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"Vittoria di merda" PDF Stampa E-mail

11 dicembre 2007

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Abbiamo aspettato più d’una settimana per commentare l’esito del referendum sulla nuova Costituzione venezuelana di domenica 2 dicembre. Lo abbiamo fatto volutamente, per stare a sentire tutte le tendenziose idiozie accumulatesi sui nostri media “democratici” (ad orologeria).
Il presidente Hugo Chavez ha perso di misura: il 49% dei votanti ha votato per la riforma da lui proposta, il 51% l’ha bocciata. L’orchestra dei commentatori occidentali ha suonato all’unisono il peana del responso democratico, della volontà popolare. Infatti: è andata così. Ma fino al giorno prima il Venezuela chavista era uno Stato avviato alla dittatura, con l’ex colonnello dal basco rosso dipinto come un caudillo autoritario e populista. Delle due l’una: o la stampa dei Paesi “democratici” e “liberali” (fra cui l’Italia) mente con questo ritrattino di comodo modellato su misura per demonizzare un Paese sovrano, oppure la consultazione è stata tutta una bufala. E ci parebbe davvero strano che in un “regime” chi è al governo perda, e per di più d’un soffio.
E’ la propaganda spacciata per informazione. Quella per cui il voto trionfale per Putin in Russia deve essere una macchinazione senza valore, mentre quello sudamericano dev’essere la vittoria della democrazia (occidentale, of course). Due pesi e due misure: se il risultato è gradito alle nostre oligarchie politico-economiche, è un buon risultato; se non lo è, va condannato. Propaganda, solo propaganda.
La riforma costituzionale per consolidare la “Revolucìon” della Repubblica Bolivariana di Venezuela prevedeva i seguenti punti: l’eliminazione del limite di due mandati per la rieleggibilità del presidente, con l’estensione della carica da sei a sette anni; la creazione di consigli regionali decentrati; abbassamento dell’età del voto da 18 a 16 anni; il passaggio del controllo della politica monetaria dalla Banca Centrale al presidente, cioè allo Stato; il conferimento all’esecutivo del potere di espropriare la proprietà privata per assicurare il fabbisogno alimentare della popolazione e il divieto di grandi assembramenti proprietari in campo agricolo; riduzione dell’orario della giornata lavorativa da otto a sei ore; introduzione dell’assistenza sociale ai lavoratori che regolarizzeranno la loro posizione (il lavoro in nero è una realtà che riguarda la metà della popolazione attiva nel Paese); istituzionalizzazione di programmi di assistenza sociali con fondi provenienti dalla vendita del greggio. Tutto nel nome del “socialismo bolivariano” delle camicie rosse chaviste.
Un programma nettamente antiliberista e in controtendenza rispetto al modello globale di democrazia in mano alle lobby imprenditoriali e alla finanza internazionale, come si vede. Di qui l’ostilità dell’Occidente. Un programma che, almeno riguardo alla riconquista della sovranità sulla moneta, all’orario di lavoro ridotto e all’apertura alle autonomie regionali (non sulla rieleggibilità, ma è affare dei venezuelani, non nostro!), ci sentiamo di appoggiare in pieno.
Il guaio di Chavez è che osa sfidare gli Usa, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. La sua arroganza sta nell’aver promosso un Banco do Sur, un istituto internazionale di credito a cui ha aderito quasi tutti gli Stati dell’America del Sud, allo scopo di dare impulso a un’economia continentale sempre più indipendente dal sistema finanziario occidentale. Il suo peccato è stato quello di aver distribuito 24 milioni di libretti in cui si spiega la Costituzione, mentre qui da noi in Italia non la conoscono neppure i politici. Il suo marchio d’infamia è di voler rivoluzionare il proprio Paese dopo essere stato rieletto per due volte con un grande consenso popolare, con giornali e tv che lo criticano liberamente. La sua colpa è quella di intestardirsi a dare al Venezuela un’identità libera dal dogma della globalizzazione e della modernità unica e totalitaria.
Perciò ha ragione Hugo: quella dei suoi avversari – quegli stessi che gli rinfacciano il fallito golpe del 1992 per poi tentarlo loro dieci anni dopo, e che vorrebbero il ritorno a un Venezuela dove il petrolio è in mano a compagnie private complici degli Usa, dove la sanità pubblica è un miraggio e dove le minoranze etniche sono prive di ogni diritto – è stata una “vittoria di merda”. Mentre il Venezuela di Chavez è tutto in queste sue parole: “Il paese era al collasso. Ho evitato un bagno di sangue, mi sono arreso, ho fatto un anno di carcere, sono stato espulso dall’esercito. Ma ho dato una scossa e il paese ha risposto nelle elezioni del 1998. Non ha pagato invece chi ha fatto il golpe nel 2002. L’ex presidente della Confindustria assieme alla Centrale dei sindacati, che tutto era tranne un sindacato dei lavoratori. La nostra Repubblica bolivariana è uscita dalle urne. Una maggioranza schiacciante. E’ l’oligarchia che non accetta questa realtà democratica. La rivoluzione socialista e bolivariana dà fastidio a molti. E’ l’alternativa al neoliberalismo che ha dominato gli ultimi vent’anni. E’ la dimostrazione che esiste un’alternativa, più umana, meno crudele”.

Alessio Mannino

 
Crisi dei mutui, il vizio d'origine PDF Stampa E-mail

11 dicembre 2007

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Con il signoraggio, ovvero il guadagno illegittimo della Banca Centrale Europea (BCE) sulla emissione di banconote, lo Stato può arrivare a trattenere fino al 70% dei guadagni di un cittadino. Ovvero, poniamo, 3000 euro lordi, che diventano 1500 per effetto delle trattenute in busta. E 1500 ai quali vanno sottratti l'IVA sugli acquisti di beni e servizi, l'ICI sugli immobili, il Canone RAI, la TARSU per i rifiuti, l'IRPEF regionale, ecc. Ovvero altri 400/600 euro di imposte che abbattono ulteriormente la disponibilità dell'italiano medio. Ora, queste tasse non servono a sostenere lo Stato sociale o a realizzare opere pubbliche, ma a pagare gli interessi sul debito pubblico e gli oneri da emissione monetaria alla BCE. Francoforte strozza lo Stato italiano che a sua volta strozza i cittadini.
Ma la voracità dei banchieri, come è noto, è insaziabile. Ecco quindi che, con periodica ma regolare ricorrenza, attraverso l'aumento del costo del danaro, la BCE alimenta l'aumento del costo delle rate dei mutui che gli italiani hanno stipulato per l'acquisto della prima casa (e non solo). Così avviene che dei 3000 Euro originari (diventati 1500 per le tasse e poi 700 dopo aver fatto la spesa e vestito i figli e pagato le altre tasse), i 700 che restano non bastano più a pagare la rata del mutuo di 580 euro. Perchè la rata nel frattempo è diventata di 710 o 725 o 750 euro, a seconda delle banche e dei tassi praticati. Le banche hanno “spinto” negli anni passati i mutui a tasso variabile, ed oggi incassano più soldi grazie all'aumento del costo del danaro.
Ma da cosa è determinato questo aumento? Chi lo decide? Ma ovviamente loro, i bancusurai della BCE - che, repetita iuvant, è una società privata di proprietà delle banche centrali, tra cui Bankitalia, anch'essa società privata di proprietà principale delle principali banche (Unicredit, Intesa, Monte Paschi, ecc). E lo decidono in corso d'opera, con motivazioni vaghe ed imprecisate, basate su cose vere, cose presunte, e con la motivazione finale di aumentare il proprio profitto. L'inflazione, lo sforamento dei parametri UE, e tapio tapioca e scarpa allaccia, allaccia scarpa, come diceva il Mascetti in Amici Miei, sono la litania che propinano attraverso i media per motivare le loro scelte.
Questa supercazzola finanziaria che la servitù giornalistica, politica ed universitaria ripete pappagallescamente, serve a nascondere l'origine delle tasse e delle oppressioni fiscali che determinano la disperazione sociale di cui l'odierna crisi dei mutui è l'ultimo esempio. Il TUS, il tasso unico di sconto, il costo del danaro, il benessere o l'affanno dei cittadini europei, sono decisi unilateralmente dai bancusurai della BCE e delle banche centrali. E non certo nell'interesse dei popoli, ma in quello del proprio illimitato e devastante profitto. Altro che primato della politica.
Così gli italiani si indebitano ancora (+22% nell'ultimo anno e + 65% negli ultimi dieci) a causa di tasse che in teoria servono a sanare una situazione debitoria statale, il debito pubblico, che non si azzererà mai, e che serve soltanto per aumentare il controllo dei bancusurai sulla politica, sull'economia, sulle nostre vite. La demonetizzazione sistematica della società, attraverso l'aumento della tassazione ed il successivo aumento dei debiti di imprese e cittadini, è una operazione programmata a tavolino dalle banche centrali. Oscar Giannino, direttore di “Libero Mercato”, sabato 8 dicembre ha dichiarato in televisione che in Italia contano più i presidenti di Intesa e Unicredit di tutto  il parlamento. Giannino ha definito “burattini” i politici italiani. Bravo e coraggioso (anche se poi lui difende, appunto, il "libero mercato", puntello della schiavitù bancaria). La strada giusta è questa: spiegare agli italiani l'inganno democratico, con banchieri burattinai e politici burattini. E dopo aver compreso, vogliamo sperarlo, gli italiani insorgeranno.  

Marco Francesco De Marco

 
L'inferno delle Cayman PDF Stampa E-mail

10 dicembre 2007

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Nel 2005 gli hedge fund hanno generato il 50% dei movimenti azionari alla borsa di New York e di Londra. Miliardi e miliardi di dollari.
Questa percentuale, mai smentita da alcuna autorità politica, bancaria o monetaria, è stata rivelata da quei bricconi canadesi del Global Research (www.globalresearch.ca). Un gruppo di studio sulla globalizzazione affollato di ricercatori universitari, giornalisti, analisti, sociologi ed esperti di geopolitica. Un think tank indipendente che dal 2001 dà filo da torcere, sulla base di dati e analisi rigorose, ai supporter del pensiero unico.
Ma andiamo per ordine. Anzitutto che cosa è un hedge fund (o fondo speculativo)? Si tratta di una compagnia con un numero limitato di soci, solitamente massimo un centinaio, autorizzata ad effettuare in borsa (ma non solo) compravendite ad alto rischio. Alto rischio, alta resa (quando le cose vanno bene). Tante perdite, se le cose vanno male. La questione però si complica dannatamente se si considera che i fondi speculativi possono acquistare altri fondi, banche, società, terreni, beni mobili e immobili, debito di terzi: insomma praticamente tutto.
Teoricamente le legislazioni dei singoli paesi pongono una serie di restrizioni abbastanza precise alle attività di questi soggetti economici, ma c'è un ma. Dal 1993 alle Isole Cayman, ex protettorato britannico, grazie ad una scelta del legislatore d'oltremanica si è creato, in quella che fu «una trappola caraibica per turisti», un vero e proprio paradiso fiscale. Un paradiso in cui per aprire un hedge fund bastano cinque-sei giorni e un capitale iniziale di una milionata di dollari. Poi arriva il turno delle banche.
Spesso tra i soci dei fondi speculativi ci sono uomini vicinissimi ai maggiori banchieri mondiali. L'anonimato delle strutture azionarie, unitamente alle relative difficoltà delle azioni legali, definisce l'habitat ideale di questi corsari della finanza. I signori degli hedge possono così garantirsi mega prestiti dalle banche per poi speculare in borsa, sulle valute, sul prezzo delle materie prime. Masse di danaro così consistenti possono condizionare la vita delle società quotate nelle borse mondiali, dove si sa, le azioni possono essere cedute o ricomprotate con un clic.
Snoccioliamo qualche dato che arriva da Global Research: «Gli hedge fund delle Isole Cayman rappresentano i quattro quinti del totale mondiale degli speculativi. Globalmente, gli hedge fund contengono 1.440 miliardi di dollari di risorse in gestione, ma attraverso un tasso di indebitamento che va da 5 a 20 ovunque, comandano fino a 30.000 miliardi di dollari in fondi impiegabili... l'oligarchia dei fondi speculativi (finanzieri inglesi, americani ed olandesi in primis) ha costruito una intera sovrastruttura finanziaria sulle Isole Cayman. Escludendo gli enormi patrimoni di beni da hedge fund, il sistema bancario delle Isole possiede risorse per 1.500 miliardi di dollari... Le deregolamentate e off-shore Isole Cayman possiedono il quarto sistema bancario al mondo per grandezza dopo quelli di Stati Uniti, Giappone e Gran Bretagna. Paragoniamo: gli Stati Uniti contano 300 milioni di persone, le Isole Cayman circa 57.000...». E gli Usa le loro banche le usano principalmente come supporto all'economia domestica. Alle Cayman tutta quella massa di denaro mira alla sola speculazione finanziaria. In questo senso Global Research parla chiaro: «Raggruppati tutti assieme, gli hedge fund, con i soldi presi in prestito dalle banche commerciali e di investimento più grandi del mondo, hanno gonfiato la bolla mondiale dei derivati (i debiti impacchettati e rivenduti come prodotti finanziari ad ignari clienti, ndr) ben oltre i 600.000 miliardi di dollari in valore nominale... hanno messo il mondo sulla strada della disintegrazione finanziaria più grande nella storia moderna».
Perché il centro studi canadese usa queste parole? Semplice, perché quando i signori degli hedge fanno troppi profitti (mettendo in crisi magari intere banche o società) o, peggio, quando sbagliano gli investimenti, a rimetterci sono, in ultima analisi, i correntisti formica che sgobbano tutto l'anno per mettere qualcosa da parte da far investire alle banche, che con una mano ti prendono promettendo di rendere e con l'altra fanno marameo al piccolo investitore quando gli investimenti proposti (spesso occultati nella loro essenza) si rivelano delle colossali patacche. Ma c'è di più. Quando i fondi speculativi - ormai la quintessenza della globalizzazione - fanno scommesse che poi non riescono a pagare, finiscono per mettere in braghe di tela quelle banche che li hanno supportati. Queste ultime sono così chiedono soldi alle banche centrali, in una partita di giro in cui si crea debito su debito. Vedi il caso Northen Rock e mutui subprime.
Usando una metafora, le Cayman sono le isole dei pirati col tesoro immateriale di dollari telematici. Gli hedge fund sono le loro navi. I gestori dei fondi sono i pirati in carne ed ossa, mentre la legislazione inglese del 1993 ha fornito a questi signori le lettere di corsa, ovvero l'autorizzazione a depredare le imbarcazioni dei piccoli risparmiatori nel mare magnum della globalizzazione finanziaria e telematica. Le leggi inglesi impediscono rogatorie, perquisizioni ed altri polverosi controlli legati al peloso concetto di legalità.
Da anni la borsa è una banale e complicatissima catena di Sant'Antonio. Poiché le borse da sole non bastano ad alimentare questa cloaca perversa, ingorda ed impersonale, si sta cominciando a buttare nel gorgo anche il piccolo e grande risparmio. Poi succederà qualcosa di imprevedibile per il capitalismo. Magari Russi e Cinesi lo hanno già capito, e per questo non si fidano più molto degli Americani e dei loro arsenali di "pace preventiva"...

Marco Milioni

 
Spe Salvi: Ratzinger antimoderno? PDF Stampa E-mail

8 dicembre 2007

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Vi devo confessare che, sentendo alla radio e in tv le prime anticipazioni sull’ultima enciclica del Papa, mi era venuta la tentazione di correre ad iscriverlo ad honorem a Movimento Zero. Tutto, in quel che sentivo, pareva andare nella stessa direzione dell’antimodernismo di MZ: il monito sul fallimento dell’algido razionalismo illuminista e del plumbeo materialismo marxista; l’affermazione di come nessuno dei due sia riuscito a dare all’uomo la felicità né abbia mantenuto le sue promesse di rinnovamento, se non addirittura di rivoluzione; il richiamo, soprattutto, alla necessità di un recupero di radici antiche, spirituali e religiose, che sole possono dare un senso all’esistenza. Basta sfogliare un qualsiasi testo di antropologia religiosa, per sapere quanto sia vero, per scoprire un universo immenso di tradizioni e simboli che per millenni hanno sostanziato le attività umane, dalle società "primitive" a quella medievale, un patrimonio pervicacemente disperso prima dall’Illuminismo a colpi di ghigliottina, poi dal marxismo e dal capitalismo, apparentemente agli antipodi, in realtà facce della stessa medaglia, quella del Progresso. Ma le mie speranze sono state velocemente frustrate. Avrei dovuto dar retta a Cacciari: "Ma volete che il Papa non faccia il Papa?". Giusto: infatti, anche questa volta i salmi sono finiti in gloria, e quando i giornali hanno pubblicato le prime anticipazioni concrete ci si è subito potuti render conto di dove voleva andare a parare. Non alla religiosità, al Sacro, ma alla religione, anzi – naturalmente – "la" Religione, l’unica "vera", l’unica possibile: quella cristiana; anzi: quella cattolica. Tanto rumore per nulla, dunque. Quello che pareva dover essere un monito alle coscienze inaridite dell’Europa, si è rivelato non essere altro che l’ennesimo, arrogante ma anche noioso, pamphlet integralista; l’ennesimo arrocco intollerante attorno ad una "Verità" che in quanto rivelata si autogiustifica, e non ammette contraddittori. Insomma: “Extra Ecclesiam nulla salus”, fuori dalla Chiesa non v’è salvezza, come scrisse San Cipriano circa milleottocento anni fa. Non una gran novità, appunto. E vien dunque da concludere che di questo deludente testo non si sentisse affatto il bisogno.
Giuliano Corà

La seconda enciclica di Benedetto XVI, tolto il latino sacrale di un documento pontificio, è un chiaro atto di accusa ai fondamenti della Modernità.
L’Illuminismo ha inneggiato alla Razionalità come artefice di un mondo perfetto qui in terra. Col Positivismo, e per tutto il Ventesimo Secolo, con la realtà della Tecnica, si è giunti all’idea che la scienza (razionalità che produce scoperte e tecnica) fosse la nuova speranza per il mondo; il Progresso (bel progresso: da Bacone a Odifreddi, da Galileo a Severino Antinori...) ne sarebbe la prova provata: siamo allo Scientismo. Tutta la modernità ripiega sul materialismo. Ratzinger ne constata il fallimento: esso non è riuscito a rispondere ai bisogni dell’uomo,  cui ha fatto perdere la bussola.
Ma Benedetto XVI - e questa è musica per chi, come chi scrive, auspica un rinnovamento della Chiesa - ne ha anche per i destinatari propri dell’enciclica. Per i fedeli adagiatisi in un comodo cristianesimo borghese:  “...se, in definitiva, il mio benessere, la mia incolumità è più importante della verità e della giustizia, allora vige il dominio del più forte”. E per gli ecclesiastici stessi, in maniera più velata: la Chiesa non ha avuto il coraggio, nell’ultimo secolo, di controbattere la fede illuminista e scientista, e l’ha piuttosto subita, riducendo il cristianesimo ad un’etica umanista dei buoni sentimenti. Il risultato, aggiungo io, è che la Chiesa, sulla difensiva e senza coraggio, abbandonando la disputa, ha scelto poi per le sue inevitabili battaglie la via più facile: imporre diktat.
Ora, siccome non si può chiedere al Papa di non fare il Papa, e visto che l’enciclica è rivolta a “tutti i fedeli laici sulla speranza cristiana”, la soluzione che Ratzinger propone non può che essere un ritorno a Cristo (che è, per il credente, la verità rivelata, come dice giustamente qui sopra Corà). Ma credo che Movimento Zero non debba dispiacersi di una Chiesa che abbandoni il suo complesso d’inferiorità  verso la Modernità, dopo aver cercato pateticamente di inseguirla. Una Chiesa che pretenda da fedeli sempre più pigri che ridimensionino l’importanza del benessere materiale, e che lavori affinché l’uomo si ricordi di essere una creatura “sacra”. Quest’ultimo auspicio è centrale, secondo me, perché ci si rifiuti di continuare ad essere semplici ingranaggi di un sistema senza senso. Ogni religione, nel mondo tecnologico, ha questo compito.
Antonio Gentilucci

 
L'Iran, il lupo e l'agnello PDF Stampa E-mail

7 dicembre 2007

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Quando qualche giorno fa ho letto che il National Intelligence Estimate, cioè il rapporto che riassume i risultati delle ricerche delle sedici agenzie di spionaggio americane, Cia e Nasa in testa, quindi la crema delle creme dell'intelligence di Washington, affermava che l'Iran aveva bloccato il proprio programma di nucleare militare dal 2003, sono scoppiato a ridere.
Ma come? Sono due anni che George W. Bush grida che l'Iran sta preparando la Bomba, che è vicinissimo ad ottenerla, che in ragione di ciò ha imposto all'Onu due risoluzioni che infliggono pesanti sanzioni a Teheran, che quattro portaerei armate di 'atomiche tattiche' incrociano nel Golfo, che Stati Uniti e Israele approntano piani militari per distruggere, sempre con l'aiuto di qualche atomichetta 'tattica', i siti nucleari iraniani e tutto ciò che è loro vicino, e che infine, il presidente Usa allarma l'intero pianeta arrivando a dichiarare, non più di un mese fa, il 17 ottobre, che un Iran atomico "porterebbe dritto e di filato alla Terza Guerra Mondiale", e adesso apprendiamo dagli stessi servizi segreti degli Stati Uniti che questo nucleare iraniano non esiste, non è mai esistito o se è esistito è stato volontariamente interrotto dagli ayatollah cinque anni fa?
Ci si sarebbe aspettati che Bush si scusasse se non con Teheran almeno con la cosiddetta comunità internazionale e che annunciasse che le sue risoluzioni Onu, che gli iraniani hanno sempre considerate arbitrarie e ingiuste, sarebbero state ritirate perchè non hanno, e non hanno mai avuto, alcuna ragione d'essere. E invece no. Bush non è uomo da lasciarsi smuovere per così poco.
Il giorno dopo le sconcertanti, e si sarebbe tentati di dire esilaranti se non si trattasse di questioni così inquietanti e gravide di pericolo, rivelazioni del National Intelligence Estimate, ha dichiarato che "l'Iran era pericoloso, è pericoloso e sarebbe pericoloso se possedesse le conoscenze necessarie per costruire un ordigno atomico". E ha aggiunto: "Se gli iraniani avevano un programma nucleare chi ci dice che non possano riprenderlo?". Elementare Watson. Bush ha poi interpretato la relazione del National Intelligence Estimate così: "Nulla suggerisce che dobbiamo smettere di preoccuparci. Al contrario, sappiamo che l'Iran continua a cercare di arricchire l'uranio, passo importante per un Paese che voglia sviluppare una Bomba". Peccato che lo stesso National Intelligence Estimate abbia confermato che gli iraniani, come hanno sempre dichiarato, stanno arricchendo l'uranio a soli scopi civili e non è colpa loro se questo è un "passo importante" anche per arrivare alla Bomba, perchè allora bisognerebbe impedire anche la riapertura della centrale di Caorso se l'Italia ritenesse di ritornare all'emergenza nucleare.
Bush ha poi prospettato una terza risoluzione Onu che preveda sanzioni ancora più dure nei confronti di Teheran, perchè, secondo lui, sono state proprio queste risoluzioni a fermare gli ayatollah. Ma com'è possibile una cosa del genere se le risoluzioni Onu, con relative sanzioni, sono del luglio e del settembre del 2007, mentre Teheran ha fermato il suo programma nucleare atomico cinque anni prima?
Sembra di rivedere la storia della guerra all'Iraq dove i pretesti per attaccare quel Paese venivano di volta in volta cambiati man mano che venivano smentiti dai fatti o di rileggere la favola esopiana del lupo e dell'agnello, anche se capisco che sia ostico per il lettore vedere Ahmadinejad in questa parte. Il lupo, che beve a monte, dice all'agnello: "Tu stai intorbidando le mie acque". Non è possibile risponde quello, perchè io sono a valle. Il lupo rizza i peli, ci pensa un pò su, e poi dice: "Sei mesi fa mi hai fatto un torto". "Come potevo" replica l'altro "se sei mesi fa non ero ancora nato?". Allora il lupo, schiumante di rabbia, ringhia: "Beh, se non sei stato tu, saranno stati i tuoi genitori". E se lo mangia.

Massimo Fini Il Gazzettino 7 dicembre 2007

 
Viva l'assenteismo! PDF Stampa E-mail

6 dicembre 2007

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«L'assenteismo è l'emblema dell'inefficienza e del cattivo funzionamento della pubblica amministrazione, il fenomeno più evidente e clamoroso. Azzerare del tutto le assenze diverse dalle ferie porterebbe a un risparmio di quasi un punto di Pil, 14,1 miliardi: 8,3 negli enti centrali e 5,9 in quelli locali».
Luca Cordero di Montezemolo, presidente di Confindustria

Noi stiamo con gli assenteisti. Anche quelli del settore privato. Siamo stufi di rovinarci la vita per un punto di Pil in più. (a.m.)

 
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