Avviso Registrazioni

Scusandoci per l'inconveniente, informiamo i nuovi utenti i quali desiderino commentare gli articoli che la registrazione deve essere fatta tramite Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

Login Form






Password dimenticata?
Nessun account? Registrati

Cerca


 
  SiteGround web hostingCredits
La vera opposizione non ha rappresentanza PDF Stampa E-mail

29 Settembre 2022

Image

 Da Comedonchisciotte del 28-9-2022 (N.d.d.)

Col dilagare della rappresentazione elettronica della realtà nella vita della gente, soprattutto a mano a mano che si allarga il numero dei “nativi digitali”, si va sempre più diffondendo la sensazione illusoria che la realtà sia soprattutto un fatto mentale e che sia reversibile a piacimento, un poco come predica la “teoria gender” rispetto al sesso. La gente tende sempre più a dimenticare che tutto ciò che la circonda, a cominciare proprio dai dispositivi elettronici, è qualcosa di ben materiale e tangibile e che la nostra società estremamente complessa (e come tale molto fragile), è sostenuta da tutto un insieme di organizzazioni, reti e istituzioni molto reali e concrete senza le quali tutto cessa di funzionare. Questa complessità è organizzata politicamente. Uscendo per strada pochi riescono ancora a pensare che dietro a quella strada c’è chi decide di costruirla, chi la costruisce, chi la illumina e la manutiene, chi garantisce l’ordine pubblico, chi paga gli stipendi, chi dà elettricità ai telefonini e costruisce la rete che li fa funzionare: tutto viene dato per scontato, quasi funzionasse da sé al di fuori di qualsiasi organizzazione. Da dove l’elettricità, il gas, l’acqua, la benzina? Qualcuno ancora se lo chiede? Chi gestisce le reti che ce li consegnano in casa? Chi produce il cibo, le cose, i telefonini, gli oggetti? Forse i supermercati, Amazon, le stampanti laser, le start up, la Cina? E se li produce la Cina o la Russia o l’Arabia, perché ce li danno a noi, cosa diamo loro in cambio? O lo fanno perché ammirano così tanto i nostri straordinari “valori europei”? Chi gestisce e come tutta quella complessa rete di organizzazioni che è l’Italia, l’Europa? Quanti sopravviverebbero se si fermasse anche solo per poco tempo?

La partecipazione alla cosa pubblica consiste oramai nel mettere un “like” qua e là, nel recensire qualche albergo nel quale abbiamo soggiornato, nel guardare la televisione che ci suggerisce cosa dobbiamo pensare, nel pubblicare autoscatti e foto delle zucchine al forno che abbiamo mangiato l’altra sera da Sarah (con l’acca che fa tanto States), in un delirio di protagonismo sempre più solipsistico e disperato. In realtà il potere appartiene interamente a chi controlla quelle reti e quelle organizzazioni che fanno funzionare la società, ma il fatto di poter dire la propria su “face book”, purché sia “la cosa giusta”, s’intende, e il continuo scorrere davanti agli occhi di spettacoli virtuali dove sostanzialmente tutto è possibile e reversibile, ci dà l’illusione di possedere un briciolo di quel potere e che tutto avvenga come per magia premendo un pulsante. La grande e capillare propaganda che negli ultimi anni è stata dedicata all’antipolitica, ci ha convinti tutti che la politica non è l’arte di governare la società, ma una cosa sporca, da evitare il più possibile, così che il potere potesse passare, col nostro consenso e ovviamente con la salvaguardia della nostra privacy (per questo deve firmare qui, qui e qui), sempre più dalle istituzioni tradizionali, continuamente svalutate, ad altre organizzazioni cosiddette “private” mistificate come qualcosa di politicamente neutrale e dedicate solo all’efficienza e alla snellezza di funzionamento. In realtà la differenza principale che passa tra il pubblico ed il privato è che il primo è infinitamente più trasparente e controllabile del secondo. Si sa sempre chi è il presidente, chi è il ministro, come è stato nominato, si conoscono i provvedimenti che prende, è costretto bene o male a giustificarli, deve in qualche modo piacere al pubblico se vuole essere rieletto, risponde pubblicamente di quello che fa. Al contrario le grandi istituzioni “private” sono completamente opache, i nomi e i ruoli non sono pubblicizzati, le decisioni sono spesso segrete, non necessitano di motivazioni né sono soggette al giudizio di elettori per quanto distratti, frastornati dalla propaganda e privati di scelte davvero alternative. È evidente che organizzazioni quali Google o Microsoft esercitano sui cittadini un potere pari o superiore a quello di molti stati, un potere quasi totalmente irresponsabile, monopolistico e fuori da qualsiasi controllo da parte degli utenti. […]

Mentre le scelte politiche vengono fatte in maniera sempre più opaca e sempre più spacciandole per scelte tecniche, i cittadini continuano a ritenere “sporca” e corrotta la politica ufficiale visibile e neppure si pongono il problema di quella sommersa che prende decisioni sulle loro teste senza che loro neppure lo sappiano. Eppure quest’ultima è talmente “corrotta” che non ha neppure più senso parlare di corruzione: l’inganno e il tradimento degli interessi collettivi a favore dei gruppi che la controllano è semplicemente il suo scopo, il suo funzionamento normale, istituzionale, per così dire da regolamento. Anche quella parte della società che dissente da tutto ciò, la parte per molti versi più sveglia, cosciente ed attiva, cade spesso nelle trappole predisposte dal sistema, può credere ad esempio che l’astensione alle elezioni possa danneggiare la credibilità del sistema sottraendogli legittimazione. Eppure, è evidente che sia pure sempre meno significativamente di un tempo, i risultati elettorali al netto degli astenuti contano ancora qualcosa nell’equilibrio del potere, altrimenti non dedicherebbero loro tutta queste attenzioni. Certi sono capaci di credere con tutto il cuore che a Trump hanno rubato l’elezione, ma allo stesso tempo non vanno a votare perché loro “non si fanno prendere in giro”. Se le elezioni non contano, cosa hanno rubato a Trump? Pensano che tornare presidente senza passare dalle elezioni sia più facile? In realtà l’astensione è ricercata dal sistema stesso, è solo un mezzo di cui si serve per tenere sotto controllo il dissenso e va quasi sempre a suo favore. Lo si è visto perfettamente in queste ultime elezioni i cui tempi e modi sono stati scelti per ostacolare i movimenti della vera opposizione e massimizzare l’astensione. Il politico, per quanto non necessariamente un’aquila, è comunque più scaltro dell’elettore medio perché è stato scelto tra tanti. Meno gente si occupa della cosa pubblica, meglio è per loro, più possono trasferire potere da dove questo, se non altro, si vede (parlamenti, governi, pubbliche istituzioni), a dove è nascosto e si può esercitare senza alcun freno. L’astenuto per protesta è convinto che mostrare a questo modo la sua rabbia e il suo risentimento sia utile a cambiare la società, proprio come succede nel mondo virtuale di Hollywood che ormai moltissimi hanno introiettato come surrogato della realtà. Nelle trame hollywoodiane, “fare la cosa giusta”, denunciare l’inganno, equivale a debellare il male: la fatica è poca. D’altra parte, l’astenuto intimista e rinunciatario è convinto che sia possibile rifugiarsi ancora di più nel privato, dove si illude che sarà lasciato in pace. Nella realtà per cambiare le cose occorre molto lavoro, molta politica, occorre prendere parte al gioco, infiltrare le pedine nelle maglie del sistema, occorre prendere il controllo delle reti che formano il potere, contrastare gli avversari punto su punto, ad ogni occasione: è qualcosa di molto diverso dal mettere un “like” ad un “post” o inveire alla tastiera. Occorre prima di ogni altra cosa un’organizzazione politica che abbia un’ideologia ed un programma di fondo. Nell’attuale situazione di dilagante apoliticità, quando un possibile embrione di tale organizzazione si costruisce, occorre coltivarlo come cosa preziosa.

Negli ultimi anni il dissenso in Italia e in Europa, si è manifestato attorno ad alcuni temi chiave, per semplificare ne cito soltanto due tra i più emblematici e concreti: il rifiuto delle politiche covidiane ed il rifiuto di partecipare alla guerra americana nei confronti della Russia, due politiche tra le tante che “infiniti addussero lutti agli achei” per dirla con Omero. La larga maggioranza del paese si è dimostrata a proposito di questi due temi del tutto acquiescente, ma, nonostante ciò, si è venuto a formare un dissenso misurabile in milioni di persone. Sarebbe bastato che questi milioni, coerentemente con quanto avevano fino ad allora manifestato, avessero votato per uno dei piccoli movimenti che si sono presentati esplicitamente per lottare contro le politiche covidiane e contro la partecipazione alla guerra americana contro la Russia, per avere in parlamento una rappresentanza significativa di questa posizione politica. Una rappresentanza che avrebbe intralciato le politiche covidiane e la guerra alla Russia o, quantomeno, avrebbe fornito visibilità e testimonianza davanti a tutto il mondo dell’esistenza di milioni di persone che legittimamente dissentono dalla linea dal governo e dal potere. Invece, grazie principalmente all’astensione, questi milioni non hanno oggi alcuna rappresentanza istituzionale e continueranno a non avere accesso ai media che contano, che sono quasi l’unico mezzo efficace per poter rappresentare di fronte alla maggioranza della gente un punto di vista alternativo. E senza un punto di vista alternativo, in pratica non c’è scelta. La grande maggioranza, infatti, può scegliere solo se gli vengono rappresentate le varie opzioni possibili e più o meno in maniera paritaria. Non riesce da sola a costruirsi un’alternativa, occorre mostrargliela. Invece, adesso, i milioni di dissenzienti è come se non esistessero. Si può tranquillamente ripartire coi vaccini e proseguire la guerra. Non è forse questo un grande servizio reso al potere dagli astenuti che credevano di combatterlo?

In realtà queste elezioni politiche sono state un disastro: date le premesse, sono andate nel modo più favorevole possibile al sistema e ai partiti di regime. Se con il netto peggioramento in corso delle condizioni di vita degli italiani, non si poteva ragionevolmente sperare che vincessero i partiti di governo più direttamente responsabili e più direttamente asserviti agli interessi stranieri come il PD e i suoi cespugli, si è comunque evitata una loro eccessiva punizione. Inoltre, si è ottenuta un’alternanza al potere che aiuta a mantenere l’illusione che tra i contendenti ci sia qualche effettiva differenza e conseguentemente che la democrazia ancora esista. Persino il partito dei voltagabbana ha ottenuto un incredibile 15%, probabilmente in virtù del reddito di cittadinanza: saranno anche loro un utile strumento del regime.

Infine, come da previsioni, ha vinto il partito meno coinvolto nei disastri degli ultimi due anni, ma senza avere la maggioranza assoluta, alleato con altri che hanno invece attivamente sostenuto Draghi e le sue politiche, il che lo espone a doversi moderare ancora di più anche in quei rari e marginali temi dove poteva avere una posizione leggermente eccentrica rispetto a quella obbligatoria dettata da Washington e ribadita dai suoi leccapiedi di Bruxelles. La vera opposizione non è neppure rappresentata. Non si dovrà neppure avere il fastidio di ascoltarla in aula o di doverla brevemente recensire in televisione. Cosa si può chiedere di più alla provvidenza? Perciò niente paura, l’Italia rimane unanime e allineata con i valori europei, con il democratico presidente Zelensky e con le regole del mondo civilizzato e ne seguirà i destini. Magari si darà meno enfasi al sentito problema dei matrimoni gay e più attenzione alla dedica di qualche strada ai martiri delle foibe, altro tema di grandissima attualità. Gli inguaribili ottimisti diranno: sempre meglio di Draghi! Sarà, però è anche vero che, così su due piedi, non mi viene in mente nessun candidato premier peggiore di Draghi.

Nestor Halak 

 
Plebiscito contro Draghi PDF Stampa E-mail

27 Settembre 2022

Image

 Da Rassegna di Arianna del 26-9-2022 (N.d.d.)

La destra ha vinto. Ma questa è la democrazia dell’alternanza, non certo dell’alternativa. Chiunque si attenda il cambiamento resterà presto deluso. La linea politica del nuovo governo dovrà essere infatti compatibile con le scelte già imposte da vincoli esterni, indipendentemente dall’esito delle elezioni: la UE, la Nato e soprattutto il giudizio dei mercati. Il nuovo governo dovrà attenersi ai programmi già decisi in sede UE con il Pnrr, dovrà uniformarsi all’atlantismo e alla russofobia occidentale e, in caso di scelte non gradite all’establishment, saranno i mercati a imporre la linea politica governativa, pena il default. Quale margine di scelta resta alla politica? Quasi nulla, dato che i paesi occidentali sono governati con il pilota automatico.

Si è agitato lo spettro del fascismo, del pericolo sovranista, dell’estremismo. Ma l’unica deriva estremista di questa destra è quella atlantista: la destra si è opposta alla sinistra in quanto a quest’ultima si è rinfacciato un filo atlantismo troppo moderato. Si evoca inoltre il pericolo del sovranismo di destra già dilagante in Europa. Ma i sovranisti europei (con l’eccezione parziale della Le Pen), avversano l’Europa in quanto non si riconoscono nella UE, ma nella Nato. Il sovranismo europeo si rivela dunque funzionale alla strategia imperialista americana che ha sempre contrastato qualsiasi velleità autonomista dell’Europa.

I rincari energetici e la guerra produrranno presto gravi crisi economico – sociali, che si riveleranno ingovernabili. Pertanto, dinanzi a nuove e gravi emergenze, i vincoli esterni europei imporranno nuovi governi tecnici e/o di unità nazionale. È probabile dunque che si verificherà presto la fuoriuscita di Forza Italia e di una Lega desalvinizzata dalla maggioranza di centro – destra, il cui governo si rivelerà da subito debole ed eroso da continue conflittualità interne. È quindi ipotizzabile una riedizione a breve di un nuovo governo tecnico guidato da Draghi, o da Cottarelli o da qualche clone finanziario a disposizione.

Il PD, nonostante le ripetute disfatte elettorali, rimane comunque il partito istituzionale che dispone del monopolio della rappresentanza dell’Italia in Europa. La “credibilità” italiana in Europa è garantita dal PD, partito rappresentativo dell’oligarchia tecnocratico – finanziaria cui è devoluta nei fatti la governance dell’Italia. Sono dunque del tutto prevedibili manovre anti – italiane ordite dal PD con l’avallo della UE al fine di destabilizzare il governo italiano.

Le elezioni sono state stravinte da Fratelli d’Italia: l’unico merito della Meloni è stato quello di essere il solo partito di opposizione al governo Draghi. Ma queste elezioni, al di là della vittoria della Meloni, si sono rivelate un plebiscito contro Draghi e i partiti che lo hanno sostenuto. L’impopolarità di Draghi è emersa con evidenza: perfino nei feudi della sinistra gli elettori hanno votato in maggioranza per la destra, manifestando una totale avversione popolare a Draghi e ai suoi ascari. È stato lo stesso Draghi a determinare la crisi di governo e a provocare le elezioni anticipate, al fine di sottrarsi alle sue responsabilità politiche all’esplodere della preannunciata drammatica crisi del prossimo autunno. Lo scenario che imporrà la narrazione mediatica ufficiale al manifestarsi della crisi è del tutto prevedibile, anzi scontato: l’Italia del governo Draghi era credibile, europeista e avviata verso la crescita e le riforme, ma con la fuoriuscita di Draghi è esplosa una crisi devastante. Occorrerà dunque, per far fronte alle nuove emergenze, evocare il ritorno improcrastinabile del taumaturgo Draghi.

La crisi istituzionale italiana ed europea è evidente ed ormai irreversibile. Essa è testimoniata dalla astensione record del 36% e dall’esito di un voto che ha premiato l’unico partito di opposizione. Ma la deriva oligarchica delle istituzioni italiane è lampante. Il sistema democratico è stato di fatto sovvertito, in quanto alla sovranità popolare si antepongono i diktat europei ed atlantici. Ne sono testimonianza le ingerenze americane nella campagna elettorale riguardo a fantomatici finanziamenti russi ai partiti politici sovranisti e l’indebita ingerenza della von der Leyen che ha minacciato di reagire con “strumenti giusti” nei confronti di governi sgraditi alla UE, come è stato fatto con l’Ungheria di Orban. Tra i popoli e le istituzioni si è creata in Europa una frattura irreversibile. Dalla crisi incombente scaturiranno conflitti sociali insanabili. Ma sarà la crisi della Germania, i cui effetti si riverseranno su tutti i paesi europei, a determinare la destabilizzazione della UE e a rimettere in discussione le scelte filo atlantiche europee. Tale crisi avrà conseguenze sistemiche rilevanti: determinerà la fine del modello economico tedesco, improntato al rigore finanziario e strutturato su di una economia basata sull’export.

Il 25 settembre non è stato il giorno del giudizio universale, come preannunciato dai toni apocalittici dei media in campagna elettorale. Oltre il 25 settembre, come possiamo constatare oggi 26 settembre, c’è vita. In queste elezioni, data l’elevata percentuale di astenuti, è emersa una vasta area di popolo potenzialmente antagonista al sistema. Trattasi del popolo degli esclusi, marginalizzati dai partiti, ma alla ricerca di un’area politica di riferimento. Chi saprà interpretare le istanze di questo vasto dissenso, per tradurle in un programma politico antagonista credibile e generatore di consenso? Attualmente questo interrogativo resta purtroppo senza risposta. 

Luigi Tedeschi  

 
Fine dell'operazione militare speciale PDF Stampa E-mail

25 Settembre 2022

 Da Comedonchisciotte del 24-9-2022 (N.d.d.)

Il discorso televisivo di Vladimir Putin e le successive dichiarazioni del Ministro della Difesa Shoigu, che hanno annunciato la parziale mobilitazione delle riserve dell’esercito russo per aggiungere un totale di 300.000 uomini alla campagna militare in Ucraina, sono stati ampiamente riportati dalla stampa occidentale. La stessa stampa occidentale ha anche riferito dei piani per lo svolgimento di referendum sull’adesione alla Federazione Russa nelle repubbliche del Donbass questo fine settimana e negli oblast di Kherson e Zaporizia in un futuro molto prossimo. Tuttavia, come spesso accade, la correlazione tra questi due sviluppi non è stata vista o, se vista, non è stata condivisa con il grande pubblico. Dal momento che negli ultimi due giorni la stessa interrelazione è stata evidenziata nei talk show della televisione di Stato russa, colgo l’occasione per esporre ai miei lettori i fatti principali sulla piega che prenderà ora il conflitto in corso in Ucraina ed una visione aggiornata di quando potrà terminare e con quali risultati.

L’idea stessa dei referendum nel Donbass è stata ridicolizzata dai media mainstream negli Stati Uniti e in Europa. Vengono denunciati come “finti” e ci viene detto che i risultati non saranno riconosciuti. In realtà, al Cremlino non interessa affatto che i risultati siano riconosciuti come validi in Occidente. La loro logica sta altrove. Per quanto riguarda l’opinione pubblica russa, l’unica osservazione critica sui referendum riguardava la tempistica, visto che alcuni patrioti avevano apertamente dichiarato che era troppo presto per tenere il voto, dato che la Repubblica Popolare di Donetsk e gli oblast di Zaporozhie e Kherson non sono ancora stati completamente “liberati.” Anche in questo caso, la logica di queste votazioni risiede altrove. È scontato che le repubbliche del Donbass e gli altri territori dell’Ucraina ora sotto occupazione russa voteranno per entrare a far parte della Federazione Russa. Nel caso di Donetsk e Lugansk, era stato solo grazie alle pressioni di Mosca che i loro referendum del 2014 avevano riguardato la dichiarazione di sovranità e non l’adesione alla Russia. All’epoca, il Cremlino non vedeva di buon occhio un’annessione o una fusione di questo tipo, perché la Russia non era pronta ad affrontare il previsto massiccio attacco economico, politico e militare da parte dell’Occidente che ne sarebbe seguito. Oggi, Mosca è più che pronta: è infatti sopravvissuta molto bene a tutte le sanzioni economiche imposte dall’Occidente già prima del 24 febbraio, nonché alla crescente fornitura all’Ucraina di materiale militare e di “consiglieri” dei Paesi della NATO. Il voto sull’adesione alla Russia raggiungerà probabilmente il 90% o più di voti favorevoli. Anche ciò che seguirà immediatamente da parte russa è perfettamente chiaro: a poche ore dalla dichiarazione dei risultati del referendum, la Duma di Stato russa approverà un disegno di legge sulla “riunificazione” di questi territori con la Russia e, nel giro di un giorno o poco più, sarà approvato dalla Camera alta del Parlamento e subito dopo sarà convertito in legge dal Presidente Putin. Al di là del suo servizio come agente dei servizi segreti del KGB, di cui gli “specialisti della Russia” occidentali parlano all’infinito nei loro articoli e libri, ricordiamo anche la laurea in legge di Vladimir Putin. Come Presidente, è rimasto sistematicamente all’interno della legge nazionale e internazionale. Lo farà anche ora. A differenza del suo predecessore, Boris Eltsin, Vladimir Putin non ha governato per decreti presidenziali, ha governato con leggi promulgate da un Parlamento bicamerale costituito da diversi partiti. Ha governato nel rispetto del diritto internazionale promulgato dalle Nazioni Unite. Il diritto delle Nazioni Unite parla della santità dell’integrità territoriale degli Stati membri, ma il diritto delle Nazioni Unite parla anche della santità dell’autodeterminazione dei popoli.

Che cosa ne consegue dalla fusione formale di questi territori con la Russia? Anche questo è perfettamente chiaro. In quanto parti integranti della Russia, qualsiasi attacco a questi territori, e sicuramente ci saranno attacchi di questo tipo da parte delle forze armate ucraine, è un casus belli. Ma prima ancora, i referendum erano stati preceduti dall’annuncio della mobilitazione, che indica direttamente cosa farà la Russia se gli sviluppi sul campo di battaglia lo richiederanno. Le fasi progressive della mobilitazione saranno giustificate all’opinione pubblica russa come necessarie per difendere i confini della Federazione Russa dall’attacco della NATO. La fusione dei territori ucraini occupati dalla Russia con la Federazione Russa segnerà la fine dell'”operazione militare speciale.” Una OMS non è qualcosa che si conduce sul proprio territorio, come hanno osservato un paio di giorni fa i relatori del talk show Una serata con Vladimir Solovyov. [Questa annessione territoriale] segna l’inizio di una guerra aperta contro l’Ucraina, con l’obiettivo della capitolazione incondizionata del nemico. Ciò comporterà probabilmente la rimozione della leadership civile e militare e, molto probabilmente, lo smembramento dell’Ucraina. Dopo tutto, il Cremlino aveva già avvertito più di un anno fa che il percorso di adesione dell’Ucraina alla NATO, imposto dagli Stati Uniti, avrebbe portato alla perdita della sua statualità. Tuttavia, questi obiettivi particolari non erano stati dichiarati fino ad ora; l’OMS riguardava la difesa del Donbass dal genocidio e la de-nazificazione dell’Ucraina, concetto di per sé piuttosto vago. L’aggiunta di altri 300.000 uomini in armi alla forza dispiegata dalla Russia in Ucraina [ora si parla di tre contingenti da 300.000 uomini ciascuno, per un totale di quasi un milione di richiamati, N.D.T.] rappresenta un quasi raddoppio e sicuramente porrà rimedio alla carenza di fanteria che ha limitato la capacità della Russia di “conquistare” l’Ucraina. È stata proprio la mancanza di soldati sul terreno a spiegare il doloroso e imbarazzante ritiro della Russia dalla regione di Kharkov nelle ultime due settimane. Con le poche truppe impegnate al fronte nella regione [i Russi] non erano riusciti a resistere alla massiccia concentrazione di forze ucraine. Il valore strategico della vittoria ucraina è discutibile, ma ha aumentato notevolmente il loro morale, che è un fattore importante per l’esito di qualsiasi guerra. Il Cremlino non poteva ignorarlo.

Alla conferenza stampa tenutasi a Samarcanda la scorsa settimana al termine dell’incontro annuale dei capi di Stato dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, era stato chiesto a Vladimir Putin perché avesse mostrato così tanta moderazione di fronte alla controffensiva ucraina. Aveva risposto che gli attacchi russi alle centrali elettriche ucraine, seguiti alla perdita del territorio di Kharkov, erano solo “colpi di avvertimento” e che ci sarebbero state azioni molto più “impattanti.” Di conseguenza, mentre la Russia passa dall’OMS alla guerra aperta, possiamo aspettarci una massiccia distruzione delle infrastrutture civili e militari ucraine per bloccare completamente tutti i trasferimenti di armi fornite dall’Occidente dai punti di consegna nella regione di Lvov e da altri posti di confine fino alle linee del fronte. Potremmo aspettarci anche il bombardamento e la distruzione dei centri decisionali ucraini a Kiev.

Per quanto riguarda un ulteriore intervento occidentale, i media occidentali hanno ripreso la poco velata minaccia nucleare del Presidente Putin nei confronti dei potenziali co-belligeranti. La Russia ha esplicitamente dichiarato che qualsiasi aggressione contro la propria sicurezza e integrità territoriale, come quella sollevata dai generali in pensione negli Stati Uniti, che nelle ultime settimane avevano parlato alla televisione nazionale della disgregazione della Russia, sarà affrontata con una risposta nucleare. Visto che la minaccia nucleare della Russia è ora diretta contro Washington, piuttosto che a Kiev o a Bruxelles, come si supponeva finora, è improbabile che i politici di Capitol Hill rimangano a lungo indifferenti alle capacità militari russe e perseguano un’ulteriore escalation. Alla luce di tutti questi sviluppi, sono costretto a rivedere la mia valutazione su ciò che era emerso alla riunione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. I media occidentali avevano focalizzato l’attenzione su una sola questione: il presunto attrito tra la Russia e i suoi principali partner globali, India e Cina, per la guerra in Ucraina. Mi era sembrato che questo aspetto fosse stato esagerato. Ora sembra essere una vera e propria assurdità. È inconcepibile che Putin non avesse discusso con Xi e Modi di ciò che stava per fare in Ucraina. Se davvero la Russia ora dedicherà allo sforzo bellico una parte assai maggiore del proprio potenziale militare, allora è del tutto ragionevole aspettarsi che la guerra finisca con la vittoria russa entro il 31 dicembre di quest’anno, come il Cremlino sembra aver promesso ai suoi fedeli sostenitori. Al di là della possibile perdita della condizione di Stato da parte dell’Ucraina, per Washington una vittoria russa sarebbe molto di più di un’emorragia di sangue simile a quella dell’Afghanistan. Metterebbe in luce lo scarso valore dell’ombrello militare statunitense per gli Stati membri dell’UE e porterebbe necessariamente ad una rivalutazione dell’architettura della sicurezza europea, come chiedevano i Russi prima della loro incursione in Ucraina a febbraio.

Gilbert Doctorow (tradotto da Markus) 

 
Traditore del popolo italiano PDF Stampa E-mail

23 Settembre 2022

 La Russia mobilita altre 300.000 persone, l’escalation verso il ritorno dell’atomica e della guerra globale avanza senza interruzioni. Due sottomarini russi armati con missili nucleari si aggirano nel Mediterraneo, ed uno si trova di fronte la Sicilia probabilmente puntato contro la base americana di Sigonella.  Nel frattempo, anche le imprese più solide sono stremate da bollette decuplicate. Frasi come “l’anno scorso in questo periodo pagavo 2000 euro di bolletta, quest’anno me ne sono arrivati 20.000, un altro mese così e chiudiamo” sono all’ordine del giorno, basta fare un giro nei negozi per sentirle.

E questo signore riceve un premio. Questo signore che da Presidente del Consiglio non è stato capace di garantire la sicurezza dei suoi concittadini anzi li ha esposti al peggiore dei rischi, quello della guerra. Così come non è stato capace di proteggerne l’economia tuffandola in un’inflazione e una crisi senza precedenti.  Il premio però, almeno dal punto di vista del padrone americano, lo meritava tutto! È riuscito in una missione impossibile: portare l’Europa, contro qualsiasi suo interesse economico e politico, dentro il conflitto. È stato l’uomo americano in Europa sin dal primo momento, invece di aggregarsi ai più miti alleati come Francia e Germania, ha giocato il ruolo del falco coinvolgendo l’intera Europa nella guerra più di quanto non lo fosse già. Servile e astuto come pochi! Ha usato le finanze pubbliche come un bancomat per mandare centinaia di milioni di euro in armi infischiandosene di qualsiasi altra calamità colpisse i suoi concittadini, mostrando un cinismo che deve aver compiaciuto moltissimo i padroni d’oltreoceano.  Ironico è anche il termine “statista” usato dagli americani per premiarlo, essendo chiaro che l’Europa non ha statisti e proprio per questo può essere trascinata a destra e a manca, premiando poi il cocchiere di turno. Oggi come oggi un Erdogan conta nelle relazioni internazionali più di tutti i leader europei messi insieme.

Il premio americano se l’è certamente meritato, così come la carezza sulla testa. Ma stia altrettanto certo che l’unico premio che riceverà dalla storia sarà la medaglia di traditore del popolo italiano, traditore del suo ruolo di Presidente del Consiglio e traditore della storica tradizione di neutralità, diplomazia e dialogo internazionale del nostro paese.

Luca Pinasco

 
Cosa c'è dietro gli alti prezzi dell'energia PDF Stampa E-mail

21 Settembre 2022

 Da Appelloalpopolo del 3-9-2022 (N.d.d.)

1) RIMOZIONE DELL’ASPETTO STRATEGICO

Da quando mi occupo di energia, ormai oltre dieci anni, ho sempre visto il dibattito nel settore svilupparsi unicamente intorno a due fattori: quello economico (quanto costa) e quello ambientale, totalmente incentrato nella sua declinazione climatica (quanta CO2 emette). Perfettamente in linea con l’approccio da “fine-della-storia” dell’ultimo trentennio, il fatto che l’approvvigionamento di una quantità sufficiente di energia a prezzi accettabili rivesta per uno Stato innanzitutto un’importanza strategica fondamentale – direi addirittura vitale – in Italia, il Paese di Enrico Mattei (!), era ormai totalmente assente, ignorato, rimosso sia dagli operatori del settore sia dalla classe dirigente. Questa rimozione del significato strategico dell’energia ha provocato inevitabilmente l’assenza di politiche di sicurezza energetica, mirate al mantenimento di buone relazioni internazionali con i fornitori e al perseguimento della massima autosufficienza possibile e, mi sento di affermare, è la causa principale dell’attuale disastrosa situazione nella quale ci troviamo.

2) FINANZIARIZZAZIONE E AZIENDALIZZAZIONE DEL SETTORE

Sul primo aspetto di (rimozione della) natura strategica, si innesta perfettamente la trasformazione del settore energetico in direzione aziendalista e finanziaria realizzata attraverso: – la privatizzazione delle grandi aziende energetiche (Eni, Enel), che smettono di avere come finalità l’interesse nazionale e spostano l’obbiettivo sull’ottenimento dei massimi dividendi per gli azionisti; – la liberalizzazione dei mercati energetici al grido di “più concorrenza, più convenienza”, per ritrovarsi (già prima dell’esplosione dei prezzi) con una pletora di offerte nelle quali per il normale cittadino o imprenditore è praticamente impossibile districarsi, e con il tanto osannato “mercato libero” da sempre più costoso (in media) rispetto a quello di “maggior tutela”; – lo spostamento degli acquisti da parte dei fornitori verso contratti spot nei grandi hub, i nuovi mercati virtuali dove la speculazione finanziaria è libera di fare il bello e il cattivo tempo, che hanno via via rimpiazzato i vecchi contratti pluridecennali con prezzi e quantità praticamente fissi.

3) REGOLE DI MERCATO CHE FAVORISCONO SUPER-PROFITTI

Scendendo nei dettagli di funzionamento del mercato elettrico, c’è un aspetto tecnico poco conosciuto, la cui modifica consentirebbe un calo consistente e immediato del costo dell’energia elettrica e che trovo estremamente esemplificativo della volontà politica di favorire i profitti a scapito degli interessi dei cittadini: il sistema del prezzo marginale. Si tratta del meccanismo utilizzato nel mercato elettrico per determinare, ora per ora, il prezzo dell’elettricità, facendo incrociare la domanda stimata del sistema elettrico e l’offerta da parte dei vari produttori. Ogni produttore, per ciascuna ora di ciascun giorno, indica quanta elettricità può fornire e a che prezzo. Il mercato elettrico accetta le offerte a partire dalla più bassa e via via a salire, fino a coprire il fabbisogno previsto. Il meccanismo del prezzo marginale prevede che tutta l’energia elettrica venga pagata al prezzo massimo entrato nel pacchetto. Per esempio, se un impianto a carbone ha offerto 1.000 MWh a 40 €/MWh, mentre l’ultimo fornitore entrato nel gruppo ha offerto 1.000 MWh da gas naturale a 870 €/MWh, entrambi incasseranno 870.000 €, anche il proprietario dell’impianto a carbone che avrebbe venduto i suoi 1.000 MWh a 40.000 € e realizzerà così un super profitto di 830.000 €! 870 €/MWh sarà poi il prezzo orario che contribuirà a determinare il costo dell’energia elettrica per tutti i consumatori, il cosiddetto Prezzo Unico Nazionale (PUN).

A ben vedere, si tratta dello stesso sistema utilizzato dal Ministero dell’Economia e Finanze per il collocamento dei titoli di stato a medio-lungo termine: stabilita la quantità di titoli da collocare, il MEF accetta le offerte a partire da quella con interesse più basso, fino a quella più alta necessaria a coprire il fabbisogno. E poi paga a tutti l’interesse massimo tra quelli accettati, anche a chi si sarebbe accontentato di un interesse inferiore. Un meccanismo che non ha altre spiegazioni se non la precisa volontà di trasferire ricchezza dal basso verso l’alto.

Nino Di Cicco

 
Non è come ce la raccontano PDF Stampa E-mail

20 Settembre 2022

 Da Appelloalpopolo del 9-9-2022 (N.d.d.)

“Spezzeremo le reni alla Russia”. “Pochi giorni e la Russia fallirà”. “La Russia è isolata”. Come sempre non solo la realtà dei fatti è diversa da quella che raccontano, ma è addirittura antitetica. Le cose vanno quasi sempre al contrario di come le raccontano. D’altronde, sono gli stessi che per decenni ci hanno raccontato le magnifiche sorti e progressive di Unione Europea ed euro e che negli ultimi due anni ci hanno intrattenuti con la surreale narrazione del Covid. Secondo un report di Goldman Sachs, non proprio un organo di propaganda russa, all’inizio del prossimo anno, cioè in pieno inverno, la bolletta di una tipica famiglia europea toccherà in media i 500 euro al mese. Si tratta di un aumento di circa il 200% rispetto al 2021. Vale a dire che le bollette energetiche costeranno il triplo. A livello europeo, si tratta di un aumento di circa 2.000 miliardi di euro solo per le bollette. Il 15% del PIL. Tradotto in parole semplici, vuol dire la chiusura di migliaia di aziende e l’impossibilità per milioni di famiglie di fare fronte all’aumento dei costi. Un vero e proprio tsunami economico e sociale che farà rimpiangere anche le due grandi crisi petrolifere degli anni 70 (per chi se le ricorda).

Le cause di questa crisi sono alcune lontane nel tempo e altre meno. Il punto però è che si tratta sempre e comunque di cause auto-inflitte che hanno tutte un’origine comune: l’appartenenza all’Unione Europea. Le privatizzazioni degli anni ’90 (tra cui rientra ENI) erano una precondizione per l’ingresso nella UE. La liberalizzazione del settore energetico operata attraverso i decreti Bersani prima e Letta poi, ce le ha chieste la UE. L’aumento dei costi dei permessi per l’emissione della CO2 lo ha voluto la UE. Le sanzioni alla Russia le ha imposte la UE su ordine di Washington.

Vale sempre comunque la pena ricordare che il nemico purtroppo noi lo abbiamo innanzitutto in casa. Nessun altro Paese può vantare una classe politica che si batte con tanta determinazione contro gli interessi del Paese che governa. Nelle casse del Tesoro stazionano quasi 80 miliardi di euro. Negli ultimi mesi, con i rendimenti ai minimi degli ultimi 30 anni, il MEF ha emesso puntualmente molti meno Titoli di Stato a lunga scadenza (30 e 50 anni). Ad aprile 2021, davanti a una richiesta di 65 miliardi ne ha emessi appena 5. Nell’asta di gennaio di quest’anno, davanti a una richiesta di 55 miliardi ne ha messi appena 7. Con l’aumento dei tassi di interesse che si sta per abbattere su di noi (grazie alla BCE), oggi ci costerebbe molto di più (visto che non abbiamo una BC che funga da prestatrice di ultima istanza a differenza di quasi tutto il resto del mondo). Non solo: vuol dire che se avessimo soddisfatto la richiesta quando ne avevamo l’occasione e con i tassi di interesse così bassi, oggi quel debito si sarebbe ridotto considerevolmente proprio alla luce dell’aumento dei tassi. Insomma, i soldi per affrontare il caro energia ci sono e se ne potevano trovare molti di più praticamente a costo zero (con l’attuale inflazione i tassi di interesse reali non erano solo bassi, ma negativi, come negli anni ’60 e ’70). Eppure nessuno dei partiti attualmente presenti in parlamento ha detto né tanto meno fatto qualcosa. Per un pericoloso mix di cialtronaggine e malafede. Perché a loro non interessano gli interessi dell’Italia, ma quelli dei potentati sovranazionali e dei grandi capitali esteri. Perché loro a parole rispettano la sovranità di tutti i Paesi e di tutti i popoli. Tranne di quello che dovrebbero governare: l’Italia.

Gilberto Trombetta

 
<< Inizio < Prec. 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 Pross. > Fine >>

Risultati 353 - 368 di 3744