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Contro Bankestein/1 PDF Stampa E-mail

3 marzo 2009

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Signoraggio e decrescita

di Alessio Mannino

Fare opera di denuncia e mobilitare gli animi, oltre che un imperativo morale per chi, come il sottoscritto, ha la presunzione di fare informazione, è necessario. Prepara il terreno alla lotta politica. Il nemico, perchè questo è, ha un volto definito e tuttavia inafferrabile: quello di un sistema di vita intrinsecamente ingiusto, marcio fino all'osso, molto in avanti nel trasformare gli uomini in zombie. E' il modello di vita imperniato tutto, da cima a fondo, sull'economia. Sul profitto che insegue sè stesso. Sulla crescita illimitata e folle di produzione e consumo. Sulla carta maledetta: il denaro. Premesso ciò, l'Appello contro la Dittatura Bancaria di Movimento Zero calibra il mirino su uno dei fronti di battaglia più importanti. Non entro mel merito tecnico: il suo contenuto è già abbastanza chiaro, e con questo mio articolo il blog inaugura un dibattito aperto che sotto questo profilo vedrà Marco Francesco De Marco far la parte del leone, per cui mi rimetto a lui. Ma ciò di cui parla il terremontante scritto con primo firmatario Massimo Fini è l'espropriazione di sovranità, di diritti, di potere da parte delle centrali bancarie a danno di coloro che teoricamente dovebbero esserne gli unici titolari: i cittadini. A livelli di analisi e d'azione, gettare luce su questo vulnus secretato e tremendo può costituire la chiave di volta per comprendere in quale pozzo di abiezione viviamo tutti senza accorgercene. Una denuncia di questa portata, con cui chiamare a raccolta le persone di buone volontà, è uno dei grimaldelli grazie ai quali aprire gli occhi alle vittime della rata. Che sono tali perchè vittime pasciute e consenzienti, ma sempre più scontente e nervose, di quel modello esistenziale che è alla radice di tutti i nostri mali presenti.

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Se la rivolta finisce perfino sul Corriere... PDF Stampa E-mail
3 marzo 2009
 

 
Sul calendario, la polizia di Londra ha già marcato in rosso le date che potrebbero incendiare la primavera dello scontento. Ed è un'ironia amara per Gordon Brown che il giorno segnato come il più infiammabile sia quello che, nei piani, doveva assicurare l'apoteosi del premier in vista delle elezioni. Il 2 aprile, vertice dei leader del G20, rischia invece di dimostrarsi l'opposto: secondo David Hartshorn, capo dell'ordine pubblico alla polizia londinese, potrebbe innescare una stagione di disordini, picchetti, regressione allo scontro sociale dei primi anni di Margaret Thatcher.
Brown sa che è possibile. Lo ha capito quando il blocco agli impianti Total nel Lincolnshire, contro l'impiego di 300 operai italiani e portoghesi, si è trascinato dietro scioperi selvaggi di solidarietà in tutto il Regno. La recessione e i licenziamenti colpiscono in Gran Bretagna più duro che altrove, ma il governo di Londra non ha certo l'esclusiva delle piazze coi nervi a fior di pelle. A fine gennaio in Francia due milioni e mezzo di lavoratori, dalle infermiere ai professori, hanno decretato una plateale paralisi del Paese e da settimane le ex colonie alle Antille vivono nella violenza di piazza. In Grecia il mese scorso studenti e disoccupati hanno messo a ferro e fuoco le città, quindi gli agricoltori hanno bloccato le arterie di traffico del Paese fino a che il premier Costas Karamanlis è stato forzato a cambiare 9 ministri su 16. In Turchia, Bulgaria e Lituania i cortei anti- governativi sono degenerati nella violenza. In Islanda e Lettonia, entrambe colpite dal contagio finanziario, i dimostranti hanno già licenziato i governi mentre anche a Dublino ormai il malumore si è rovesciato in strada. Persino sistemi autoritari che dalla crescita traevano la loro legittimità, da Mosca e Pechino, fanno ormai i conti con l'impatto della crisi sugli equilibri fra cittadini e potere.
Di rado una recessione così è rimasta senza conseguenze politiche, e questa potrebbe non fare eccezione. Secondo l'Ituc, l'associazione internazionale dei sindacati, il 2009 produrrà nel mondo 50 milioni di nuovi disoccupati: tutti i lavoratori di Italia e Francia messi assieme. Per dirla con Rupert Murdoch, il cui impero dei media è un termometro degli umori in tre continenti, questa fase «ridefinirà le nazioni alle fondamenta». Di sicuro potrebbe farlo con certi leader, a giudicare dalla parabola curiosamente simile di Gordon Brown e Nicolas Sarkozy negli ultimi mesi. Quando in autunno la crisi è entrata nella sua fase acuta, la popolarità interna di entrambi ha avuto un soprassalto grazie al loro ruolo globale: l'attivismo di Sarkozy in Europa e quello di Brown nel proporre al G7 misure per le banche, avevano elevato il profilo di entrambi e placato le opinioni pubbliche. Non è durato molto.
In Gran Bretagna la forbice con i conservatori è tornata ad aprirsi, con il Labour ora di nuovo indietro di dodici punti; secondo un sondaggio IMC per il Guardian, il 63% degli elettori pensa ora che i laburisti dovrebbero cambiare leader. E la minaccia xenofoba resta appena sottopelle: Hartshorn, alla polizia di Londra, avverte che il gruppo neofascista «Combat 18» sta reclutando nuove forze grazie al malumore verso i lavoratori dell'Europa dell'Est assunti nei cantieri per le Olimpiadi del 2012.
Anche da questa parte della Manica i sondaggi segnalano allerta rosso. Lo sciopero generale del 29 gennaio e i disordini della Guadalupa, dove un sindacalista è morto, non sono i soli campanelli d'allarme per Sarkozy. Il leader, è vero, capta i segnali e non si risparmia: sei miliardi al settore auto purché gli impianti restino in Francia, 2,5 per sostenere i consumi, aumenti ai funzionari alle Antille. Ma quando lui stesso è andato in diretta per un'ora e mezza a reti unificate dopo lo sciopero, ha tenuto fermo il timore: «Avanti con le riforme». Peccato che, secondo Tns Sofrès, il 58% dei francesi dichiari che il presidente «parla molto ma non fa granché» e per il 57% il Paese «va nella direzione sbagliata» (solo per il 31% in quella «giusta»). Quanto alla Guadalupa, quattro francesi su cinque pensa che la rivolta sia «giustificata».
Lo spettro dell'Eliseo, spiega l'ex editorialista di Le Monde
Patrick Jarreau sul sito «Rue89», è il '95: allora la piazza paralizzò Jacques Chirac proprio quando l'Eliseo pareva onnipotente. Nel giro di pochi giorni, Chirac fece del suo primo ministro Alain Juppé il capro espiatorio. Ma il paradosso stavolta è che in quella posizione a Mosca potrebbe trovarsi ora Vladimir Putin, ad opera del «suo» presidente Dmitrij Medvedev. Questi biasima in pubblico la lentezza del governo nel reagire alla crisi, magari perché cerca così di anticipare il disorientamento dei russi. In mezzo milione hanno perso il posto a dicembre, in trecentomila a gennaio e in un anno l'economia è crollata dell'8,8%. A Mosca, Pskov, Volgograd e soprattutto a Vladivostok, nell'estremo oriente, la polizia è intervenuta a reprimere le proteste di piazza. Nei porti sul Pacifico il malumore si concentra contro i dazi all'import di auto giapponesi usate, a difesa della decrepita industria russa. Ma la violenza delle forze anti- sommossa, che ancora circola su You Tube, ha solo acuito la tensione. L'indice di gradimento della coppia Putin-Medvedev resta alto, eppure secondo l'istituto di sondaggi Levada metà dei russi pensa che il governo non faccia abbastanza per il potere d'acquisto.
Anche la leadership cinese annusa il pericolo, registra le sommosse davanti alle fabbriche sbarrate a Canton e altrove e cerca di tappare le falle: 460 miliardi di euro di investimenti per dare lavoro nei nuovi cantieri, aiuti all'acquisto di beni di consumo. Ma per Pechino la sfida della stabilità sociale resta delicata: solo negli ultimi mesi, in 20 milioni hanno perso il posto mentre ogni anno il sistema deve assorbire 15 milioni di migranti dalle campagne e sei di nuovi laureati.
Al confronto i 120 mila in piazza a Dublino contro il governo di Brian Cowen sabato scorso, la più vasta manifestazione di sempre sull'isola, sono ben poco. Forse però solo in apparenza: l'economia sta collassando del 10%, la finanza privata e pubblica sono vicine alla respirazione artificiale. E fra qualche mese, gli irlandesi devono gettare nell'urna del referendum la scheda decisiva per far vivere, o morire, la carta costituzionale europea.

27 febbraio 2009

Corriere della Sera
 
Appello contro la dittatura bancaria PDF Stampa E-mail
26 febbraio 2009
 
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Appello contro la Dittatura Bancaria e Tecnofinanziaria

No alla vita basata sul prestito e sull’usura
No al debito eterno degli Stati, dei Popoli e dei Cittadini
Il Popolo (attraverso lo Stato) torni titolare della Sovranità Monetaria


La questione della Sovranità Monetaria non è questione economica. Riguarda tutti gli aspetti della nostra vita. La Banca Centrale Europea, proprietà delle Banche Nazionali Europee, come Bankitalia, emette le banconote di Euro. Per questa stampa pretende un controvalore al 100% del valore nominale della banconota (100 euro per la banconota da 100 Euro), appropriandosi del poter d’acquisto del denaro che crea a costo zero e senza garantirlo minimamente.
E’ un’incredibile regalia truffaldina ai danni della popolazione intera. Gli Stati pagano questa cifra con titoli di Stato, quindi indebitandosi. Su questo debito inestinguibile, pagheranno (pagheremo) gli interessi passivi per sempre. Con le tasse dei cittadini, o vendendo a privati beni primari, come le fonti d’acqua. Per contenere il debito pubblico, che è generato soprattutto dal costo dell’emissione del danaro che lo Stato paga alla BCE, ogni governo è costretto ad aumentare una pressione contributiva diretta ed indiretta sempre più alta nel tempo, che per alcuni soggetti, i più deboli, corrisponde ad un prelievo forzoso di oltre il 60% del proprio guadagno.
Questo enorme profitto è incamerato ingiustamente, illegittimamente ed anticostituzionalmente dalla BCE, ovvero dai suoi soci, le Banche Nazionali, a loro volta controllate da soggetti privati. Queste Banche sono di proprietà privata, e, soprattutto, di gestione privata, anche se ingannevolmente vengono fatte passare per “pubbliche”. Gli utili che traggono dalla emissione monetaria vengono occultati attraverso bilanci ingannevoli, in cui si fa un’arbitraria compensazione dei guadagni da Signoraggio con inesistenti uscite patrimoniali. Dopo 60 anni di Signoraggio (il guadagno sull’emissione) esercitato da Bankitalia e BCE, l’Italia ha un enorme debito pubblico generato esclusivamente dai costi per l’emissione del danaro pagati alle Banche Centrali.
Se l’emissione del danaro fosse stata affidata allo Stato, senza creare debito, oggi non avremmo un solo euro di debito pubblico e le tasse da reddito potrebbero non esistere od incidere minimamente sui redditi da lavoro. Tutti i costi sociali (pubblico impiego, opere, scuole, ospedali) si sarebbero potuti coprire con i proventi da IVA (imposta sul valore aggiunto) magari maggiorata al 30% per i prodotti di lusso e non popolari, e da tasse su transazioni soggette a pubblica registrazione.
Senza usura contro lo Stato da parte delle Banche Centrali, che ha costretto lo Stato a vessare i propri cittadini con tasse spropositate (ricordate il prelievo sul conto corrente voluto dal banchiere Ciampi, travestito da uomo politico?), non bisognerebbe lavorare 30 anni per comprare una piccola casa, pagando tassi da usura. Non esisterebbe il degrado sociale, la povertà, il precariato, la delinquenza come mezzo di sopravvivenza di massa. Senza il Signoraggio delle Banche Centrali gli Stati non avrebbero più debiti e non sarebbero più costretti a tassare e tartassare i propri cittadini, a sottoporli a forme di controllo poliziesco per la determinazione dei redditi. I guadagni da lavoro dipendente ed autonomo sarebbero tutti legittimi, provati e dichiarabili senza timore, senza evasione, senza elusione, e l’unica tassa da riscuotere sarebbe quella sull’acquisto di beni e servizi, favorendo quelli per la sussistenza con aliquote più basse ed  alzando le aliquote per i prodotti voluttuari e di lusso.
Ritornando la sovranità monetaria nelle mani degli Stati sovrani si eliminerebbe il debito degli stessi e di conseguenza di larga parte della popolazione. L’esistenza di noi tutti, condizionata e vincolata fin dalla nascita dal principio usurocratico del debito sarebbe sollevata dall’angoscia da rata, da scoperto di conto corrente, da pignoramento, da sfratto, da banca dati della puntualità dei pagamenti. Le nostre vite sarebbero liberate dall’assillo dal lavoro, del doppio lavoro, del bisogno di guadagnare tanto, per poi pagare il 60% del proprio guadagno allo Stato, perché lo Stato è sotto l’usura dei Banchieri.
Merita trattazione a parte l’analisi delle influenze sulla nostra vita dell’assillo economico. Influenze negative di carattere psichico, culturale, sociale. Con i drammi della povertà, dell’emigrazione, del doppio lavoro familiare, del lavoro precario, del lavoro insicuro, delle pensioni minime, che, senza la voracità da usura delle Banche Centrali, si sarebbero potuti evitare. Sottoponiamo l’appello a deputati, senatori, giornalisti, intellettuali, contestatori, anticonformisti, per promuovere la proposta di legge che faccia tornare l’emissione monetaria in mano statale, ovvero politica e popolare. Diffondiamo la verità negata: viviamo in una dittatura bancaria che impone a tutti l’angoscia esistenziale della vita basata sui debiti.

Azzeriamo il debito degli Stati
Eliminiamo la schiavitù degli indebitati per sopravvivere
Riprendiamoci la nostra vita e la nostra libertà

Massimo Fini
Marco Francesco De Marco
Valerio Lo Monaco
Alessio Mannino
Andrea Marcon
 
Guerra! PDF Stampa E-mail
di Marco Francesco De Marco
 
20 febbraio 2009
 

 
Siamo in guerra. Una guerra sporca che non ha nulla di antico ed ascetico. Nessuno può mostrare il suo valore o il coraggio degli Eroi. Il nemico è invisibile e pertanto non si può combattere, almeno non con i metodi tradizionali.
E’ un Sistema tecnocratico, fatto di apparati e procedure, dietro le quali si nascondono uomini freddi e spietati. Il loro obiettivo, attraverso la creazione a tavolino di questa cosiddetta “crisi”, è l’impoverimento di Stati, aziende e cittadini. Dalla tempesta che ci attende ricaveranno una ricchezza incalcolabile. Essi tendono al controllo di tutto, ed il dominio parziale del quale oggi dispongono è poca cosa per il loro desiderio di potere assoluto.
Vogliono tutto il pianeta più il cinque per cento, come dice Bankestein. Nei giorni scorsi il loro piano è stato ben descritto su questo blog dagli articoli di Marco Della Luna e di Marco Milioni. Il prezzo di questo dramma sociale sarà pagato con le parole che scandiscono le tragedie: espropri, pignoramenti, fallimenti, sfratti, licenziamenti. Le angosce, le nevrosi, le ansie, la disperazione di tutti coloro i quali dovranno subire il piano di impoverimento e demonetizzazione, sono il prezzo dell’aggressione, della loro sporca guerra invisibile che attenta al nostro cervello ed al nostro equilibrio psichico. Il piano bellico è pronto; hanno preparato il terreno con la propaganda e la pressione psicologica.
Tutti attendono la crisi, quella vera, quella che produrrà la catastrofe esistenziale di milioni di italiani. Le pecore ipnotizzate sono pronte per essere tosate e macellate. L’esercito di collaboratori passivi, e tutto sommato individualmente non responsabili delle attività criminose che il Sistema ha posto in essere per impoverirci e farci disperare, è già pronto.
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Caudilli PDF Stampa E-mail
19 febbraio 2009
 

 
C'è caudillo e caudillo. Con questo termine dispregiativo viene definito dall'arena dei media occidentali il leader bolivarista del Venezuela, Hugo Chavez. Lunga vita al Comandante: dopo la bocciatura dell'anno scorso, il referendum per abrogare il limite di candidabilità dopo due mandati per le maggiori cariche elettive del paese sudamericano, è stato vinto dal partito rosso del presidente. Che ora potrà correre per farsi riconfermare praticamente ad aeternum, morte permettendo.
Teatrale, autocratico, logorroico come il suo amico Fidel Castro (il discorso che tiene ogni domenica sulla tv di stato venezualana dura dalle cinque ore in su), Chavez non è un dittatore, come la stampa internazionale lo dipinge per screditarlo. Si sottopone regolarmente alle elezioni, e a Caracas esiste un'agguerrita opposizione foraggiata dalla Confindustria locale e dagli Americani. Ostili, questi ultimi, alla politica neo-socialista del colonnello, sempre issato sulla poltrona presidenziale con percentuali altissime, a dimostrazione del reale sostegno popolare di cui gode, specialmente nei ceti più bassi. Un consenso, certo, basato in gran parte sulla statalizzazione del petrolio, prima fonte di ricchezza del Venezuela. Di qui la demonizzazione occidentale del suo governo, che ha messo i bastoni fra le ruote alle multinazionali petrolifere fra cui la nostra Eni. Ma un governo, va detto perchè nessuno lo ricorda, che fra le misure a favore della sanità pubblica, dell'istruzione di massa, della ridistribuzione della ricchezza ai poveri, ha varato una legislazione che riduce l'orario di lavoro. Prima l'uomo, poi l'economia.
Anche in Italia abbiamo i nostri caudilli. Di tutt'altra pasta, però. C'è il caudillo nano Silvio Berlusconi, spergiuro e corruttore (persino di teste processuali, come ha dimostrato la sentenza sul caso Mills). Uno che ha la piccolezza di un dittatorello di periferia bergamasca, tutto preso dalla difesa del suo impero economico-mediatico, ossessionato dall'immortalità, manipolatore del parlamento e delle leggi per tutelare sè stesso e i suoi accoliti dai tribunali, volgare censuratore di utili strumenti come le intercettazioni solo per pararsi le chiappe contro quelle che riguardano lui e il mondo dei colletti bianchi. Un uomo di una bassezza morale e di una miseria politica senza eguali nella storia d'Italia.
Ma è in buona compagnia. S'è dimesso dalla segreteria del Partito sedicente Democratico il più triste, vuoto e inconsistente capo che la sinistra (?) italiana abbia mai avuto: Walter Veltroni. Un ectoplasma che ha fondato un partito aereo, nel senso che è pieno di aria fritta. E come l'aria è volato via, foglia morta senza ideali nè idee. Alle prese con mille "cacicchi" locali, ognuno satrapo di comitati d'affari nei Comuni targati Pd, il Kennedy all'amatriciana ha avuto uno scatto di dignità? Speriamo per lui. O forse sarà solo una mossa tattica per tornare in groppa a un cavallo allo sbando, lacerato fra fazioni prive di un minimo di contenuto progettuale, politico, ideologico (ops, troppo pretenzioso questo aggettivo...). E lui che la smena ancora, nel giorno dell'ennesima sconfitta, col partito "nuovo". Nuovo? Pappa e ciccia con l'alter ego del PdL , il Pd è stato e continuerà a essere, Walter o non Walter, l'altra stampella di quel malato grave che è il sistema politico italiano. Tenuto in vita col sondino del "bipolarismo" fra Destra e Sinistra, voluto e benedetto dall'establishment finanziario il cui uomo-simbolo è il trasversalissimo salvatore degli interessi Fininvest e dei debiti del Pci-Pds, il banchiere andreottiano ora numero uno di Mediobanca, il bancarottiere Cesare Geronzi.
Diciamolo pure: noi andremmo a votare, sì, solo se si presentasse un Caudillo con la "c" maiuscola, anti-capitalista, no global e difensore della propria terra dalla longa manus americana. Uno come Chavez. Salvo poi criticarlo spietatamente, perchè ci teniamo a quella cosa chiamata Libertà. Vituperata e sbeffeggiata molto più da noi, nel liberaldemocratico Occidente (guardate il video qui sopra),  che non in Venezuela.

Alessio Mannino
 
Primo passo PDF Stampa E-mail

18 febbraio 2009

 

 

Io vorrei darmi una mossa perché i tempi stanno maturando. Vorrei fare qualcosa di intelligente. Coloro che come Massimo Fini da tanti anni criticano le follie della cosiddetta modernità vedono giorno dopo giorno avverarsi le loro intuizioni. Il loro ragionamento diviene ancora più attuale. Il sistema comincia a produrre strepiti veramente troppo fragorosi. Ma come si può far passare il messaggio? Come si può tirare il fil rouge che unisce eventi apparentemente slegati, almeno secondo il giudizio dei più? Crisi economica, umana e delle coscienze, scempi ambientali, conformismo, finte libertà, corruzione, politica serva, poteri forti, scacchiere energetico e internazionale come tavolo da Monopoly, annullamento del senso del sacro, quantomeno nella sua accezione antropologica, elite bancarie ancor più spietate e avide, follia di massa: sono birilli dello stesso filotto. Così mi è venuta in mente un'idea. Un documentario con sceneggiatura a più mani. Girato per strada, incontrando la gente, incontrando chi propone soluzioni profonde e di ampio respiro. Per farlo ci vorranno risorse e organizzazione. Occorre agire con rigore e professionalità. Io metto a disposizione il mio tempo e le mie capacità. Presto pubblicherò un secondo appello con relativa bozza di piano economico. Chiedo a tutti un aiuto. Spero di sentire la vostra voce. Intanto ecco in video un primo scampolo di proposta...

Marco Milioni
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