere da una macchina) così la coscienza non può sorgere da organismi che ne sono privi. Evoluzionismo impossibile. Faggin smonta il riduzionismo, il determinismo e il meccanicismo. Non è la matematica a creare il mondo; dentro di noi, oltre i modelli computazionali e meccanici ci sono le emozioni, il pensiero creativo, il coraggio, l’empatia, la libertà e l’esperienza. Il computer non ha comprensione delle situazioni, come la scelta etica non può derivare dall’algoritmo; il pc è una creazione umana, le sue idee sono quelle di chi lo ha programmato, è solo un amplificatore delle nostre capacità mentali ma soltanto di quelle meccaniche. Nessun Pc partorirà un Pc.

Chi induce a negare la natura spirituale, il libero arbitrio e le identità compie “un crimine contro l’umanità” che “porta all’eliminazione dei valori umani”. Vivere è conoscere, dice Faggin: la coscienza, attraverso l’esperienza fatta di qualia, che sono poi le sensazioni e i sentimenti, comprende il mondo. La nostra intelligenza non calcola ed elabora dati ma è “intuizione, immaginazione, creatività, ingegno e inventiva; e lungimiranza, visione, saggezza. Empatia, compassione etica e amore”. La miglior definizione del tutto è che siamo “cuori intelligenti” (Alain Fienkelkraut). Noi non siamo solo il nostro corpo mortale: quando si separa da noi la nostra essenza, o seity, torna all’Uno; il giorno della morte diventa, come diceva Seneca, il giorno della nascita all’eternità (dies natalis). Facciamo parte di un’unica sostanza universale, dice Faggin con Giordano Bruno, e col poeta iraniano Rumi: “Non sei una goccia nell’oceano, sei l’intero oceano in una goccia”. Dentro di noi e in ogni cellula c’è l’universo intero. Una visione antica confermata dalla ricerca recente. Nella nostra esistenza, sostiene il neurofisiologo John C. Eccles, c’è un mistero inspiegabile in termini materialistici, il nostro senso di libertà non è illusorio, il cosmo non gira senza senso ma fa supporre un grande disegno. Occorrono, dice il matematico Roger Penrose, “idee nuove e potenti, che ci conducano in direzioni significativamente diverse da quelle attualmente seguite”. Una vera rivoluzione dell’intelligenza in rapporto al mondo.

C’è un filo sommerso, biografico e filosofico, nelle pagine di Faggin: un filo che parte da quando il fisico voltò le spalle a suo padre e alla filosofia, facendosi perito tecnico. Poi le scoperte, i successi, la crisi e l’illuminazione. Tutta la ricerca che ne seguirà è, chissà se consapevolmente, sulle tracce del pensiero metafisico di Plotino, passione paterna. Compresa l’illuminazione di quella notte e il suo “fuoco interiore” che somiglia alle estasi plotiniane. Ho trovato Plotino e Platone in tante sue tesi, dal ritorno di tutto all’Uno, da cui “in realtà non si è mai mosso” alle idee generali che precedono ogni creazione, dalla visione olistica dell’universo in cui tutto è collegato a tutto, anche a distanza, all’idea che siamo esseri spirituali imprigionati temporaneamente in un corpo. Alla fine Faggin cita Plotino: ”Ricondurre il divino che è in noi al divino che è nell’universo”. Mi sono commosso pensando al sorriso postumo di suo padre, studioso di Plotino. In suo figlio tornano le intuizioni di quel pensiero visionario che ora la scienza va confermando, con la relatività generale e la meccanica quantistica. E il Fisico tornò al padre, il Metafisico.

Marcello Veneziani

 
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