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Recensione di un film mai visto PDF Stampa E-mail
7 novembre 2008
 

 
L’altra sera mi sono recato ad un cineclub della mia città, Padova, per assistere alla proiezione del film “Redacted” di Brian de Palma. Che non è avvenuta. Perché? Perché ne è stata ostacolata la visione, e non certo per volontà del cinema, ma per decisione della stessa casa di distribuzione in Italia. Perché mai una casa di distribuzione dovrebbe fare una cosa del genere? E sì che il film ha Venezia ha vinto il Leone d’Argento per la regia. Qual è allora il motivo? Semplice: censura. Attraverso cavilli burocratici la suddetta casa ha annunciato al cinema che se avesse proiettato il film (acquistato attraverso vie molto tortuose) sarebbero incorsi in beghe legali.
Ma perché censurare un film? Forse per l’unica ragione che esso fa pensare, e che non si unisce al coro degli establishment “che contano” e delle varie lobby sulle ultime guerre inaugurate dai paladini della libertà yankee e che proviene dagli stessi Stati Uniti.
In “Redacted” una pattuglia di americani in Iraq stupra ripetutamente una ragazzina di 14 anni, per poi ammazzarla con tutta la famiglia. La pellicola è basata su una storia vera, che il governo cercò di insabbiare ma che poi trapelò, sollevando una grande indignazione. La narrazione avviene attraverso filmati di youtube, riprese amatoriali e reportage giornalistici. Il tutto creato dal regista stesso, ma che risulta totalmente reale e credibile. Un film, dunque, dichiaratamente realizzato per scuotere gli animi.
Eppure non ha conosciuto nessuna distribuzione. In America, la grande terra della democrazia, ha avuto una circolazione limitatissima, è stato impedito al cosiddetto “grande pubblico” di conoscere la brutale verità pur sempre attraverso la finzione. E in Italia, essendo uno zelante zerbino dei Padroni, più realista del re, si è fatto anche di peggio. Ma la critica verso il potere, la sua gestione e le azioni del governo è il sale della democrazia. La libertà di parola e di espressione, tutelate solo nell’apparenza, sono invece una minaccia per il potere. Mettere veramente in discussione un governo e azioni di portata mondiale non sono tollerate. Riportare all’attenzione le atrocità di una guerra scatenata per gli interessi di pochi e di cui ormai non si parla più è un crimine. Si parla ancora dei morti che ci sono tuttora in Iraq? Si racconta che rimane un focolaio di terroristi (che hanno trovato terreno fertile grazie all’intervento)?
Nel nostro piccolo, qualcosa, forse, la possiamo fare. Comprare il film tramite internet, affittare una sala comunale, e proiettarlo. Io intendo farlo.

Francesco Viaro
 
Baracca Obama PDF Stampa E-mail

5 novembre 2008

Il sogno americano. L'America ha il suo nuovo imperatore. Gli Usa cambiano pelle. E' bene saperlo: le elezioni americane non le ha vinte Obama, le ha vinte l'Obamamania.
La presidenza degli Stati Uniti è andata a Barack Obama grazie a un crescendo rossiniano di consenso, costruito a tavolino dall'intero sistema mediatico occidentale sulla sua figura di candidato nero, giovane, innovatore, simpatico. Cambiamento: questa è stata la parola-chiave del suo successo.
Dopotutto, usciti da due mandati di Bush, il cowboy del petrolio e delle armi, delle disastrose invasioni dell'Afghanistan e dell'Irak, della crisi finanziaria e della recessione, era prevedibile che gli Americani volessero cambiare l'inquilino della Casa Bianca. Assuefatti al meccanismo obbligato della cosiddetta "democrazia dell'alternanza", i 130 milioni di statunitensi andati a votare hanno creduto alla verità confezionata per loro dai padroni dell'uomo più potente della Terra. I finanziatori di Obama, gli stessi dello sconfitto Mc Cain, sono le grandi banche, l'apparato militare-industriale, la finanza speculativa. Con una differenza significativa solo nella misura dei finanziamenti: hanno, cioè, foraggiato più Obama che Mc Cain.
Perciò non è un caso se la maggior parte dei media ha fatto apertamente il tifo o quanto meno ha creato un'aura di vincente per il "primo nero" asceso alla carica presidenziale. Conquistando alla causa del candidato Democratico (la "sinistra" a stelle e strisce) anche ampi settori dell'opinione pubblica tradizionalmente schierata coi Repubblicani (la "destra" d'oltreoceano). Anche qui da noi, in Italia, dove praticamente tutti simpatizzavano per il nero buono.
La realtà è un'altra: chi decide realmente la politica nazionale e internazionale degli Stati Uniti ha puntato sull'esponente della ricca middle class dei neri che studiano ad Harvard e giocano a golf. Ha scientificamente manovrato l'opinione pubblica non solo americana, ma planetaria, convincendola della bontà di un homo novus capace, per la sua sola immagine pubblica, di ridare credibilità a uno Zio Sam screditato dalla cura Bush.
Ma Obama o Bush, e prima di loro Clinton o Reagan, i presidenti Usa rappresentano soltanto la faccia di un potere in mano ai grandi interessi economici. Barack è la faccia più tollerante, più chic, più kennedyana. E' la faccia dei quell'american dream del povero, dell'immigrato e dell'ultimo (e i neri, al di là dell'Atlantico, vivono in gran parte in condizioni peggiori dei bianchi, mica come il fighetto Obama) che sale la scala sociale su su fino ai gradini più alti. Mentre il vincitore osannato da destra e sinistra è solo la faccia meno feroce del crudele modello statunitense. Fatto di arroganza imperiale all'esterno e di profonde ingiustizie sociali all'interno.
Change, dunque? Per nulla. Non cambierà niente, al di fuori dei toni e dei modi, dei miti e degli abbellimenti con cui Obama camufferà la strenua difesa dell'american way of life e dell'egemonia del Pentagono sul mondo. Di cosa si dovrebbe essere contenti? Del fatto che il neo-presidente degli States non ha detto neanche una parola di vera novità sulla follia della globalizzazione e della crescita infinita, della criminale cupola di banchieri che tiene in ostaggio i popoli, della totalitaria idea nota come "esportazione della democrazia", della necessità di ripensare per intero i rapporti fra Usa, Europa, Russia e Cina? Oppure dovremmo gioire perchè il burattino delle lobby multinazionali di Washington è un nero, e tanto basta? Il colore, spiace dirlo, non è un argomento sufficiente. Anzi, in questo caso è pura pubblicità ingannevole.
L'Obamamania è l'incantesimo calato dall'alto che ha fatto vincere Obama. Poteva essere un altro, ma hanno preferito lui. Potenza della baracca Obama.

Alessio Mannino


 
 
Il bluff PDF Stampa E-mail
4 novembre 2008
 
 
Sapevo che bluffava. Ma quando Giulio Tremonti, poco prima delle ultime elezioni politiche, si era messo a parlare della "globalizzazione selvaggia" del "mercatismo" e della "profonda debolezza" della politica rispetto ai poteri forti, mi era stato simpatico. Un simpatico e goffo birbone. Il giorno di Ognissanti 2008, ovvero Halloween per i cultori dei dolcetti e degli scherzetti made in Usa, Tremonti si è definitivamente tolto la maschera di Pulcinella, almeno per chi sa leggere tra le righe.
Tg1 delle 13,30 il ministro del Tesoro Tremonti, preconizzando l'intervento dello Stato per preservare la solidità delle banche in crisi, annuncia: «Non è compito del governo avere azioni di banche... Non è compito del governo avere azioni di banche centrali. Occorre un nuovo sistema di relazioni economiche internazionali basate sull'etica». Un filotto che decriptato suona così: 'Cari poteri forti nazionali e mondiali state tranquilli. Se qualche istituto di credito è in difficoltà useremo i soldi dei contribuenti per tappare le falle create da voi. E pur pagando non entreremo nella governance delle banche. Cari banchieri centrali mondiali, oh voi sommi sacerdoti dell'economia ovvero del mondo, state tranquilli, la politica rimane vostra serva fedele e non sfiorerà nemmeno uno dei bastioni grazie al quale ci avete sempre comandato a bacchetta: i diritti di signoraggio bancario. E vi dico di più, col bel faccino che mi ritrovo farò una bella campagna di moralizzazione etica contro gli speculatori ai quali però mai daremo nome e cognome. Così nel frattempo rimettiamo insieme i cocci che avete creato, li rivendiamo a quei quattro coglioni che votano noi politici così voi, e un po' noi, sarete sempre più ricchi e potenti". In pratica è come mettere Totò Riina a capo dell'antimafia dopo che quest'ultimo ha fatto un discorso contro il pizzo. Suggerimenti per un rimedio? Che dite meglio attendere che l'immondo macchinario si sfracelli da solo cadendoci addosso? A vous...

Marco Milioni
 
Tu vuo' fa' l'americano PDF Stampa E-mail
4 novembre 2008
 

 
Da uno passato dal Manifesto al Corriere della Sera e quindi a Rai Uno non c’è da aspettarsi niente di buono. Con quella sua faccia da secchione che fa tanto bravo ragazzo che piace alle nonnine, ieri Gianni Riotta si è tuttavia superato: il suo Tg1 è andato in onda con il simbolo della bandiera americana sopra il logo del telegiornale. L’ex rivoluzionario comunista, si sa, è un grande ammiratore del colosso yankee e ha voluto così omaggiare le imminenti elezioni americane alle quali – c’è da scommetterci – si appassiona un sacco.  Quello di Riotta è soltanto l’ultimo, e forse neppure il più eclatante, episodio a testimonianza dell’interesse spasmodico e un tantino ridicolo che i media italiani stanno riservando al grande spettacolo circense che sta andando in scena oltreoceano: all’Isola dei Famosi si alternano le immagini dei due pagliacci che ambiscono alla presidenza degli Stati Uniti.
Niente di sorprendente, in fondo, che i vari Riotta si inchinino deferenti di fronte ai loro eroi, quelli che ci hanno liberato dal nazifascismo, hanno finanziato la nostra ricostruzione postbellica, ci hanno salvato dal pericolo comunista e oggi ci difendono dal babau islamico (cito testualmente dal manuale, per la verità un po’ consunto e ripetitivo, del perfetto filoamericano): per loro, a dispetto di ogni evidenza, gli Usa sono sempre il simbolo della Libertà e della Giustizia.
Ciò che mi chiedo è però dove siano finiti i paladini dell’identità nazionale, quelli che urlano contro il pericolo dell’immigrazione, che sono sempre in prima linea quando si tratta di ostacolare la costruzione di una moschea o di rivendicare il diritto della Patria a rimanere italiana. Non chiedo loro di prodigarsi allo stesso modo all’apertura di ogni Mc Donald o di fronte agli innumerevoli casi di esportazione culturale che da decenni ci inonda di prodotti a stelle e strisce. Però già qualche parola in più potrebbero spenderla per spiegarci perché sul nostro territorio debbano esistere caserme piene di soldati americani e delle relative armi, anche nucleari; forse, invece di guardare con terrore ad ogni italiano che si converte all’Islam, dovrebbero preoccuparsi di quelli che aderiscono al carrozzone religioso/mediatico di Scientology; più in generale, sarebbe bene che ci chiarissero la ragione per cui l’Italia fa ancora parte della Nato ed anzi perché la Nato stessa esiste ancora. Ma in tutti questi casi, per loro, non esiste nessun pericolo per la nostra identità ed indipendenza, queste due parole magiche che servono a riempirsi la bocca giusto quando c’è da raccattare i voti di qualche cittadino impaurito e confuso o a scrivere ridicoli appelli senza alcun fondamento storico.
Evidentemente che l’Italia – e più in generale l’Europa – siano oggi una colonia degli Stati Uniti d’America non li preoccupa. Insieme ai Riotta e ai Teodori sono lì ad aspettare che diventino la 51a stellina sulla bandiera yankee.
     
Andrea Marcon
 
Rilancio PDF Stampa E-mail
3 novembre 2008
 
 
Una vera e propria redazione, se così si può dire (il sottoscritto, un condirettore, Marco Milioni, e il responsabile della rubrica culturale "Approfondimenti", Massimiliano Viviani). Un rinnovato e più numeroso staff di collaboratori, appartenenti a Movimento Zero e non. E una nuova veste grafica per rendere più accattivante il nostro blog. E' con piacere che annuncio il rilancio di MZ - Il Giornale del Ribelle, organo on line ufficiale di Movimento Zero.
Aperto ai pensieri ribelli e a caccia delle verità che solitamente non si dicono perchè "non si possono dire", questo piccolo blog continuerà a fare quel che ha sempre fatto: commentare le notizie giorno dopo giorno, secondo quella chiave di lettura nè di destra nè di sinistra, libera dai luoghi comuni e dai dogmi correnti, ispirata al Manifesto dell'Antimodernità di Massimo Fini. Sulla stessa linea della neonata Voce del Ribelle, il mensile diretto dallo stesso Fini, uscito il mese scorso e che sta ottenendo un grande successo.
La modernità è un'interessata favola che ci propinano per tenerci buoni e legati al giogo di una vita all'insegna del "consuma, produci, crepa". Noi siamo qui per smascherarla.
E per ricominciare come si deve, guardatevi la prima tranche dell'intervista a Massimo Fini sulla crisi finanziaria internazionale. (a.m.)
 
Ha vinto la P2? PDF Stampa E-mail
1 novembre 2008
 
 
Con libri-inchiesta come 'La Casta' si è diffusa l'idea che in Italia le cose vanno male ed aumenta il debito pubblico perché ci sono troppi sprechi. Bene, questa idea (verissima tra altro) l'hanno fatta passare; da dove provengono questi sprechi e soprattutto il perché essi esistono e continuano ad aumentare, però, non ce l'hanno spiegato altrettanto bene.
Lasciando perdere per il momento la questione del signoraggio bancario, che a mio modo di vedere è un punto fondamentale della questione ma merita un capitolo a parte, possiamo dire che questi sperperi scaturiscono dai costi della politica? Possiamo dire che questi sperperi scaturiscono dal fatto che negli anni Novanta, in seguito a Tangentopoli, sono state svendute in modo per lo più illecito quasi tutte le maggiori società pubbliche a privati senza scrupoli e senza capitale, i quali hanno, con la compartecipazione dei loro top manager, prima dilapidato (per lo più intascandoselo) il patrimonio che tali enti avevano messo da parte in tanti anni di vita, ed in seguito portato sull'orlo del fallimento le società stesse? Possiamo dire che tutto questo, e molto altro, ha portato nel nostro Paese un peggioramento del tenore di vita ed un minor potere d'acquisto nella maggior parte delle famiglie italiane? Possiamo infine dire che, alla luce di tutto questo (provato per altro, lo sottolineo, da delle sentenze definitive - consiglio a tutti di leggersi il libro 'Il ritorno del Principe', scritto dal giornalista Saverio Lodato e dal magistrato palermitano Roberto Scarpinato, saggio assolutamente fondamentale, a mio modo di vedere, per capire in che Paese viviamo), ha una sua elementare logica il fatto che uno studio recente ha dimostrato che in Italia la forbice tra ricchi e poveri si è allargata in maniera davvero preoccupante? Possiamo dire che questi ricchi sono diventati tali rubando da questi poveri proprio attraverso l'acquisizione fittizia di pezzi enormi di enti pubblici? Dov'è l'informazione che dovrebbe tenerci al corrente di queste cose in Italia? Sempre l'inarrivabile (oppure no?) Licio Gelli disse che "il vero Potere risiede nelle mani dei detentori dei mass media". Può significare qualcosa tale affermazione, alla luce di tutto questo?
Dunque la questione è molto più complessa e vasta di quel che siamo ahimè abituati a pensare. Invito quindi gli studenti oggi ed i lavoratori domani a capire che qui non si tratta di un problema esclusivo e riservato al proprio settore specifico (sia esso la magistratura l'altro ieri, le Poste ieri, la scuola oggi o la sanità domani). Qui si tratta di capire che siamo di fronte ad un problema unico. Se ci fermiamo a dire che oggi stanno togliendo risorse alla scuola statale senza dire e capire che queste risorse pubbliche le stanno togliendo a tutti i settori pubblici, e se non capiamo soprattutto il perchè stanno facendo questo, non arriveremo da nessuna parte. Credo sia necessaria oggi più che mai una presa di coscienza di questo disegno perverso, e mi auguro che si possa creare spontaneamente e di conseguenza un'alleanza di intenti. O arriveremo a capire e ad agire finalmente in tal senso, oppure vincerà, nell'incredulità, nell'indifferenza e nell'inconsapevolezza generale, l'ormai dimenticata P2.

Simone Bussola
 
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