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La povertà e la rivolta PDF Stampa E-mail

3 novembre 2007

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Una fetta sempre più larga d’Italia fa fatica a campare. Nel Paese i poveri sono circa 7,2 milioni: oltre il 10% della popolazione. Altro che sindrome della quarta settimana: un italiano su dieci non arriva neppure alla seconda.
E i prezzi dei beni aumentano, e fra questi ci sono il grano ed il petrolio. Come dire: le prime necessità. Quelli dell'energia hanno fatto registrare un +2,9%. Il prezzo del greggio, già alto 18 mesi fa, a gennaio 2007 era di 62,1 dollari americani per barile. Pochi giorni fa la valutazione è schizzata a 94,5 dollari. E nessuno dice niente. A tutti sta bene così. Stiamo precipitando nel burrone, e lo vediamo ogni giorno sul cartellino del burro.
Gli scontrini dei generi alimentari sono aumentati del 3,4%. Significa che chi in un mese fa i conti sulle decine di euro, ha sempre meno sulla propria tavola.
L’inflazione cresce del 2,1%. Ovvero se nel 2006 con un'ora di lavoro a 10 euro potevo permettermi, per esempio, un chilo di macinato, oggi me ne posso permettere 9,2 etti. Moltiplichiamo questo esempio ipotetico per il latte, il pane, la benzina e tutti quei casi in cui l'inflazione sale, ed otterremo un costo in più all'anno per famiglia di 400 euro. Non potremo più permetterci una rata del mutuo, o un intervento dal dentista, o i libri per i figli.
Ma siamo tutti così benestanti? A lanciare l'allarme non è un ristretto club di catastrofisti tardo-comunisti. E’ stato il guardiano dei poteri forti, il Corriere della Serta del primo di novembre: giornata dei morti.
Ora: questi consumatori zombie, per sopravvivere, che fanno? Ricorrono alle banche. Si indebitano. Ma prestare il denaro ha un costo. Le banche ci guadagnano. In modo legalmente pulito ma liberticida quando fanno le cose in regola, e la regola è che legano nella loro morsa l'economia e le vite delle persone. In modo meno pulito e sfacciatamente criminale quando tra i bond ci rifilano bidoni nascosti come Cirio, Parmalat tangobond et similia. E in modo oltraggioso quando, come ha fatto Cesare Geronzi, numero due di Banca Intesa, si finisce sotto processo per usura.
E infatti le banche guadagnano a strafottere. Più 50% - 50 per cento! - gli utili dell'ultimo anno rispetto al precedente. Tali plusvalenze sono una ghiottoneria per azionisti e titolari di rendite finanziarie di prima classe, a partire dalle stock options. Il reddito da lavoro dipendente è tassato tra il 30 e il 40%, senza contare le accise e il resto della tassazione diretta come indiretta. Ne deriva che per le basse fasce di reddito, il gravame fiscale complessivo può de facto mangiarsi il 65% del reddito medesimo. Nella finanziaria al vaglio del parlamento il governo non ha in previsione alcun aumento delle rendite finanziarie d'oro (quelle sopra i 100.000 euro). Tale tassazione resta ferma al 12%. Ergo: i benestanti vengono leggermente favoriti; i ricchi vengono favoriti moltissimo; e le fasce meno abbienti vengono, con buona pace di Fausto 'Cachemire' Bertinotti, avviate verso il piano inclinato della nera povertà.
Ormai un pezzo delle fortune di pochi è basato, se non sul ladrocinio tout court, sul presupposto di uno Stato che non fa rispettare le regole o che le scrive pro domo oligarchiae: per i veri poteri che lo controllano (seguite i discorsi del presidente Bankitalia Draghi, di quello della Bce Trichet o di Sua Confindustrialità Luca di Montezemolo: lì si capisce, tra le righe, chi comanda).
I poveri sono sempre più poveri. Molti si vergognano. Quasi nessuno si ribella. Il grosso della informazione, compresa la tv-droga, continua il suo lavoro di rincoglionimento delle coscienze. Si cerca di convincerci che i problemi veri siano l'accampamento dei rom o il calo di fascino dei tronisti della De Filippi: nell’agenda dei media, pari sunt. Quando invece “i colpevoli” della Grande Truffa cominciano piano piano a finire su qualche giornale, su qualche programma televisivo coraggioso e su molti blog (come questo).
Sospiriamo e azzardiamo una previsione. La miseria peserà come pietra. Forse è giunto il momento di cominciare a scagliare queste pietre contro chi fino ad oggi ci ha lapidato (e dilapidato). Se questo non avviene le vittime si trasformeranno prima in complici e poi in carnefici. Urgono idee, a cominciare dalla decrescita e dalla denuncia dello strapotere delle banche (e dei suoi ultimi scagnozzi: i mediatori creditizi, nuovi usurai).

Marco Milioni

 
Parigi non val bene una réclame PDF Stampa E-mail

3 novembre 2007

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Il Comune di Parigi dichiara una guerra senza quartiere ai cartelloni pubblicitari. Punta a eliminarne il 60 per cento. Fautore della campagna anti-pubblictaria, il sindaco socialista e uomo di fede ecologista Bertrand Delanoe.
E in effetti il problema esiste. E non solo a Parigi: i cartelloni sfigurano la bellezza dei centri storici delle città, e le periferie vengono rese ancora più anonime di quanto già siano. E questo è certamente un approccio di "ecologia" estetica che approviamo in pieno.
Ma non vorremmo che si tramutasse nella solita preoccupazione di avere una città che rispecchi le aspettative turistiche, una specie di maquillage finalizzato a incrementare ancora di più gli ingressi e gli introiti. E infatti saranno tutelate di più le zone di maggiore attrazione: Montmartre per esempio, o i ponti sulla Senna.
La cartellonistica danneggia ben più dell'estetica: la pubblicità è dannosa dal punto di vista psicologico, perchè accresce in modo spaventoso gli stimoli, rincretinendoci senza che noi ce ne accorgiamo. Ma soprattutto condiziona la nostra visione del mondo come se la Terra fosse un grande, uniforme e plastificato McMondo: se ogni palazzo, ogni luogo, ogni istante della vita ha la sua pubblicità e ha il suo prodotto, vuol dire che ogni cosa ha un prezzo, e tutto è mercato e denaro.
Non si può allora non condividere la decisione della Capitale francese di andare oltre l'ambito puramente estetico: i cartelloni saranno vietati nei pressi delle scuole, le dimensioni saranno ridotte, le pubblicità scorrevoli vietate di notte.
Ma di qui arriviamo alla contraddizione più grande: perchè allora lo Stato francese ha autorizzato le pubblicità sui teloni che proteggono gli edifici pubblici in fase di restauro? La mega-pubblicità al primo impatto è forse meno brutta dei tanti cartelloni, ma a lungo andare è molto più invadente e pesante.
Viene un dubbio: e se fosse che i tanti cartelloni sono stati eliminati per lasciare il posto a pubblicità ancora più grandi ed invasive?
Che tutto ciò sia il frutto di un piano studiato a tavolino, o che sia semplicemente un approdo automatico e non voluto, in ogni caso dimostra che nessun miglioramento reale è attuabile fintanto che non verrà messa in discussione la vera spada di damocle che pende sulle nostre vite e sulla nostra felicità: il paradigma dello sviluppo economico.

Massimiliano Viviani

PS: a proposito di campagne orchestrate, inganni e mistificazioni. Date un’occhiata all’aureo articolo su Halloween negli Approfondimenti.

 
Due strade, una sola via PDF Stampa E-mail

1 novembre 2007

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Mi chiamo Armando Mangialavori e seguo sempre con grande interesse Massimo Fini e Mz. Complimenti per tutto e in particolare per il giornale Il Ribelle che è sempre interessante. Ho letto l'articolo di Valerio Lo Monaco "Politica? Meglio la battaglia culturale" e m'è proprio piaciuto! Anche secondo me, se l'obiettivo di Mz è provare a realizzare la democrazia diretta sarebbe contraddittorio quanto inutile fare il partitino MZ e utilizzare il sistema democratico rappresentativo. E poi devo dire che concordo con l'autore: vista la situazione disuper-rincoglionimento
della gente; visto il sistema elettorale nazionale fatto per servire le oligarchie dei partiti, è meglio condurre più una battaglia filosofica e culturale per provare a risvegliare le coscienze dei cittadini, anzichè fare di MZ l'ennesimo e minuscolo partito politico. Forse solo a livello di elezioni comunali sarebbe possibile per MZ
partecipare alle elezioni, valutando però attentamente le conseguenze e caso per caso.
Comunque credo sia meglio seguire la via maestra della diffusione del pensiero di Massimo Fini tramite dibattiti, conferenze, internet, stampa, tv etc. Cercare soprattutto sempre più visibilità tramite 'alleanze' con personaggi credibili, più 'mediatici', stimati dalla gente come Marco Travaglio e perchè no collaborare con tutti quei movimenti culturali per certi aspetti affini tipo quello di Beppe Grillo che potrebbero dare una mano a livello di comunicazione e diffusione delle idee di Massimo Fini e Mz.
Che ne pensate?
Armando Mangialavori

Caro Mangialavori,
anzitutto grazie dei complimenti, che giro ai miei solerti collaboratori.
Veniamo al contenuto della Sua lettera. Lei sposa, chiamiamola così per semplicità, la “via culturale”. Conferenze programmatiche (è in preparazione un Fini-tour dedicato alla spiegazione del Manifesto con tappe in tutta Italia), dibattiti, spettacoli teatrali, pubblicazioni (l’anno prossimo si potrà leggere un libro intitolato “Movimento Zero”). Insomma, quella che si chiama divulgazione. Anzi: battaglia culturale.
Una battaglia da combattere, certamente. Perché il pensiero di un movimento come il nostro ha obbiettivi che vanno bel al di là di quelli che può perseguire un qualsiasi gruppo politico: noi miriamo ad abbattere l’intero nostro sistema di vita, non a riformarlo.
Occorre dunque, Lei dice bene, “risvegliare le coscienze”. Ma battendo solo sul tasto culturale, si risveglieranno quelle più sensibili, le più intellettuali. Quelle già avvertite e in crisi. Restando nell’ambito, nobilissimo ma ristretto e autoreferenziale, di chi ha un alto livello di cultura. Cioè pochi, in Italia. Pochi e col marchio dell’inconcludenza pratica, visto che il Potere non si nutre di cultura (purtroppo). Ma di interessi, complicità, interdipendenze mafiose e sulla legge fondamentale della democrazia capitalista: la Politica è serva del Mercato (tradotto: i partiti sono le marionette, industrie e banche sono i pupari).
Ora, coloro che invece, come il sottoscritto, intendono affiancare alla diffusione culturale una via politica (attenzione: le due strade scorrono vicine e si rafforzano a vicenda), vogliono far arrivare il nostro messaggio anche a tutta quella gente, e ce n’è tanta, che prova un oscuro ma sempre più forte istinto a ribellarsi ma non sa perché. E non lo sa perché nessuno glielo dice. Ma per giungere all’attenzione di costoro – la grande maggioranza degli Italiani, che di libri ne leggono pochi, al teatro non ci vanno e le conferenze neppure sanno cosa siano – si è costretti a utilizzare quel palcoscenico che, ci piaccia o no, tutti guardano e seguono: la politica istituzionale. Partecipandovi da guastatori, per smascherarne le balle e le storture (a cominciare proprio dall’intreccio perverso partitocrazia-lobby economiche), come una, piccola ma tagliente, spina nel fianco. E senza abbandonare, anzi usandole come campo d’azione fondamentale, le manifestazioni su strada, le dimostrazioni-choc, le provocazioni intelligenti: una pratica extra-istituzionale che abbiamo cominciato a mettere in atto (dia un’occhiata al sito del Movimento).
Ricorrere alla tribuna dei partiti non significa affatto diventare l’ennesimo “partitino”: dipende da cosa si fa e cosa si dice. Uno ribatte: ma, in ogni caso, si verrà considerati “dei loro”.  Siamo realisti: sul piano nazionale, cioè in parlamento, Movimento Zero avrà suoi rappresentanti soltanto quando una crisi economica scatenerà una tale, sacrosanta rabbia popolare da far diventare non solo plausibili, ma urgenti e necessarie le nostre idee, così radicalmente alternative (e perciò, oggi, guardate con scetticismo dai più). Quando saremo “dei loro” - ma non lo saremo mai, se non nel senso di sommergerli - significa che questa Italia e questo Occidente saranno già sull’orlo del collasso.
Quello che possiamo e dobbiamo fare prima – e la grande parte del Movimento vuole questo – è agire sul piano politico locale, per dare linfa vitale a MZ e avere nuovi militanti (e non solo proseliti). Stiamo parlando soprattutto dei Comuni.
Quanto al Suo ultimo suggerimento, non è il primo che auspica un “fronte comune” con Grillo e Travaglio. Il dibattito fra noi è ancora in corso. Posso solo dirLe che se da una parte una certa quale collaborazione c’è e ci sarà (come dimostra la presenza di Massimo Fini sul palco del V-Day), dall’altra il nostro scopo prioritario è far crescere il Movimento con le sue gambe. (a.m.)

 
E' on line MZ n° 6 PDF Stampa E-mail

31 ottobre 2007

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E’ on line il sesto numero stampabile di MZ – Il giornale del Ribelle. Potete liberamente scaricarlo cliccando in alto a destra, dove vedete scritto MZ Download. Perché una versione cartacea del blog? Per diffonderne i contenuti col vecchio ma imbattibile sistema della distribuzione a mano, faccia a faccia, porta a porta, nelle biblioteche, nelle università, nel luogo di lavoro, col volantinaggio in strada. Fate quante più copie potete (attenzione a stampare in fronte/retro: pagg 1-2 e pagg 3-4), rilegate con una semplice graffettatrice, e distribuite.
In questo numero: confronto in prima pagina sull’opportunità per Movimento Zero di ricorrere alla politica istituzionale e all’agone elettorale; i primi fermenti zeristi in seno ai meetup di Grillo (con una bozza elettorale elaborata a Firenze); la condanna del tentativo liberticida del governo Prodi contro i blog; le trovate razzistoidi di un Premio Nobel; la strategia occulta dietro la “guerra infinita” irakena; elogio di un popolo oppresso, i Curdi.

Abolire l'Ordine degli scribacchini?

Il ddl Levi-Prodi per far iscrivere i blog italiani in una gigantesca lista di auto-proscrizione (il Roc: Registro Operatori Comunicazione) è puro attentato alla libertà. Un regalino agli editori della carta stampata e della televisione, a Raiset, a Berlusconi e al primo fan del Partito Democratico, De Benedetti (Espresso-Repubblica). Dopo l’ondata di rivolta che saliva dal web, c’è stata una parziale marcia indietro (verranno “esclusi dall'obbligo di iscrizione al Roc i soggetti che accedono ad internet o operano su internet in forme o con prodotti come i siti personali o ad uso collettivo che non costituiscono un’organizzazione imprenditoriale del lavoro”). Ma la sostanza è la stessa: sempre di una limitazione si tratta, e per di più dai contorni poco chiari (tanto per dire: il blog di Grillo potrebbe anche ricadere nella lista nera).
A noi è venuto un altro pensierino. Di quelli sconci. Si accetta da 50 anni che quotidiani e periodici debbano registrarsi e avere un direttore responsabile iscritto all’Ordine dei Giornalisti. E ora che si vuole fare lo stesso coi siti di informazione telematica, scandalo!
Aboliamo l’Ordine, allora. E per una ragione molto semplice: la sua esistenza non è giustificata da nulla, ormai. Dovrebbe tutelare la deontologia professionale, e poi vediamo che un Renato Farina, alias agente Betulla, viene reintegrato dopo un ridicolo periodo di quarantena. La tessera di pubblicista viene data a cani e porci. E certi iscritti all’Albo dei “professionisti” te li raccomando: i più servi fanno carriera, i più onesti languono nelle retrovie o in solitarie trincee semi-clandestine.
O una radicale riforma che lo renda un vero Ordine, cioè un’organizzazione scelta e dai criteri prussianamente selettivi, o l’abolizione. Voi che ne pensate? (a.m.)

 
L'Iran, la Russia e la schiavitù atlantica PDF Stampa E-mail

31 ottobre 2007

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Mohammaed El Baradei, direttore dell’agenzia atomica ONU (mica uno qualsiasi): “non ho nessuna informazione concreta sul fatto che esista in Iran un programma nucleare in corso ad oggi”. Altro che la minaccia da Terza Guerra Mondiale paventata e sotto sperata dalla Casa Bianca.
El Baradei ne ha poi anche per Israele, che poco tempo fa ha lanciato un estemporaneo raid aereo sulla Siria. Obiettivo, sembra, presunte postazioni nucleari siriane. “Esiste un sistema: se Paesi hanno informazioni su un programma nucleare di altri paesi devono farcelo sapere. Prima bombardare e poi denunciare, come ha fatto Israele, non è la strada giusta.” Un ragionamento che non fa una piega.
Ma la realtà è che le parole di El Baradei non contano un bel niente. Il duo Usa-Israele ha dimostrato di poter fare tranquillamente a meno dell’ONU. Se vogliono e possono attaccare, lo fanno, punto e basta. E se il pretesto non c’è, lo si fabbrica. Come in Irak con le immaginarie armi di distruzione di massa.
D’altronde limitare il ruolo dell’ONU è stato uno dei capisaldi della politica USA, a partire da Clinton. Da lì sono venute le guerre Nato (Serbia, Afghanistan), le guerre unilaterali (Irak), le guerre in gestazione (Iran), le gratuite e pericolose prove di forza (scudo missilistico in Polonia e Cechia) e via andare.
Questa “brillante” politica ha ottenuto il risultato di far tornare alla ribalta l’antico nemico: la Russia. Vladimir Putin, a differenza di quella macchietta etilica di Eltsin, ha cominciato a ritessere i vecchi fili. C’è lui dietro l’Iran e la sua tecnologia, almeno quanto c’è l’America dietro Israele. Si è riavvicinato alla Cina e profonde energia (le riserve di gas e petrolio di cui la Russia è leader mondiale e con cui ricatta l'Europa) nell’impedire lo scudo americano in Est Europa.
Un nuovo equilibrio è alle porte. Un equilibrio basato su un poderoso riarmo, anche in Europa. Se gli Usa attaccano l’Iran, una seconda guerra fredda diventerà realtà.  E nel mezzo, come al solito, ci finirà la nostra vecchia, inconcludente e rissosa Europa, che dovrà scegliere da che parte stare. Con un “contratto” da firmare, in un caso come nell’altro, gravemente oneroso.
Forse è proprio questo uno degli obiettivi americani: strozzare sul nascere la potenza europea, serrando le fila della schiavitù atlantica e dividendola così dalla Russia.
Gli Europei: i soliti fessi.

Antonio Gentilucci

 
Piazza No Global PDF Stampa E-mail

30 ottobre 2007

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Cultura è mangiare. Cultura è quel prodotto tipico che solo quella terra dà. Cultura è quell’intrico di viuzze e stradine dei nostri magnifici centri cittadini, così gravidi di storia. Cultura è assaporare la bellezza e la conoscenza dei luoghi che abitiamo.
Difendere la propria cultura passa prima di tutto dal preservare il cuore pulsante che anima i borghi e le città di un’Italia ammirata nel mondo per il suo passato: i mercati tradizionali e i negozi locali. A Pistoia il nuovo regolamento comunale in discussione in questi giorni vuole che gli esercizi commerciali di Piazza della Sala (o del Mercato), centro della cittadina toscana, vendano prodotti esclusivamente del posto.
“Con la globalizzazione imperante tutto è a portata di tutti e viviamo una fase di grave appiattimento delle tradizioni. Rassegnarci a questo penso che non sia né saggio né positivo. Vorrei che la Sala diventasse una vera attrazione turistica, un luogo dove poter ricreare lo spirito di Pistoia del 1200”, ha dichiarato l’assessore al commercio Barbara Lucchesi. Ha ragione da vendere.
Non ci importa se magari ci sia lo zampino dei commercianti locali. Se l’interesse per uan volta si incontra con la riscoperta della propria storia, ben venga.
Non ci interessano gli isterismi di chi vede nel tentativo di ri-localizzazione un attacco alle attività di immigrati. Perché in questo caso non si vieta a questi ultimi di aprire una bottega. Per integrarsi, anzi, devono poter essere titolari di bar e negozi. Un vero no-global dovrebbe salvaguardare a spada tratta questi gioielli di tradizione: è il modo migliore per combattere il livellamento da McDonald’s che spazza via le unicità locali per far posto a un mondo tutto tristemente uguale.
Ma qui si intende solo ricreare un’autentica identità locale in un punto rappresentativo di una città antica. Dove esiste un mercato a cielo aperto che ha più di mille anni. Dove è scomparsa la Trattoria dell’Abbondanza, al cui posto è sorto uno spazio tutto plastica e luci fosforescenti.
“Non si può permettere una cosa del genere. La nostra tradizione viene prima di tutto”, ha detto un negoziante storico pistoiese. Già. Una domanda, però: se le tradizioni locali sono più importanti di tutto, perché non si dice anche a distruggerle con sistematica cura è quel demone dell’incasso che pare essere l’unica bussola della categoria dei bottegai? Bottegai, troppo spesso, di nome e di fatto.

Alessio Mannino

 
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