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Lottano anche per noi PDF Stampa E-mail

21 Ottobre 2021

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L’ho già scritto tempo addietro: il greenpass è il ‘fine’ e non il mezzo. Vi hanno convinti che il greenpass è un escamotage, un ricatto affinché la gente si convinca a vaccinarsi, e così, davanti ad una così grave ammissione da parte del Governo, avete creduto che questa è la verità. Ma la verità è ben diversa, e lo dimostra il fatto che basta anche un tampone per avere il greenpass, quindi è chiaro che lo scopo non è il vaccino. E allora? Lo scopo è di imporre il greenpass, abituare la gente ad avere un passaporto per accedere ai servizi, al cinema, al ristorante. Dunque, alla fin fine: perché non ti vaccini? Una punturina che ti salva la vita e riacquisti i tuoi diritti, la tua libertà. E tu ci pensi: mica capiterà proprio a me di essere quell’1 su mille, lo sfigato che muore di vaccino!  Ma cerco di immaginare cosa può succedere fra uno o due anni.

Un giorno ti presenti al cinema col tuo bel greenpass, ma il lettore non lo accetta. Riprovano, nulla, non lo rileva. Non vedi il film. Ti incazzi. La mattina dopo vai nella farmacia dove ti hanno fatto il greenpass, anche il farmacista non riesce a capire cosa non va nel tuo passaporto verde. Allora vai all’USL. E loro vedono che c’è un blocco nel tuo greenpass e ti dicono di rivolgerti al Comune. E lì scopri cos’è successo. “Lei signore, non ha presentato la dichiarazione dei redditi!” “E questo cosa c’entra col greenpass?” “Con l’ultimo DPCM è stato inserito il blocco fiscale nel green pass!” Allora chiami il tuo commercialista, lo insulti, gli dici che hai il green pass bloccato. Il poveretto in 24 ore ti presenta la dichiarazione, ti paga l’F24. Quindi ritorni al Comune, ma ancora il greenpass non si sblocca. L’impiegata consulta la tua scheda nel suo computer: “Signore, mi risulta che lei non ha ancora pagato una multa per divieto di sosta...” Allora resti di merda. Cominci a capire perché i governi dei conti e dei draghi insistevano tanto per abituarti a vivere con un passaporto verde. E tu che credevi davvero che lo facessero per il tuo bene, perché tenevano alla tua salute, e invece ti hanno fottuto. Grazie alla tua accondiscendenza, al tuo egoismo, ci hanno fottuti tutti! Forse a quel punto ti renderai conto che quelle persone che gridavano in piazza “No green pass!” non erano così coglioni come tu credevi. E stavano lottando anche per te, per la tua libertà.

Franco Caminiti

 
Un copione che conosciamo PDF Stampa E-mail

20 Ottobre 2021

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 Da Rassegna di Arianna del 17-10-2021 (N.d.d.)

È un punto di non ritorno credo. Quello che vedo intorno a me è difficile persino da descrivere per quanto sia angosciante e al contempo ignorato dai più. A prescindere da quello che uno possa pensare su una data questione, al di là delle proprie scelte personali, esistono dei fatti oggettivi che non possono essere ignorati e vanno analizzati lucidamente. Non si vedeva da decenni uno stato che era in grado di far sparire nel silenzio decine di migliaia di persone che protestano. A prescindere da quello che sostengono quelle persone, il fatto che si siano ignorate queste manifestazioni (mentre venivano trasmessi servizi su tg nazionali con persino inviati sul posto per raccontare di sgomberi di rave non autorizzati) dovrebbe fare venire un brivido nella schiena a chiunque. Viviamo in uno stato che ha deciso di applicare un ricatto paragonabile solo a certe leggi fasciste e questo lo dicono anche filosofi e politologi come Agamben. Questo ricatto, di fatto, viola leggi e trattati che hanno molto più valore legalmente parlando, e discrimina di fatto milioni di persone sulla base di una scelta legale e permessa, sulla carta, dallo stato stesso.

Circa il 20% dei lavoratori italiani non vuole il green pass. Il venti per cento. Dopo mesi di manifestazioni, centinaia di migliaia di persone scese in piazza pacificamente e inascoltate, diritti erosi, ricatti, adesso si sono accesi i riflettori. Adesso che si è usata violenza.  È un copione che conosciamo, Cossiga docet. Un copione che ancora funziona evidentemente: infiltrare i movimenti per politicizzarli e avere una scusa per reprimerli. L’assalto alla sede della CGIL è da manuale. Quello che non è da manuale è vedere che a 20 anni dal G8 c’è ancora chi ci casca. Il discorso di Landini all’indomani di questo fatto è da copione: un inno alla resistenza, all’antifascismo, alla difesa dei diritti del lavoro. Gli stessi principi che avrebbero dovuto far muovere i sindacati per proteggere i lavoratori da quello che sta accadendo, ma finora non pervenuti.  L’appello alla mobilitazione generale dopo questo evento è la ciliegina su una torta di escrementi.  La risposta generosa e partecipata a questo appello da parte di chi non ha mosso paglia contro quello che sta succedendo, invece, è il sintomo finale di una metastasi in corso da tempo. Il suo auspicare a una riforma generale del lavoro dopo questo specifico fatto è da brividi, per chi sa leggere tra le righe. Proclami da una parte e violenza dall’altra, tutto purché il copione silenzi quello che succede nelle piazze, le ragioni dei manifestanti e le manganellate prese da giovani, vecchi, mamme.

Ma, anche volendo fare gli ingenui e senza considerare la palese infiltrazione delle manifestazioni pacifiche (sforzandoci parecchio), la destra fa solo quello che sa fare da sempre: cavalcare il malcontento di gente esausta e lasciata sola da organizzazioni governative e non, comprese più colpevolmente quelle di sinistra e per la difesa dei diritti. Ma cavalcare non significa rappresentare e quindi associare le piazze ai fascisti, anche in questo caso, sarebbe per usare un eufemismo, ingenuo e miope. Il vero attacco alle sedi dei sindacati non è quello studiato a tavolino da quattro fascisti che rappresentano lo 0,01% del paese, ma quello che sta avvenendo da molto tempo, globale, massivo che ha spogliati i sindacati dei loro ruoli e in maniera molto più subdola rispetto a quello che è successo ieri, ma come al solito ci si sveglia solo quando si è attaccati da fascisti che si dicono apertamente fascisti, senza nessuna valutazione sociale sul perché e in quale contesto si sia arrivati a questo, anche perché questo vorrebbe dire fare un’autocritica che le varie organizzazioni “di sinistra” non possono permettersi. E quindi ora è il momento della retorica e di slogan antifascisti, di difesa del lavoro e dei diritti. Quando invece, nel silenzio censorio dei media, ci sono decine di migliaia di persone in piazza contro un fascismo mascherato da democrazia che erode i diritti e attacca il lavoro discriminando circa il 20% dei lavoratori, non si fa volare una mosca, anzi.  Questo è solo pericoloso e vile collaborazionismo. Non solo, è una fotografia perfetta di come i fascismi, così come successe in passato, possano subdolamente emergere sulle onde di applausi e mobilitazioni di certi apparati che si proclamano antifascisti.

Massimo Cacciari

 
Nuove comunità alternative PDF Stampa E-mail

19 Ottobre 2021

 Da Rassegna di Arianna del 18-10-2021 (N.d.d.)

E il disordine politico-sociale è il primo passo per l’instaurazione di un nuovo ordine! Tuttavia non dimentichiamo che questo tipo di élite, le élite mondialiste, dominano proprio grazie al caos! È così nel medio-oriente, è così in sud America, i mondialisti, a differenza degli imperialismi nazionali otto-novecenteschi (es. USA e URSS), hanno bisogno del "disordine" per governare, non della stabilità. E ora vorrebbero portare questo disordine anche nell’Europa occidentale, scatenando una guerra civile senza precedenti! A questo proposito potrebbero risalire le violenze della manifestazione del 25 a Roma, violenze “volute”, secondo uno schema della tensione già collaudato in precedenti stagioni politiche! Far pilotare una genuina manifestazione di popolo da una forza criminale, i cui dirigenti sono da tempo a libro paga dei servizi segreti, e avvalorare la tesi secondo la quale un intero movimento di popolo è “fascista”! Il fascismo: l’ossessione mediatica, culturale, sociale dei nostri tempi! Una banda di cretini a reti unificate, ignoranti e in mala fede, dalle televisioni, alle università, passando per talune piazze definisce con questo termine tutto ciò che non capisce, tutto ciò che dissente dalla propria assurda visione del mondo!

Ma il problema di oggi è tutt’altro, ed è il “liberalismo” nella sua versione “totalitaria”, neo liberale, o “rosa”, “liberal”, che ha fatto proprie le battaglie sui diritti, alcuni dei quali depotenziati (civili e mai sociali), altri completamente inventati (Gender). Sono le liberaldemocrazie ad essersi svuotate di senso, con gli organi istituzionali “ufficiali” che han perso definitivamente di potere, a vantaggio delle lobby, delle mafie internazionali, dei gruppi del “dietro le quinte”. Siamo nel XXI secolo, nel terzo millennio, e anche la visione del mondo, la politica, le strategie, i modelli organizzativi, sono cambiati. Non è più il tempo delle istituzioni borghesi, dei parlamenti, dei movimenti di massa, della presa del potere: le nuove comunità vanno costruite daccapo, dalla “base”, sottraendosi istituzione per istituzione, uomo per uomo dallo Stato centrale! Il caos potrà essere dunque un nostro alleato, solo se diretto con chiarezza, lucidità, organizzazione e avendo un progetto: “nuove comunità alternative” nell’economia, nella politica, nella scuola, nella medicina, nelle imprese, nell’agricoltura, nella cultura.

TRASFORMEREMO IL LORO GRANDE RESET NEL GRANDE RISVEGLIO DEGLI UOMINI LIBERI E DEI POPOLI SOVRANI!

Roberto Siconolfi

 
La piazza sia un mezzo, non un fine PDF Stampa E-mail

18 Ottobre 2021

In data 16 ottobre 2021 questo blog ha pubblicato un ottimo articolo intitolato "Opposizione assoluta", scritto da Enrico Caprara. Ho la fortuna di conoscere personalmente l’Autore,  uomo integro e di alta levatura morale che da anni studia i rapporti complessi e interconnessi tra Tecnica , Società e Potere e sicuramente non ne avrà a male se farò una chiosa relativa ad alcuni concetti da lui espressi.

-Fallimento del Transumanesimo e della Quarta Rivoluzione Industriale: penso pure io che sia un "desiderio"(delle élite) o comunque un progetto destinato a fallire, non solo per l’aumento dei processi caotici provocati dalla evoluzione tecnologica o per la struttura articolata della realtà. Un terzo elemento, non indifferente, è che tale processo necessita di una produzione di energia e di materie prime infinite all' interno di un sistema finito quale è il nostro Pianeta (la terraformazione di Marte lasciamola agli sceneggiatori di "Star Trek" e anche se, per assurdo, si potesse compiere, occorrerebbero dei tempi non indifferenti e farebbe prima a finire il sistema a patatrac) e un esempio in scala globale lo stiamo vedendo in queste settimane, con la crisi della logistica e delle materie prime, che va a saldarsi in un mostruoso "diagramma di Venn" dove tutto è interconnesso con la crisi energetica.

Sapete, in poche e semplici parole, che sta accadendo? L' economia mondiale ha avuto una brusca accelerata produttiva dopo mesi di blocchi a singhiozzo e tale scatto, dai più auspicato, ha creato una domanda elevatissima di materie prime e di energia, domanda alla quale l’offerta non riesce a tenere il passo, non perché vi sia mancanza di logistica o di siti produttivi ma per il fatto che il livello di energia per muovere le fabbriche e di materie prime per sfornare i prodotti è largamente insufficiente. Ne consegue un aumento dei prezzi (gas e carbone in primis, col secondo triplicato, alla tonnellata, da 8 a 25 dollari in meno di 18 mesi) e una riduzione delle fonti energetiche, che vanno a colpire le industrie, specie in Cina -la fabbrica del mondo- e per effetto domino salta la distribuzione e la logistica: se si ferma una fabbrica di microchip, ad esempio, l’intera filiera automobilistica mondiale va in tilt, con cassa integrazione e stop come sta accadendo. La Cina sta pensando a centrali nucleari con processo di fissione a torio -232 anziché a uranio-235 e uranio-238, in teoria più sicure e quindi da costruire a volontà, in pratica una centrale a torio abbisogna appunto di torio, che è uno scarto delle terre rare -il nome è un programma e spiega tutto- e ha un coefficiente di rendimento in megawattora molto più basso rispetto a una fissione tradizionale. Che facciamo, riempiamo il mondo di centrali a torio per poi trovarci senza torio? Esistono fotovoltaico, eolico, mareomotrice dirà qualcuno. A parte il fatto che i pannelli sono fatti tra l’altro in polimeri di plastica (derivati del petrolio e siamo ancora punto e a capo) e dopo vent' anni vanno smaltiti, il loro rendimento non è sufficiente a coprire l’enorme fabbisogno che chiederà una Quarta Rivoluzione Industriale. E siamo ancora lì: il cane che si morde la coda. Un simile progetto è destinato al fallimento.

-Opposizione assoluta: è la parte più interessante dell'articolo di Caprara, meriterebbe un capitolo o un libro a parte, cercherò di riassumere. Da tre mesi ho occasione di andare nelle piazze, parlare con la gente. Gira e rigira, togliendo una percentuale di complottismo becero e da letteratura fantasy-rettiliani, flotte di astronavi di Elohim da costellazioni remote, controllo mentale con nanotecnologie nei vaccini, che sono sì un siero sperimentale e non lo faccio per questo, ma non per tali deliri -il grosso della gente fa un discorso così concepito: lottiamo per la libertà di scelta (giustissimo), per i diritti costituzionali (sacrosanto) e una volta finita questa storia si ritorna al lavoro, allo stile di vita del 2019, a fare quello che si faceva prima eccetera. Se qualcuno è sovranista aggiunge: levando l’Italia dalla UE ritornerà il benessere, il lavoro al primo posto e ancora eccetera eccetera. Che ne consegue? Ne consegue che per la maggioranza di chi è in piazza si tratta di un momento contingente, straordinario -nel senso letterale di: fuori dall' ordinario- da far cessare per poi riprendere la giostra.

Bene. Prendiamo atto allora che la maggioranza delle persone non ha capito un cazzo, detto tout court. A una quota di costoro che hanno consapevolezza dico: leggetevi le parole di Caprara, è tutto scritto in poche righe. Fare opposizione assoluta secondo me, nella crisi ormai irreversibile della civiltà che conosciamo, nemmeno significa andare in piazza a disturbare il Potere, ma recarsi in piazza dopo aver letto Junger e cercare i propri simili, costruire una rete di relazioni il più discreta possibile e creare veramente una società parallela, utilizzando gli spazi che una civiltà in crisi ci sta aprendo. Non significa andare in piazza contro il potere elitario finanziario, ma impadronirsi dell’occasione più unica che rara data da questa contingenza storica per liberarsi da gabbie e fardelli quali il lavoro salariato e tutto il luccichìo ormai droga moribonda di una società in putrefazione (il divertimento di massa e l’industria ad esso deputata, i bisogni indotti, ecc.).

Per concludere: la piazza sia un mezzo, non un fine. Lasciamo pure gli altri a contestare il Potere perché vogliono tornare al "prima”, un prima che non ci sarà più, che non ha futuro e che il Potere non riuscirebbe a garantire nemmeno se volesse. Non è tempo di urto frontale col Potere. O meglio, lo faccia chi vuole tornare alle sue certezze prepandemia senza futuro: è tempo di essere il più invisibili possibile per il Potere, il meno ricattabili possibile, in modo che il Potere di noi si preoccupi il meno possibile, che ci veda pure come dei pazzi innocui. Si deve costruire un cantuccio, essere dei pionieri, creando una rete articolata, una comunità in cui gli elementi del profitto, del controllo sociale, del transumanesimo non possano trovare brodo di cultura. Tanto finita questa emergenza ve ne sarà un’altra e poi un’altra e un'altra e un'altra ancora e non saranno nemmeno più emergenze create ad hoc perché il modello stesso in cui siamo inseriti è diventato esso stesso emergenza. Sento l’obiezione: non è un progetto politico, è un rifugio nel privato. Sarà pure un rifugio nel privato, ma seme di pionieri che ricostruiranno dopo le macerie.

 

Simone Torresani

 

 
La disillusione impossibile PDF Stampa E-mail

10 Ottobre 2021

Ho sempre pensato che la maggior parte di coloro che odiano personaggi politici come Trump e Berlusconi lo facciano, senza rendersene conto, perché quest'ultimi, con il loro sfacciato e volgare svilimento della forma democratica (la sostanza, se mai è esistita, è cancellata da tempo), gli impongono di rendersi conto che la stessa democrazia nella quale viviamo è in realtà una farsa.

Oggi che assistiamo ad una fase di accelerazione improvvisa del processo di destrutturazione delle residue vestigia democratiche, queste anime belle che continuano ad aderire al sistema sono poste davanti ad un'evidenza intollerabile.

Se non si è completamente ignoranti o imbecilli (salva la residua minoranza in malafede) è impossibile non rendersi conto che le misure prese ufficialmente per far fronte all'”emergenza” sanitaria costituiscono, specie nel laboratorio italiano, la demolizione di principi neppure costituzionali ma addirittura pre-costituzionali, nel senso che sono fondanti del concetto stesso di democrazia al di là della sua realizzazione formale.

Che ogni legge, Costituzione compresa, possa essere interpretata e rigirata come fa più comodo al Potere è circostanza notoria, ma quando si arriva a subordinare persino il diritto al lavoro alla sottoposizione ad un determinato trattamento sanitario, è chiaro che si sta andando oltre... altro che fare le corna alla Merkel mentre si è immortalati ad una importante riunione internazionale.

Eppure, e penso che sia successo a tutti di assistere a casi simili, anche persone con sufficiente intelligenza e preparazione per rendersene perfettamente conto non si arrendono all'evidenza.

La loro tipica “argomentazione” è: “Perché mai dovrebbero farlo se non fosse effettivamente utile o giusto”?, sottintendendo così che chi afferma il contrario sia il solito complottista.

La verità è che se il drago di turno gli dicesse che la terra è piatta, penserebbero senza entrare nel merito che è impossibile che il drago possa mentire. Perché, se così fosse, tutte le loro certezze maturate in decenni di illusione crollerebbero rovinosamente e, anche psicologicamente, è un fardello troppo pesante da accettare. Un meccanismo che ricorda tanto il celebre soggetto di Matrix.

La pillola rossa rimarrà sempre la scelta di pochi.

Andrea Marcon

 
La vecchia politica dei redditi PDF Stampa E-mail

9 Ottobre 2021

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 Da Comedonchisciotte del 7-10-2021 (N.d.d.)

Draghi ha fatto un gran discorso all’assemblea di Confindustria, giovedì 23 Settembre. La prima grande novità è che egli vede l’inflazione: l’aumento dei prezzi e la difficoltà nelle forniture in alcuni settori. L’economia globale attraversa una fase di aumento dei prezzi, che riguarda anche i prodotti alimentari, i noli e tocca tutte le fasi del processo produttivo. Non sappiamo ancora se questa ripresa dell’inflazione sia temporanea o permanente, strutturale… ma non lo esclude. Anzi, scopo del discorso è presentare le sue proposte per fermare l’inflazione.

Fermare l’inflazione. Già, ma come? Anzitutto, con investimenti specifici nei semiconduttori, ma è roba per il “lungo periodo”. Poi, con un consorzio di acquisti Ue per le materie prime, ma quasi gli scappa da ridere mentre lo dice, visto il paragone che egli fa con un supposto “successo” del consorzio di acquisto Ue per i vaccini … che tutto è stato, meno che un successo, viste le condizioni capestro imposte dai venditori. Infine, la sua soluzione regina: se l’inflazione dovesse rivelarsi duratura, sarà particolarmente importante incrementare il tasso di crescita della produttività, per evitare il rischio di perdita di competitività internazionale. Incrementare il tasso di crescita della produttività. Già, ma come? Apparentemente, con il mitico Recovery Fund. E qui egli si dilunga specialmente sulle virtù salvifiche delle riform€ che lo accompagnano: la concorrenza, anzitutto … cioè a dire la messa a gara delle concessioni marittime e balneari che (secondo lui) sarebbero “rendite”; riforma della giustizia; semplificazioni; e poi la flex-security, necessaria visto che “la transizione ecologica non è una scelta, è una necessità” ma (lo aveva spiegato lo scorso maggio a Porto) causerà molti disoccupati. Senza dimenticare “la struttura ministeriale per la gestione e il monitoraggio del Piano”, “la consultazione pubblica sulla banda larga” e “gli importanti investimenti nei porti e nello sviluppo dell’economia del mare”. Tutto ciò consentirà (secondo lui) di “sciogliere i nodi strutturali che legano da anni il nostro Paese”.

Ma sciogliere i nodi strutturali basta ad incrementare il tasso di crescita della produttività e, quindi, a fermare l’inflazione? No, non basta. Lo dice lui stesso: Un governo che cerca di non far danni è già molto, ma non basta purtroppo per affrontare le sfide dei prossimi anni. Non basta. E perché non basta? A causa delle sfide dei prossimi anni. E quali sono queste sfide? “in primis le tensioni geopolitiche, il protezionismo, ma anche il probabile mutare delle condizioni finanziarie, il graduale affievolirsi degli stimoli di bilancio”. Tale affermazione è in contraddizione con altre che lui fa nel discorso: che “il Governo da parte sua non ha intenzione di aumentare le tasse” e che “questa fase richiede una politica di bilancio equilibrata ed efficace”. Una contraddizione che lui nel discorso non scioglie. Ma la soluzione della quale è evidente a chiunque abbia presente che le condizioni finanziarie e, quindi, la possibilità di fare stimoli di bilancio dipendono non da Draghi, ma dagli acquisti di BCE. E, siccome Draghi vede l’inflazione, conseguentemente egli non può non vedere pure la fine degli acquisti. D’altronde, Reuters ha appena confermato che BCE vede l’inflazione ben meno temporanea e ben più alta delle proprie previsioni ufficiali. E la stessa Reuters ha confermato che l’illusione italica di sostituire il programma di acquisti straordinari PEPP con un aumento del programma di acquisti ordinari APP è, appunto, un’illusione. Come potrebbe mai, Draghi, non aumentare le tasse se BCE lo abbandona? Dunque, ed è Draghi a dirlo, il mutare delle condizioni finanziarie produrrà l’affievolirsi degli stimoli di bilancio … nonostante il Recovery Fund. Ebbene, per forza che il Recovery non basta per affrontare le sfide dei prossimi anni: sarà compensato da una stretta monetaria e fiscale. Ripetiamolo: non è un sovversivo No Euro anti-sistema a dirlo … ma il Gran Maestro di tutti gli €risti!

Che gli resta? Un appello all’unità nazionale: “occorre essere uniti per non aggiungere incertezza interna a quella esterna”. Per fare cosa? Per fare ciò che si fece negli anni del boom economico prima dell’autunno caldo del 1969: un “sistema di relazioni industriali”, caratterizzato da una notevole moderazione salariale. La vecchia politica dei redditi, per l’occasione ribattezzata “un patto economico, produttivo, sociale del Paese”, “una prospettiva economica condivisa”, “mettersi seduti tutti insieme e cominciare a parlare”, “una prospettiva di sviluppo – o vogliamo chiamarla patto – a beneficio anche dei più deboli e delle prossime generazioni” … ma sempre della vecchia politica dei redditi si tratta. Orbene, la politica dei redditi è quella cosa per cui il costo del lavoro cresce solo in proporzione all’aumento della produttività. A sua volta, la produttività è il rapporto fra il valore della merce prodotta ed il costo delle ore lavoro necessarie a produrla. Ma le imprese non producono se non vendono. Quindi, perché i salari aumentino, è necessario che aumentino le vendite delle imprese. Tali vendite possono aumentare in tre modi: – anzitutto, in presenza di una crescita generalizzata della domanda. Ma è lo stesso Draghi implicitamente ad escluderlo, quando parla di tensioni geopolitiche, protezionismo, mutare delle condizioni finanziarie e affievolirsi degli stimoli di bilancio. – in secondo luogo, le vendite possono aumentare perché le imprese conseguono un vantaggio competitivo attraverso nuovi investimenti. Ma queste ultime investirebbero solo a condizione di poter operare in un quadro finanziario stabile, cioè a condizione di essere certe di non dover subire una ripetizione del 2011: cosa che solo BCE potrebbe promettere e non promette, anzi. D’altronde, è lo stesso Draghi implicitamente ad escluderlo, quando parla del mutare delle condizioni finanziarie e dell’affievolirsi degli stimoli di bilancio. Sì, certo, a Draghi è partita la vena lirica: chiama le imprese a “la responsabilità nazionale” (che non può essere altro che fare investimenti), per poi scadere nella peggio retorica (“vorrei che la pagina che state scrivendo oggi con il vostro impegno fosse ricordata come un momento storico … Sono certo, conoscendo le virtù dell’impresa, che sarà una pagina di cui l’Italia andrà fiera”). Ma sono parole vuote; – in terzo luogo, le vendite possono aumentare perché le imprese aumentano i prezzi meno dell’inflazione, se pure il costo del lavoro aumenta meno dell’inflazione ovvero gli stipendi vengono semplicemente tagliati. Quest’ultimo non è un caso limite: ha ampi precedenti (il ministro De Stefani, 1922-23), esempi contemporanei (Alitalia) ed è stato esplicitamente indicato da Draghi nella famosa lettera a Berlusconi del 2011 (“il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego … se necessario, riducendo gli stipendi”). Il povero Enrico Letta, il quale festeggia e dice di voler fare “sul modello di quello che fece Ciampi”, non ha capito che Ciampi operava dentro condizioni monetarie che si facevano espansive, mentre qui sarebbe l’inverso. Sarà possibile acquisire il consenso del lavoro a concedere un proprio impoverimento sostanziale dentro un nuovo 2011? Ne dubitiamo fortemente.

Insomma, è quella di Draghi una nuova prospettiva di sviluppo? No, non è nuova. Ma solo l’ennesima ripetizione della sua vecchia ricetta: la svalutazione interna. L’ultima volta l’aveva espressa ai Lincei. Questa vecchia prospettiva di sviluppo può funzionare? Sì, potrebbe. Ma è completamente dipendente dal benvolere di imprese e lavoro. Il quale, a sua volta, dipende dal benvolere di BCE. E, siccome il benvolere di BCE sta per trasformarsi in un nuovo 2011: Draghi è in trappola. Può Draghi uscire dalla trappola? Dentro l’Euro, solo ricorrendo allo stato di eccezione. All’Assemblea di Confindustria, egli ha scandito: “nessuno può chiamarsi fuori”. Perché, viene da domandarsi, perché non posso tirarmi fuori? Se mi tiro fuori, cosa mi succede? Draghi non lo dice. Ma loda il Green Pass come “uno strumento di libertà, di sicurezza”. Cioè, loda uno strumento esplicitamente autoritario come uno strumento di libertà: la repressione è libertà, il nero è bianco, il gatto è un cane, il cavallo bianco dell’imperatore era nero … e nessuno può chiamarsi fuori. È già pronto il Green Pass per togliere dal mercato gli imprenditori che non avranno aderito al patto di sviluppo? È già pronto il Green Pass per togliere lo stipendio ai lavoratori che si saranno chiamati fuori dalla politica dei redditi? È già pronto il Green Pass per togliere i soldi dai conti correnti di chi non li avrà investiti come vuole Draghi? È già pronto il Green Pass per escludere dai seggi gli elettori che non vorranno votare per il partito della responsabilità nazionale? Non ci stupiremmo. D’altronde, il Green Pass ha fatto saltare ogni vincolo costituzionale, nel tripudio dei partiti, nel silenzio delle Corti e con la firma del Presidente della Repubblica. Ormai tutto è possibile.

Musso

 
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