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Democrazia in America PDF Stampa E-mail

16 ottobre 2007

Gli Stati Uniti d'America sono i campioni della democrazia. Ne hanno talmente tanta, a casa loro, che sentono il bisogno impellente di esportarla un po' ovunque. E, si sa come sono gli Americani: talmente fiduciosi nella propria buona fede, non arrivano neppure a concepire che qualcuno, della loro "democrazia", possa e voglia volentieri farne a meno.
Sono un po' gli Homer Simpson della politica internazionale: eterni bambinoni col sole in fronte, la verità in tasca e gli hot-dog nel cervello. Ecco perchè, secondo noi, per capire l'America bisogna guardare i Simpson. Ne sono un ritratto fedele fino all'ultimo particolare.
Se invece vogliamo sapere come sia rispettata la libertà di parola nella "più grande democrazia del mondo", date un'occhiata al video qui sopra... (E poi ci rintronano le orecchie col ritornello degli Stati-canaglia. Un ragazzo che fa delle semplici domande: anche lui è una canaglia?)
Guardate e inorridite. Buona visione. (a.m.)

 
Al Gore, molte guerre e un Nobel per la Pace PDF Stampa E-mail

15 ottobre 2007

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L'illusione di una svolta

Si parla molto di ecologia e sostenibilità, di decrescita più o meno felice, e si ha quasi l’impressione di una evoluzione in progress, positiva, del contenimento di sostanze inquinanti e gas serra nella nostra atmosfera. Addirittura arriva il Nobel per la Pace ad Al Gore, che si è impegnato sul fronte ambientale, e l’illusione di una svolta epocale si affaccia nella testa di molti.
Peccato che sul terreno delle scelte concrete, quelle imbeccate dagli industriali ai loro lacchè politici, abbiamo il signor Attali, ex socialista, ora al servizio del reazionario Sarkozy che per la Francia prevede: Più mercato meno ambiente, chiedendo di cancellare la “salvaguardia ecologica”, voluta da Chirac nella Costituzione, considerata oggi un freno allo sviluppo.
Questi estremisti della crescita ad ogni costo, ottusi e irresponsabili verso l’ambiente, inadempienti verso il trattato di Kyoto, che impunemente ignorano le conclusioni degli scienziati dell’IPCC (organismo internazionale dell’ONU dove per sei anni hanno lavorato 2000 scienziati sui cambiamenti climatici) anch’esso premiato con il Nobel, addirittura decidono di peggiorare la insostenibile situazione attuale togliendo le poche norme di salvaguardia contro le emissioni nocive.
La Casa Bianca, dopo la notizia del Nobel a Gore, sente l’esigenza di precisare che non deciderà alcun cambiamento di rotta nella politica ambientale.E stiamo parlando della nazione più antiecologica della storia, quella che con il 5% della popolazione mondiale divora il 40% di tutte le risorse prodotte al mondo (e inquina in proporzione).
La mostruosità della “demokrazia” contemporanea è che essa porta al potere i killer del nostro ormai fragile ecosistema, arroganti e ignoranti, che si fanno beffe delle conclusioni degli scienziati, e sono alleati di ferro della più feroce di tutte le leggi, quella del profitto che plasma società civile dove vediamo la lotta di tutti contro tutti per ritagliarsi solo una fetta di consumi in più, senza più progetti né futuro.
Nuoce gravemente alla situazione attuale anche il fatto che paesi come la Russia e la Cina si siano fulmineamente inseriti nella folle globalizzazione di merci e consumi con la stessa logica e la stessa cultura dei vecchi “imperialisti”, ma con maggiore disprezzo per i diritti dei lavoratori e meno scrupoli per la salvaguardia dell’ambiente.
Il “pensiero unico” del profitto, dei consumi, dell’eterno sviluppo, di negare l’evidenza dei cambiamenti climatici, è diventato globale e non si vede una via d’uscita. Se non identifichiamo nel liberismo e nel profitto i nemici giurati dell’ambiente e dell’umanità, mai potremo elaborare un progetto di società in cui la produzione di beni e di alimenti sia proporzionale alle risorse della terra, sia da questa sostenibile e non pericolosamente in rosso, visto che l’impronta ecologica della umanità è già del 30% fuori dalla capacità della terra di rigenerare la vitaPaolo De Gregorio


Un pacifista guerrafondaio

Con grande sorpresa il Nobel per la Pace di quest’anno viene conferito ad Al Gore. Il premio gli viene assegnato per la sua grande campagna di sensibilizzazione sul tema del global warming, il surriscaldamento del pianeta dovuto all'eccessivo inquinamento ambientale.
Su questo fronte Gore è attivo da diversi anni. Che si stia adoperando massicciamente su questo tema nessuno lo mette in dubbio, ma il conferimento del premio sa di una truffa vera e propria.
Senza andare tanto indietro nel passato di quest'uomo, basterà ricordare che Al Gore fu nominato vicepresidente degli Stati Uniti, nel 1992 e nel 1996, da Bill Clinton, e in quegli anni gli States si lanciarono nella Prima Guerra nel Golfo ai danni dell’Iraq, bombardarono Sudan e Afghanistan e e fecero guerra alla Serbia (con l'ombrello Nato) nell’operazione in Kosovo.
Golfo e Kosovo: entrambe le vicende belliche furono segnate da massicci bombardamenti, la morte di numerosi civili innocenti e l’ignobile utilizzo di armi arricchite con uranio impoverito.
La nuova veste di campione dell’ambientalismo sembra aver lavato completamente il passato di questo maestro d’armi: il Nobel suona come una catarsi politica di passate vergogne.
Come se bastasse produrre qualche video ben fatto (An inconvenient Truth), un libretto ambientalista (Earth in the Bilance) e qualche dichiarazione a favore del protocollo di Kyoto, per meritarsi tale onorificenza, che in passato fu data a personaggi del calibro di Martin Luther King, il Dalai Lama Tenzin Gyats e Nelson Mandela. Al Gore è passato da guerra a guerra, per finire col Nobel alla Pace. Antonello Molella


Lo sviluppo insostenibile e le bombe "umanitarie"

Che l’assegnazione dei premi Nobel sia dettata da motivazioni politiche è un dato di fatto. L'ultima conferma viene dalla sua assegnazione ad Al Gore.
Mr. Gore è l’autore del film “An Incoveneint Truth” (vincitore di un premio Oscar), promotore dello spettacolo da carrozzone “Live Earth” e autore del libro “Earth in Balance” (1992).
Al Gore è un sostenitore dello sviluppo sostenibile. Peccato che lo sviluppo sostenibile sia un controsenso. Vuol dire: continuiamo a consumare, magari anche di più; facciamolo, però, con fonti di energia alternative, con il riciclaggio e così via. Come se il problema non fosse il modello (sacro ed inviolabile) della crescita autodivorante e insensata in sè.
Leggiamoci il teorico della decrescita Serge Latouche: “Per tentare di scongiurare magicamente gli effetti negativi dell’impresa sviluppista, siamo entrati nell’era degli sviluppi con l’aggettivo […] Affiancando un aggettivo al concetto di sviluppo, non si rimette veramente in discussione l’accumulazione capitalista […] Questo lavoro di ridefinizione dello sviluppo […] si regge sempre su idee di cultura, natura, giustizia sociale. Si ritiene di poter guarire un Male che colpirebbe lo sviluppo in modo accidentale e non congenito […] Lo sviluppo sostenibile è il più bel risultato di questa arte di ringiovanimento dei vecchi tempi. Illustra perfettamente il processo di eufemizzazione attraverso gli aggettivi volti a cambiare le parole ma non le cose.” Insomma: un Nobel ad un cartocetto di aria fritta. Un rimanere col culo seduto su cuscinetti di velluto, ma con la coscienza a posto.
Per quanto riguarda il suo impegno pacifista, è interessare conoscere il suo curriculum di "paciere". Al Gore si laurea nel 1969 ad Harvard per poi partire per il Vietnam, dove svolgerà la professione di giornalista, scrivendo articoli di stampo antibellicista. Nel 1976, però, si dà alla politica. E si dimentica seduta stante le sue posizioni pacifiste.
Nel 1992 Bill Clinton lo sceglie come vicepresidente, e poi lo conferma al secondo mandato. L’amministrazione Clinton bombarda l’Iraq, già duramente provato dalle sanzioni dell’Onu; rimane in Somalia fino al 1993 per l’operazione Restor Hope, e nel 1998 sgiancia bombe su Afghanistan e Sudan colpendo presunte basi terroristiche (come reazione agli attentati che colpirono le ambasciate Usa in Tanzania e Kenya).
Arriviamo, infine, all’intervento militare in Kosovo (non riconosciuto dall’Onu e avvenuto, guarda caso, dopo “l’incidente” di Monica Lewinsky) per fermare l’ennesimo “nuovo Hitler”, Slodoban Milosevic. Come per la guerra in Iraq, l’efficientissima macchina di propaganda americana fabbricò prove false. Per cinque mesi gli osservatori dell’Onu setacciarono in lungo e in largo il Kosovo in cerca delle fosse comuni: non ne trovarono neppure una. Di cadaveri se ne trovarono solo dopo l’intervento della Nato. Così come le violenze, gli stupri etnici eccetera esplosero a conflitto “terminato” e sotto lo sguardo delle truppe di occupazione, pardon, di pacificazione.
In Kosovo vennero utilizzate munizioni con uranio impoverito che, notoriamente, hanno effetti benefici sull’ambiente e sull’organismo umano. Ambiente devastato, bambini nati con deformazioni genetiche, leucemie, tumori: insomma, un bel quadretto. Ma chi se ne frega, giustamente, di quei quattro straccioni. La saggezza popolare ci viene ancora una volta in soccorso: occhio non vede, cuore non duole. Ad ogni modo il fine giustifica i mezzi, e gli affari sono affari. Francesco Viaro

 
Moneta buona scaccia la cattiva PDF Stampa E-mail

13 ottobre 2007

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La vera Italia è fatta da gente come Pierluigi Paoletti. E’ uno degli animatori del sito Centrofondi e del brulicante mondo di quei meravigliosi sognatori che vorrebbero riportare uno dei pilastri della vita civile, la moneta, sotto la sovranità dei cittadini. Togliendola a quell’organizzazione di stampo mafioso che sono le banche. Lui e quelli come lui sono il futuro.
Il passato sono i soliti noti. Il passato è l’intervista in ginocchio di ieri che il sempre libero e obbiettivo Corriere della Sera ha offerto a San Walter Veltroni, protettore della nutella partitocratica. A proposito: domani ci sono le primarie del Partito (Anti) Democratico. Condoglianze.
PS. Oggi c’è anche la manifestazione su sicurezza, tasse, legalità, bacco, tabacco e venere di Alleanza Nazionale. Un modo per “mobilitare il nostro mondo in un momento di crisi della politica”, ha detto l’ex ministro Gasparri, quello della legge scritta da Mediaset. Povera destra: rincorre le piazze col fiato corto di una storia appassita, spenta e corrotta. Doppie condoglianze. (a.m.)

I Buoni Locali di Solidarietà
Tutti ci stiamo accorgendo come la nostra economia, al di là dei proclami dei mass media, si stia velocemente sgretolando. Il potere di acquisto delle famiglie viene eroso continuamente. Le  imprese non possono esportare a causa dell’eccessiva forza dell’euro e non riescono più a competere con aziende che delocalizzano in Oriente utilizzando forza lavoro a costo pari ad un decimo del nostro, con il risultato di un aumento della disoccupazione e la precarizzazione del lavoro. I costi del debito pubblico sono diventati talmente alti che assorbono parti sempre più sostanziose del nostro reddito e richiedono sempre maggiori tasse.
A questo punto si impone una scelta: o seguiamo come i topi del pifferaio magico chi ci ha portato a questo punto e ci condurrà al disastro economico e sociale, oppure ci tiriamo su le maniche e facciamo da soli, come del resto tante altre volte è accaduto nel nostro passato.
La risposta è quella di far rinascere le economie locali attraverso l’utilizzo dei Buoni Locali di Solidarietà.
Il Buono Locale non è altro che uno strumento che ci permette di evitare che la ricchezza sia portata lontano dal luogo che l’ha prodotta, come avviene invece quando andiamo a fare la spesa alla grande distribuzione (magari di una multinazionale estera che succhia la ricchezza che noi tutti produciamo e la investe in paesi lontani), con la conseguenza che le nostre comunità impoveriscono sempre di più. La stessa cosa avviene anche con le banche che prestando denaro con interessi, richiedono sempre più di quanto hanno dato, e per questo anche loro contribuiscono pesantemente al degrado economico delle nostre realtà.
Con il Buono Locale di Solidarietà si crea un patto fra consumatori, imprenditori, commercianti e agricoltori, e circolando solo all’interno di un territorio circoscritto fa sì che la ricchezza rimanga e venga reinvestita là dove è stata prodotta. Ha un rapporto di parità con l’euro, non è convertibile e viene speso in una piccola percentuale insieme alla moneta ufficiale. In pratica i consumatori, utilizzando il buono, vedono aumentato il loro potere di acquisto. E quindi privilegeranno le produzioni locali e la piccola distribuzione, e i commercianti potranno a loro volta riutilizzare i buoni ricevuti nel circuito e con i loro fornitori.
Per rendere ancora più convenienti i prodotti locali, si sta lavorando anche alla riduzione delle filiere produttive, che con i molteplici passaggi fanno costare ad esempio gli ortaggi e la frutta da 10 a 20 volte il prezzo pagato al produttore. Agricoltura e artigianato ovviamente sono le nostre priorità, ma non facciamo settarismi e aiutiamo comunque anche tutti i prodotti venduti dalla piccola distribuzione, organizzando i piccoli esercizi in gruppi di acquisto per avere sui produttori maggiore potere e spuntare prezzi migliori.
I Buoni Locali di Solidarietà verranno distribuiti gratuitamente dall’associazione che gestisce il progetto e si potranno ottenere attraverso comportamenti virtuosi: dalla raccolta differenziata, all’assistenza agli anziani o ai bambini a molte altre cose che normalmente vengono dimenticate per mancanza di risorse. Gli sviluppi sia in campo commerciale che sociale hanno potenzialità infinite e permetteranno di aumentare sensibilmente la qualità della vita economica e di relazione delle persone.
Ci sono già degli esempi di Buoni Locali di Solidarietà come Economa, che dal 2005 lavora ad Acilia, o lo SCEC (acronimo di SConto chE Cammina) e i risultati sono molto incoraggianti. Tanto è vero che ad oggi circa 21 città stanno lavorando a progetti simili, con l’intento di smerciare le eccedenze produttive fra le realtà che adotteranno lo stesso meccanismo, ognuno pagando in percentuale con i Buoni Locali della propria città.
Risanando le economie locali, si risana tutta l’economia nazionale.

Pierluigi Paoletti www.centrofondi.it

 
Uranio impoverito, nuova Hiroshima PDF Stampa E-mail

12 ottobre 2007

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Dopo reiterate pressioni il ministro della Difesa Arturo Parisi è stato costretto a riferire in Senato sul numero dei nostri soldati che si sono ammalati di cancro e di quelli che ne sono morti per aver inalato le polveri dei proiettili all'«uranio impoverito» nei teatri di guerra dove sono, o sono stati, impegnati. Secondo la relazione di Parisi nel periodo 1996-2006 (che comprende l'intervento in Bosnia, l'aggressione alla Serbia, l'invasione e l'occupazione dell'Afghanistan, l'attacco all'Iraq) i nostri militari che si sono ammalati di cancro a causa dell'«uranio impoverito» sarebbero 255, i morti 37. Ma sono cifre scandalosamente taroccate, smentite proprio dall'interno dello stesso ministero della Difesa, e cioè dalla Direzione generale della Sanità militare che ha consegnato alla Commissione parlamentare d'inchiesta un dossier di 600 pagine da cui risulta che i militari che si sono ammalati di cancro in seguito al contatto con l'«uranio impoverito» sono 2600, quelli morti 173. Ma anche queste sono cifre in difetto.
Perchè non si tiene conto dei nostri militari impegnati in Afghanistan (si parla infatti di «sindrome dei Balcani e del Golfo») e perchè il cancro si palesa a medio e a lungo termine. Lo stesso Parisi è stato costretto a balbettare che "su tutta la materia regna un quadro di evidente incertezza".
Negli Stati Uniti, che hanno molti più uomini sul campo, il dramma dei militari contaminati ha assunto dimensioni ancora più impressionanti. Ma sono proprio gli americani ad usare gli ordigni all'«uranio impoverito». Perchè perforano meglio i mezzi corazzati. Ora, in Serbia l'uso di questi materiali è stato del tutto inutile perchè Milosevic aveva tenuto al riparo sia i suoi carri armati che l'esercito (e infatti i 5500 morti sotto i bombardamenti della Nato sono tutti civili, fra cui anche 500 kosovari, quelli che volevamo salvare). In Iraq sono bastati pochi giorni per disarticolare il ridicolo esercito iracheno (battuto in passato dai curdi, armati solo di fucili e di mitra, in quell'occasione Saddam fu salvato dalla Turchia). Ma il peggio è avvenuto in Afghanistan sul cui territorio, per prendere un uomo, Bin Laden, che non abbiamo preso, sono state rovesciate migliaia di tonnellate di bombe (che è come voler uccidere un moscerino sparandogli contro una palla di cannone).
E dopo, quando i talebani, riorganizzatisi, hanno ripreso la guerriglia, l'uso dei proiettili all'«uranio impoverito» è stato aberrante perchè i muhaeddin non hanno mezzi corazzati, ma utilizzano pick-up che qualsiasi normale proiettile può perforare.
Ma se l'uso delll'uranio impoverito è stato così devastante per i militari italiani, e in genere per gli eserciti occidentali, quali sono state le conseguenze sulla popolazione civile dei Paesi dove queste armi sono state utilizzate? Il militare è avvertito del pericolo, ha delle istruzioni, prende delle precauzioni. La popolazione civile no. Inoltre il militare sta sul terreno contaminato qualche mese poi torna a casa, la popolazione ci resta. Penso soprattutto ai bambini che sono i più esposti. Sia perchè più vicini al terreno, per ragioni di statura, sia perchè, come tutti i bambini (come facevamo noi nel dopoguerra) giocano con i residuati bellici, li toccano, se li portano a casa.
Secondo logica quindi gli ammalati e i morti di cancro fra i civili di Bosnia, di Serbia, dell'Iraq e dell'Afghanistan dovrebbero essere cento volte di più rispetto alle cifre riscontrate per i militari italiani e occidentali. Anche per una questione proporzionale. I militari sono comunque poche decine di migliaia, la popolazione civile si conta a milioni. Ma nessuna organizzazione sanitaria dell'Onu e nessuna compassionevole Ong si è ancora presa la briga di fare questo «screening» i cui risultati potrebbero oscurare i dati di Hiroshima e Nagasaki.

Massimo Fini (Il Gazzettino, 12 ottobre 2007)

 
Scienza per l'uomo, non il contrario PDF Stampa E-mail

11 ottobre 2007

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Il teorico del genoma fai da te Craig Venter sarebbe riuscito a creare un cromosoma artificiale. In pratica sarebbe possibile costruire cellule su misura.
Potremmo così creare organismi per produrre energia, batteri che puliscano l’aria, DNA progettato ad arte per combattere malattie…
Questa notizia fa il paio con quella che ha visto assegnare il premio Nobel per la medicina a Capecchi, Evans e Smithies per le loro ricerche sulle cellule staminali embrionali. E non v’è dubbio che l’ingegneria genetica è oggi il settore “caldo” della scienza (come la fisica negli anni ’40 e ’50).
“Noi scienziati lavoriamo per capire la natura e i suoi segreti”, ci dice il genetista Edoardo Boncinelli. Beh, creare un batterio che può andare in giro per l’etere a mangiare anidride carbonica o in un organismo per combattere una malattia, non è più un visionare la natura. Significa immettersi, e pesantemente, nei suoi processi.
E’ necessario porsi delle domande. Si conoscono tutte le variabili? Con quanta facilità un batterio si modifica e si fortifica, vanificando tutta la chimica o la biologia che l’uomo gli ha lanciato contro per ucciderlo? Come si può essere apoditticamente certi - come fa Veronesi, il capocricca degli scientisti italiani - che gli Ogm miglioreranno l’umanità?
No, questo ottimismo da laboratorio non ci convince.
Sentiamo sempre dire che “la scienza deve essere libera”. Libera dal potere politico e militare: magari. Non è mai stato né è così: le più grandi scoperte sono state fatte su commissione dei generali e su imput dei politici. Oggi fanno sfregare le mani alle case farmaceutiche. Altro che ricerca libera: come per ogni cosa, servono finanziamenti, soldi. E questi arrivano solo in nome del profitto.
La verità è che il ricercatore vuole essere libero da sé stesso, libero di essere solo un tecnico della scienza. Vuole essere, in sostanza, deresponsabilizzato. Vuole alterare il meccanismo naturale della vita, scompaginare quell’evoluzione naturale senza essere sottoposto ad un limite.
Ma è proprio questo che una società umana non può accettare. L’uomo di scienza, proprio per l’enorme potenziale che è nelle sue mani, deve avere molto di più di una semplice deontologia professionale. Deve avere una visione naturale, storica e antropologica del suo agire. Deve avere un’etica. Ma se non ce l’ha, è dovere di una politica democratica porre dei limiti. Se questa non lo fa, finisce che il cittadino assegni questo compito ad una morale particolare o ad una religione di minoranza. E così la libertà si capovolge nel suo esatto contrario.
Friedrich Dürrenmatt, nell’opera “I fisici”, delinea  il personaggio del fisico Möbius, un genio di livello mondiale, che si finge pazzo per finire in manicomio e riconquistare la libertà, estromettendo se stesso dall’obbligo di pubblicare e portare avanti la sua ricerca, sapendo bene su quale pericoloso piano inclinato essa già correva.
La libertà del manicomio per buggerare una “libertà” ben più pericolosa, la libertà della scienza senza limiti. Una libertà senza i limiti della coscienza e della dignità umana non è più libertà: è totalitarismo.

Antonio Gentilucci

 
Giullari PDF Stampa E-mail

10 ottobre 2007

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Ricordate il giochino della Settimana Enigmistica? Quello dov’erano raffigurate due vignette all’apparenza identiche e vi veniva chiesto di individuare le dieci piccole differenze?
Ecco, vi invitiamo a ripetere lo stesso gioco con i governi Prodi e Berlusconi. Di più: vestiamo i panni da mago e azzardiamo una previsione anche per il futuro, immaginandoci quali sostanziali differenze potranno esistere tra un Veltroni e un… Casini?
In tutti i casi la risposta è facile: nessuna.
Certo, per arrivare a questo risultato occorre fare piazza pulita di tutta la ridda di chiacchiere, dichiarazioni, smentite, frasi a effetto, retroscena e proclami volti a farci credere che a fronteggiarsi siano due diverse concezioni dell’esistenza (quando altro non sono che due diversi gruppi di potere che vogliono tagliarsi la fetta più grossa della torta). Togliete tutta l’aria fritta e considerate i fatti. I fatti: questa parola ormai dimenticata e priva di significato, per i media di regime.
Forse la politica estera italiana è meno supina di fronte agli interessi americani? E’ vero, Prodi non abbraccia fraternamente Bush chiamandolo con orgoglio “carissimo George”. Ma questo non gli impedisce di combattere al suo fianco la sporca guerra afgana.
Forse le politiche neo-liberiste sono state abbandonate dalla sedicente coalizione di sinistra? Diciamo che si è preferito, per pudore, chiamarle con un altro nome.
Forse gli interessi dei lavoratori sono maggiormente tutelati dagli ex seguaci di Marx? Al massimo quelli di coloro che fanno parte delle corporazioni e lobby amiche.
Qualcuno ci sa dire cosa ha fatto o sta facendo questo governo per arginare lo strapotere mediatico di Berlusconi, una volta dipinto – giustamente – come incompatibile con un Paese libero e democratico? Ve lo diciamo noi: ha inserito nella Finanziaria una norma che sposta in là di quattro anni, dal 2008 al 2012, il trasloco di Rete 4 sul satellite, concedendo di fatto a Mediaset di salvaguardare questa parte del suo patrimonio in spregio alla legge italiana e alle sentenze della magistratura.
Qualcuno lo chiama inciucio. No, non lo è. L’inciucio presuppone che esistano due parti contrapposte che poi trovano un accordo. Queste invece sono tutte schierate fin dall’inizio sul medesimo fronte, quello funzionale agli interessi e ai poteri ai quali sono asservite. Politicanti che fungono da specchietto per le allodole, fingendo di accapigliarsi fra loro e inscenando la farsa della destra e della sinistra. Giullari, ma che non fanno ridere.

Andrea Marcon

 
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