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Tutti i sintomi di una fase finale PDF Stampa E-mail

27 Maggio 2024

 Da Rassegna di Arianna del 26-5-2024 (N.d.d.)

La guerra in Ucraina si configura sempre di più per uno scontro socioculturale sulle diversità dei modelli di sviluppo, da una parte il sistema occidentale e dall’altra parte il resto del mondo; al primo afferiscono circa 1,2 mld. di persone nelle economie avanzate mentre al polo opposto se ne contano circa 6,7 mld. Si tratta di uno scontro tra economie basate sulla produzione ed economie sempre più basate sui servizi e sulla finanza: uno scontro tra economia reale ed economia finanziaria, un modello che a Occidente ha prevalso fino ad oggi ma ora si trova di fronte ad un inesorabile declino.

Il modello occidentale si è via via plasmato sulla rivoluzione finanziaria avviata nel 1971, quando Nixon dichiarò che la stampa del dollaro sarebbe stata sganciata dal controvalore reale dell’oro mettendo fine al sistema monetario basato sul “gold exchange standard “. La conseguenza fu la formazione di un “limbo” finanziario sganciato da qualsiasi bene concreto e reale, dove la stampa della carta moneta avviene all’infinito senza limiti o vincoli, mentre la finanza si muove in uno spazio etereo senza mai incontrarsi con il mondo reale, che rimane finito e misurabile. Due strade parallele.

È in tale contesto che nasce “Il tempo del dollaro”: per dare un qualche valore a una moneta ormai “eterea”, infatti, gli Usa inventano il petrodollaro ed il sistema Swift, che obbligano i paesi occidentali ad usare il dollaro rafforzandolo come moneta di riferimento. La svolta per la definitiva affermazione avviene poi con la caduta del muro di Berlino, che eliminando il principale avversario politico ed economico lascia campo libero al dominio della finanza e del dollaro come moneta globale di riferimento. La finanza diventa allora una verità incontrovertibile e l’economia cambia il suo DNA da scienza sociale a scienza positiva. Dice il premio Nobel 1994 Lucas: “I mercati finanziari non sbagliano mai nell’allocazione”.  Cinque anni dopo Clinton abolisce la Glass Steagall Act, nata per tenere separate le attività delle banche d’affari da quelle commerciali e i lupi entrano nel recinto cominciando a creare le prime bolle finanziarie. La finanza diventa il mantra che consente il più rapido arricchimento, anche se finirà per distruggere il sistema occidentale che sposa la finanza in modo assolutamente acritico. La finanza e il dollaro, infatti, segnano un predominio negli equilibri globali, ma generano un crescente volume di debito e strumenti finanziari che rendono tale debito esplosivo. Con i derivati e con il sistema bancario ombra arriviamo a 4 quadrilioni (quattro miliardi di miliardi in dollari). E l’Occidente resta cieco. La fase finale di tutti gli imperi include sempre disavanzi e debiti eccessivi, inflazione, una valuta che crolla, decadenza e guerra, e l’occidente presenta tutti questi sintomi.

Agli inizi degli anni Novanta salta anche il sistema delle repubbliche sovietiche, la Cina fa i primi passi nell’economia e il potere che si viene a creare nelle mani degli Usa non trova contrappesi a bilanciarlo alimentando la loro cultura della guerra come fattore di dominio e di sviluppo. Abbiamo le guerre del Kossovo, dell’Afganistan, dell’Iraq, della Siria, del Libano…, che consentono di occupare ampie zone dell’est asiatico favorite dal complesso militare, industriale, politico e congressuale. La cultura finanziaria non ammette repliche e consente il più rapido arricchimento e così quote crescenti di produzione vengono dislocate in paesi del terzo mondo che hanno costi infinitamente bassi. La strategia onnipotente di conquista non percepisce il cambiamento a oriente, della Cina e poi nei primi anni del 2000 anche della Russia e continua a smantellare l’attività manifatturiera per favorire i giochi della finanza. Gli equilibri però cominciano a cambiare e il modello comincia a deteriorarsi dall’interno con le bolle finanziarie che si susseguono sempre più ampie e profonde, mettendo il sistema in un cul de sac: più è alto il debito, infatti, più il debito ha bisogno di crescere alimentando un circolo vizioso senza fine. È lo schema Ponzi a moto perpetuo. Fino a quando il sistema non può che implodere.

Gli Stati Uniti, infatti, sempre convinti della loro superiorità, cominciano ad allagare il sistema economico e finanziario di moneta fiat, cioè senza sottostante, e cominciano le prime bolle e le prime smagliature nella tenuta del debito Usa e del dollaro come moneta di riserva globale, che dalla fine del gold exchange standard ha perso oltre il 90 % in termini reali preparando la sua fase finale. Abituati a gestire la bilancia commerciale sulla tenuta del dollaro, gli Usa assistono le prime spaccature: il debito sul pil si avvita a spirale, avvicinandosi al 140%, crescendo più rapidamente del prodotto interno lordo e spingendo Paesi a dismettere le riserve di dollari a favore di altre monete oppure dell’oro. Illusi dalla loro superiorità militare e finanziaria, gli Stati Uniti   perdono di vista gli equilibri interni, con il risultato che - di fatto - non hanno mai avuto un avanzo primario e la bilancia dei pagamenti presenta un debito di 53.312 mld /$ contro una posizione attiva di 35211 mld /$ con un disavanzo di 18.101 mld /$.

A sorpresa, se guardiamo alla Russia, troviamo invece conti ben più in ordine. Il suo rapporto debito/pil è pari al 14 %, non ha debiti e presenta una bilancia commerciale positiva come la Cina. L’economia russa è dunque più sana di quanto ci viene raccontato con un deficit di bilancio del 2,3 % rispetto al 5,4 % degli Usa. Fino ad oggi tale precario equilibrio è stato sostenibile grazie al ruolo di moneta globale assunto dal dollaro, ma l’attuale contrapposizione sul campo di guerra sminuisce il predominio del dollaro nella denominazione dei prezzi di una buona parte di materie prime.

La sorte della finanza Usa ha contagiato anche i Paesi occidentali che hanno subito l’occupazione finanziaria acriticamente, seguendo la strategia statunitense sia per mancata indipendenza che per eccessiva sottomissione: abbiamo perso aziende che hanno fatto grande l’Italia e adesso ci si presenta il conto. Il ricorso senza limiti al QE ha fatto stampare volumi di carta moneta fiat, ma la domanda di quella moneta si è ridotta avviando una svalutazione di fatto quando manovre come quella del petrodollaro non sono più ripetibili. Le conseguenze per i finanziamenti dei governi occidentali non saranno leggere: per decenni gli Usa hanno fatto affidamento sugli stranieri che accumulavano dollari per reinvestirli in TBUsa e la liquidazione di queste posizioni in un momento in cui i bilanci entreranno in recessione è destinata a salire.

La vera sfida alla cultura occidentale della finanza viene portata dagli altri paesi dell’est e del sud del mondo che rappresentano la manifattura e l’economia reale e che sono stati capaci di sviluppare un modello alternativo alla finanza illusoria. Non c’è da stupirsi che nazioni importanti nel settore energetico stiano abbandonando la nave. I Brics e gli altri paesi stanno già preparando l’alternativa al dollaro con una moneta possibilmente legata all’oro ed un sistema monetario scollegato dallo Swift. Questo grazie alla leva di economie che sono legate alla produzione di merci, dove le attività finanziarie sostengono attività non finanziarie con speculazioni finanziarie minime e dove il sistema è autosufficiente in termini di merci, materie prime e mano d’opera. A conferma del cambio la Cina ha accumulato oro per circa 23.000 tonnellate, la Russia sembra ne abbia a disposizione 12.000, mentre gli Usa ne hanno ufficialmente 8000. Questo oro è destinato a sostituire le valute fiat e la ripresa delle ostilità in Ucraina rischia di destabilizzare completamente un sistema finanziario già esposto al collasso. La struttura dell’economia americana e del suo debito non sono tali da consentire agli Usa il predominio globale e nuovi equilibri si vanno definendo.

Forse la spinta alla guerra senza ricorso a forme di pacificazione in Ucraina rischia di essere una svolta negli equilibri globali.

Fabrizio Pezzani

 
Senza via d'uscita PDF Stampa E-mail

23 Maggio 2024

Da Rassegna di Arianna del 20-5-2024 (N.d.d.)

Tutte le società sono governate da una élite, che sfrutta e controlla il resto del corpo sociale. Ciò che fa della nostra élite anglo-americana un vero e proprio tumore maligno,  è che essa si regge sull’imposizione di una moneta di riserva internazionale, che è al contempo una moneta debito generatrice di un debito sempre crescente e non rimborsabile, quindi uno squilibrio essenziale e ingravescente nel tempo, compensabile solo con un'escalation incessante di depredazione e violenza. Fintanto che il dollaro o qualsiasi altra moneta debito verrà imposto come moneta di riserva e degli scambi internazionali, non vi sarà pace nel mondo. Auspico che gli USA tornino ad essere una grande potenza produttrice ed esportatrice. Adesso sì sono ridotti a produrre poco ed esportare quasi niente (se non con l'imposizione, come il metano che ci vendono a prezzo quadruplo di quello che pagavamo alla Russia), e ad importare e comprare moltissimo dal mondo "pagando" con una moneta inflazionata e screditata, che devono imporre agli altri paesi con l'intimidazione e con la guerra, spacciandole per protezione della sicurezza internazionale: praticamente imitano l'estorsione e la "protezione" mafiosa, applicandole su scala globale. Ma non si può vivere per sempre di rendita ed estorsione.

In Italia, intanto, ci ritroviamo con una bella bomba finanziaria: in base ai nuovi Patti di stabilità l'Italia deve tagliare 13 miliardi all'anno di spese e contemporaneamente sostenere i costi per la guerra e per la Green transition: 273 miliardi stimati per l'efficientamento energetico della casa entro il 2030: semplicemente, non è possibile, se non facendo ciò che vogliono i falchi europei, ossia mettere le mani direttamente sul risparmio degli italiani. Non avrete più niente e sarete felici. Però l'Asse del Male sono gli altri. Col tempo la guerra mostra a tutti il suo vero volto, ma a pochi i suoi veri beneficiari, perché questi controllano le notizie. Quando nel secondo dopoguerra l'Europa e il Giappone si legarono economicamente e monetariamente agli Stati Uniti, la cosa aveva un senso, perché questi avevano un'economia fortemente produttiva, trainante e a credito, mentre ora hanno un'economia produttivamente svuotata, fortemente a debito e parassitaria. Perciò oggi Trump minaccia sanzioni contro quei paesi, soprattutto Brics, che osino sostituire il dollaro come moneta di riserva e scambio internazionale, dicendo che sarebbe una sorta di sedizione. Ma la sua minaccia è una ammissione che il dollaro sta traballando, minato dalla profonda deindustrializzazione degli USA e sotto il peso dei 34.000 miliardi di debito pubblico, di cui più di un terzo formatosi dal 2020 in qua; e invero da tempo ormai il dollaro riesce ancora ad imporsi solo attraverso minacce, interventi militari e  colpi di stato contro i governi "sediziosi", come in passato contro la Libia e l'Iraq. Proprio perché agonizzante, l'Impero del dollaro è sempre più pericoloso, aggressivo, guerrafondaio, mentre i mezzi con cui le banche centrali gestiscono il disastro del debito insostenibile assomigliano all'accanimento terapeutico su di un malato terminale: alzano i tassi e strangolano Stati, banche commerciali e tutto il settore finanziario. Poi abbassano i tassi, e l'inflazione distrugge il potere d'acquisto delle valute.

Non c'è via d'uscita, ma solo un barcamenarsi alternando somministrazioni di stimoli monetari da una parte e strette sui tassi dall'altra: come dare a un moribondo un cocktail di farmaci per combattere i sintomi prima, poi un altro cocktail contro i loro effetti indesiderati, e dare a credere che il paziente possa guarire.  Analoga funzione pseudo terapeutica, mirante a guadagnar tempo espandendo il credito e l’emissione di titoli, hanno misure come la pandemia, la Green Transition e la crociata contro la Russia. I gestori di questa manipolazione ci chiamano a pagare, rischiare e combattere per prolungare la vita al loro sistema fallimentare, mentre ci stanno costruendo addosso uno stato di sorveglianza e bio-manipolatore di tipo orwelliano, liberticida e depredante. Fallimentare non solo sul piano economico e monetario, ma anche su quello civile, sociale, culturale: una società in via di impoverimento e disgregazione all'insegna di una crescente ingiustizia. E che non riesce nemmeno a imporsi contro un nemico che è un ventesimo in fatto di PIL e un decimo in fatto di popolazione.

Gli interventi che si fanno su sistemi molto complessi, quale è lo scacchiere mondiale, producono effetti spesso opposti a quelli preannunciati. Così, mentre nuoce gravemente a noi, l'insieme delle sanzioni teoricamente dirette contro la Russia, che doveva tagliare le gambe a quel paese entro pochi mesi, sta invece rafforzando la sua economia perché spinge Mosca ad investire nella propria industria, nel renderla indipendente, e a uscire dal globalismo commerciale, rafforzando al contempo i rapporti con la Cina, l'India e persino la Corea del Nord. Inoltre, la risana psicologicamente dalle manie cretine e alienanti importate dall’Occidente, manie di correre dietro ai brands e alle griffes. La gente si rivolge di più alle cose vere, allo studio  e alla cultura.

Noi invece stiamo spendendo e arrischiando non per difendere l'Ucraina o Israele, bensì il vacillante signoraggio internazionale del dollaro. È dura essere vassalli del paese detentore della moneta di riserva internazionale, soprattutto da quando questo è sovraindebitato. Non bisogna dimenticare mai che, storicamente, l'Unione Europea è un progetto della CIA così come  Pinochet, Zelensky e le primavere arabe; mentre l'Italia unificata del 1861 fu un progetto della classe bancaria londinese, così come la Jugoslavia del 1918. Intanto, però, la Russia che tiene testa anche industrialmente all'occidente pur avendo un PIL pari a un ventesimo, confuta il mito del PIL come misuratore della forza economica di una nazione, e raccomanda di usare invece il PPP, PURCHASE POWER PARITY, cioè il potere d'acquisto comparato. Altrimenti si continuerà a scambiare per ricchezza reale il fatturato di improduttivi servizi e scambi finanziari, inutili sia per sfamarsi che per combattere una guerra, e che possono venire imposti al mondo soltanto con la minaccia.

Marco Della Luna

 
Campagna elettorale che ignora il tema decisivo PDF Stampa E-mail

21 Maggio 2024

 Da Comedonchisciotte del 20-5-2024 (N.d.d.)

Le elezioni per il nuovo parlamento europeo si terranno dal 6 al 9 giugno, a seconda dello Stato membro. I parlamentari avranno solo un potere molto limitato: voteranno le leggi elaborate dalla Commissione che, fin dalla sua istituzione, non è stata altro che cinghia di trasmissione della Nato all’interno delle istituzioni europee. La Commissione si appoggia sia sul Consiglio dei capi di Stato e di governo sia sul padronato europeo (BusinessEurope). I parlamentari hanno anche un altro potere: quello di formulare risoluzioni, ossia pareri a maggioranza semplice, che però nessuno legge né tantomeno gli dà seguito. Poiché l’attuale maggioranza è atlantista, tutti questi pareri riprendono la propaganda logorroica della Nato.

Negli Stati membri queste elezioni sono tradizionalmente sfogatoi per gli elettori. I governi quindi le temono e incoraggiano una proliferazione di liste alternative nei territori dei concorrenti. In Francia, dove la legislazione sul finanziamento delle campagne elettorali è molto restrittiva, il denaro che gli Stati Uniti e l’Eliseo iniettano in queste campagne proviene prioritariamente da Stati esteri (generalmente africani) e dalle imprese che stampano il materiale elettorale dei candidati. Questa strategia porta a un’impressionante proliferazione di liste: già 21 in Francia e 35 in Germania! Sebbene le elezioni avvengano sempre per lista, ogni Stato ha un proprio sistema di voto. Nella maggior parte dei casi si tratta di liste bloccate, come in Germania e in Francia. In altri Stati, come Irlanda e Malta, le liste sono trasferibili: ogni seggio da ricoprire viene votato singolarmente (il che riduce il ruolo dei partiti, pur mantenendo la proporzionalità). In altri casi ancora, come in Svezia e Belgio, gli elettori possono modificare l’ordine della lista da loro scelta. Oppure, come in Lussemburgo, possono votare candidati di liste diverse. Ognuno di questi sistemi di voto presenta vantaggi e svantaggi, ma non misurano tutti la stessa cosa. I Trattati avevano previsto partiti europei, che però non esistono; segno che non esiste un popolo europeo. I partiti nazionali sono quindi spinti a coalizzarsi in alleanze per designare il proprio candidato alla presidenza della Commissione europea. Tra questi candidati il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo sceglierà. Questo metodo di elezione indiretta è stato introdotto nel 2014. In pratica, la coalizione più grande viene identificata in anticipo. Jean-Claude Juncker e in seguito Ursula von der Leyen sono stati quindi designati prima che la loro coalizione conquistasse la maggioranza relativa. Perché Mario Draghi possa imporsi a capo della Commissione, sarà necessario che la coalizione arrivata prima cambi bandiera all’ultimo momento: dopo la presentazione del suo rapporto sulla competitività delle imprese europee, Draghi verrebbe scelto per sostituire la ricandidatura di Ursula von der Leyen. Un maneggio che consentirebbe di cambiare brutalmente i temi in discussione: durante il periodo elettorale si discute dei risultati dell’amministrazione von der Leyen, ma poi, improvvisamente, il tema centrale diventa federare l’Unione europea a scapito degli Stati membri. È un argomento di cui gli elettori non capiscono nulla. Possono capire che «L’Unione fa la forza», ma non capiscono le conseguenze che si ripercuoterebbero su di loro se gli Stati membri scomparissero. L’Unione europea non è affatto un organismo democratico, ancor meno lo sarebbe lo Stato-Europa.

Anche se Mario Draghi non potesse presentarsi, la domanda centrale, ma occultata, rimarrebbe questa: «Le popolazioni dell’Unione europea devono o no formare uno Stato unico, benché oggi non formino un popolo unico?». In altre parole, accetteranno che le decisioni vengano loro imposte da una maggioranza di “regioni” (non si parlerebbe più di Stati membri) cui non appartengono? Questa problematica fu esplicitamente posta dal cancelliere tedesco Adolf Hitler nel 1939. Egli voleva creare una Grande Germania, composta da tutti i popoli di lingua tedesca, al centro di una costellazione di piccoli Stati europei, ciascuno fondato su un particolare gruppo etnico. Dopo la caduta del Reich, nel 1946 il primo ministro britannico Winston Churchill avrebbe voluto creare gli Stati Uniti d’Europa, cui il suo Paese non avrebbe in alcun modo partecipato. L’idea era che “l’impero su cui non tramonta mai il sole” potesse confrontarsi con un unico interlocutore, comunque non in grado di competergli. Anche questo progetto non fu realizzato: qui la spuntò il «mercato comune». È su questo che torniamo ora.

In ambito economico, l’Unione si sta muovendo verso una specializzazione del lavoro. Per fare esempi, alla Germania andrebbe l’automobile, alla Francia toccherebbero i prodotti di lusso e alla Polonia i prodotti agricoli. Ma come reagiranno gli agricoltori tedeschi e francesi che saranno sacrificati all’interesse di quelli polacchi, o i produttori di auto polacchi, a loro volta sacrificati a beneficio di quelli tedeschi? In ambito di politica Estera e di Difesa, l’Unione ha sposato la linea atlantista. In altre parole difende le stesse posizioni di Washington e Londra. Ma questa linea potrebbe essere imposta a tutti, anche agli ungheresi, che si rifiutano di diventare antirussi, o agli spagnoli, che si rifiutano di sostenere i genocidari israeliani. Secondo i Trattati, la Difesa dell’Unione è affidata alla Nato. Il presidente statunitense Donald Trump pretendeva che questa difesa non costasse nulla agli Stati Uniti e che gli europei aumentassero le spese militari al 2% del PIL. A oggi solo 8 Stati su 27 lo hanno fatto. Se la Ue diventasse un unico Stato, il desiderio di Washington diventerebbe un obbligo per tutti. Per alcuni Paesi come l’Italia, la Spagna e il Lussemburgo, ciò significherebbe un’improvvisa riduzione dei programmi sociali. È improbabile che le popolazioni lo apprezzerebbero. Inoltre, c’è il caso particolare della Francia, che è membro permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e possiede la bomba atomica. Dovrebbe mettere queste prerogative al servizio dello Stato unico, con il rischio che la maggioranza del Consiglio europeo le usi contro le opinioni dei francesi. Ma anche in questo caso le popolazioni non lo accetterebbero. Tra l’altro, lo Stato-Europa (che non ha nulla a che vedere con il continente europeo, molto più esteso) sarebbe quindi un impero, costretto però ad accettare che parte del suo territorio, Cipro Nord, sia occupata dalla Turchia dal 1974.

Nessuno di questi problemi è nuovo: a causa di essi alcuni politici europei, tra cui il generale Charles De Gaulle, acconsentirono al “mercato comune” e rifiutarono “l’Europa federale”. Oggi sono di nuovo al centro delle preoccupazioni dei leader europei atlantisti, ma non dei loro popoli. Ecco perché faranno di tutto per nasconderli in queste elezioni. È la questione centrale, ma anche quella che inquieta di più. A questi problemi politici si aggiunge quello organizzativo. L’era industriale ha lasciato posto a quella dell’informatica e dell’intelligenza artificiale. Le organizzazioni verticali dell’inizio del XX secolo, in economia e in politica, hanno lasciato posto a organizzazioni orizzontali e in rete. Il modello verticale dello Stato-Europa è quindi superato prima ancora di nascere. Inoltre, chiunque conosca quest’enorme macchina amministrativa, ne ha già visto la futilità: alla fine serve solo a rallentare la crescita che invece sarebbe supposta stimolare. L’Unione è ormai molto indietro rispetto a Cina, Russia e Stati Uniti; il progetto federale non solo le impedirà di riprendersi, ma la farà addirittura retrocedere rispetto alle potenze emergenti.

Si potrebbe pensare che i sostenitori dello Stato-Europa abbiano interesse ad attrarre un’ampia partecipazione per legittimare il loro progetto. Non è così: il progetto federale non viene discusso in questa campagna elettorale, ma se ne discuterà il giorno successivo, con Mario Draghi. Quindi tutti stanno facendo il possibile per sottolineare che l’Unione organizza delle elezioni (fatto ritenuto sufficiente a renderla democratica) ma al tempo stesso si assicurano che il minor numero possibile di persone s’intrometta. La partecipazione, nell’intera Unione, potrebbe non raggiungere la metà degli elettori.

Thierry Meyssan ( Traduzione di Rachele Marmetti)

 
La giornata mondiale della libertà di stampa PDF Stampa E-mail

19 Maggio 2024

 Da Rassegna di Arianna del 5-5-2024 (N.d.d.)

Il 3 maggio è la “giornata internazionale della libertà di stampa”. La ricorrenza, come altre simili, è stata promossa dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1993, in piena fase di trionfo neoliberale, in un periodo in cui si assumeva che oramai esistesse una sola forma di civiltà in procinto di diffondersi nel mondo, quella esemplificata dagli USA. Che gli USA da sempre avessero un rapporto piuttosto controverso con la “libertà di stampa” e con il senso da attribuire all’informazione pubblica (vedi “Quinto Potere” di Sydney Lumet) non pareva più essere un problema.

Anche la libertà di stampa fa parte di quei diritti umani sanciti dalla carta del 1948 (art. 19) e che iniziarono ad assumere uno statuto significativo solo all’indomani del crollo dell’URSS, quando si riteneva che quei diritti potessero essere gestiti senza troppi problemi dall’unica superpotenza egemone rimasta. È questa la fase in cui i diritti umani vengono branditi come un mezzo per lanciare campagne militari o di discredito sempre rigorosamente rivolte ai nemici degli USA (l’era delle “guerre umanitarie”: Iraq, Afghanistan, Serbia, ecc.) Ma inaspettatamente, più o meno a partire dagli esiti della crisi subprime, dunque dagli anni ’10 del XXI secolo, alcuni contropoteri hanno iniziato ad emergere nel mondo a guida americana, minacciando il monopolio della verità e dell’informazione internazionale. Inizia con ciò una fase nuova, in cui l’Occidente, cioè i bungalow dell’Impero americano, iniziano ad avere reazioni sempre più isteriche di fronte alle pretese della libertà di informazione.

È del 2010 l’inizio della persecuzione di Assange (del novembre 2010 è l’accusa, oramai certificata come farlocca, di stupro in Svezia). Con il Covid si arriva ad un’ulteriore stretta, che dura tutt’ora: inizia la sistematica chiusura di siti, pagine web, la cancellazione di video, la chiusura di piattaforme in rete, l’utilizzo sistematico di algoritmi di oscuramento per parole chiave, ecc. L’utilizzo delle costruzioni di stampa con intenti militanti diviene ora costante. Oggi sappiamo che erano costrutti di stampa già alcuni eventi decisivi (stragi, bombardamenti con armi chimiche) per gli interventi in Serbia o in Siria. Ma per venire a eventi ancora in corso, è notizia di stamane la conferma che i famosi “40 bambini decapitati” da Hamas a inizio conflitto è stata anch’essa una menzogna costruita e propagata ad arte per giustificare ciò che è seguito. Con adeguato ritardo, quando non serve più, alcune smentite riescono ancora a trovare la luce. Sulla vicenda pandemica solo con enorme fatica inizia, qua e là, ad emergere qualche scampolo di verità, e anche lì soltanto per i più vigili, perché l’apparato mainstream continua a tacere e coprire pervicacemente. È dubbio che, con questo ritmo, il grande pubblico perverrà mai a comprendere l’entità della manipolazione avvenuta (non volendo subire ban, mi esimo dal ricordare qui la camionata di menzogne che sono passate come verità scientifiche).

Ecco, in questo quadro, è difficile poter conferire un qualunque senso che non sia sarcastico alla “giornata mondiale della libertà di stampa”. La speranza che nel nuovo contesto di tensione internazionale, di nuova “guerra fredda”, si produca una qualche approssimazione di informazione non manipolata è bassissima. Sono peraltro certo che oggi le “grandi firme” della stampa italiana si scambieranno reciprocamente grandi medaglie al merito per la loro integerrima lotta contro le “fake news”, cioè nella lotta ad ogni notizia che pro-tempore disturbi il manovratore / procacciatore di salario. E questa è invero l’unica funzione che gli è ancora rimasta. Che l’informazione ufficiale sia poco credibile è oramai ampiamente percepito, e ciò si mostra plasticamente nel crollo delle vendite e degli ascolti. A credervi ciecamente sono rimaste solo quelle minoranze da ZTL che nel continuare a credervi hanno un sostanzioso interesse (niente conferisce maggior potere persuasivo ad una presunta verità del fatto di essere comoda).

La funzione rimasta all’informazione ufficiale non è dunque più quella di produrre forti convincimenti nel grande pubblico. Può accadere su temi inediti, come è accaduto durante la pandemia, ma questo tipo di presa è sempre più fioca. No, il ruolo rimasto alla “grande informazione pubblica” (in ciò simile al ruolo dei “grandi partiti”) è soprattutto quello di creare un tappo che impedisca la crescita del nuovo. Essi non riescono più a convincere, figuriamoci a istruire, ma riescono ad occupare con il rumore bianco delle proprie narrazioni di comodo quasi ogni spazio mentale. E rispetto ai pochi spazi che non occupano si producono costantemente in un’attività di discredito e delegittimazione delle voci indipendenti, trattate come complottismo, come “bufale” da sottoporre al proprio integerrimo fact-checking. L’informazione odierna non è più davvero in grado di produrre una convincente verità pubblica, ma le è rimasto il compito di impedire a qualunque altra verità di farsi largo, e questo compito lo svolge ancora egregiamente.

Andrea Zhok

 
Unico Stato tra il fiume e il mare PDF Stampa E-mail

17 Maggio 2024

 Da Comedonchisciotte dell’8-5-2024 (N.d.d.)

Molti dei dirigenti in carica nell’America istituzionale sono Sionisti liberali o Evangelici. Questa situazione non deve sorprendere. Il Washington Post, ad esempio, ha chiesto a Matthew Brooks, amministratore delegato della Republican Jewish Coalition (RJC), se avesse intenzione di finanziare gli sfidanti elettorali dei venti Repubblicani che alla Camera hanno votato contro la legge sugli aiuti ad Israele: “La RJC si sta preparando a spendere fino a 15 milioni di dollari in quello che sarà il più grande sforzo mirato verso la comunità ebraica negli Stati critici del Paese… Abbiamo una storia di lunga data nel parlare contro le persone che sono anti-Israele, sia che si tratti di Democratici come ‘La Squadra’ e i progressisti di sinistra, ma anche contro le persone di destra che esprimono sentimenti anti-Israele. Siamo il gruppo responsabile della sconfitta del deputato Steve King. In questa tornata elettorale stiamo spendendo più di un milione di dollari in Indiana per battere l’ex deputato John Hostettler, che è stato una delle voci più anti-israeliane del Congresso durante il suo mandato”.Domanda: Altri venti Repubblicani della Camera hanno votato contro la legge sui finanziamenti ad Israele. Intende appoggiare gli sfidanti che si candideranno contro qualcuno di loro?”. “Brooks: Se [al ballottaggio] ci sarà uno sfidante credibile per qualcuno di loro – saremo assolutamente coinvolti”.

In questo contesto, non deve sorprendere che, come scrive Edward Luce sul Financial Times, i leader delle istituzioni statunitensi siano in ansia per le proteste nei campus. L’angoscia è in gran parte legata all’indubbio potere dell’AIPAC e del RJC di far vincere – o perdere – gli aspiranti al Congresso: “In pratica“, scrive Luce, “persone di ogni schieramento – Repubblicani, Democratici, media e amministrazioni universitarie – stanno mostrando i tratti di isteria e dogmatismo che deplorano nei giovani. Non deve sorprendere che le proteste siano sempre più rabbiose. Gli studenti hanno tutto il diritto di protestare anche con discorsi che molti dei loro coetanei trovano ripugnanti“.

Però poi Luce si chiede: “A che punto l’antisionismo diventa antisemitismo? Il confine è labile. Ma la maggior parte delle persone – tranne i responsabili, a quanto pare – sa distinguere tra una protesta legittima e un appello alla violenza“. Ma solo per confondere ulteriormente la distinzione. La Camera degli Stati Uniti sta portando avanti un progetto di legge per codificare la controversa definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance. La definizione è controversa perché la maggior parte dei suoi esempi di antisemitismo riguardano le critiche a “Israele”, compreso il fatto di definire “Israele” una “entità razzista”. L’approvazione del disegno di legge significherebbe che la definizione si applicherebbe anche nel caso degli esposti che si rifanno al Titolo VI [il Titolo VI proibisce la discriminazione sulla base della razza, del colore o dell’origine nazionale nei programmi o nelle attività che ricevono assistenza finanziaria federale N.D.T.] e che denunciano l’antisemitismo nei campus. Il disegno di legge è passato alla Camera con 320 voti favorevoli e 91 contrari. [Sempre secondo Luce:] “C’è però un altro fattore dietro l’isteria del Congresso: le proteste hanno scatenato il timore di una ripetizione dei fatti del 1968. Come allora, i disordini sono iniziati alla Columbia University. Come nel 1968, la convention democratica di quest’anno si terrà a Chicago. La convention del 1968 era stata un disastro anche perché il sindaco di Chicago, Richard Daley, aveva mandato la sua polizia a reprimere le manifestazioni. La battaglia di strada aveva dominato l’attenzione dei media”.

Luce, tuttavia, fa una netta distinzione con il 1968: “Il motore principale di queste proteste è umanitario” (ma non lo era per la guerra in Vietnam). Poi, però, Luce ricorre alla vecchia scusa: “Alcuni dei manifestanti aderiscono consapevolmente alla visione del mondo di Hamas, che vorrebbe cancellare Israele dalla carta geografica. A che punto l’antisionismo diventa antisemitismo…?” È qui che la questione si confonde. Cancellare “Israele”, in quanto sionismo, dalla carta geografica non significa cancellarlo con la violenza (anche se esiste un diritto legale di resistenza per coloro che vivono sotto occupazione).

Seyed Hassan Nasrallah (in qualità di portavoce dell’unità dei Fronti di Resistenza) ha chiarito che l’obiettivo della Resistenza è quello di sfiancare “Israele” – e di portarlo ad uno stato di sconfitta e di disperazione – in modo tale che gli israeliani inizino a ritrattare la loro pretesa di diritti speciali e di eccezionalità e si accontentino di vivere “tra il fiume e il mare” con gli altri (i palestinesi), condividendo una parità di diritti. Cioè, Ebrei, Musulmani e Cristiani che vivono in un territorio comune. Non ci sarebbe quindi alcun Sionismo. Seyed Nasrallah ha esplicitamente previsto la possibilità di un tale risultato, senza una grande guerra. È quindi un “gioco di prestigio” presentare la “visione del mondo” di Hamas come quella di una “cancellazione di Israele dalla carta geografica”, come se ciò implicasse lo “sterminio” o l’uccisione degli Ebrei. “Israele” sarebbe “fuori dalla carta geografica” nel senso che questo futuro Stato non sarebbe di natura esclusivamente ebraica, ma multireligiosa.

La subdola imputazione di antisemitismo riferita alla “visione del mondo” di Hamas è una calunnia quasi alla pari dello slogan “Hamas è l’ISIS”. (L’ISIS ha inserito funzionari di Hamas nella sua lista di persone da assassinare). La visione del mondo di Hamas non può essere estrapolata dal contesto degli odi accesi dalla guerra a Gaza. La maggior parte dell’articolo di Luce riguarda la questione dell’antisemitismo, ma anche l’islamofobia sta crescendo ad un ritmo accelerato. In Occidente è importante smontare il meme “Hamas è l’ISIS” per evitare che tali falsità ci facciano scivolare in un’altra “guerra al terrore”.

Alastair Crooke (tradotto da Markus) 

 
L'Ospizio occidentale PDF Stampa E-mail

15 Maggio 2024

 Da Rassegna di Arianna del 12-5-2024 (N.d.d.)

“La Russia si è assunta la grande responsabilità storica di aver riportato la guerra sul suolo europeo”, ha detto Sergio Mattarella alle Nazioni Unite a New York. Per la verità, sul piano storico, la guerra in Europa fu portata dagli Stati Uniti venticinque anni fa, nella primavera del 1999, intervenendo in Serbia. E l’Italia fu coinvolta per la prima volta direttamente in un’operazione di guerra a due passi da casa: era presidente del consiglio Massimo D’Alema e vice-presidente del consiglio, con delega ai servizi segreti e poi ministro della Difesa Sergio Mattarella (omonimo?). Diciannove basi Nato sul suolo italiano furono utilizzate per due mesi per attacchi contro la Serbia, in un’operazione chiamata Allied Force, per farvi decollare gli aerei, per la logistica e la copertura radar: furono bombardate centrali elettriche e la sede della televisione serba a Belgrado. I bombardamenti e le operazioni militari, a cui partecipò il nostro Paese con nostri aerei e nostre portaerei, non ebbero l’autorizzazione dell’ONU anche se furono giustificati come un intervento umanitario. Le famose bombe umanitarie del progressista dem Clinton, con l’appoggio del governo progressista e umanitario nostrano… Fu quella la prima guerra europea dei nostri anni, ai confini di casa nostra, con diretta partecipazione italiana. Il precedente, ma lontano dall’Europa, era stato pochi anni prima in Iraq. Non ricordo grandi mobilitazioni pacifiste né discorsi istituzionali sul pericolo di una guerra alle porte dell’Europa, col diretto coinvolgimento dei paesi europei. Eppure quella fu una guerra molto più vicina al cuore dell’Europa e ai nostri confini, rispetto all’Ucraina. […]

Ogni posizione che assume l’Occidente è ormai minoritaria sul piano mondiale, sia per quel che riguarda la guerra russo-ucraina sia per quel che riguarda la tragedia israelo-palestinese (salvo una parvenza di ravvedimento estremo). Ha senso in questa situazione e avendo davanti agli occhi gli sviluppi di quelle due catastrofi, insistere sulla linea filo-atlantista e interventista? La riflessione a questo punto si sposta dall’attualità al piano più profondo della condizione occidentale. Che cos’è oggi l’Occidente sul piano mondiale? Temo che la definizione riassuntiva più efficace sia quella che ha dato qualche anno fa Eduard Limonov, scrittore russo-ucraino morto quattro anni fa: il grande ospizio occidentale. E’ il titolo di un suo libro pubblicato in Italia da Bietti, con un’introduzione di Alain de Benoist. Secondo Limonov gli euroatlantici “non sentono più la vita”, non hanno più energia, l’Europa è morta da un pezzo, ma il suo cadavere è mummificato nell’Unione europea. Vivere nelle società occidentali significa campare in un ospizio, gestito dagli amministratori pubblici e popolato non da cittadini ma da pazienti che vivono sotto sedativi, tranquillanti e antidepressivi. Ospizio anche per l’età media, ben rappresentato dal malandato Biden. Il totalitarismo soft occidentale per Limonov si copre di moralismo, diritti umani e “impero del bene” che Cristopher Lasch definì Stato terapeutico, tra infantilizzazione programmata e opinioni prefabbricate. I bastioni di questo canone occidentale sono la teoria gender, la cancel culture e l’ideologia woke, che si riassumono in una sindrome diffusa: l’autodisprezzo, la vergogna di essere quel che siamo e che fummo nella storia. Spingendosi oltre Limonov, de Benoist nota che l’Ospizio Occidentale, alla luce di questa ideologia, è diventato una specie di ospedale psichiatrico. A un regime dispotico, nota Limonov è possibile ribellarsi, ma è difficile rivoltarsi contro le proprie debolezze. Impossibile l’agitazione dentro un ospizio, tutto viene sedato e ricondotto alla quiete, anzi al quieto non vivere, alla sua longeva e ricoverata sopravvivenza. L’amministrazione dell’ospizio non è nemica dei suoi pazienti, ma si presenta come loro complice e protettrice, e se limita la loro libertà e i loro orizzonti lo fa solo per il loro bene. Curiosamente, nota Limonov, la libertà è la parola-feticcio più inflazionata, con democrazia, negli ospizi occidentali. L’aggressività, nota lo scrittore russo, è scaricata in Occidente contro la natura, che è il secondo nemico, insieme alla storia. I suoi abitanti, post storici e snaturati, sono “infantili oltre che effemminati”, gli scarsi giovani sono “vecchietti in erba” che vivono digitando; la musica pop provvede ad abbrutirli. La rivoluzione sessuale e il femminismo, più che innalzare la donna abbassano l’uomo; la pornografia è l’erotismo per i poveri. Ma oggi, aggiungiamo noi, siamo entrati in una fase di desessualizzazione dell’occidente, come si conviene del resto a un ospizio.

In questo quadro, conclude Limonov, l’unico patriottismo ammesso è il patriottismo del nichilismo: non difendere la civiltà, le eredità, il mondo di valori, ma la loro assenza, smerciata per libertà e diritti umani. Pensate che l’Ospizio occidentale possa ingaggiare con questi presupposti una guerra contro i mondi vitali che premono ai suoi bordi, a est, a sud? Non vi sembra velleitario questo occidente in tuta militare che si prepara alla guerra e al riarmo quando è interiormente disarmato e demotivato?

Marcello Veneziani

 

 
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