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Delirio anelante al gigantismo PDF Stampa E-mail

12 Aprile 2022

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 Da Comedonchisciotte del 10-4-2022 (N.d.d.)

Brevissima premessa: son già due anni che l’umanità tutta è coinvolta, direttamente e non, in una dimensione totalizzante di paura e di dolore. Se la paura è la situazione emotiva originaria che scaturisce da un senso indeterminato di minaccia, il dolore è la minaccia che si realizza: i due elementi sono perciò indissolubilmente connessi.

Nonostante la letalità di quella che viene chiamata pandemia da Covid (la minaccia realizzata) sia particolarmente bassa (neanche sei milioni di morti, quasi tutti oltre 80 anni, su 8 miliardi di individui dopo 2 anni!), il contagio psicologico della paura della morte si è propagato in modo esponenziale a livello globale, tant’è che quasi tutti i governi dei paesi del mondo hanno preso misure draconiane (per lo più inutili) per contenere il contagio del virus, espandendo però nel contempo il contagio del terrore. Sono stati scritti ormai innumerevoli saggi che hanno cercato di spiegare tale impazzimento collettivo. I più dotti hanno fatto riferimento a Le Bon, Freud, Jung, Riesmann, Packard ecc… Si è poi passati alle ricerche di tanti psichiatri: sicuramente i più avveduti fra questi si sono accorti che almeno il 70% delle masse umane si trovano in una dimensione ipnotica creata dai mass-media approfittando della loro dimensione esistenziale dovuta all’inutilità delle loro esistenze vuote, alienate e solitarie. Essi hanno scoperto che tali masse recepiscono una ragion d’essere del proprio “vivere” nell’obbedire senza discussioni (la scienza lo vuole!) alle regole e a provvedimenti amministrativi promulgati da un potere considerato salvifico che ridà loro l’illusione del senso della comunità. Obbedienza che si è trasformata in cecità, in assoluta mancanza di critica, in fanatismo quasi di tipo religioso: il tutto per la salvezza degli altri e di se stessi. Una pura ipnosi di massa ben descritta nei suoi saggi da Mattias Desmet, uno dei principali esperti sulla tirannia del totalitarismo. Eppure, per quanto considerevoli e profonde siano state queste analisi, esse non sono, a parer nostro, del tutto esaustive, poiché non colgono la radice essenziale di tali comportamenti umani che oggi rasentano per davvero la follia. Come sempre avviene in questi casi bisogna ricorrere ai pensatori inclini a ricercare le essenze concettuali, che sono quelle che cercano di rivelare il perché profondo degli avvenimenti storici e filosofici, soprattutto se si tratta della propria epoca. […] Quasi tutto il pensare filosofico nel corso della storia si è occupato molto di questo tema: si pensi ad Epicuro e alla sua scuola, agli Stoici, a quasi tutta la filosofia cristiana, a Schopenhauer ed altri, per non parlare delle religioni metafisiche come quella induista e buddhista. Il buddhismo, poi, ha come pilastro fondamentale l’assunto che la vita è dolore e che il dolore è conseguenza della facoltà del desiderare. Tuttavia il pensiero di Jünger coglie un aspetto che va oltre le proposte e i rimedi indicati dai filosofi o da uomini di religione. Egli scrive che “il dolore è una delle chiavi che servono ad aprire non solo i segreti dell’animo, ma il mondo stesso”. Il dolore quindi rivela la dimensione intima dell’esserci umano e del suo rapporto con l’Essere stesso; “dimmi il tuo rapporto col dolore e ti dirò chi sei!”. L’essenza del dolore è quindi fondamentalmente ontologica. Nietzsche affermava che la vittoria su di esso ci può rendere forti, e darci la giusta dimensione della nostra resistenza e della nostra autodisciplina nel sopportarlo: come si dice, i grandi uomini si rivelano nelle grandi avversità. Poi se si dà uno sguardo al passato si nota che tutti i popoli hanno attraversato terribili difficoltà: pestilenze, guerre, fame, sacrifici senza fine. In certe epoche la morte portava con sé l’80% dei bambini prima che questi superassero i 10 anni d’età. Solo i più sani sopravvivevano. Tuttavia da circa due secoli l’atteggiamento verso il dolore è radicalmente cambiato, poiché è mutato “…il rapporto che l’uomo intrattiene col dolore”. A tal proposito Jünger scriverà pensieri molto condivisibili e ormai accettati da tutti, ossia che la moderna sensibilità verso il dolore è dovuta al fatto che essa conviene ad un mondo in cui il valore del corpo è considerato il bene supremo: il dolore va quindi assolutamente evitato. […] Nel mondo presente dominato dalla forma produttiva capitalistica in cui tutto è merce, quantità e profitto, il corpo diventa il bene supremo per ogni singolo: il Singolo di Kierkegaard viene trasformato in un mero accumulo di sangue ed ossa, privo di qualsiasi spiritualità. È ormai frequente osservare individui, spesse volte esteticamente brutti e deformati dalle immonde cibarie di cui sono ghiotti, camminare soli in mezzo ai campi o in luoghi isolati bardati da più pezze che coprono il loro volto. Il terrore della morte ne ha pervaso totalmente l’esistenza, sicché essa è ridotta a pura meccanica fisica. Certamente le migliori condizioni igieniche introdotte già nel ‘700, la rivoluzione sanitaria con la somministrazione di vaccini efficaci, l’anestesia, gli antibiotici, per arrivare fino alla creazione di uno stato sociale sempre più efficiente, almeno fino a pochi decenni fa, ci aiutano a comprendere il motivo che ha spinto i più verso la fede nel progresso e nella scienza. Eppure questi miglioramenti effettivi non si sono legati a corrispettivi vantaggi spirituali. Anzi. Si può notare una asimmetria profonda: tanto più cresce la sicurezza della salute del proprio corpo, tanto più si impoverisce la spiritualità degli uomini. Eh sì che dovrebbe essere il contrario, poiché un maggior benessere fisico dovrebbe favorire una maggior cura della mente, in quanto la cultura dovrebbe essere di più facile accesso. Ciò nonostante, da più di un secolo e mezzo circa la regressione spirituale è inarrestabile. Il sacro, il bello, l’etica, il senso della giustizia e della verità, il pensiero profondo stanno scomparendo. Gli uomini hanno ucciso Dio e il senso della trascendenza, e con ciò qualsiasi anelito verso una superiore spiritualità. Lo si constata chiaramente nei nostri giorni. Comunque fu l’ateo Marx che per primo, nei suoi “Manoscritti del ‘44”, individuò che il sistema di produzione capitalistico generava una alienazione profonda nell’uomo, ossia una auto-estraniazione da sé, che riguardava il proprio lavoro (che gli veniva sottratto), la propria attività (destinata ad altri), la propria essenza, poiché l’uomo nasce per fare un lavoro libero e creativo, e il rapporto col prossimo che diventa sempre più conflittuale perché anti comunitario. L’analisi di Marx era fondamentale, però si trattava per lo più di una analisi socio-economica, pur con aspetti anche idealistici, come sottolineava Costanzo Preve, poiché l’essenza dell’uomo è in effetti sia prassi che teoria. In particolare, Marx riteneva che l’alienazione trasmutasse negativamente l’essenza umana sia nella sua creatività, che nel suo senso comunitario: da qui l’origine del degrado. Al filosofo di Treviri, già agli inizi del ‘900, si aggiunsero, pur se provenendo da concezioni culturali spesse volte opposte, le grandi opere di Guénon (Il regno della quantità e il segno dei tempi), Evola (Rivolta contro il mondo moderno), Heidegger (Essere e tempo), Jünger (Il lavoratore), Anders (L’uomo è antiquato), i quali approfondirono quella che è la condizione umana nei nostri tempi. Essi osservarono, in pensieri certamente distinti, ma collegati, che l’alienazione umana è non solo socio-economica ma anche di tipo ontologico spirituale, nel senso che riguardava il rapporto fra il pensiero-Essere e l’ente umano in quanto tale. Soprattutto Heidegger si accorse che stava svanendo sempre più rapidamente la coappartenenza fra essere-pensiero e l’ente umano: l’autocoscienza propria dell’uomo si stava sempre più collassando su se stessa. Nel loro insieme le opere di questi grandi pensatori rivelano i motivi per cui l’uomo moderno occidentale, tutto sommato benestante, si sia staccato dalla sua essenza, che oltre a riguardare la sua capacità creativa, riguarda il suo rapporto con l’Essere, ossia col pensiero e con i sentimenti (l’Essere si manifesta appunto come pensiero, sentimento, tempo, volontà, ecc.) stravolgendo quel legame di coappartenenza di cui si diceva, che lo aveva sempre accompagnato lungo il suo cammino storico.

In “Essere e tempo” Heidegger notò come la paura della morte e del dolore costituissero la situazione emotiva permanente dell’uomo occidentale contemporaneo. Un uomo che cerca in ogni modo di dimenticare il suo insormontabile destino che è quello di morire. Tutto il suo esistere è organizzato per allontanare questo ineluttabile destino: perfino durante i funerali si applaude il defunto per esorcizzarlo. Ciò spinge gli odierni individui umani a vivere in una dimensione temporale imperniata su un presente ripetitivo, inteso come routine, in cui il futuro e perciò anche il passato vengono obliati (la cosiddetta Cancel culture nasce da qui). Una paura che comporta una esistenza totalmente inautentica, basata sulla chiacchiera (il saper tutto senza sapere nulla), sulla curiosità (il vedere tutto senza vedere nulla) e sull’equivoco (la sintesi fra chiacchiera e curiosità, ossia quando vi è il completo smarrimento del proprio io e del rapporto col sé, inteso come Essere). In altre parole, l’uomo presente, che vive una esistenza inautentica segnata appunto dalla paura della morte e del dolore, corrisponde a colui che Nietzsche definì l’Ultimo Uomo, che è “il più disprezzabile degli uomini”, una “mosca velenosa” proprio per la sua superficialità e la conseguente miseria spirituale. Jünger, tuttavia, riteneva che la profezia nicciana dell’Ultimo Uomo avesse avuto un breve percorso, poiché egli scriveva, sempre nel suo saggio “Sul dolore”, “…che la sua éra è già alle nostre spalle”. Due anni prima, quando scrisse “Il lavoratore” (che poi è il tecnico moderno), affermava che era questa la nuova figura dominante nella nostra società. La prosperità economica, la libertà di movimento, lo sviluppo favoloso dei mezzi tecnici con la creazione di nuovi confort come l’illuminazione, l’auto, il telefono, il riscaldamento, e così via, convinsero Jünger della ritirata in sordina dell’Ultimo Uomo. Il Tecnico era l’uomo futuro, l’espressione della volontà di potenza della modernità: il dolore di certo non poteva scomparire, ma veniva allontanato e respinto ai margini dell’esistenza per fare spazio ad un benessere sia pur mediocre. “Il segreto della moderna sensibilità” verso il dolore consiste in questo, secondo il filosofo. Jünger certamente comprese per primo che la tecnica moderna era intrinsecamente nichilista. Tuttavia la realtà di una tecnica livellatrice ed omologante generava di conseguenza anche l’Ultimo Uomo di massa, e perciò tale realtà smentiva Jünger. Un uomo che era di natura trasversale, non appartenente ad una specifica classe sociale, sottolineava ancora Heidegger nelle sue “Conferenze di Brema e Friburgo”; esso era capace di costruire capannoni, industrie, ponti e gallerie, tarantolato da una sorta di delirio anelante al gigantismo, ma che era incapace di costruire un tempio, un palazzo artistico come si faceva nel Rinascimento, una chiesa, o dei portici come si costruivano nel Medioevo. Un uomo che oggi non saprebbe scrivere nemmeno tre righe dei “Dialoghi” di Platone o una terzina di Dante. Se la tecnica moderna lenisce il dolore e prolunga la vita, dall’altro lato ha impoverito la realtà umana nella sua componente spirituale, portando degrado e decadenza. Il macchinismo distrugge di fatto le capacità creative che erano proprie della ragione connessa profondamente al sentimento umano. Nel mondo presente non ci sono più grandi fisici, artisti, filosofi, scienziati: ci sono solo al massimo efficienti tecnici che girano il mondo con la loro valigetta per partecipare a conferenze ed aggiornamenti. Del pensiero profondo si è perso ogni traccia. Perché è accaduto questo? Un perché che è stato svelato dallo stesso Heidegger nel suo ormai celeberrimo saggio “La questione della tecnica” e nei suoi “Contributi alla filosofia”: il trionfo della ragione calcolante, il gigantismo, il macchinismo, la massificazione presentata come democrazia, la pubblicità parossistica sono le principali manifestazioni del degrado. Tutti fenomeni ampliati grazie al Dispositivo o Impianto tecnico (Das Gestell). Il moderno Leviatano si estende su ogni attività umana (oggi in particolare in quella tecnico-sanitaria) sulla spinta di un capitalismo sempre più rapace e plutocratico (vedasi gli attuali profitti spropositati delle multinazionali). Il paradosso è che tutto ciò sta avvenendo con l’indifferenza di una maggioranza plebea che crede ancora bovinamente che i privilegi che le sono stati elargiti a prezzo di dure lotte nel passato, siano definitivamente consolidati.

La tecnica con queste caratteristiche del tutto materiali e meccaniche, proprie della modernità, ha prodotto inevitabilmente a livello sociale il nichilismo completo e passivo, anche perché l’uomo moderno nella quasi totalità è inadeguato ed antiquato rispetto ad essa, per dirla con Anders. Più la macchinazione razionalizzatrice diventa pervasiva al di dentro di ogni meandro sociale, più la mancanza di controllo politico si fa acuto e devastante. Il potere politico mondiale, infatti, non sa più come affrontare l’aumento della popolazione, l’inquinamento, la corsa alle armi, le disuguaglianze economiche incredibili. Ma l’Ultimo Uomo, l’uomo che è l’espressione attuale del potere politico e che è il vero nichilista beota infarcito dal politicamente corretto, non si rende conto di niente. La sua semi-cultura, che sarebbe meglio chiamare sub-cultura, lo illude della bontà del suo status. Questo perché la paura della morte lo pervade interamente in ogni suo momento presente. Non credendo a nulla che non sia fuori od oltre di sé, egli fa del proprio io minimo una specie di idolo da conservare ad ogni costo: è un servo che si compiace di esserlo senza saperlo (la famosa figura hegeliana in cui il servo si emancipa viene del tutto respinta). Per cui diventa un essere sostanzialmente vile e tremolante di fronte ad ogni eventuale remota minaccia, e come tale assume connotati inferi che lo spingono verso l’animalesco più prossimo, ossia verso la scimmia di tipo infero, poiché ha abbandonato ogni possibilità di elevazione pur avendone le potenziali facoltà.

Questa è la situazione storica in cui tutti siamo condannati. La domanda, che nasce spontanea è, allora, che cosa fare? Il punto del massimo pericolo è stato raggiunto, ma nessuno, o quasi, a quanto pare, reagisce. Per cui forse è meglio domandarsi che cosa non fare. Non fare come l’Ultimo Uomo può essere già un inizio di un grande programma.

Flores Tovo

 
Pazzi che guidano i ciechi PDF Stampa E-mail

11 Aprile 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 3-4-2022 (N.d.d.)

Due più due fa quattro. Almeno finora; la cultura della cancellazione avanza e se al potere farà comodo che una massa cretinizzata creda il contrario, potrà fare tre o cinque. Troverà intellettuali, militanti, politici pronti a convincere della nuova aritmetica un mondo (occidentale) impazzito.  È la piaga dei tempi, quando i ciechi guidano i pazzi, sospira il povero Gloucester, che non ha più gli occhi, nel quarto atto di Re Lear di Shakespeare. L’atto finisce così: “le notizie variano. È tempo di stare in guardia. Le forze del regno si avvicinano in fretta”. Pazzi e autentici imbroglioni guidano un gregge umano impazzito che non sa più vedere, pensare, reagire.

Che cosa dire, sapendo che una giurista americana, Ketanji Brown Jackson, nominata giudice della Corte Suprema americana da Joe Biden tra un sonnellino e l’altro, ha detto di non poter rispondere alla domanda “può darci una definizione della parola donna?”. Incalzata, ha ripetuto di non possedere gli strumenti culturali per definire la donna. “Non in questo contesto. Non sono una biologa”. Raggelante. Sin troppo gentile la replica. “Il fatto che lei non possa darmi una risposta diretta su qualcosa di così fondamentale come ciò che una donna è, evidenzia i pericoli dell’educazione progressista”. Più sferzante il commento dell’editorialista Piers Morgan. “È ridicolo. Non sono un neurochirurgo, ma so che cos’è un cervello. Questa è la situazione in cui ci porta il pensiero progressista: al terrore di affermare fatti fondamentali e inattaccabili per paura di offendere la brigata woke”, gli autodefiniti risvegliati, i fanatici della cancellazione culturale.

Non è ridicolo, purtroppo, negare ogni evidenza affermando nel contempo ogni sproposito come portentosa scoperta di verità ultime; o penultime, con il progresso non si sa mai.  Ogni stranezza inventata dalle menti di pochi fanatici telecomandati dalle oligarchie sta diventando senso comune e diritto positivo degli stati per la pavidità di chi ha occhi per vedere, ribadire che due e due fa quattro e che “maschio e femmina li creò “, sia stato il Dio biblico, la natura o il caso. Dal cilindro dei maghi Houdini progressisti è uscita l’apodittica affermazione che i sessi – no, i “generi – sono un costrutto socioculturale, che ciascuno può scegliere il suo e modificare l’opzione a volontà, e non sono due, ma un numero indefinito, cangiante, rappresentato dal segno + che è obbligatorio apporre in coda all’acronimo LGBT, Q, I e qualsiasi altra diavoleria salti in mente a soggetti che in tempi normali sarebbero stati affidati alle terapie, non posti in cattedra. La stessa Jackson, peraltro, nominata per essere un esempio vivente di intersezionalità tra tutte le identità vittimiste (è donna, femminista e nera, anzi afroamericana), da convinta abortista, si batté vigorosamente per il diritto delle donne – l’entità di cui ignora la natura per imperizia biologica – a interrompere liberamente la gravidanza.  Si ha l’impressione di vivere in uno sconcertante pesce d’aprile che dura tutto l’anno. Invece è realtà nell’ occidente post-moderno, post umano, nemico della verità e di se stesso. Il prefisso “post” indica qualcosa di irrisolto, indistinto, un nulla travestito da straordinarie rivelazioni a cui nessuna epoca, nessuna civiltà era mai pervenuta. Vietata la domanda cruciale: se nessuno ci aveva mai pensato, non sarà che si tratta di menzogne o addirittura di follie? No, i risvegliati non tollerano obiezioni, il segno più sicuro della natura settaria, totalitaria e ammantata di pazzia delle loro convinzioni. A chi vuol perdere, Giove toglie il senno, sapevano gli antichi. È giunto a compimento un lavorio di secoli, che, tra le altre cose, ha portato alla pressoché totale sparizione del cristianesimo dalle terre in cui è cresciuto e ha improntato una visione del mondo. La filosofa francese Chantal Delsol non ha dubbi. “Il tempo presente conosce un’inversione normativa e filosofica che ci trascina in un’era nuova. La transizione è brutale. È difficile da accettare per i difensori dell’era che scompare. Allo stesso modo con cui il vecchio tende a colorare il mondo della sua decrepitezza e a vederlo decadente, i cristiani oggi si attardano a contemplare il declino del mondo nel loro stesso declino”. La Delsol indica un’unica via d’uscita, deludente: essere semplici testimoni, “agenti segreti di Dio”. Un destino al quale non ci rassegniamo, poiché la verità va proclamata comunque, contro vento e marea. […]

La battaglia è contro due millenni di civiltà cristiana, ma la tempesta travolge ogni cosa, la legge naturale, il buon senso, la storia, la condizione di creatura dell’uomo. La volontà di potenza prende risolutamente un esito nichilista: l’uomo veste l’abito di Dio e dichiara imperfetta la creazione, la natura, l’evoluzione. Dio di se stesso – lo proclama Yuval Noah Harari, il futurologo israeliano consigliere degli stregoni di Davos - l’uomo “aumentato”, attraverso il mito del progresso sale i gradini che portano non al cielo, ma al nulla. Assolutizza la scienza, unica verità inopinabile, sola conoscenza ammessa, con l’assenso delle chiese, ex custodi della trascendenza. Si chiedeva Thomas S. Eliot nei Cori della Rocca: è l’uomo ad avere abbandonato la chiesa o è lei ad avere tradito il suo popolo?

Assistiamo allo scempio della legge naturale e alla torsione delle verità più elementari. […]un mondo impazzito che ha perduto la bussola, in cui tutto ciò che è assurdo, riservato alle risate tra amici o alle cure di uno psicoterapeuta, sta diventando un insieme di norme che governano le malate società occidentali.  Qualche esempio tratto dalla società dello spettacolo, che ha in pugno il cervello rettiliano delle masse. Attori e attrici neri interpretano Amleto e Anna Bolena (una vittima, Enrico VIII è rigorosamente bianco!), un attore nano ha preteso che sia cambiata la storia di Biancaneve e i sette nani per non offendere le “persone di statura molto bassa”. Un’alta dirigente della Disney dichiara che, in quanto madre di un figlio transessuale e di uno pansessuale, intende stabilire una quota minima del cinquanta per cento di personaggi LGBT e appartenenti a minoranze razziali nei film per bambini. I disagi della parte più fragile ed esposta delle classi alte occidentali devono diventare patrimonio comune attraverso il sistema di intrattenimento che cambia la percezione della realtà e i valori (chiamiamoli così) delle nuove generazioni.  Per quanto le nostre affermazioni suonino incomprensibili all’uomo privato di ogni trascendenza, formattato nel corpo e nell’anima da una anti-cultura mortifera, la lotta è ormai su un piano metafisico. L’Homo Deus va sconfitto dalle forze dello spirito alleate con il senso comune dei popoli e dei singoli, che non possono credere che il bianco sia nero.  Tutto ciò che fino a ieri era normale, indiscusso, è stato spazzato via da un decennio in cui alcuni pazzi (e pazze, rispettiamo la parità di genere!) vendicativi, rancorosi, decisero che era necessario porre fine alla normalità e fare tabula rasa della legge naturale. […] È il momento di ribellarsi contro questi mentitori seriali, minoranze piccole ma potentissime (abbiamo visto chi paga il conto…) che stanno sfigurando una civiltà, la nostra, sino a capovolgerla.  In più, ci chiedono di arruolarci a difesa dei “valori occidentali” che una parte sempre più consistente di mondo sta contestando sul piano economico, civile, sociale, valoriale. In questo orribile pesce d’aprile permanente, esigiamo a gran voce di essere lasciati in pace, immunizzati dalle teorie di genere, dalle nevrosi antirazziste, dai capricci sessuali e pansessuali – qualsiasi cosa significhi – dalle ossessioni neo-femministe, dai “costrutti sociali” in cui costoro hanno trasformato l’esperienza umana, la natura, la biologia. Stanno scrivendo un vangelo nichilista intriso di onnipotenza, che conduce ad azioni incontrollabili.  Ne stiamo facendo esperienza nella privazione delle libertà elementari con il pretesto della pandemia, nell’imposizione green, nell’ arruolamento forzoso contro i nostri interessi concreti nelle guerre di dominazione dell’Occidente malato che si sente Dio. Un Dio a testa in giù che revoca le verità e ne istituisce di nuove, provvisorie, valide per oggi: domani sarà ancora meglio, sarà “più”, è il progresso. Dobbiamo fermare con ogni mezzo, a partire dal diritto naturale di resistenza, la corsa del treno lanciato a tutta la velocità verso un precipizio sempre più vicino. È il nichilismo di Thelma e Louise, che al termine della fuga verso equivoche libertà, che in fondo non le hanno soddisfatte, lanciano l’auto e se stesse nel burrone. La gente assennata, che usa il cervello e vede con i propri occhi, ha il dovere di battersi contro i deliri, le psicosi, le nevrosi di una piccola ma influente minoranza di fanatici diventati “padroni del discorso” – per volontà esplicita delle oligarchie d’Occidente – che stanno facendo strame non soltanto di trenta secoli di civiltà, ma della stessa ragione. Lasciamo il pesce d’aprile a un unico giorno – una volta all’anno è lecito impazzire – nella speranza di non essere querelati da qualche antispecista convinto che i pesci siano vittime di una inaccettabile discriminazione. I pazzi non condurranno più i ciechi se questi si strapperanno le bende e rivedranno la luce, cioè la verità e la realtà. La menzogna non dura in eterno. Contra factum non valet argumentum.

Roberto Pecchioli

 
Stimolo dell'emotività, non informazione PDF Stampa E-mail

10 Aprile 2022

 Da Appelloalpopolo del 7-4-2022 (N.d.d.)

Leggendo tra i post dei miei contatti mi pare ci sia poca chiarezza su cosa sia la propaganda bellica, ovvero si tenda a pensare che è propaganda quando vengono riportate notizie false mentre è “giornalismo”, o “corretta informazione” o comunque lo vogliate chiamare, quando vengono riportati fatti “veri”. Questo è assolutamente sbagliato. A distinguere la propaganda dalla normale informazione è il fine, non il mezzo. “Propaganda” è la comunicazione che vuole suscitare determinate emozioni in chi la riceve, in particolare la propaganda bellica vuole suscitare ira, bellicosità, furore e sdegno, ovviamente rivolti verso il “nemico”. È un’esigenza comune ai belligeranti di tutte le guerre, perché guerra vuol dire ragazzotti di vent’anni che devono cercare di ammazzare i loro coetanei dell’altra parte, senza esitazioni, dubbi o pietà, ed è difficile farlo se non vieni convinto che dall’altra parte non ci sono esseri umani ma orchi malvagi che vogliono solo uccidere, distruggere e stuprare.

Stabilito che a distinguere la propaganda è il fine, il mezzo possono essere fatti inventati di sana pianta, fatti veri ma gonfiati ad arte o anche fatti totalmente veri. Dopotutto in qualsiasi guerra di atrocità commesse da ambo le parti da poter utilizzare a scopo propagandistico se ne trovano a piacere. Trovo quindi poco utili queste infinite analisi volte a cercare di dimostrare se ogni singolo articolo che ci viene proposto contenga notizie vere o false. Sappiamo che la Verità è la prima vittima di qualsiasi guerra, sul campo ci sono solo i due belligeranti ed anche i reporter di guerra, ammesso che ancora davvero esista questa figura professionale, vengono tipicamente accompagnati dai soldati di una delle due fazioni, e quindi vedono quello che si vuole che vedano. Io per capire che quella che ci stanno somministrando in Italia è pura propaganda non ho bisogno di conoscere i fatti, cosa che è pregiudicata a tutti noi, presi in mezzo dalle opposte propagande, mi basta vedere i toni usati, il tipo di narrazione, la coloritura emotiva degli articoli.

La comunicazione che ci viene proposta è chiaramente costruita in modo da suscitare non riflessioni ma emotività, in particolare sdegno e furore, verso una delle due parti, ed è quindi a tutti gli effetti propaganda. Ora, la vera domanda è questa. Abbiamo detto che la propaganda è un’esigenza indispensabile per un paese belligerante, ma l’Italia non lo è, quindi perché ci viene somministrata? L’unica risposta cui riesco a pensare non mi piace…

Luca Manzoni

 
Stranezze della guerra PDF Stampa E-mail

9 Aprile 2022

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Chi è nato negli anni '70 oppure mastica un poco di cultura cinematografica ricorderà senz' altro la figura di Luther, il membro squilibrato della gang dei "Rogues" in "The Warrior" di Walter Hill e soprattutto conoscerà la frase pronunciata verso il finale e diretta ai "Warriors”, diventata ormai un cult iconico: "Guerrieri, giochiamo a fare la guerra?" Quarant' anni dopo potremmo rivolgere la stessa frase a Vladimir Putin: seguitemi come ragionamento e partiamo anzitutto mettendo temporaneamente  da parte le distruzioni materiali, i profughi, i video degli ucraini che sparano nelle gambe dei prigionieri russi, le accuse reciproche di stragi e nefandezze, le scene dei morti e quant' altro compresa  la propaganda da ambo le parti, tutti epifenomeni nel panorama complesso della guerra (epifenomeni, in quanto ad esempio la propaganda esula dalla guerra in sé) che ci sono stati e ci saranno sempre e concentriamoci soltanto su due elementi organici della guerra che sono la strategia e la tattica.

Una guerra deve avere sia sul piano militare che politico elementi di strategia e di tattica. Che guerra sta conducendo Vladimir Putin? Sicuramente in modo strano e davvero difficile da capire per gente abituata ai canoni classici di un conflitto. Partiamo dalla questione strategica: l’obiettivo è non far entrare l’Ucraina nella NATO? Da questo punto di vista credo sia già stato raggiunto, difficilmente Kiev in futuro entrerà nell' Alleanza Atlantica e una dichiarazione di Zelensky del 15 marzo lo annuncia in maniera esplicita: "l’Ucraina non diventerà membro della NATO”, è una frase che si può leggere benissimo in Rete. È stato un attacco preventivo, una prova di forza, in quel rapporto di forza che da sempre contraddistingue la politica, della quale la guerra secondo la ben nota definizione del Clausewitz altro non è che la continuazione con diversi mezzi? Se così fosse, l’obiettivo si potrebbe considerare raggiunto e ci sarebbero le basi per negoziati accettabili da ambo le parti. Oppure si tratta di creare due Repubbliche indipendenti nel Donbass come Stati cuscinetto politicamente e militarmente satelliti di Mosca? Se così fosse allora l' intero sforzo bellico dovrebbe essere concentrato nel Donbass e nel sud , verso la Crimea perché qui si entra nella parte tattica del discorso riguardante il dislocamento delle truppe russe in Ucraina, con un fronte settentrionale totalmente inutile, quello che un tempo i manuali chiamavano un "diversivo" per ingannare il nemico e fargli stornare parte delle proprie forze per indebolirle, scoprendo di protezione il vero obiettivo dell' offensiva ma i "diversivi" proprio perché aventi la funzione di ingannare il nemico dovrebbero essere condotti in maniera ben più energica. Non si combatte per togliere eventualmente due regioni ad un Paese impiegando all' incirca 200.000 uomini sul terreno contro un esercito regolare di Kiev che in tempo di pace conta 255.00 uomini -ora sicuramente una cifra più alta coi richiami e i volontari- e 832 carri armati quando si può contare a pieno regime su 2.800 carri armati , 6.100 mezzi corazzati, 1.800 pezzi di artiglieria da campagna e un rapporto di 5:1 solo nella aviazione, senza contare 1.300 mezzi lanciamissili: una "potenza di fuoco spaventosa" come dice il sito "atlantedellaguerra" da cui si tolgono questi dati. Forse Putin punta a un regime change? Non è questo, di certo, il metodo per metterlo in pratica.

Al netto di queste cifre e numeri Putin sta combattendo una guerra della quale, attualmente, non si riesce a capire il significato strategico e nemmeno quello tattico. E si sta trascinando troppo per le lunghe: maggio è vicino, il giorno 9 i russi festeggiano la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale ed è un anniversario molto sentito da quelle parti, in cui Putin rischia fortemente di arrivare senza avere nulla di concreto in mano. Festeggiare una vittoria storica con le truppe da due mesi e mezzo invischiate in Ucraina senza prospettive di uscirne a breve potrebbe avere riflessi, almeno dal punto di vista del consenso interno, assai negativi per il presidente della Federazione Russa. È un modo di combattere una guerra, di portare avanti una guerra, che sta sfuggendo ad ogni logica razionale almeno dal nostro punto di vista.

Non si è mai visto poi nella Storia un Paese in stato di guerra con un altro continuare, con regolarità e rispetto dei contratti, a fornire una materia prima strategica come il gas il cui uso principale non è per cuocere gli spaghetti o riscaldare le case: la quota maggiore del gas, ad un Paese, serve per alimentare l’apparato industriale. Se questo modo di fare la guerra, che sta andando contro ogni senso tattico-strategico, ha una logica alla quale noi sfuggiamo, questo ad oggi non possiamo saperlo. Possiamo solo fare ipotesi: è una guerra di logoramento, in cui si propone di ritorcere le sanzioni contro l’Europa e i Paesi NATO contando sul fatto che i mercati principali del mondo quali Cina ed India (questi due soli Stati contano oltre due miliardi e mezzo di individui, senza contare brasiliani, argentini, eccetera) continuano a commerciare con Mosca? È una ipotesi, come molte altre.

Il giudizio più prudente ed equilibrato in tempo di "tifoserie" sarebbe quello di dire che non bisogna dare Putin per "sconfitto" ma nemmeno si dovrebbe eccedere in senso contrario: queste settimane sono enigmatiche e impossibili da decifrare ma di una cosa possiamo essere certi: tra un mese o due molti nodi saranno sciolti, perché il conflitto sta diventando pericolosamente troppo lungo per entrambe le parti. Anche per un Paese che può vantare risorse immense e grandi alleanze come la Russia.

Noi rischiamo di uscirne con le ossa rotte ma anche Putin alla lunga può indebolirsi, quindi massima attenzione sul conflitto, senza lasciarsi coinvolgere nel gioco delle tifoserie allo stadio con le due squadre di calcio, perché sono settimane caotiche e quindi tutto potrebbe succedere. Calma e gesso.

Simone Torresani

 
Esercitare la logica PDF Stampa E-mail

8 Aprile 2022

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Nel polverone di una propaganda indecente, l’unico strumento che abbiamo per cercare di individuare una qualche verità è l’esercizio della logica. Si tratta di partire da premesse che siano fondate logicamente e fattualmente, per giungere a conclusioni coerenti con le premesse. Proviamo a iniziare da considerazioni che stranamente non sono fatte da nessuno.

Prima premessa. La Russia odierna non ha nulla a che fare col comunismo. Questa è un’asserzione. Ogni asserzione deve essere definita e dimostrata. Farlo è molto semplice. Oggi in Russia operano i cosiddetti oligarchi, cioè monopolisti miliardari. Dei privati che accumulino fortune gigantesche operando sul mercato sono incompatibili con qualunque idea di comunismo. Seconda premessa. Contro Putin e la Russia si è scatenata una campagna di demonizzazione senza precedenti, usando termini come “macellaio” e “peggiore di una bestia”, che supera perfino quanto si disse di Stalin. Questa raffica di insulti iniziò ben prima dell’invasione dell’Ucraina. Da molti anni Putin è gratificato di epiteti come “dittatore”, “corrotto”, “avvelenatore”, “assassino”. Conclusione coerente con le due premesse: lo scontro fra l’Occidente e l’URSS non è mai stato un conflitto ideologico fra la democrazia e il comunismo. I conflitti ideologici sono sempre coperture di interessi molto concreti. Il “comunismo” dell’URSS non interessava granché all’Occidente e per la stessa URSS era solo uno strumento per tentare di espandersi con la forza attrattiva dell’ideologia. Allora perché quell’ostilità, ora ancora più accentuata proprio quando il comunismo, se mai c’è stato, non c’è più? Usciamo dalla logica per formulare un’ipotesi, discutibile come tutte le ipotesi. Ciò che fa odiare la Russia e i suoi capi è il fatto che quel Paese è abbastanza potente, animato da patriottismo e fiero del proprio ruolo storico da non piegarsi alle pretese di dominio universale da parte dell’Impero anglo-americano. Anche oggi il conflitto fra democrazia e autocrazia (almeno c’è il pudore di non chiamarla più comunismo, ma manca il pudore di ammettere che il regime ucraino è tutto tranne che un modello di democrazia) è solo la stanca ripetizione di uno schema che non significa nulla.

Cerchiamo di esercitare la logica anche nel valutare il tormentone di questi giorni, la strage di Bucha. Partiamo da postulati di un’ovvietà disarmante. In guerra si scatenano gli istinti peggiori. La guerra è brutta. Questa è la scoperta dell’acqua calda. Soltanto i pazzoidi che definirono la guerra “sola igiene del mondo” potrebbero contestarli. Proviamo a procedere. L’esperienza di millenni di storia ci dice che eserciti in ritirata, presi da furore e frustrazione, possono compiere massacri di innocenti. Ci dice anche che i vincitori che subentrano ai fuggitivi si vendicano su chi aveva collaborato col nemico. Solo per limitarci a esempi recenti, si può ricordare cosa avvenne in Vietnam dopo la fuga degli americani. Chi aveva collaborato tentò di fuggire con tutti i mezzi (li chiamarono “il popolo delle barche”, ma chi li ricorda più nella totale ignoranza della storia che marchia la nostra inciviltà?). Chi non riuscì a fuggire finì male. Dopo la partenza dei sovietici sconfitti dai guerriglieri islamici in Afghanistan, chi aveva collaborato con l’invasore non visse a lungo e non morì nel suo letto. Appena un anno fa abbiamo visto la fuga di americani e NATO sempre dall’Afghanistan, e i loro collaboratori che cercavano disperatamente di imbarcarsi sugli aerei che decollavano nel caos. Sapevano che i talebani vittoriosi sono gente poco malleabile e poco conciliante. Pertanto, sulla base di queste considerazioni indiscutibili perché fondate su millenni di fatti documentati, la strage di Bucha può essere stata commessa sia dai russi in ritirata sia dagli ucraini subentranti. Per giungere a una risposta occorre formulare le domande appropriate, che sono tre. È vero o falso che i russi si sono ritirati dalla cittadina il 30 marzo? È vero o falso che i reparti della brigata ucraina Safari sono entrati nella località il 31 marzo? È vero o falso che i cadaveri dei civili riversi sulle strade a centinaia sono stati filmati e fotografati solo il 3 aprile? Se la risposta alle tre domande è “sì, è vero”, la strage è stata commessa dagli ucraini che hanno così punito i collaboratori dei russi. Se la risposta alle tre domande è “no, non è vero”, oppure “è solo parzialmente vero”, il massacro è opera dei russi che si sono sfogati su ostaggi e cittadini innocenti. Come provare le vere responsabilità? Semplicemente mandando sul posto inviati determinati a scoprire la verità. Non succederà perché gli inviati sono pagati per ripetere i comizi di Zelensky.

Luciano Fuschini

 
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7 Aprile 2022

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 Da Comedonchisciotte del 4-4-2022 (N.d.d.)

Saddam, Gheddafi, Iran, Venezuela – tutti ci avevano provato e nessuno ci era riuscito. Ma la Russia è ad un livello completamente diverso. La bellezza del rivoluzionario gas per rubli, il jujitsu geoeconomico applicato da Mosca, è la sua cruda semplicità. Il decreto del presidente russo Vladimir Putin sui nuovi termini di pagamento per i prodotti energetici è stato, prevedibilmente, frainteso dal collettivo occidentale. Il governo russo non chiede affatto il pagamento diretto del gas in rubli. Quello che Mosca vuole è essere pagata alla Gazprombank in Russia, nella sua valuta di scelta, e non su un conto Gazprom in un qualsiasi istituto bancario nelle capitali occidentali.

Questa è l’essenza del poco che equivale a più sofisticatezza. Gazprombank venderà la valuta straniera – dollari o euro depositati dai suoi clienti – alla Borsa di Mosca e la accrediterà su diversi conti in rubli all’interno di Gazprombank. Questo, in pratica, significa che la valuta straniera dovrebbe essere inviata direttamente in Russia, e non depositata in una banca all’estero – dove potrebbe essere facilmente tenuta in ostaggio, o congelata, se è per questo. Tutte queste transazioni, d’ora in poi, dovranno avvenire sotto la giurisdizione russa – eliminando così il rischio che i pagamenti siano interrotti o completamente bloccati.

Non c’è da meravigliarsi che l’apparato servile dell’Unione Europea (UE) – attivamente impegnato a distruggere le proprie economie nazionali per conto degli interessi di Washington – sia intellettualmente incapace di comprendere la complessa questione del cambio degli euro in rubli. Gazprom ha reso le cose ancor più facili inviando notifiche ufficiali alle sue controparti in Occidente e in Giappone. Putin stesso è stato costretto a spiegare per iscritto al cancelliere tedesco Olaf Scholz come funziona il tutto. Ancora una volta, è molto semplice: i clienti aprono un conto presso Gazprombank in Russia. I pagamenti vengono effettuati in valuta estera – dollari o euro – convertiti in rubli secondo il tasso di cambio corrente e trasferiti su diversi conti Gazprom. Così è garantito al 100% che Gazprom verrà pagata.

Questo è in netto contrasto con quello che gli Stati Uniti stavano costringendo gli Europei a fare: pagare il gas russo nei conti Gazprom in Europa, che poi sarebbero stati immediatamente congelati. Questi conti sarebbero stati sbloccati solo alla fine dell’operazione Z, l’intervento militare della Russia in Ucraina. Comunque, gli Americani vogliono che la guerra vada avanti all’infinito, per “impantanare” Mosca, come se questo fosse l’Afghanistan degli anni ’80, e hanno severamente vietato al comico ucraino davanti ad uno schermo verde da qualche parte – certamente non a Kiev – di accettare qualsiasi cessate il fuoco o accordo di pace. Così i conti di Gazprom in Europa potranno continuare ad essere congelati.

Mentre Scholz stava ancora cercando di capire l’ovvio, i suoi tirapiedi economici sono impazziti, facendo balenare l’idea di nazionalizzare le filiali di Gazprom – Gazprom Germania e Wingas – nel caso in cui la Russia decidesse di fermare il flusso di gas. Questo è ridicolo. Sarebbe come dire che, secondo i funzionari di Berlino, le filiali di Gazprom producono gas naturale direttamente nei loro uffici tedeschi dotati di riscaldamento centrale. Il nuovo meccanismo rubli-per-gas non viola in alcun modo i contratti esistenti. In ogni caso, come Putin ha avvertito, i contratti esistenti potrebbero effettivamente essere bloccati: “Se tali pagamenti [in rubli] non verranno effettuati, lo considereremo come un’incapacità degli acquirenti di adempiere ai loro impegni, con tutte le implicazioni del caso.” Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, è stato categorico sul fatto che il meccanismo non sarà sospeso nelle attuali, disastrose circostanze. Ma questo non significa che il flusso di gas verrà immediatamente interrotto. È atteso il pagamento in rubli dai “poco amichevoli” – una lista di stati ostili che include, tra gli altri, Stati Uniti, Canada, Giappone e UE – nella seconda metà di aprile e inizio maggio.

Per la stragrande maggioranza del Sud globale, il quadro generale è chiarissimo: un’oligarchia atlantista si rifiuta di comprare il gas russo, essenziale per il benessere della popolazione europea, mentre è totalmente impegnata nella militarizzazione di tassi d’inflazione tossici nei confronti della sua stessa popolazione. Questo meccanismo gas-per-rubli – chiamatelo Rublogas – è solo il primo tassello concreto nella costruzione di un sistema finanziario/monetario alternativo, in tandem con molti altri meccanismi: il commercio rublo-rupia; il petroyuan saudita; il meccanismo Iran-Russia per l’aggiramento dello SWIFT; e il più importante di tutti, il progetto dell’Unione Economica Cina-Eurasia (EAEU) di un sistema finanziario/monetario completo, la cui prima bozza sarà presentata nei prossimi giorni. E tutto questo è direttamente collegato all’emergere sbalorditivo del rublo come nuova valuta di riserva basata sulle risorse.

Dopo le prevedibili fasi iniziali di negazione, l’UE – in realtà, la Germania – dovrà affrontare la realtà. L’UE dipende da forniture costanti di gas (40%) e di petrolio russo (25%). L’isteria delle sanzioni ha già generato un contraccolpo notevole. Il gas naturale rappresenta il 50% del fabbisogno dell’industria chimica e farmaceutica tedesca. Non c’è un sostituto degno di questo nome, dall’Algeria, dalla Norvegia, dal Qatar o dal Turkmenistan. La Germania è la centrale industriale dell’UE. Solo il gas russo è in grado di mantenere la base industriale tedesca – ed europea – in movimento e a prezzi molto convenienti in caso di contratti a lungo termine. Distruggete questo sistema e avrete turbolenze terrificanti in tutta l’UE ed oltre. L’inimitabile Andrei Martyanov l’ha riassunto così: “Solo due cose definiscono il mondo: l’economia fisica reale e il potere militare, che è il suo primo derivato. Tutto il resto sono derivati, ma non si può vivere di derivati.”

Il casinò turbo-capitalista americano crede alla propria “narrazione” derivata – che non ha nulla a che fare con l’economia reale. L’UE, alla fine, sarà costretta dalla dura realtà a passare dalla negazione all’accettazione. Nel frattempo, il Sud globale si adatterà velocemente al nuovo paradigma: il Grande Reset di Davos è stato distrutto dal Reset Russo.

Pepe Escobar (tradotto da Markus) 

 
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