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"Sono scappato in Irlanda" PDF Stampa E-mail
8 settembre 2008
 

 
Gli italiani in Irlanda sono ad oggi circa 6 mila e aumentano di anno in anno. L’Irlanda è uno degli ultimi baluardi dello sviluppo economico europeo, è la terza nazione per reddito pro capite in Europa, dopo Lussemburgo e Norvegia. Va da sè che il Pil non è, e non sarà mai, il valore assoluto che stabilisce la qualità della vita, ma l’arretramento italiano in termini di reddito pro capite, nascite e servizi, è ormai una situazione andata in metastasi.
La ragione per cui gli italiani sono costretti a spostarsi in Irlanda o altrove è unica: la ricerca di un buon lavoro e di uno stipendio dignitoso. Nonostante l’Italia sia costituzionalmente una Repubblica fondata sul lavoro, l’articolo 1 è diventato una affermazione irritante e fuori luogo. Se è vero che solo se lavori esisti, qualcosa non va come dovrebbe.
In Italia non è più possibile avere un briciolo di potere d’acquisto, un minimo di stabilità e dignità professionale. I lavoratori sono in mano a sciacalli, che grazie al grimaldello della legge Biagi, approfittano della flessibilità per rendere il lavoratore poco più di uno schiavo. Le storie sono sempre le stesse: giovani neolaureati che vengono rimbalzati per anni da una azienda all’altra con salari imbarazzanti e contratti che scandalizzerebbero gli inventori del Monopoli.
La differenza tra la concezione del lavoro tra Italia e Irlanda è la stessa che passa tra un dittatore e un feudatario. Il primo opprime e schiaccia i propri sudditi, il secondo costruisce ed intreccia rapporti saldi e rende i propri sottoposti risorse indispensabili. La sensazione è la stessa per tutti: lasciata la penisola ed arrivati alla nuova meta, ci si rende conto che il trattamento è diverso, che gli abusi delle politiche sul lavoro italiane – che vengono spacciati per indispensabili –  non sono altro che furberie.
In Irlanda esistono i contratti di lavoro temporaneo, ma vengono usati con estrema cautela e chiarezza, mentre in Italia stanno diventando l’unica modalità e possibilità di somministrazione del lavoro. Alla valigia di cartone si è avvicendato un trolley, probabilmente acquistato in qualche discount per una manciata di euro. Alla nave stiva che traghettava i nostri connazionali in America, un volo low-cost.
Il nostro Paese così rimane in mano ai grandi vecchi, alle eminenze grigie dell’industria e agli ex piduisti, che, con il favore degli elettori, costruiscono i presupposti per il suo decesso. In tutto questo, c’è qualcosa di profondamente sbagliato, soprattutto quando sei costretto ad emigrare dal tuo Paese non per una guerra o per un’epidemia di peste nera, ma per poter campare, come ho fatto io. Per ripararsi dalla pioggia d’Irlanda basta un ombrello. Per salvarsi dall’affondamento della nave Italia servirà ben altro.

Antonello Molella
 
Il Trattato dell'infamia PDF Stampa E-mail
1 settembre 2008
 

 
“Un titolo d’onore per l’Italia” dice il presidente dormiente Napolitano con la sua solita vacua retorica. Per molti, invece, rappresenta l’ennesima dimostrazione di come anche questo documento politico mantenga e aggravi il deficit di democrazia dell’Unione. Come ha sostenuto lo stesso relatore di maggioranza del disegno di legge, Giorgio La Malfa, che mentre a Montecitorio ne raccomandava l’approvazione, contemporaneamente ne criticava duramente il contenuto.
Ma che cos’è questo Trattato di Lisbona e perché ci interessa? Innanzitutto il Trattato modifica e sostituisce il cosiddetto Trattato di Maastricht (1992) e il Trattato istitutivo della comunità europea del 1957. Il Trattato dovrebbe entrare in vigore all’inizio del 2009. Ma cosa comporterà l’adozione di questo documento ‘comunitario’?.
Innanzitutto il trattato aumenterà sensibilmente i poteri della commissione Europea in quasi tutti gli aspetti della vita dei cittadini (in primis politica economica e difesa), privando il nostro Paese della propria sovranità e vanificando in questo senso la Costituzione italiana, a partire dall’articolo 1 che recita “la sovranità appartiene al popolo”.
Per quanto riguarda la politica di difesa, prevede, oltre alle missioni di pace, anche missioni offensive, che violano l’art.11 della Costituzione. Attraverso il potenziamento delle forze militari a disposizione della Ue, è in atto un tentativo di fare dell’Europa un braccio della Nato. In politica economica si parla di una vera e propria dittatura della Banca Centrale europea. Grazie al trattato di Lisbona, infatti, i burocrati dell’Unione avranno pieno titolo a bocciare qualunque misura decisa dai governi per difendere la propria economia, l’occupazione, l’industria, i prezzi.
Ma ciò che più dovrebbe scandalizzare è il fatto che il Trattato legittimerebbe la pena di morte e l’omicidio “per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un'insurrezione” e “per atti commessi in tempo di guerra o in caso di pericolo imminente di guerra” (ben 14 Stati dell’Unione europea sono impegnati nella guerra in Iraq). “In caso di pericolo imminente di guerra”? Ma noi, grazie alla politica guerrafondaia di Bush & company, siamo dall’11 settembre 2001 quotidianamente in “guerra” contro il terrorismo! Come la mettiamo?  Sarebbe poi di interesse nazionale conoscere – soprattutto nell’ottica della nuova legge sulla sicurezza votata dal governo Berlusconi - cosa s’intende per “sommossa” e “insurrezione”. Forse il movimento No-Tav può essere considerato una sommossa? O tutti coloro che si battono perché non vengano costruite centrali nucleari o inceneritori? Chi lo sa, fatto sta che con la nuova legge sulla sicurezza, questi siti saranno di “interesse nazionale” per cui potranno essere difesi dall’esercito, e gli organizzatori di manifestazioni (pacifiche) di protesta, potrebbero finire in galera.
In quest’ottica, oltre alla massiccia limitazione delle libertà individuali, la sovranità dei popoli sarà consegnata (se già non lo è) nelle mani di qualche oscuro e potente banchiere o burocrate di Bruxelles, e quindi tutto a vantaggio dei soliti comitati d’affari che tengono in piedi la baracca Europa.

Marco Ghisolfi
 
Russia, ovvero Europa PDF Stampa E-mail
1 settembre 2008
 

 
Non vorrei essere tacciato di panslavismo, ma non riusciamo proprio a non propendere per la Russia, in questo frangente storico.
Gli Usa, e a rimorchio l'Europa, hanno fatto di tutto per irritarla e umiliarla. Si pretende che la Russia ringrazi perché il loro plurisecolare alleato serbo viene attaccato in una guerra ignobile e stupida, e depredato del suo luogo storico, il Kosovo, riconoscendolo indipendente. Si ritiene inaccettabile che la Russia faccia la sua politica in Abkazia ed Ossezia, denunciando moventi economici (ogni condotto di gas e petrolio passerebbe così per la Russia), come se in Medio Oriente noi si stesse operando per la gloria. Si pretende che sorrida mentre gli Americani piazzano missili al loro confine in Polonia, con la risibile scusa che servono per l’Iran (come se noi durante la Grande Guerra per combattere gli austriaci avessimo portato le nostre truppe in Piemonte).  
Piaceva più il democratico e liberale Eltsin dell’autocrate Putin (ma non era Eltsin quello che fece bombardare la Duma?), perché con Eltsin la Russia era debole, i suoi arsenali erano senza controllo, depredati non sa da chi e per chi, l’energia era a buon mercato, come la prostituzione di alto e basso bordo, e un popolo orgoglioso veniva continuamente umiliato. Piaceva più lo Eltsin che introduceva l’economia di mercato, piuttosto che il dirigista Putin.
In realtà l’uomo di San Pietroburgo ha capito benissimo l’economia di mercato, meglio del suo predecessore: il mercato esige consumo, il consumo vuole energia, e l’energia ce l’ha lui. Non ne è dominato, dal mercato, e proprio per questo, in un momento in cui l’occidente soffre terribilmente il problema del nanismo morale e intellettuale dei suoi leader, a partire dal suo capobanda Bush, la figura del russo non può che emergere con prepotenza.
E l’Europa? Vorrebbe tanto avere la Russia vicino, ben legata, ma ha accettato frettolosamente nel proprio seno Paesi che non si fidano della Ue, ma vogliono essere protetti da Mosca, affidandosi totalmente alla solidarietà interessata degli Usa tramite la NATO. Mosca d’altro canto non può restare a guardare, e si attrezza.
In questo tiro alla fune, la fune sembra proprio essere l’Europa. Essa, a una voce sola, dovrebbe dire chiaro e tondo (pur, ammettiamolo pure, con la cautela e il linguaggio diplomatici) che i missili in Polonia sono ridicoli e controproducenti, semplicemente antirussi, che l’indipendenza del Kosovo può tranquillamente aspettare, dovrebbe smettere di consentire agli Stati Uniti di costruire o ingrandire basi in Europa, e magari anche creare una nuova via di integrazione tagliando una buona volta fuori la Gran Bretagna. Solo allora, una volta chiaro che siamo diventati maggiorenni e siamo usciti dalla tutela di zio Sam, potremo costruire un rapporto profondo e  bilanciato con la Russia. Che è parte d’Europa anch’essa, storicamente e culturalmente. Un rapporto che creerebbe un sistema potenzialmente completo. Cioè autarchico. Cioè, finalmente, indipendente e pienamente europeo.

Antonio Gentilucci
 
Era meglio Bush PDF Stampa E-mail
27 agosto 2008


 
Pensavamo che con le cosiddette primarie del Partito Democratico italiano si fosse toccato il fondo della farsa elettorale e pseudo democratica, ma fortunatamente gli Americani sono sempre un passo davanti a noi. Se la “vittoria” di Veltroni era scontata quanto ridicola, la corsa alla Casa Bianca ha già il suo vincitore prima di iniziare ufficialmente. Istruttiva, come sempre in questo senso, la lettura del Corrierino della Sera, che ha dedicato alle amenità pronunciate dal “candidato” Obama a Berlino il titolo centrale della prima pagina come se si trattasse di straordinarie rivelazioni di un Presidente già in carica, sottolineando pure l’entusiasmo della folla davanti a frasi come “Europa ed America devono tornare alleate” (ohibò, e adesso cosa sono? possibile che Obama abbia voluto ammettere che adesso sono l’una suddita dell’altra?). Non mancava poi l’annotazione circa l’amore del nostro eroe per l’Italia, un classico che fa sempre presa sulla tipica mentalità provinciale nostrana.
Questo antipasto di nauseabonda melassa mi ha subito fatto pensare a Bush. Già ora mi trovo a rimpiangere questo autentico criminale internazionale e la sua cricca di orridi fiancheggiatori, da Cheney a Rumsfield alla Rice. Perché di questi personaggi si può dire di tutto, ma non che non siano persino lombrosianamente fedeli a quello che rappresentano: lo sguardo ebete di George W, la faccia da intrallazzone malcelata sotto una finta aurea di rispettabilità di Dick e Donald, l’aspetto innaturale da iena appena uscita dal parrucchiere di Condoleeza. Anche impegnandosi sono grinte che non riusciranno mai a nascondere la puzza di marcio degli interessi che in questi anni hanno difeso. Ma il sistema industriale e finanziario che li ha messi in sella ha capito che non è più il momento di mostrare lo sguardo truce. Troppo smaccato il piano egemonico condotto a livello planetario, troppo volgare la retorica patriottarda con la quale si è giustificata ogni nefandezza e restrizione di libertà, troppo palese la violazione dei principi in nome dei quali gli stessi americani dicono di agire.
Intendiamoci, nessun passo indietro da parte dei veri padroni della sedicente democrazia americana. Ma un bel restyling quello sì, era necessario. Adesso è arrivato il momento di mettere in scena il pupazzo liberal, tollerante, giovane, moderato. Insomma, il “poliziotto buono”. Si sono voluti superare: ce lo propongono addirittura nero (ma non troppo), tanto per dimostrare quanto sono democratici nel paese delle grandi opportunità. Finirà l’invasione dell’Afghanistan? Non scherziamo, “la lotta al terrorismo deve continuare” (Obama I); niente più appoggio ai guerrafondai sionisti? Macchè, “Israele rimane il nostro fraterno alleato in Medioriente” (Obama II); finirà lo Stato di polizia internazionale? “Chiuderò Guantanamo” (Obama III, ma le altre decine di prigioni segrete della Cia? Ah già, quelle non fanno notizia). E l’elenco potrebbe andare avanti all’infinito, dall’Iran alla politica sanitaria nazionale, dall’ambiente all’appoggio alle multinazionali, dalla difesa dei diritti umani alle ingerenze negli affari dei paesi sudamericani, etc.
Come sempre negli Usa non cambierà assolutamente nulla nella sostanza, per cambiare tutto (o quasi) nella forma. Esattamente ciò che farà levare gridolini di estasi a chi, tra media e politici, ha reso la politica un mero affare d’immagine. Vedo già la corsa tra Veltroni e Berlusconi a chi è più amico di Obama e tra il Corrierino (della sera) e la Repubblica (delle banane) a chi leverà i peana più osannanti al nuovo Kennedy.   
Noi ce ne terremo lontani, continuando a combattere il modello americano a prescindere dalla marionetta chiamata ad interpretarlo. Però permetteteci di preferire il demonio che si mostra con le corna a quello travestito da angioletto.

Andrea Marcon
 
Crisi georgiana e America PDF Stampa E-mail

27 agosto 2008

La vicenda Georgia-Ossezia del Sud-Russia porta al pettine se non tutti una buona parte dei nodi; delle contraddizioni, degli errori della politica estera americana di questi ultimi vent'anni seguita finora, o subita, quasi supinamente dall'Europa. Bush ha minacciato la Russia di espulsione dal G8 e dal Wto (grottesco diktat poi sfumato in un più diplomatico rischio di compromettere "l'aspirazione di essere integrata nelle strutture diplomatiche, politiche ed economiche del Ventunesimo secolo") per essere intervenuta nell'Ossezia del Sud a sua volta aggredita dalla Georgia da cui formalmente dipende e dalla quale reclama, da vent'anni, l'indipendenza? Ma quale autorità ha Bush in materia dopo che gli Stati Uniti hanno voluto, e ottenuto con la violenza delle armi, l'indipendenza del Kosovo dalla Serbia? Con differenze che rendono molto più giustificabile l'intervento russo in Ossezia di quanto non lo fosse l'aggressione americana alla Serbia. Il Kosovo infatti era da sempre territorio serbo (era anzi considerato "la culla della Nazione serba") e vi vivevano 380mila serbi (ora ridotti a 60mila nella più grande, e vera, pulizia etnica nei Balcani), l'Ossezia del Sud non è mai stata territorio georgiano e vi vivono solo osseti. Gli indipendentisti albanesi dell'Uck, foraggiati e armati dagli americani, facevano ampio uso del terrorismo, gli osseti no. Le truppe russe sono intervenute in Ossezia e hanno anche sconfinato in Georgia ma non ne hanno toccato la capitale, Tbilisi, gli americani bombardarono invece a tappeto, per 72 giorni, Belgrado. La Serbia di Milosevic non costituiva una minaccia per alcun Paese Nato (anzi non costituiva, ridotta ai minimi termini com'era dopo la guerra di Bosnia, una minaccia per nessun Paese). La Georgia in predicato per entrare nella Nato, e con una serie di "istruttori" americani sul suo territorio, sta ai confini della Russia. Ciò che ha fatto la Russia in Georgia e in Ossezia del Sud è quindi molto meno grave, e più giustificabile, di quanto hanno fatto gli Stati Uniti in Serbia e in Kossovo.
Nella vicenda kosovara l'Europa, compresa l'Italia di D'Alema, seguì supinamente e stupidamente gli Stati Uniti. Mentre infatti gli americani avevano almeno un loro piano, costituire un corridoio - Albania più Bosnia più Kosovo - di islamismo "moderato" nei Balcani a favore della Turchia, il loro grande alleato nella regione (calcolo poi rivelatosi sbagliato perché in quel corridoio si sono installate cellule di Al Quaeda che stanno contaminando proprio la Turchia), l'Europa non aveva alcun interesse a favorire la componente islamica dei Balcani a danno della Serbia ortodossa e da sempre parte integrante del Vecchio Continente (e infatti quando a Ballarò dissi a D'Alema che quella per il Kosovo era stata una guerra "cogliona", l'ex presidente del Consiglio non replicò).
Ma ora l'Europa sembra rialzare la testa. Sembra aver capito che non è suo interesse appiattirsi come una sogliola davanti all'aggressiva politica americana. La mediazione di Sarkozy va tutta in questo senso (e infatti un documento di Washington di condanna esplicita della Russia inviato ai membri del G7 non è passato). Sarkozy non ha ottenuto solo l'immediato "cessate il fuoco" ma anche la posizione giuridica dell'Ossezia del Sud e dell'Akbazia) sia discussa in una Conferenza internazionale da cui uscirà, con tutta probabilità, l'indipendenza dei due Paesi. Senza spargimenti di sangue. Che è la soluzione ottimale per i russi, ma anche per noi. L'Europa ha infatti molti motivi, di vicinanza ed economici, per tenersi buona la pur ambigua Russia di Putin. Così come ha molto motivi per avere buoni rapporti con i Paesi musulmani che circondano le sue coste (mentre l'America li ha a 10mila chilometri di distanza). Per questo sempre Sarkozy sta favorendo l'"Unione mediterranea", cioè di tutti i popoli del Mediterraneo.
E l'Italia in tutto questo cosa fa? Il nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, non ha nemmeno partecipato alla riunione che i suoi colleghi della Ue hanno tenuto a Bruxelles per discutere della crisi georgiana. Sta alle Maldive. Forse ci è restato apposta, per non compromettersi. Una dimostrazione ulteriore, se ce ne fosse stato bisogno, che con la politica delle pacche sulle spalle "all'amico Bush" e all'"amico Putin" non si combina nulla e si finisce per non contar nulla.

Massimo Fini

da Il Gazzettino 15 agosto 2008 
 
Il "diavolo" Karadzic PDF Stampa E-mail

22 luglio 2008

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Clangori trionfalistici e fuochi d’artificio televisivi stanno accompagnando, in queste ore, la notizia dell’arresto dell'ex presidente dei serbo-bosniaci Radovan Karadzic. Per evitare di portare anche noi il cervello all’ammasso mediatico, alcune schematiche ed elementari considerazioni a caldo si impongono. Il tempo ci consentirà di approfondirle, verificarle, smentirle.
1) Quel che ha fatto, qualsiasi cosa abbia fatto, Karadzic l'ha fatto facendo la guerra, una guerra "legittimamente" dichiarata (almeno dal punto di vista di chi l'aveva dichiarata, e come sappiamo chiunque dichiari una guerra si ritiene sempre legittimato a farlo: è abbastanza lapalissiano). E la guerra, si sa, è orribile, per definizione. Dunque, se vogliamo, dichiariamo la pace universale, aboliamo la guerra dalle "istituzioni" mondiali. Ma, per favore, evitiamo la pagliacciata retorica ed autoassolutoria di trasformare Karadzic in un orco cannibale: quel che ha fatto lui, se l'ha fatto, l'hanno già fatto centinaia come lui prima di lui e lo stanno facendo centinaia come lui in questo momento, oltretutto nel silenzio complice dell'Occidente (do you remember Darfur, for example?).
2) Solo un imbecille può credere che la Serbia non avesse sempre perfettamente saputo dove si trovava Karadzic (e dove si trova Ratko Mladic) e che sia stato catturato “casualmente”, come i telegiornali stanno spacciando (a dimostrazione, se ce ne fosse occorsa un’altra, dell’assoluta mancanza di rispetto che la stampa ha dell’intelligenza della gente). La domanda dunque è: perché proprio ora? Perché solo ora? Ovverosia: quali debiti deve pagare la Serbia, con questa moneta? Quali meriti deve acquistarsi? Forse – ma non vorrei essere maligno – il suo passaporto per la Ue?
3) Piaccia o non piaccia, giova ricordare che Karadzic era uno dei protagonisti di un conflitto, quello jugoslavo, che ha visto la Serbia, sua protettrice, proditoriamente attaccata dall'Occidente - l'Italia ha dato il suo valido contributo coi bombardieri inviati dall'allora Ministro della Difesa, il "democratico" e "di sinistra" Massimo Enola Gay D'Alema - che lo ha devastato e semidistrutto. Il suo presidente. Slobodan Milosevic, è stato rapito, incarcerato all'estero, sottoposto ad un infinito ed incompiuto processo farsa da una giudice mercenaria degli USA e alla fine "è stato morto" di malattia nella sua cella. Auguriamo dunque a Karadzic – che entro pochi giorni verrà anche lui deportato all’Aja – per contrappasso, un processo breve e giusto con giudici indipendenti e non di parte, una condanna commisurata alle colpe che risulterà aver commesso, se risulterà che le abbia commesse, ed una salute di ferro. Non per particolare simpatia nei suoi confronti, Dio ce ne guardi, ma in nome di quei Diritti Umani di cui l'Occidente è, come sappiamo, unico difensore e detentore.
4) Speriamo infine che, dopo di lui, tocchi anche agli altri innumerevoli criminali di guerra, assassini di massa e seriali che ancora impestano il pianeta: George W. Bush, Hu Jin Tao, Ehud Olmert...: la lista la si può trovare facilmente sui quotidiani di tutto il mondo.

Giuliano Corà

 
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