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L'ambientalismo-tampone PDF Stampa E-mail
24 novembre 2008
 

 
Il nuovo presidente Usa, Barack Obama, ha dichiarato di voler mettere fine entro dieci anni alla dipendenza dall’oro nero, coprire con le fonti rinnovabili il 10% del fabbisogno americano entro quattro anni, introdurre nuove tasse per le compagnie petrolifere e ridurre del 15% dei consumi di elettricità. Anche l’Unione Europea dovrebbe approvare entro l'anno un piano comune, che prevede la riduzione delle emissioni di Co2 del 20% secondo il protocollo di Kyoto e fino al 30% a partire dal 2013. Traguardi ambiziosi  e importanti che cercano di contrastare la piaga sempre più grande del cambiamento climatico.
Da Kyoto in poi quasi tutti i governi del mondo, in maniera più o meno di facciata e strumentale, sono diventati paladini della salute del Pianeta, mettendo in atto ogni possibile misura per "ridurre l'inquinamento", quasi sempre parziale e improvvisata.
Amanti dell'ambiente ma non fino al punto di dover sacrificare ad esso la produttività del sistema industriale. Come ci insegna il governo italiano, secondo cui, con la crisi finanziaria in atto, non è il momento di "fare i Don Chisciotte" con obbiettivi che rischiano di danneggiare le imprese. A parte la scandalosa miopia italiana che minaccia di far saltare il tutto, è lodevole l'impegno di Europa e Usa in questa direzione; benchè resta il fatto che si tratta sempre e comunque di interventi parziali e approsimativi per salvare il salvabile di di fronte a un disastro annunciato, quello ambientale, senza interrogarsi  minimamente sulle sue cause.
L'ambiente è diventato un malato in condizioni disperate che si cerca di curare in tutti i modi, senza però rimuovere la causa originaria. Vale a a dire che la Terra non è più in grado di sostenere i ritmi e i tempi di un modello economico basato sulla crescita economica illimitata. Una crescita votata quasi all'infinito che non si pone limiti nel depredare ogni risorsa naturale per perpetuare se stessa. Governanti, economisti e potentati economici potranno riempirsi la bocca finchè vogliono di parole come sviluppo sostenibile, politiche energetiche, protocolli di Kyoto, ma se non si comincia a mettere in discussione questo dogma intoccabile i danni al mondo che ci circonda saranno irreparabili. E la qualità della nostra vita definitivamente compromessa.

Marco Ghisolfi
 
Se le vittime invocano il carnefice PDF Stampa E-mail
23 novembre 2008
 

 
Lo dico subito: tira una brutta aria. E non parlo della crisi economica, che deve peraltro ancora produrre i suoi effetti più devastanti, ma della cappa di regime che comincia a calare sulle nostre teste. Lo so: la parola “regime” è una delle più abusate e sfruttate dai burattini dello spettacolo politico e mediatico tutte le volte che vogliono screditare i loro rivali, dimenticandosi che le parole sono pietre e andrebbero ben soppesate prima di essere pronunciate.
Chiarisco allora subito che parlando di “regime” non mi riferisco alla chiusura del Parlamento, all’occupazione del Palazzo della Televisione, alla repressione poliziesca o militare, insomma a tutti i mezzi utilizzati dalle classiche dittature. Il regime di oggi è quello (sedicente) democratico, che negli ultimi tempi sta sperimentando nuove tecniche di repressione del dissenso.
Dai comitati No Tav a quelli No Dal Molin, dagli ultras agli studenti, passando per coloro che in Campania e non solo si sono opposti alla costruzione di inceneritori: eccole le ultime cavie del laboratorio “democratico”. Il metodo è sempre lo stesso. In primo luogo occorre spostare l’attenzione dall’oggetto della contestazione, che si evita accuratamente di approfondire, ai suoi autori; il secondo passaggio è quello di criminalizzare quest’ultimi o comunque considerarli esclusivamente un problema di ordine pubblico, spesso artatamente ingigantito; l’inevitabile conseguenza è quella di invocare e quindi realizzare “leggi speciali” che affrontino l’”emergenza” garantendo la “sicurezza” (tra virgolette abbiamo messo i termini chiave che vengono costantemente evocati come veri e propri mantra in queste situazioni).
Ecco allora le limitazioni alla libertà di movimento, aberrazioni giuridiche come il reato in flagranza differita (un vero e proprio ossimoro), la qualifica di terroristi a chi si rifiuta di vivere in un ambiente contaminato, la schedatura di chi esercita il diritto costituzionale di manifestare liberamente, etc etc.
Tutto ciò è ovviamente gravissimo, ma non è a mio avviso l’aspetto più preoccupante della situazione. Il vero dramma comincia a prender corpo con l’assordante silenzio che accompagna simili provvedimenti. Assordante, perché tanti ne parlano sui giornali e nelle tribune televisive, mille voci si accavallano e si sovrappongono, mille punti di vista si esprimono finendo per elidersi reciprocamente. Alla fine ciò che resta veramente è appunto il silenzio, o al massimo una flebile vocina. Ed è una vocina che dice: “Ma guarda se io devo stare a preoccuparmi di questi disgraziati che fanno a botte nelle strade e a tutta ‘sta gente che ne parla litigando in televisione mentre io faccio fatica ad arrivare alla fine del mese! Ma metteteli in galera tutti!”. Questo è il vero regime: l’intorpidimento delle coscienze se non addirittura l’ottenimento dell’invocazione a che esso si imponga in nome del quieto vivere. Ciò che più dovrebbe colpire osservando coloro che ancora hanno la voglia ed il coraggio di scendere in piazza per far valere i loro diritti, è la solitudine che li circonda. Fatta eccezione per gli strumentali quanto falsi appoggi di determinate parti politiche, costoro rappresentano sempre e solo sé stessi. Sembra ad esempio che lo scempio della Tav sia un problema da lasciare ai valsusini o che l’occupazione militare del nostro Paese da parte di una potenza straniera riguardi solo i vicentini. Le problematiche sollevate faticano ad affermarsi per quello che sono, e cioè delle questioni di principio che ci coinvolgono tutti e finiscono col sembrare delle rivendicazioni corporative e di bottega. L’esasperato individualismo coltivato per decenni dal nostro modello di sviluppo, l’atomizzazione della società perseguita dal sistema economico e politico, produce oggi i suoi effetti. Il Ribelle non è più l’icona di una comunità ma un soggetto “altro”, se non addirittura il fastidioso insetto che turba il nostro grigio tran tran quotidiano: invece di seguirlo, si chiede di schiacciarlo. E quale Stato di polizia può essere più perfetto di quello che viene invocato dalle sue vittime?

Andrea Marcon
 
Uomini? No, androidi PDF Stampa E-mail
23 novembre 2008
 

 
Due scoperte scientifiche recenti mettono in luce come la scienza moderna sia intrisa di pregiudizi destinati a condizionare invevitabilmente la nostra vita: vedere l'uomo come una macchina di cui si possono modificare i pezzi a piacere e il fatto che queste modifiche finiscono inevitabilmente per favorire il mondo dell'economia, molto più che l'uomo nei suoi reali bisogni.
Una casa farmaceutica olandese ha prodotto una pillola contraccettiva che cancella completamente le mestruazioni per le donne. L'utilità non è facile a capirsi: secondo la ditta però «mestruazioni regolari possono significare un rischio per la salute delle donne» (!). Un terzo di loro soffrirebbe infatti di mal di testa, dolori al basso ventre o sbalzi d'umore. Inoltre con questo farmaco esse "risparmierebbero in articoli per l'igiene" (!), non si sentirebbero più disturbate nella sessualità ma soprattutto nelle loro attività quotidiane (il che significa per le donne di oggi poter rendere di più sul lavoro).
Si tenta così di trasformare il ciclo mestruale in una malattia. Senza contare oltretutto che una simile scelta sarebbe un salto nel buio, perchè non si conoscono ancora le possibili conseguenze sulla salute di un simile consumo a lungo termine. Inoltre molte donne percepiscono le mestruazioni come un segno di salute - è la conferma di non essere incinte - e come un segno distintivo del loro corpo rispetto a quello maschile; eliminarle quindi comporterebbe un ulteriore avvicinamento al maschio.
Ma ancora più inquetante è stata una scoperta di ricercatori dell’Università di Milano, che hanno messo a punto una tecnica indolore che prevede l'applicazione sul cuoio capelluto di elettrodi. Questi stimolano il cervello con debolissime correnti elettriche, al fine di eliminare la sensazione di stanchezza e provocare nelle persone sane un incremento della resistenza. Avete capito bene: l'applicazione si riferisce alle persone sane.
La stanchezza è il segnale che il corpo ci dà quando stiamo superando i nostri limiti: se la eliminiamo, non riusciamo più a capire cosa ci fa male e cosa no. Ma secondo i ricercatori l'utilità (chiamiamola così) della loro trovata riguarderebbe lo sport: a differenza del doping, infatti, gli scienziati sostengono che la tecnica non abbia effetti collaterali sulla salute.
Il che è tutto da dimostrare. In ogni caso ci chiediamo in cosa possa consistere il vantaggio di una tale scoperta: forse che qualcuno possa battere qualche record alle olimpiadi? Oppure (meglio) aumentare il ritmo di lavoro senza stancarci? Poter fare più straordinari? O ancora, avere più tempo libero per consumare e spendere senza stress?
La sostanza in ogni caso si è capita: il "sogno" di una umanità di androidi asessuati che si agitano in un mondo divenuto un colossale ipermercato non è poi così lontano.

Massimiliano Viviani
 
L'alba di una nuova ideologia PDF Stampa E-mail
20 novembre 2008
 

 
Non più di venti giorni fa il cinefilo Veltroni, tribuno dimezzato, dal Circo Massimo di Roma declamava: «Questa è la più grande manifestazione di massa del riformismo italiano perchè in Italia un cittadino su tre si riconosce e crede nel riformismo moderno».
Riformismo, modernismo: parole vuote che risuonano sinistramente, un'eco cupa, la  tabula rasa dell'economia globalizzata.
Tra i clangori di fabbriche che delocalizzano, esternalizzano, chiudono cancelli trasformando ampie zone del paese in aree cimiteriali.
Parole che, curiosamente, continuano a rimbalzare nei salotti dei canali di scarico mediatico, generalmente associati alla religione suprema, il post-ideologismo.
Essere post-ideologici è la conditio sine qua non per un politico “delegato”, che non può più essere militante, pena l'esilio in soffitta. Solo un'idea “pragmatista” può essere funzionale a questa società, che sociologi all'Alberoni hanno ribattezzato “liquida”, e mai termine fu più felice.
La società liquida ovviamente è un prodotto organico di scarto della fisiocrazia francese settecentesca, un “laissez faire, laissez passer” de noantri.
I post-marxisti e post-democristi hanno  ridotto la politica degli ultimi quindici anni in un feroce e gretto pragmatismo, hanno annichilito le idee, la cultura, il parlar per immagini (proprio delle ideologie).
Hanno trasformato il progetto politico e sociale, la tradizione, la lettura storiografica, il pensiero in una portineria condominiale, una rivendita di pezzi di stato e di sovranità.
Noi pensiamo che mai come oggi ci sia bisogno di ideologismo e di un'osservazione della realtà grandangolare. Pensiamo che ci sia bisogno di un'ideologia che diriga l'azione, secondo la definizione di Pareto.
Non certo l'ideologia marxista, quella che il filosofo preveggente Baudrillard aveva già ampiamente liquidato negli anni Settanta definendola «una limitata critica piccolo-borghese, solo un passo in più verso la banalizzazione della vita».
O quelle che glorificano il discrimine etnico, religioso, reddituale o «l'estasi della comunicazione», per citare ancora Baudrillard.
Piuttosto un'ideologia che ci affranchi dalla schiavitù del globale, dal valore d'uso, dalla libera circolazione delle merci e dei capitali, dall'industrialismo, dalla trita ritualità della delega democratica.
L'antimodernismo. Lo zerismo.

Mauro Maggiora
 
Lettera aperta a Friedman e ai Chicago boys PDF Stampa E-mail
20 novembre 2008
 

 
Non caro Milton,
te ne sei accorto, poco prima di lasciarci nel novembre 2006, che la bolla immobiliare stava per abbattere il mito del capitalismo sfrenato e senza regole di cui tu eri il guru? Che la deregulation selvaggia, da te professata come cura di ogni male, aveva invece posto le basi per la smentita delle tue convinzioni?
Non hai mai pensato che il mercato incontrollato e senza limiti non porta benefici per tutti, non permette all’uomo di affrancarsi dalla schiavitù dello statalismo ma causa solo, nei fatti, un accumulo di ricchezze nelle mani di pochissimi e fa scoppiare la disparità economica e l’ingiustizia sociale?
Certo che no, per te erano sufficienti le tue teorie, mai dimostrate, sul mercato in grado di autoregolarsi, su un capitalismo “incontaminato” e cristallino dove le forze economiche erano uguali alle leggi della natura, fisse e inviolabili.
Ti bastava la fiducia nella tua ricetta: deregulation, privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica preceduti da un bello shock politico, un disastro naturale o altro in grado di sconvolgere un sistema, lasciare interdetti i suoi abitanti e permettere  l’introduzione d’urto di simili misure sfruttando l'annichilimento dell’opinione pubblica. Formulasti una teoria che prevedeva  la necessità di uno shock per ricostruire da zero un paese, e con gli anni, poi, diventasti bravo nello sfruttare tragedie altrui per testare le tue ipotesi.
Le esponesti nel tuo famoso libro “Capitalismo e libertà”, ma per libertà cosa intendevi?
Le libertà democratiche? O piuttosto la libertà delle elitès economiche di far quel che vogliono? Libertà dalle regole, dalla piaga sindacale, dalla seccatura dei diritti dei lavoratori, dai programmi di assistenza sociale, libertà insomma da tutto ciò che limita i profitti sfrenati?
All’epoca, per testare le tue idee trovasti spazio solo in Sud America; tu e i tuoi Chicago Boys, difensori della libertà, diventaste pappa e ciccia con le dittature, entusiaste di avere un supporto scientifico alla loro volontà di arraffare tutto l’arraffabile.
Partecipaste ai loro colpi di stato in Cile, Argentina... andasti perfino a chiacchierare con Pinochet.
Era questo il modo in cui volevi dimostrare che libero mercato e libertà erano inscindibili? E quando il tuo liberismo fondamentalista fece crollare quelle economie?
Hai mai ammesso che il Cile si è ripreso dal disastro economico a cui le tue deliranti teorie lo condussero solo anni e anni dopo che Pinochet fu così sciocco da darti ascolto? Dopo che i Chicago Boys vennero allontanati dalle stanze dei bottoni?
Alla fine per salvarsi dal disastro Pinochet dovette fare come Allende, nazionalizzare un sacco di aziende: che triste fine per il tuo esperimento di eliminare lo Stato dall’economia... Nel frattempo però eravate riusciti a fare di uno dei paesi  più ricchi dell’emisfero sud una fogna di baraccopoli e disuguaglianza, 116° su 123 paesi in cui l’ONU misura la disuguaglianza (dati 2007).
Eppure vi impegnaste cosi tanto per fare del Sud America il vostro laboratorio personale, i vostri esperimenti sono proseguiti di pari passo con l’avanzare delle giunte militari; un golpe, cioè lo shock necessario, e poi via all’eliminazione dei servizi sociali, diritti sindacali, salari minimi ecc. Almeno l'economia fosse cresciuta, invece a crescere furono solo i portafogli di una ristretta elite che beneficiava della mancanza di ogni regola, elite locale in parte, ma anche straniera, dato che svendeste buona parte della ricchezza nazionale a multinazionali americane.
Certo, questo non era mica colpa vostra, onesti scienziati difesi dall’imparzialità scientifica, tuttavia il fatto che le compagnie che foraggiavano i militari contro i governi legittimi fossero le stesse che finanziavano le vostre ricerche e le uniche a beneficiare dei risultati a cui portavano, apre la porta a un legittimo sospetto.
Nel 2001 l’Argentina, altro fronte del lasseiz faire estremo, affondò, e pure lì le corrotte politiche del capo del governo Menem e del suo successore risentivano del tuo retaggio.
Del tuo ultimo suggerimento hanno invece beneficiato gli abitanti di New Orleans dopo l’uragano, consigliasti di metter fine al sistema educativo pubblico e rimpiazzarlo con uno privato: scuole private e buoni spesa alle famiglie, mix già fonte di profonde diseguaglianze negli Usa. Ecosì fu fatto: il diritto all’istruzione annientato di colpo per migliaia di famiglie.
E in ultimo, l’attuale crisi causata dalle politiche sballate dell’amministrazione Bush, guarda caso piena di tuoi fan...
Buon sonno eterno, Milton Friedman.

Alessandro Marmiroli
 
Censura sui blog PDF Stampa E-mail
19 novembre 2008
 

 
Prima una debita premessa, facile almeno per chi legge abitualmente questo blog: qualunque tentativo messo in atto dal Parlamento di limitare la libera espressione è, naturalmente, dovuto alla volontà di mantenere lo status quo.
Ovvero di evitare, con restrizioni sempre più soffocanti, che vi siano voci in grado di esprimersi liberamente e soprattutto arrivare a una audience più o meno elevata, comunque oltre la propria stretta cerchia di conoscenti. Come avviene spesso (almeno potenzialmente) attraverso internet. Voci, ovvio, che possano in qualche modo disturbare lo “stato delle cose” ed esprimere opinioni differenti rispetto a quelle che passano sui media ufficiali. Media ufficiali i quali, chiaro, sono strettamente collegati (conniventi?) proprio al Palazzo e ai suoi "derivati”.
Però c’è un però. Grosso come una casa. Che, onestà intellettuale vuole, non si può eludere: tutti possono dire ciò che vogliono, ma nessuno può permettersi di dire qualcosa senza prendersene la responsabilità.
Ora, è evidente che equiparare i blog a una testata giornalistica – di questo si parla, in riferimento al prodiano disegno di legge Levi – sia cosa abnorme. Così come abnorme, e da respingere con sdegno e forza, sia il fatto di voler imporre ai proprietari di siti e blog tutta una serie di clausole, iscrizioni e incombenze normalmente imposte alle testate giornalistiche di ogni tipo, dunque anche a quelle sul web.
Su questo non c’è molto da dire: tentare di equiparare i blog a testate giornalistiche significa mettere il silenziatore a tantissime voci scomode (oltre che a quelle inutili e dannose: cosa a margine del progetto in discussione ma comunque parte del tutto) che avrebbero vita non facile, quando non proprio impossibile, nel continuare la propria esistenza.
Una cosa è però inaccettabile: che dietro a siti e blog sia ancora possibile, oggi, non rendere pubblica la propria identità. Basterebbe questo, forse, per regolamentare non già il web – che non ha bisogno di regolamentazioni pelose piovute dall’alto – ma ripristinare la possibilità di rispettare regole comuni di civiltà (oltre che sani e giusti principi dell’informazione e della libera espressione).
Oggi è possibile aprire un blog sotto falso nome e dire quello che passa per la mente, offese e ingiurie incluse (o anche lasciare un commento su un qualsiasi altro sito o blog) senza firmarsi, ovvero senza prendersi la responsabilità di ciò che si dice. Basterebbe evitare questo, e la correttezza sarebbe ripristinata.
Perché invece il Parlamento tenta di apportare modifiche ancora più restrittive? Semplice: perché oggi, anche senza incorrere in reati di diffamazione o altro, basta raccontare semplicemente qualche verità per dare fastidio al sistema. E dunque, non si vuole colpire il fatto di dare nome e cognome a chi racconta la verità, ma si vuole viceversa colpire chiunque (con nome o meno) la racconta. Il che è, naturalmente, inammissibile.

Valerio Lo Monaco
Direttore responsabile La Voce del Ribelle

 
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