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Declino irreversibile PDF Stampa E-mail

6 Settembre 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 3-9-2022 (N.d.d.)

Lo Stato sano raccoglie i tributi (prelevando in tutto o in parte il surplus dai cittadini e dalle imprese) e li investe in infrastrutture, servizi, forze armate; tali investimenti aumentano la produttività e il prodotto interno, stimolano gli investimenti privati, e di conseguenza aumentano il gettito fiscale e i nuovi investimenti. Questo è il funzionamento virtuoso e progressivamente espansivo dello Stato sano. Ma in tale funzionamento teorico interferiscono fattori umani inevitabili:

– le classi dominanti che raccolgono i tributi rubano parte di essi per arricchirsi; – e non si curano molto di investire bene il restante, destinandone parte ad arricchire compari e sostenitori; - a cascata, tutti i dirigenti che eseguono gli investimenti e le spese pubblici tendono a rubarne una parte; - inoltre, i componenti delle classi dirigenti si sottraggono alla tassazione usando la loro posizione di potere, e, accorgendosene anche le classi subalterne cercano di evadere il fisco.

Alla fine, la quantità di risorse investita sarà notevolmente inferiore a quella raccolta, cioè tolta alla società civile con le tasse, sicché il circolo virtuoso ed espansivo risulterà molto indebolito o assente o addirittura invertito. Quando le suddette ruberie, evasioni ed elusioni fiscali, congiunte agli scandali di corruzione e alla scarsa qualità degli investimenti, dei servizi e della amministrazione in generale, producono insuccesso economico e scontento sociale, la classe dominante può usare parte dei tributi raccolti  per comperare direttamente il consenso mediante erogazione di benefici clientelari diretti in sostituzione delle esecuzione di investimenti utili: pensioni fasulle, impieghi fasulli, reddito di cittadinanza. Se le entrate tributarie non bastano a finanziare questa campagna di acquisto, le classi dirigenti possono finanziarla ricorrendo all’indebitamento pubblico, e così peggiorando le cose strutturalmente e in prospettiva.

Un’altra fonte di finanziamento aggiuntivo dello Stato, sono la conquista militare, il colonialismo o imperialismo, e il saccheggio o prelievo di tributi dai territori sottomessi e altresì lo sfruttamento dei loro abitanti come schiavi o lavoratori sottopagati. La Roma antica si finanziò ampiamente in questo modo per tutta la fase di conquista ed espansione, cioè fino a circa al 100 dopo Cristo. La sua era un’economia molto dipendente dallo sfruttamento degli schiavi acquisiti con le guerre di conquista. Lo Stato antico romano incominciò a entrare in crisi finanziaria, cioè ad avere difficoltà nel sostenere le spese dell’apparato amministrativo, delle opere pubbliche e dell’esercito, quando finì la fase espansiva, quindi l’afflusso di ricchezze e schiavi dai popoli via via sottomessi, e ancor più quando Roma iniziò a dover pagare i popoli barbarici sui suoi confini affinché non invadessero e razziassero i suoi territori. Gli storici hanno ricercato la causa per la quale il sistema economico e commerciale dell’Impero Romano non sopravvisse all’Impero stesso e non si evolvette in modo costruttivo e conservativo del suo livello, con le sue meravigliose infrastrutture (strade, ponti, porti, acquedotti, bonifiche), ma crollò quasi completamente comportando la fine dei commerci di lungo raggio, dei grandi mercati, della civiltà urbana, assieme a un drastico calo demografico – crollo da cui l’Europa iniziò a risollevarsi soltanto verso il Trecento. L’hanno ricercata e l’hanno trovata proprio nel fatto che lo Stato Imperiale aveva sviluppato un apparato amministrativo e militare enorme e insostenibile, una nobiltà e un clero parassitari (esentati dalle imposte), mentre la sua economia, basandosi sullo sfruttamento dei popoli sottomessi, sul lavoro schiavistico o servile e sulle rendite del latifondo italico (assai mal coltivato), era intrinsecamente, strutturalmente bloccata, isterilita nella produttività,  e incapace di evolversi; al contempo, l’apparato statale ricorreva a una pressione fiscale soffocante per l’economia produttiva. Pertanto lo Stato imperiale, il suo sistema parassitario e la sua economia strutturata per servirlo, dovevano morire e liberare il campo affinché poi, nel corso di circa otto secoli, ripartendo da livelli bassissimi, un nuovo e vitale sistema economico potesse costituirsi.

Oggi, per la prima volta nella storia, in Italia, ricorrono insieme tre condizioni precise: il numero di cittadini che non lavorano ha superato ampiamente il numero di cittadini che lavorano; l’accesso ai consumi opulenti ha raggiunto una larga parte della popolazione; l’economia è entrata in stagnazione e la produttività è ferma da vent’anni, in arretramento rispetto a quella degli altri paesi avanzati. Questi tre fatti, documentabili dati alla mano, a cui va aggiunta una distruttiva pressione fiscale simile a quella del tardo Impero, hanno ispirato Luca Ricolfi nel suo recente saggio La società signorile di massa in cui descrive l’Italia come appunto una società signorile di massa – la descrive sostanzialmente come un sistema socio- economico bloccato, degradato nel suo apparato scolastico e nel corpo docente, incapace di progettare e realizzare una propria evoluzione. Bloccato, aggiungo io, perché il consenso politico, il voto ‘democratico’, in esso si ottiene mediante la difesa e conservazione di posizioni di rendita ormai diffuse, popolarizzate. A causa di questo fattore, a cui si aggiungono altri fattori come la sua posizione di paese vassallo sancita dagli accordi di pace con gli USA a seguito della capitolazione del 3 Settembre 1943 e aggravata entro l’UE, l’inguaribile arretratezza e dipendenza economica del Meridione, la specializzazione della classe dirigente nazionale nel rubare dai trasferimenti di ricchezza dal Nord al Sud che tolgono al Nord le risorse per investimenti e innovazione competitiva, le migliori forze intellettuali e imprenditoriali che emigrano, l’Italia semplicemente non può essere risanata, non ha futuro proprio, è in declino irreversibile e non ha dato segni di ripresa dal 1992. Questo è il razionale per cui l’Italia è stata posta in liquidazione, con Maastricht, l’Euro, la BCE, il Six Compact etc., nel senso che le sue parti valide vengono rilevate da capitali stranieri, con la complicità di politici italiani e comunitari. Tutti i partiti lo sanno, quindi recitano e fingono quando promettono il rilancio del Paese: lo fanno per poter partecipare alla sua liquidazione servendo lo straniero e ricevendo il loro giusto tornaconto.

Marco Della Luna

 
Nel digitale i potentati non hanno pių volto PDF Stampa E-mail

4 Settembre 2022

Un modo per significare il momento attuale è osservare cosa ha comportato la svolta imposta dalla volontà di digitalizzazione. Buttata l’unità di misura umanista che ha segnato l’epoca analogica, ovvero la storia moderna fino ad oggi, lo spirito dell’uomo è mortificato. Senza più orizzonti trascendenti, resta con un pugno di mosche a soffrire di un nichilismo esistenziale che lo rende facilmente dominabile se inconsapevole oppure emarginato, se consapevole di non essere più padrone di se stesso. Senza più neppure la forza di aggregazione – che era stata un tratto tipico dell’epoca analogica – vive in enclavi individuali affacciato alla finestra del proprio monitor. L’eros necessario alla sovversione è stato sedato dall’opulenza di tutto: merci, beni, concetti, immagini, informazione, spostamenti. Non ne resta più per la sovversione, idea che vagheggia come una medusa nella corrente.

L’epoca analogica è stata l’epoca a misura d’uomo. Qualunque avvenimento – tentando di far stare dentro tutto – dal progresso tecnologico al degrado politico aveva come unità di misura l’essere umano, il suo pensiero, la sua immaginazione, le sue aspirazioni. Protagora e il suo mondo sono stati brutalmente assassinati. L’uomo non è più misura di tutte le cose. Per quanto l’industria e il capitale avessero i mezzi per orientare quei pensieri, quell’immaginazione e quelle aspirazioni, la loro azione era necessariamente limitata: il mezzo analogico lo imponeva. Ogni avvenimento, inclusi quelli meravigliosi e impensati dai più, avevano una firma certa che grondava umore umano. I sensi di tutti lo riconoscevano. Ognuno poteva sentirsi tanto rappresentato, quanto corpo unico con quell’idea, quell’impresa, quell’uomo. Il mondo poteva anche essere lontano e sconosciuto ma era vissuto come disponibile. Ci si rapportava ad esso esattamente come avviene per ogni cosa che consideriamo nostra. I padroni avevano più di noi, ma non avevano noi, il nostro cuore, il nostro corpo, la nostra bieca dedizione. C’era una relazione con l’altro e il lontano che aveva il medesimo tenore di quella con il prossimo e il sodale. In tutto ciò, l’identità profonda dell’individuo – sebbene già toccata per i lavoratori dell’industrializzazione della produzione e del terziario – godeva di una traccia profonda in cui risiedere, muoversi e percorrere la vita. L’intera comunità era costituita per ognuno che la componeva e la osservava come un’aggregazione di interlocutori che il grande barcone dell’umanità tutti conteneva. L’avvento del digitale, dopo gli entusiasmi nel suo breve rodaggio, per quanto riguarda le strutture relazionali, ha avuto l’effetto paragonabile ad una bomba atomica simile a quella che ha raso al suolo Hiroshima. La rete di relazioni analogiche, precedenti all’esplosione, dunque di verità, d’ordine, di concezione e immaginazione è stata rasa al suolo. Tutti i poli di riferimento sono venuti a mancare. Gli alvei delle tradizioni comunitarie sono stati riempiti di scorie, oppure di offerte, vendute come occasioni da cogliere, pubblicizzate come progresso.

In epoca digitale, gli ordini analogici si sono baumaniamente liquefatti. Le identità individuali, sociali, eccetera, si sono sciolte sottraendo così la terra storica e biografica da sotto i piedi di ognuno e di ogni comunità. L’allontanamento spirituale dagli ordini della natura si è fatto più che abissale, imponderabile, ingovernabile, inaccessibile. L’alienazione è in agguato diffuso e profuso, la stella polare di se stessi si è spenta. La cui vera, inconfutabile essenza è una corrispondenza di se stessi con norme, leggi e ordini, non più col sentire e il creare. Vaghiamo così nel buio infernale pronti a lotte fratricide, fortuite e provocate. La natura, spiritualmente intesa, non è sostituibile. Chi ci prova non può che ammaliare gli uomini con effimeri incantesimi. Una patologia silente i cui sintomi si rivelano nella ricerca di soddisfazione nel cibo, negli stupefacenti, nel sesso e negli acquisti compulsivi. Sintomi di una carenza di profondità. Un’esperienza necessaria quando dentro di sé non si trova altro che un usa e getta di qualunque tipo, pur di credere d’essere nel giusto.

Per quanto irraggiungibili, i comandanti e padroni dell’epoca analogica mantenevano una dimensione umana. Ora i potentati, strutture private più forti degli stati, in gradi di determinarne, di comprarne, l’orientamento politico non hanno più un volto. La dimensione digitale lo permette. Oltre alla proprietà delle sovranità statali e nazionali già perdute, sottrae anche quelle individuali. La potenza di fuoco mediatico dà agio al corso digitale delle cose di avanzare come una fanfara per il centro del paese, tra filari di sorridenti ubbidienti plaudenti. La moltitudine, ignara del falso progresso, è coriacea e resistente. Le voci di allarme le rimbalzano contro come fanciullesche palline di cerbottana. I veri paladini di quei potentati – sul cui tecnografo sono tracciate le architetture del futuro del mondo – sono proprio quelle inconsapevoli moltitudini. La cui inerzia ha la forza di una colata lavica che tutto travolge, che nulla può fermare. Quello che hanno saputo dimostrare credendo nella scienza, indossando maschere, lavandosi le mani, lasciandosi inoculare, condannando Putin, sono dimostrazioni del nero potere digitale. Sostenuta dalle moltitudini, la repressione, applicata a tutte le espressioni non allineate, conclude il triste excursus del passaggio di proprietà che ha sottratto agli uomini anche la sovranità individuale. In cambio di un diritto al lavoro soggetto a ricatto o di un passaggio di ubbiente carriera.

Lorenzo Merlo

 
Ministero delle periferie PDF Stampa E-mail

3 Settembre 2022

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 Negli ultimi giorni,nelle ultime settimane,tra le mille questioni bollenti e i problemi urgenti del Paese ha fatto irruzione nella campagna elettorale la questione sicurezza": ad alimentare il dibattito due distinte problematiche,la ripresa di numeri considerevoli di sbarchi sulle nostre coste e il proliferare di episodi allarmanti di devianza sociale che in molti casi hanno per soggetto individui molto giovani e come epicentro l' area metropolitana di Milano ma non solo, in quanto risse,bottigliate,lanci di sassi contro veicoli,omicidi e pestaggi per futili motivi, danneggiamenti,spaccio e gang dilagano da settentrione a meridione.

Lasciamo da parte gli sbarchi e la questione degli immigrati clandestini che non rientra nel nostro discorso e concentriamoci sulla devianza sociale,in troppi casi commessa da giovani delle periferie,sia italiani che immigrati di seconda generazione o clandestini: nel calderone ci sono tutti quanti e pretendere di suddividere i colpevoli in tabelle e categorie non solo è demenziale ma una perdita di tempo e uno spreco di intelligenza. È innegabile che in Italia esiste una questione aperta ed è la questione delle periferie,che nei grandi centri urbani sta assumendo toni drammatici-un esempio su tutti l' abusivismo delle case popolari che ha portato a vere e proprie battaglie e risse tra "regolari" e " abusivi", quindi le bravate delle baby gang con atti di teppismo e di vandalismo anche in pieno giorno, alla luce del sole,davanti a tutti; elencare gli episodi sarebbe ridondante,basterebbe andare su qualche motore di ricerca per leggere quelli più clamorosi(Milano,Civitanova Marche,sassi contro le auto in transito nel lodigiano,mega risse a Peschiera del Garda,eccetera.

Inneggiare al solito tifo tra " sceriffi e distintivi" contro i "buonisti" francamente ha fatto il suo tempo e diciamola tutta ha pure largamente stancato e annoiato: si devono guardare in maniera pragmatica i fatti e i fatti dicono che il problema esiste,ha radici profonde,potrebbe peggiorare in futuro e di certo le ricette per risolverlo non sono né le ostentazioni muscolari di forza e neppure il liquidare tutto a "disagio ambientale" e una politica blanda di "comprensione" : entrambi gli atteggiamenti non risolvono un bel nulla,anzi finiscono col peggiorare. Il disagio delle periferie,che è ancor prima di essere un disagio economico-finanziario o di "mancata integrazione " degli immigrati di seconda generazione (che poi è una faccia della realtà,come se tutti i soggetti coinvolti fossero unicamente costoro) è un disagio esistenziale aggravato dalle attuali contingenze negative, non si batte né con la pura repressione né con interventi di vari e fumosi "progetti" di integrazione o quant' altro che spesse volte si arenano nel nulla. Quattro cose vanno fatte e di pari passo,a braccetto perché gli interventi in questo caso sono come un diagramma di Venn nella teoria degli insiemi: 1) la repressione dei crimini e della devianza, perché chi lancia bottiglie contro un tram o scippa o spacca arredo urbano o vetrine o aggredisce con spranghe non deve farla franca e su questo siamo tutti d’accordo: deve passare il messaggio che non si scherza più e lo Stato deve far valere la sua autorità; 2) avere la consapevolezza che la repressione pura porta solo a riempire le galere e a peggiorare la situazione: la repressione deve essere alternata a profondi interventi che debbono andare alla radice del male per cercare non si dice di estirparlo-non si riuscirà mai-ma per lo meno di farlo regredire parecchio 3 ) e mettersi in testa che per fare le prime due cose occorre non solo una presenza tangibile di mezzi e di uomini ma anche di strutture articolate,in grado di comprendere,capire,analizzare le vere cause e agire in profondità e 4) queste strutture devono essere ben gestite,bene foraggiate,dotate di una discreta autonomia e con una presenza capillare laddove il disagio periferico picchia più forte.

Sovente in questi blog si fanno molte analisi; oggi tuttavia non è tempo di analizzare,è tempo di formulare Idee-rigorosamente con la maiuscola,intese come "risultato dell' attività del pensiero umano" e nella sua etimologia greca di "idein",cioè "vedere". Allora proviamo a "vedere" e lanciamo,dal nostro piccolo di cittadini anonimi di un piccolo blog una proposta,un sasso nello stagno vedendo l' effetto che fa: proponiamo al Governo,al prossimo Governo di qualsiasi colore l'istituzione di un Ministero delle Periferie e delle Aree Disagiate con queste caratteristiche: -Dovrà essere un Ministero di un certo peso,con portafoglio e con larghe sovvenzioni; -Il Ministero formulerà programmi e progetti in collaborazione con le sue emanazioni periferiche e tali emanazioni periferiche necessiteranno di larga autonomia poiché,siamo chiari,i problemi delle zone periferiche di Milano non sono simili a quelli di  Roma oppure quelli dei quartieri periferici di Bari,Palermo,Bologna,Torino ,Genova,Napoli o altre piccole e grandi città italiane: il contesto,l'ambiente,la temperie varia da Regione a Regione,da zona a zona e quindi risulta ovvio come dal centro(inteso come sede centrale del Ministero) possano partire solo linee guida con obiettivi condivisi e finalità condivise ,poi il "come" tali linee guida dovranno essere effettuate sarà compito delle sedi decentrate sul territorio; -Il Ministero potrà senza alcun problema collaborare con soggetti esterni(Terzo Settore,Caritas,parrocchie,associazioni culturali,eccetera) con la precisazione che i soggetti terzi saranno appunto collaboratori ed esecutori ma non più: chi vorrà collaborare, dovrà farlo nell' alveo delle idee e delle linee guida e dei protocolli del Ministero stesso,senza prendersi autonomie gestionali. -Si consigliano infine delle "task force",dei "pool" o chiamateli come volete di fior di professionisti quali sociologi,educatori, urbanisti,architetti,psichiatri,psicologi: si consiglia l' assunzione di professionisti motivati,con voglia di fare e di mettersi in gioco senza guardare troppo alle tessere di partito o altro,solo il merito e i curricula; si consiglia inoltre la proibizione ai membri di tali task forces di apparire in televisione (pena l' espulsione immediata  dal Ministero e una multa salata) nei vari programmi e cosiddetti "talk show" perché il Ministero ha bisogno di gente che lavora e che va a controllare i lavori senza perdere tempo in chiacchiere . -Il Ministero dovrà essere aperto ai cittadini e alla collaborazione coi cittadini,coinvolgendoli nei progetti e recependo e analizzando qualora fossero meritevoli tutte le iniziative e idee che verranno sottoposte. Poi come sarà articolato il Ministero,la struttura interna eccetera questo non è argomento di nostra competenza,ci penseranno i "tecnici".

Gli obiettivi del Ministero-che ripetiamo,dovrà essere gestito da un Ministro con portafoglio e avere una certa caratura,non essere uno specchietto per le allodole-saranno questi: -Analizzare con pool di esperti le radici e le cause del disagio delle periferie sia dal punto di vista giovanile sia dal punto di vista economico e sociale; -Elaborare progetti per intervenire in profondità allo scopo di ridurre tale disagio : interventi urbanistici,architettonici,sociali,di decoro urbano,di progettualità sociale e comunitaria (creare luoghi di sana aggregazione giovanile,ad esempio,puntare sullo sport,su circoli giovanili,ecc ecc) ; -Migliorare i servizi essenziali delle aree disagiate riducendo in questo modo la distanza col centro,distanza che non è da intendere come "geografica": creare dispensari,aumentare le aree verdi,i parchi,riqualificare edifici degradati con progetti rivolti specie ai giovani ecc ecc; -E soprattutto essere presenti,tangibili sul territorio: lo scopo essenziale sarebbe quello di mostrare a chi vive che l' autorità è presente non solo per reprimere ma per capire e ascoltare e fare qualcosa,si dovrà lavorare soprattutto e principalmente sui giovani,non importa se italiani o immigrati di seconda generazione(tra l' altro molte gang sono miste,quindi nelle periferie spesso non si fa tale distinzione da intellettualoidi del centro): consapevoli che molti atti deviati sono inconsce richieste d' aiuto o comunque modi non ortodossi per far vedere che "si esiste".

Insomma,da una parte agire punendo le devianze e applicando la legge vigente e dall' altro agire a fondo,molto a fondo sulle cause che provocano tali devianze. Chi vive nelle periferie del disagio deve avere la percezione che non esistono solo gendarmi o giudici ma al contempo una autorità al servizio tangibile del cittadino.Certo,un lavoraccio ma un lavoraccio di cui avremmo bisogno come e più del pane. Bene,a poco più di tre settimane siamo entrati nell' agone della campagna elettorale con una modestissima proposta. Ci sarà qualcuno pronto a recepirla?

Simone Torresani

 
Questioni artiche PDF Stampa E-mail

1 Settembre 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 30-8-2022 (N.d.d.)

Come previsto, la questione dell’Artico procede inesorabile. Gli Stati Uniti hanno previsto di nominare un Ambasciator-at-Large per l’Artico. La carica che si può tradurre come “Ambasciatore generale” verrà data ad un diplomatico con ampi poteri che rappresenterà gli USA per le questioni artiche presso tutte le istituzioni, formali e informali, presenti o che si occupano della regione. Scatta subito sull’attenti il fido Stoltenberg, annunciando che "La NATO deve aumentare la sua presenza nell'Artico" perché i russi stanno trafficando nelle loro basi portando missiloni di ultima generazione. In più, sappiamo degli appetiti cinesi verso questa regione che permetterebbe loro di aggirare le forche caudine degli stretti indo-pacifici. Insomma, si sta apparecchiando il nuovo gioco che porterà la nuova guerra fredda sottozero. O visto che da quelle parti non c'è praticamente nessuno, molto soprazero tanto l'ambiente lì si sta già scaldando di suo. Motivo per il quale poi tutti si stanno agitando visto che sottacqua è pieno di minerali appetitosi ed energie fossili molto poco green. Finalmente, anche i più tonti potranno così capire cosa c’era sotto l’urgenza inderogabile ad accorpare la Finlandia e la Svezia nella NATO, due nazioni storicamente non allineate, pacifiche, conviventi da tempo col vicino russo, prive di materie prime che non siano alberi e renne, senza apparente alcun rilievo strategico che non sia il Mar Baltico che è praticamente un mare chiuso, ma membri del Consiglio dell’Artico. Si noti invece come la punta nord-est della Finlandia sia ad un tiro di schioppo (si fa dell'ironia) dalla città (Murmansk) più grande al mondo sopra il Circolo polare Artico ed unico porto russo che non ghiaccia d’inverno, quindi strategica base militare navale.

Ma tanto non serve a niente dirlo, quando scoppierà il casino annunciato, torme di invasati caricati a molla dai media brain-washing, presi da una aggressiva emotività ingestibile ed insopprimibile, ci faranno sapere la loro inutile opinione formata il giorno stesso in cui succederà qualcosa, ignari che ogni storia ha cause pregresse che loro ignorano, come ignorano tutto l’argomento della politica di potenza in questa fase storica. Così come hanno fatto e fanno per l’Ucraina. Ci vuole pazienza, tanta.

Pierluigi Fagan

 
Una politica pirandelliana PDF Stampa E-mail

31 Agosto 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 28-8-2022 (N.d.d.)

A nobilitare lo spettacolo della politica presente, a voler dare un riferimento alto, culturale, o addirittura un profilo letterario, diremo che siamo entrati nell’epoca pirandelliana della politica. A qualcuno scapperà subito da ridere per l’accostamento ardito tra cultura, letteratura, drammaturgia e la misera giostra politica del presente. Ma anche i periodi più bassi e confusi hanno una loro chiave di lettura, anche il caos e perfino la barbarie può avere letture colte. Il teatro di Pirandello è uscito dalle scene ed è entrato nella realtà politica corrente. A guardare la parabola di Di Maio e di Conte, le liste di Letta, col Pd oscillante fra Draghi, i grillini e Fratoianni, tra governi con la Lega e Berlusconi e poi crociate contro di loro; a vedere le prodigiose giravolte della Bonino e dei radicali, i miracolosi salti di Calenda, ora col suo odiato Renzi, la poligamia di Salvini, alleato coi grillini, coi dem, coi draghiani e con la Meloni, le giravolta delle madame berlusconiane Gelmini e Carfagna, l’ologramma di Berlusconi sulla scena tra maschera e cerone, il ballo delle candidature e le invettive degli esclusi, il ripescaggio grillino dei parenti degli esclusi, possiamo dire che siamo entrati nella fase pirandelliana della politica: il relativismo assoluto, la girandola delle identità, il gioco delle parti e delle combinazioni, la maschera e il volto intercambiabili (come la faccia e il deretano), il paradosso come criterio di scelta e di comprensione, il rovesciamento continuo dei ruoli e degli scopi. Tutti possono allearsi o guerreggiare con tutti e con nessuno, tutti recitano a soggetto, tutti mutano secondo convenienza e situazione, ciascuno a giorni alterni si accorda e si sottrae a ogni accordo, preferisce stare fuori, dentro, al lato, sopra o sotto le alleanze. Le variabili sono infinite e impazzite. È la babele allo stato puro, il caos prima della creazione.

Torna pure il detto di Longanesi, la democrazia si replica per assenza di dittatore… Perché il relativismo assoluto di solito evoca, e invoca, il suo contrario, un bel tiranno, o un dragone, che metta fine al chiacchiericcio e al caos, al ballo di san Vito delle alleanze, degli amici e dei nemici e ci riporti alla contabilità e ai suoi relativi incubi. Solo Pirandello colse il prisma contemporaneo in tutte le sue sfaccettature, il gioco di luci e ombre, comparse e scomparse, recita e realtà, posizioni e fluttuazioni di quel grande palcoscenico che è la condizione umana moderna. Lui si rifugiò sotto le ali del fascismo, che non a caso il filosofo pirandelliano Adriano Tilgher, aveva definito l’assoluto relativismo trapiantato sul terreno della politica. Definizione gradita allo stesso Mussolini. Ma da giorni il teatrino è esilarante, come il gas. E come il gas è letale. Saranno le esalazioni dall’immondizia e dello smog, sarà che non riusciamo a liberarci del negativo perché sono colme le discariche della politica, non c’è nessuna Malagrotta in cui scaricare i rifiuti accumulati. Ma c’è qualcosa di assurdo e malefico nell’aria che non riusciamo a decifrare. Solo Pirandello può spiegare.

A questo paesaggio pirandelliano corrisponde anche la veloce labilità dei consensi e dei dissensi, la giostra delle opinioni e delle intenzioni di voto. Cosa decide gli spostamenti d’opinione, i flussi e riflussi elettorali, i vasi e i travasi? Perché si passa da un momento all’altro da vincenti a perdenti, dal paradiso all’inferno e viceversa, senza una spiegazione ragionevole o una relazione di causa ed effetto? Pensate al trionfo di Renzi, oggi ridotto a un selfie permanente o l’apoteosi di Conte oggi considerato un penoso azzeccagarbugli. E la veloce parabola di tanti leader e leaderini. Non c’erano meriti speciali, legittimazioni conquistate sul campo, eccezionali curricula, risultati straordinari nelle tappe precedenti. C’era solo un friccichio, una Chiacchiera, un clima in tv che si fece passaparola. Consenso virale ma transitorio, senza un vero perché. Poi, senza un vero perché comincia la caduta libera. Esagerato il successo, esagerata la caduta. Nessuno aveva meritato il ruolo di Miracolo Vivente; magari, nemmeno di diventare poi Vituperio della Genti. È solo questione di Fuffa, che Pirandello non contemplò nei destini dei suoi personaggi. Partiti e governi fondati da cabarettisti, carriere folgoranti fondate sull’abilità di giocolieri, maghi e maghette sulla scena che tirano conigli dal cilindro, numeri da circo. Classi dirigenti sorteggiate con criteri meno seri del gratta e vinci o dei pacchi; capriole acrobatiche, entrano escono, mutano… Leaderini che sono tra i massimi inesperti di ogni settore, e s’improvvisano statisti cambiandosi semplicemente d’abito… Chi affiderebbe al primo passante i suoi risparmi e la sua salute? Noi, popolo pirandelliano. Ha tanti proseliti il voto del “famolo strano”. Le trame, i personaggi e i testi di Pirandello sono una versione ancora prudente rispetto al pirandellismo autogestito dagli attori politici in corso. Un giorno bibitari, un altro statisti, un giorno rivoluzionari coi gilet gialli, un giorno euro-occidentali e draghiani, un giorno abolitori della povertà, un giorno democristiani, un altro pidini, grillini, destrorsi, sinistrorsi (Di Maio è un bozzetto di Pirandello che l’autore scartò perché troppo inverosimile).

L’Italia è mobile qual piuma al vento. E dire che da noi il voto era statico, c’era il voto ereditario e d’appartenenza; ora siamo al voto-farfalla. L’Italia cambia opinione ogni stagione. Vedremo come sarà la collezione autunno-inferno.

Marcello Veneziani

 
Una colonia masochista PDF Stampa E-mail

30 Agosto 2022

 Da Appelloalpopolo del 21-8-2022 (N.d.d.)

Se una impresa sana, ossia che usa denaro proprio e non sta nelle mani delle banche, ha ricevuto una bolletta per l’elettricità a luglio di 232.000 euro, mentre quella del luglio 2021 era di 82.000 euro, cosa credete che farà? Sospenderà la produzione. Immaginiamo che produca e imbusti patatine fritte per la Coop la Conad e così via. Accetterà di pagare le penali e fermerà la produzione per l’intero anno o anche per due anni. I lavoratori andranno in cassa integrazione. Invece, l’impresa che è in mano alle banche, dovrà continuare a produrre (debiti) e finirà per impiccarsi, fino al fallimento che arriverà quando le banche negheranno ulteriore credito.

Tutto questo terremoto, questa catastrofe che ci attende, questi fallimenti, questi suicidi, questa cassa integrazione, questi licenziamenti, questa minor domanda interna, questa minore spesa pubblica, e quindi il fallimento di altre imprese e la disperazione di tanti autonomi, saranno dovuti soltanto alla masochistica, irrazionale, insensata scelta di ubbidire agli ordini statunitensi e di adottare “sanzioni” economiche “contro” la Russia.

Inviare armi è sbagliato ma adottare sanzioni economiche contro la Russia è mille volte più sbagliato. L’invio delle armi rivela che siamo una colonia. Le sanzioni dimostrano che siamo una colonia masochista, pronta al martirio per ubbidire al padrone.

Stefano D’Andrea

 
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