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Morire di lavoro PDF Stampa E-mail

7 Maggio 2021

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 Da Appelloalpopolo del 5-5-2021 (N.d.d.)

Non si può morire di lavoro… se sei bella, hai 22 anni e una figlia a casa che ti aspetterà invano. Non si può morire di lavoro… anche se sei uno sgradevole troglodita che nessuno aspetterà mai. Non si può morire di lavoro… anche se hai 60-70 anni e alle spalle una vita di fatica. Non si può morire neanche per mancanza di lavoro, a dire la verità… Eppur succede, perché le persone di cui un intero popolo si fida hanno altre priorità… ma non solo loro…

Lorenzo D’Onofrio

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Luana ventidue anni, mamma e operaia. MORTA SUL LAVORO. Una catastrofe di dimensioni bibliche, ma che si ripete ciclicamente. Alzerà un polverone che subito verrà dimenticato. Perché dei problemi del mondo del lavoro non importa a nessuno. Perché Confindustria ordina e lo Stato esegue. Nel frattempo, mentre loro alzano gli utili, abbassando anche la sicurezza sul lavoro, operai muoiono, commercianti, piccoli imprenditori e artigiani si suicidano. Questo ANDAVA DETTO AL PRIMO MAGGIO. MA NESSUNO, E RIPETO NESSUNO, HA IL CORAGGIO DI INIZIARE QUESTA BATTAGLIA.

Ferdinando Pietropaoli

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Quelli che OGGI si stracciano le vesti per la terribile sorte della lavoratrice 22enne morta in fabbrica a Prato, sono gli stessi che IERI avevano trasformato il Primo Maggio da festa del lavoro (il principale diritto sociale) in una contesa sui diritti civili. Gli stessi che da DOMANI torneranno insieme a fottere tutti i lavoratori, senza alcuna distinzione di orientamento sessuale, come stanno facendo da almeno 30 anni. Ipocriti

Nino Di Cicco

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Un primo passo sarebbe smettere di parlare delle beghe idiote di milionari volgari e dannosi che rappresentano esattamente l’immagine plastica di una società tornata indietro di secoli quanto a diritti sociali fondamentali.

Daniela Talarico

 
Un piano preesistente ai lockdown PDF Stampa E-mail

6 Maggio 2021

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 Da Comedonchisciotte del 27-4-2021 (N.d.d.)

Pochi giorni fa si è celebrata la “Giornata della Terra.” Durante questa tradizionale ricorrenza, gli hashtag ambientalisti fanno tendenza su tutti i social media, almeno per un po’. E quest’anno non è andata in modo molto diverso, se non che si è avvertita più distintamente la presenza di un’agenda politica. La narrativa della “pandemia mortale da virus” sta lentamente perdendo slancio. Non è chiaro se questo sia da imputarsi ad una “stanchezza post virale” (per chiamarla così) della gente, o piuttosto ad un cambiamento intenzionale del discorso da parte dei media. Quel che è certo è che, rispetto all’anno scorso, in questo periodo la narrativa sta perdendo energia. Detto questo, è anche palese che i governi di tutto il mondo non sono particolarmente desiderosi di rinunciare ai loro “poteri di emergenza” da poco acquisiti e che le presunte “misure anti-Covid” non se ne andranno tanto presto. Specialmente i lockdown, che ora vengono pubblicizzati come “ottimi per il pianeta.” La narrativa secondo cui i lockdown “aiuterebbero la Terra a guarire” risale, in realtà, allo scorso marzo, quando tutti i notiziari del mondo avevano riportato la notizia che solo poche settimane di lockdown avevano contribuito a ripulire l’acqua nei canali di Venezia, tanto da permettere ai delfini di nuotare all’interno della città. Questa storia si era poi rivelata completamente falsa, ma la cosa non aveva scoraggiato decine di testate dal riprenderla e ripubblicarla. Nel corso dell’ultimo anno, il Covid è stato più volte spacciato come dotato di un impatto ambientale positivo. Compresa l’idea che, potenzialmente, sarebbe in grado di “salvare il pianeta.” Proprio il mese scorso, il Guardian aveva pubblicato un pezzo dal titolo: “Occorre un lockdown globale ogni due anni per raggiungere gli obiettivi di Parigi relativi alla CO2 – secondo uno studio.” Che si tratti solo di marketing e di controllo dell’opinione è ulteriormente evidenziato dal fatto che, già dopo poche ore, avevano modificato il titolo rimuovendo il riferimento al lockdown […]

Tutto ciò ha avuto un’ulteriore accelerazione con la Giornata della Terra, il cui tema è “Restore Our Earth” TM [“Risaniamo la nostra Terra”]. Con la dicitura “TM” perché si tratta di un marchio registrato. No, non scherzo. Alcune mattine fa mi sono svegliato e ho trovato una notifica sul mio telefono, secondo cui per la Giornata della Terra avremmo dovuto “rallegrarci di quanto il pianeta fosse migliorato durante i lockdown.” Più tardi, ho visto la pubblicità per un nuovo documentario intitolato “The Year the Earth Changed” [“L’anno in cui la Terra è cambiata”], dove vengono illustrati i vari modi in cui la natura si è rinvigorita durante i lockdown, e quanto la “Terra è guarita.” […]

Un articolo su Forbes esorta la gente ad “abbracciare la lezione della pandemia”: “il pianeta ha avuto una lunga pausa durante la pandemia e ha avuto la possibilità di ripararsi e rigenerarsi. Il pianeta non è il problema, il problema siamo noi. Dunque, come possiamo ora portare avanti alcuni di quegli sforzi positivi che avevamo già iniziato ad adottare con l’improvviso distanziamento sociale e la minaccia del Covid-19?” L’Evening Standard sostiene che la pandemia avrebbe prodotto un “calo del 70% delle emissioni veicolari” nella città di Londra. Un comunicato stampa del Dipartimento della Salute dello Stato di Washington sostiene che “il telelavoro potrebbe salvare il mondo.” Sky News riporta che l’impronta di carbonio del Regno Unito è scesa del 17%, in quanto la “pandemia costringe la gente ad adottare stili di vita ecologici.” E così via, ancora e ancora.

In sostanza, i lockdown, che, ricordiamo, non hanno mostrato avere alcun impatto sulla trasmissione del “virus,” vengono ora riconvertiti in mezzi non soltanto “efficaci per la salute pubblica,” ma anche salutari per il pianeta.

Prima di arrivare al perché di tutto ciò, concentriamoci sull’asserzione vera e propria: l’isolamento è stato un bene per l’ambiente? La risposta è “probabilmente no” o “sicuramente no,” a seconda delle vostre priorità. Tanto per cominciare, ci sono le mascherine usa e getta in fibre plastiche che, vi ricordiamo, non fanno assolutamente nulla per prevenire la diffusione di virus. Centinaia di migliaia di queste mascherine oggi ricoprono le spiagge, finiscono per essere raccolte dalla fauna selvatica, e intasano le fogne di tutto il mondo. “E le emissioni?” vi sento dire, “non si sono ridotte?”  Beh, forse. Ma, anche se fosse, non di molto. I lockdown sono stati spacciati dalla stampa come il blocco totale di tutte le attività umane. Tuttavia, a ben vedere, si tratta principalmente della chiusura di piccole imprese […] I militari di tutto il mondo viaggiano ancora, le Marine solcano ancora i mari. I trasporti pubblici funzionano ancora, pur se con limitazioni in alcune zone. I veicoli di emergenza continuano a circolare. La spazzatura viene ancora raccolta. Le navi portacontainer, gli aerei cargo, i camion a lunga percorrenza e i treni merci trasportano ancora i loro carichi verso ogni angolo del pianeta. I grandi rivenditori, come WalMart, Tesco, CostCo, Amazon ecc., sono ancora tutti aperti e le loro catene di approvvigionamento sono attive in tutto il mondo. L’idea che tutte le attività umane si siano semplicemente fermate è una bugia molto conveniente che viene data da bere a quelle persone che ancora comprano i giornali e credono che proprio tutti (o, almeno, tutti quelli che contano) facciano un lavoro che a) implica il pendolarismo urbano, b) può essere svolto altrettanto facilmente da casa. Questo è ovviamente falso e la maggior parte dei lavori veri e fondamentali, quelli che servono per far funzionare la società, non si sono mai fermati. Miniere, stabilimenti e impianti industriali esistono ancora. Centrali elettriche, dighe e depuratori continuano a funzionare. Anche l’economia dei servizi è ancora in funzione, solo con persone diverse che guidano in direzione opposta. Deliveroo, Uber e JustEat fanno ancora muovere i loro mezzi ed ogni calo di clienti che vanno al ristorante è controbilanciato da un aumento delle consegne a domicilio. Le fabbriche in Cina continuano a produrre tutte quelle merci che vengono spedite in giro per il mondo e poi consegnate direttamente al nostro domicilio; semplicemente non siamo più noi ad andarle a prenderle. È davvero un gran cambiamento per le emissioni? Che siate voi a guidare fino a Waitrose [N.d.T. un supermercato inglese di alimentari e alcolici], o che Waitrose guidi fino a voi, verrà consumata la stessa quantità di carburante. Ordinare online un disinfettante per le mani, una cyclette o delle batterie di ricambio non è in alcun modo più ecologico che fare due passi in città per comprarli di persona. E questo non tiene nemmeno conto del maggior consumo di elettricità e di gas causato dal fatto che (alcune) persone passano più tempo in casa. O del fatto che molti Paesi non hanno mai adottato i lockdown. […]

In breve, no, non c’è nessuna evidenza pubblicamente disponibile che i lockdown abbiano giovato all’ambiente. E, in realtà, l’idea stessa non ha molto senso, se ci si pensa un attimo. […] Si dice alla gente che questo lockdown non migliorerà il pianeta perché non è abbastanza severo, o perché quando sarà finito torneremo alla normalità. […] Ci sono molti titoli di giornale, interviste e articoli che cercano chiaramente di creare nell’opinione pubblica un’associazione tra “Covid” e “cambiamento climatico.” “Covid19 e crisi climatica sono parte della stessa battaglia”, titolava il Guardian a dicembre. O ancora: “Il Covid ci dà la possibilità di agire sul clima.” In un’intervista originariamente andata in onda durante la “Giornata della Terra,” il Principe William ha esortato il mondo intero ad applicare al cambiamento climatico lo stesso “spirito di inventiva” utilizzato per i “vaccini” Covid19. Tutto ciò si collega al programma “Give Earth a Shot” [Date una possibilità alla Terra] dei Reali, che era stato lanciato nel dicembre 2019, PRIMA che la pandemia (o i vaccini) diventassero un argomento di discussione. Un opportuno promemoria, questo, che molte delle soluzioni proposte per fronteggiare la “pandemia” erano già state suggerite per combattere altre cose, prima ancora dell’esistenza della pandemia stessa. Una società senza contanti, la diminuzione dei viaggi aerei, il controllo della popolazione, la sorveglianza di massa e la riduzione della produzione di carne, insieme ad altri, erano già all’ordine del giorno molto prima che il Covid facesse la sua apparizione. E tutti ci sono stati venduti come modi per combattere questa pandemia (o le “pandemie future”). Anche il cosiddetto Grande Reset, in realtà, data a prima della pandemia. Dopo tutto, che cos’è il tanto chiacchierato “Green New Deal” se non un prototipo del piano di Grande Reset del World Economic Forum? Mark Carney, l’ex-governatore della Banca d’Inghilterra, in un articolo del dicembre 2019 per il sito internet del Fondo Monetario Internazionale, aveva invocato un reset economico e “un sistema finanziario nuovo di zecca” per “combattere il cambiamento climatico.” Anche questo accadeva solo poche settimane PRIMA che la “pandemia” si materializzasse magicamente.

Questo è il messaggio di fondo: il piano rivelato nell’ultimo anno di propaganda pandemica era già lì, da sempre, solo non in modo così sfacciato. C’era prima del Covid, e sarà ancora lì quando (o se) di Covid non parleranno più.

Il “Grande Reset” e la “Nuova Normalità” sono obiettivi politici che precedono il Covid e sono molto più importanti di tutti i mezzi impiegati per perseguirli. La “pandemia” non è altro che un mezzo creato per un fine specifico. Potrebbero mettere da parte o terminare del tutto la narrativa del virus, potrebbero cambiare la trama per qualche mese, o smettere di usare certe parole per un po’. Ma questo non significa che il loro programma principale sia cambiato di una virgola. Ci hanno mostrato le loro carte. Ci hanno detto apertamente cosa vogliono veramente ottenere. Controllo economico totale, forte riduzione degli standard di vita, annullamento della sovranità nazionale e radicale erosione delle libertà individuali. Questo è l’obiettivo finale. L’hanno detto loro stessi. È nostra responsabilità conservare questa conoscenza e usarla. Tenersi stretta ogni convinzione e guardare tutto con occhio scettico. Tutto. Ogni articolo di giornale. Ogni notizia alla televisione. Ogni dichiarazione del governo o atto legislativo. Virus o vaccini. Povertà o prosperità. Discriminazione o diversità. Guerra o pace nel mondo. L’agenda politica non cambia. Chiunque stia parlando. Di qualunque cosa stiano parlando. Qualunque cosa dicano di volere. L’agenda politica non cambia.

Repubblicano o Democratico. Conservatore o Laburista. Rosso o blu. L’agenda politica non cambia. Il colore non conta. Nemmeno quando è verde. Buona “Giornata della Terra” a tutti.

Kit Knightly

 
Fedez uomo di potere PDF Stampa E-mail

5 Maggio 2021

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 Da Rassegna di Arianna del 3-5-2021 (N.d.d.)

Contestualizziamo tutto, incluso il caso Fedez. In cointeressenza con la moglie Ferragni, Fedez regge una fiorente attività imprenditoriale nel campo editoriale-pubblicitario legato alle multinazionali statunitensi che hanno perimetrato il web all’interno dei grandi recinti dei social network. È un capitano d’industria diversissimo da chi poteva fregiarsi di questa definizione trent’anni fa in Italia, nel mondo ancora legato all’industria novecentesca. Se non vi distraete pensando che i suoi tatuaggi e le sue costose smandrappature siano l’antitesi dello stile dei vecchi protagonisti del capitalismo, vi accorgerete che Federico Leonardo Lucia incarna il grande borghese di oggi, l’uomo di potere di questo neocapitalismo con le sue regole, le sue battaglie per definire con urgenza un nuovo senso comune, le nuove egemonie, lo stato spirituale di un’intera nazione.  È eccessivo tutto questo per un rapper? Voi vi fermate a una fase troppo precoce degli uomini di potere. Vedete Rocco Casalino eterno concorrente del Grande Fratello, ma intanto diventa uno degli ‘spin doctor’ più sulfurei in grado di tenere in pugno partiti e governi. Vedete Luigi di Maio a vendere per sempre le bibite gassate allo stadio, ma intanto vi ha riorganizzato con acrobazie democristiane un pezzo dei piani alti della politica italiana. Vedete Fedez nei secoli dei secoli come il mediocre rapper dei furbi luoghi comuni finto-trasgressivi, ma nel frattempo ha più follower della somma di tutti i principali organi di stampa nazionali e divora grossi contratti pubblicitari.  Quando qualcuno accumula un significativo potere economico e mediatico per ciò stesso deve poter essere soggetto a una critica del potere. Nessun suo atto pubblico potrà essere esente da scrutinio, con lo stesso spessore che si dovrebbe usare per analizzare le strategie di un’impresa. Fedez, il grande borghese dell’oggi, è in quest’orbita e non farà eccezione. Nessuno dei suoi atti è il solo atto di un artista. È una forte proiezione imprenditoriale e politica.

La sua manovra di questi giorni è l’operazione mediatica di un uomo di potere con elevata influenza di "agenda setting": cioè la potestà di dettare l’ordine del giorno nella gerarchia delle notizie. È un mondo nuovo che coincide con il trionfo dei nuovi media che hanno il cuore nella Silicon Valley e il portafogli a Wall Street. Fedez ha perciò avuto partita facile contro i mediocri funzionari del carrozzone RAI in una fase crepuscolare della storia della tv pubblica. Qualche anno fa Renzi fece nominare per la RAI un consiglio di amministrazione composto da portaborse e incompetenti sottogovernativi, proprio mentre stava per abbattersi sul sistema audiovisivo il ciclone Netflix, di cui non sapevano nulla. Le cose sono peggiorate nel tempo. La Rai era sino a poco fa un universo attardato, dove la politica comandava la televisione, quella televisione si imponeva sul mondo dello spettacolo, e si lavorava solo se si obbediva a quella catena. I dirigenti Rai che erano fermi a quel mondo e ancora oggi non sanno cosa sia davvero Netflix. […]  In un paese dove si censura tantissimo in tutto lo spettro dei media senza che nessuno alzi un dito, Fedez ha avuto agio a maramaldeggiare su una miseria moribonda come le "moral suasion" (neanche più censura, attenzione) dei funzionari RAI. La telefonata che Fedez ha pubblicato è piena di evidenti e numerosi tagli che lo fanno strategicamente giganteggiare al cospetto delle titubanze dei funzionari, che potrebbero essere state magari più argomentate rispetto ai mugugni irresoluti che il noto imprenditore ha salvato dal taglia e cuci. Edgar Hoover, l’immarcescibile direttore dell’FBI, diceva: "fate parlare qualcuno per mezzora e se vogliamo gli cuciamo una confessione di omicidio". Fedez, più modestamente, è stato capace di trascinare tutti nel suo gioco e a impiegare le tecniche dell'indignazione a comando, su cui cadono perfino molti dei più smaliziati. Lo “spin” prendeva direzioni precise.

Il politico leghista citato da Fedez era stato espulso dalla Lega per le sue posizioni. Ed è sotto processo in base alle leggi vigenti. Tener conto di questo è necessario non per alleggerire la Lega, ma per una questione di verità. Quanto alla verità, sarei curioso di sentire la registrazione completa, non quella tagliata da Fedez.  I funzionari Rai non sono dei cuor di leone e se c'è chi può sollevare questioni che possono causare querele scelgono sempre di dissuaderlo. Immagino sia accaduto anche stavolta, più in termini di responsabilità penale e di opportunità politica, che di censura vera e propria (che di fatto non ha più la forza di un tempo). Fedez ha ingrandito e polarizzato l'episodio, soprattutto per creare un senso comune blindato sull’argomento che più poteva insinuarsi nelle divisioni della politica, il controverso disegno di legge Zan, sul quale non tutto può ridursi a scontri destra-sinistra, perché esiste un dibattito molto più aperto anche nel mondo Lgbtq+, così come nel femminismo storico. Mondi che non vogliono ridurre tutto al ritmo di Tik Tok e che manifestano enormi preoccupazioni sulle potenziali minacce alla libertà di opinione insite nelle nuove fattispecie del disegno di legge. Questioni vere, non riducibili all'omofobia. Queste posizioni e queste questioni, anche quando sono lontane dalla nostra sensibilità, hanno cittadinanza in una democrazia. […]

Così, Fedez, il testimonial pubblicitario di Amazon, il profeta che dà smalto al neocapitalismo iper-consumista, prende facilmente a bersaglio la TV contro cui si scagliava anche Pier Paolo Pasolini, ma per ragioni opposte rispetto a quest’ultimo. Quando Pasolini raccontava l’avvento «del consumismo e del suo edonismo di massa: evento che ha costituito, soprattutto in Italia, una vera e propria rivoluzione antropologica», non avrebbe immaginato che un giorno potesse riassumersi nei Ferragnez. Commenta Matteo Brandi: «un conformismo totale, nascosto da una patina di glitter, perfetto per essere venduto ad una platea di giovani che vogliono sentirsi "fuori dagli schemi" ma senza esserlo davvero. Diversi sì, ma come tutti gli altri. Ed è qui che sta la bravura di Fedez e di quelli come lui. Nell'aver trovato in questo mondo artificiale una vena d'oro, da prendere freneticamente a picconate per estrarne ricchezza a non finire. Soldi, visibilità, sponsor. Il tutto riuscendo persino ad apparire, al suo folto pubblico, come un eroe.» Dopo i politici-influencer dell’Era RAI e Mediaset, ecco arrivare l’influencer-politico che ridisegna lo spazio di ciò che si può dire. Le vecchie censure vengono abbattute, ed è un bene. Ma vengono dimenticate le nuove censure: il titanismo narcisista instagrammatico, distratto dalla vicenda Fedez, non sa dire nulla sulla miriade di censure che colpiscono - su Facebook, Youtube, Amazon, ecc. - tutte le forme di pensiero divergente che si manifesti sui grandi temi dominati dai media del neocapitalismo.  Milioni di docili follower vedranno come un dramma la censura su Fedez (che non si è attuata), ma non si accorgeranno della censura molto più silente ed efficace che non fa loro sapere nulla su Julian Assange o sullo sfruttamento dei lavoratori di Amazon e sui nuovi inferni della precarizzazione di massa.

Pino Cabras

 
Successo della Brexit PDF Stampa E-mail

4 Maggio 2021

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 Da Appelloalpopolo del 29-4-2021 (N.d.d.)

Con l’inizio della Brexit abbiamo assistito ad un crescendo di idiozie e bufale propagandate a piene mani più o meno trasversalmente da tutti i partiti, e rimbalzate ad ogni livello da tutti i mezzi della cosiddetta “informazione”. Prima le balle sul tracollo economico e finanziario con le aziende in fuga da Londra, poi quelle sui generi di prima necessità che oltre Manica avrebbero incominciato a scarseggiare (ma le cavallette a Chelsea non si sono mai viste); infine gli scenari catastrofici con il Regno Unito non più al riparo dell’ombrello protettivo di Mamma Europa e rimasto solo alla mercé della pandemia.

La verità è che “Leuropa”, questo paese di Acchiappacitrulli che nella testa di chi nonostante tutto continua a crederci rappresenta sempre quel luogo ideale entrando a far parte del quale trent’anni fa avremmo risolto tutti i nostri problemi, da più di dieci anni fallisce immancabilmente l’appuntamento con tutti gli esami che avrebbe dovuto affrontare dando prova di “efficienza” e di tutte le altre non meglio precisate virtù rispetto a tutto il resto del mondo che ne era rimasto fuori: dalla crisi finanziaria ed economica, all’emergenza migranti, alle guerre alle porte di casa, ed ora alle epidemie.

Le balle hanno le gambe corte: prima o poi arriva sempre il momento in cui di fronte all’evidenza dei fatti, al Re rimasto nudo non rimane che continuare ridicolmente a strepitare, certificando una volta di più tutta la sua impotenza.

Luca Russi

 
Ricostruire la partitocrazia PDF Stampa E-mail

3 Maggio 2021

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 Da Appelloalpopolo dell’1-5-2021 (N.d.d.)

Fin quando una minoranza di Italiani, magari esigua ma non troppo, non si convincerà che per anni ha sostenuto tesi sbagliate e ripetuto innumerevoli volte argomenti insensati, perché catturata dalle mode e dagli slogan della classe dominante e del ceto intellettuale sub-dominante, che l’hanno indotta ad assumere e diffondere posizioni politiche masochistiche, non potrà esservi miglioramento della situazione e nemmeno previsione di un miglioramento. Una delle tante posizioni sballate e masochistiche, a lungo sostenuta, e tuttora largamente diffusa, è che si dovesse combattere la partitocrazia. In realtà, è abbastanza agevole, se si ragiona, arrivare alla conclusione che, o vi sono partiti popolari, promotori di una ideologia sociale, o non vi è democrazia, perché il popolo ha un solo strumento per far valere i suoi interessi: l’esistenza di validi partiti popolari.

Invece dagli anni Ottanta abbiamo vissuto due diverse ma largamente omogenee situazioni. La prima era caratterizzata dall’esistenza di partiti popolari non validi ma decadenti, in decomposizione, privi ormai di ideologia o meglio con una ideologia ancora declamata, che tuttavia contrastava con gli indirizzi politici concretamente sostenuti. Una scissione tra parole e azione. La seconda, iniziata con la seconda repubblica, da un lato ha visto rimanere strutture organizzative che non erano più nemmeno partiti decadenti, ma alleanze mobili di centri di potere periferici con centri di potere nazionale. Mobili perché la periferia ricattava i centri nazionali, non meno di quanto fosse vero l’inverso ed era disposta a stipulare patti con altri centri di potere nazionale, se non vedeva soddisfatte le sue esigenze. Dall’altro, ha visto emergere palesemente non partiti (falsi partiti), organizzati attorno a singole persone. E i due profili si sono spesso mescolati. Ne è derivato che siamo passati da partiti decadenti a non-partiti. In entrambi i casi non vi è stata nessuna elaborazione teorica e nessuna ideologia popolare e sociale.

Dinanzi a questa realtà orribile, si è diffusa la tesi che si debba combattere la partitocrazia. Ma la realtà orribile era costituita da partiti decadenti e da non partiti, dominati da imprenditori o parenti di imprenditori (Berlusconi, De Benedetti il piccolo Casaleggio, mi riferisco al padre, non al piccolissimo, gli esportatori leghisti, Colannino, ecc.) che per interesse hanno ceduto tutto il potere decisionale alla Banca d’Italia, la quale, dai tempi di Guido Carli, è centro del pensiero neoliberale, e dunque antistatalista, antipartitocratico, antipopolare e antisociale, nonché luogo di uomini che volevano esercitare il potere liberi dai partiti popolari e anzi, appena ne fosse stato possibile, in sostituzione di essi. Sicché un’analisi sensata avrebbe dovuto giungere alla conclusione che i partiti non c’erano o erano decadenti; che si dovesse ricostituirli; che la democrazia o è partitocrazia o è finzione che maschera il dominio assoluto dell’ideologia neoliberale e del grande capitale; che i non partiti (o partiti falsi) sono una degenerazione dei partiti decadenti, che sono una degenerazione dei partiti di valore; che il compito di chi vuole impegnarsi politicamente e avversa le teorie neoliberali, elitiste e ultra-capitaliste, è quello di ricostituire partiti di valore. Non dunque contrarietà alla partitocrazia. Ma ricostituire la partitocrazia.

Stefano D’Andrea

 
Wandervogel PDF Stampa E-mail

2 Maggio 2021

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Togliamo dal sito" AppenniniWeb" questo bel pezzo di G.Diamanti, riportato anche da altri blog e rassegne stampa: https://www.ariannaeditrice.it/articoli/sul-naturale-desiderio-di-camminare-verso-la-primavera. Articoli come questi, che sono condivisibili totalmente in ogni singola parola, non dovrebbero neppur essere commentati: meriterebbero solo delle chiose, delle estensioni ed è quello che noi andremo a fare.

Il "genio radicato nella nostra anima", che per le genti appenniniche e peninsulari si sublimò nei secoli precedenti a Roma antica nelle pratiche delle "primavere sacre", è in realtà connaturato non solo a quelle antiche popolazioni ma come ben sappiamo è parte ontologica dell'essere umano. L'uomo è viaggiatore, è pellegrino, è vagabondo, la stessa civiltà si sviluppa e si rafforza pari passo con la costruzione di strade, l'uomo insomma è sempre in viaggio anche quando in apparenza lo vediamo fermo o stanziale. "Lo chiamano cammino, lo chiamano trekking (..) in realtà è vagabondaggio" spiega molto bene Diamanti. Aggiungiamo noi che negli ultimi cent' anni o poco più il genio del vagabondaggio si accese in un movimento che ebbe un grande influsso nell' Europa specie di area germanica e continentale prima della Grande Guerra: i "Wandervogel", gli "uccelli migratori", fondati verso il 1896 nel liceo del quartiere berlinese di Steglitz e presto dilagato in tutta la Germania. I Wandervogel furono forse la prima grande ribellione di massa alle sirene ingannatrici della Modernità e infatti si svilupparono nella Germania borghese, autoritaria e ingessata di Guglielmo II, un Paese che dopo il 1870 vide una ascesa esponenziale della civiltà industriale e meccanica tanto da raggiungere ben presto e poi sorpassare quella che fu definita "l'officina del mondo", la Gran Bretagna.

Certamente nel 1908 la stessa Gran Bretagna, con sir Baden Powell e i suoi "scout" formò un movimento solo all' apparenza simile a quello germanico, in realtà invece ben diverso. Laddove lo "scoutismo" era inquadrato comunque in un'etica dei doveri del cittadino di uno Stato borghese (seppur nel rapporto con la Natura), il Wandervogel era un Ribelle. "Il Wandervogel" scrisse Guido Knopp "rifuggiva il rumore cittadinesco della civiltà industriale e borghese per ritornare alla campagna, al bosco, alla natura, al comunitarismo intorno a un fuoco, girando per sentieri, boschi, villaggi, risuonando antiche ballate e canti popolari con l'armonica sulle labbra..." (si vedano i capitoli del saggio di Knopp sull' educazione nella Germania prenazista e nazista in "Figli di Hitler"). Nel vagabondare del Wandervogel, continuò Knopp,"si sublimarono tutte le inquietudini di una generazione". Un grande studioso italiano dei Wandervogel, Nicola Cospito, ci dice come in essi albergasse "una diversa metafisica dell'esistenza" in antitesi a quella epoca in cui secondo Thomas Mann e Max Weber si passò la linea rossa tra la "Kultur", intesa come tradizione, cultura, che nell' accezione del Tonnies -uno dei padri della sociologia- è associata a una comunità come organismo vivente, a quella che invece sarà la "Zivilisation", ossia il passaggio a una Modernità ideologica e dove la comunità organica lascia il posto a una società meccanica e riduzionista, a tutto discapito della concezione olistica.

La generazione dei Wandervogel , forgiata tragicamente sui campi della Mosa, di Verdun, di Passchandaele, dello Chemin des Dames, della Linea Siegfried e delle Argonne, nel 1918 -19 ebbe un  tremendo bagno di disillusione che la portò a radicarsi su posizioni sempre più legate al nazionalismo, le sue associazioni ebbero caratteri quasi paramilitari e va detto, purtroppo, che furono loro a inventare il famigerato saluto "Sieg Heil". Nondimeno il Nazismo, da regime totalitario puro quale era, sciolse "uccelli migratori" e "scout". Rinacquero dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma l'aura del passato era del tutto spenta.

Veniamo a noi. Se aprile è il mese del risveglio delle camminate, maggio è l'archetipo della Vita, dei colori tenui e multiformi di una gentile primavera. Tempi, civiltà e circostanze possono essere diversi, ma la fiamma del genio sempre guizza: laddove gli Italici fecero le "Primavere Sacre", i tedeschi inquieti di Guglielmo II gli "uccelli migratori", gli attuali appenninici le camminate sui sentieri, chiunque di noi, solo o in compagnia, ha il diritto di muoversi in uno suo vagabondaggio personale, sotto il bel cielo maggiolino. Non siano d' ostacolo la mancanza di una vasta rete associativa come quella dei liceali di Guglielmo II (e le vaste foreste di Germania) oppure la mancanza di una catena montuosa per chi non ha la ventura di vivere in Appennino: per cercare, per vagabondare ,per ritrovare e ritrovarsi, sono sufficienti anche viottoli campestri, boschetti e filari di pioppi costeggiati da canali per chi vive in Valpadana, i dintorni ancora rurali per chi vive in qualche metropoli, le piantagioni campestri di ulivi e i vigneti per pugliesi e siciliani, gli amplissimi  e solitari spazi isolani per i sardi. La scoperta è ovunque: ecco, laggiù quello scorcio che mai si era visto; in fondo, quel santuario piccolo e antico perso nei campi; quella masseria abbandonata, coi muretti a secco; quello scorrere lento e monotono d'un canale ove si riflette il verde delle foglie...ogni angolo porta a meditazioni, riflessioni, echi del passato, rigenerazione nel Tutto... Usciamo dal carcere! Vagabondiamo, per ritrovarci. Lasciamo a chi ancora è fesso e ci crede i discorsi vuoti, tediosi, inutili e oziosi di un fantomatico "Recovery Plan" che non servirà a un cazzo; lasciamo chiusi in casa quei fessi che ancora credono alle carte cromatiche delle Regioni e si appassionano al "toto-colori" (a quando le scommesse nelle agenzie autorizzate?), lasciamo soli quelli che per paura di morire rinunciano a vivere. Viviamo, tonifichiamoci al sole vitale di maggio, facciamo vagabondaggio dentro e fuori da noi stessi.

Simone Torresani

 
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