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Ripresa a K postpandemica PDF Stampa E-mail

29 Dicembre 2020

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 Nota dell'Autore: concludiamo con queste ultime riflessioni il ciclo degli articoli iniziati a novembre relativi a covid e crisi di civiltà. Ci risentiremo nel 2021 per parlare d'altro, per vedere dove andrà a parare il nuovo mondo post-pandemico.

 

A tempo record, quasi da "Guinness dei Primati", è arrivato il salvifico vaccino: ha bruciato i tempi non solo nella ricerca ma anche nella logistica e distribuzione. È arrivato dunque il vaccino e state sicuri che efficacia o meno, copertura immunologica più o meno duratura, varianti inglesi, sudafricane, giapponesi e magari domani anche paraguaiane o della Repubblica Indipendente di Vattelapesca sarà "quello giusto" e la "sola ed unica exit strategy". Perché così da dieci mesi ci pompano 24h24, la narrazione dice questo sin dal "paziente uno" di Codogno, che dico di Codogno, sin da quando Wuhan ha chiuso per quarantena e quindi i narratori stessi sono divenuti ormai prigionieri della loro propaganda: guai, perciò, se le cose andassero diversamente. Tanto i dati sono manipolabili e chi controlla i controllori?

Ritengo che l'emergenza pandemica finirà pressappoco nell' estate 2021 o giù di lì, vuoi per i vaccini e vuoi per la naturale decadenza del virus stando a quanto ci hanno insegnato le epidemie del passato. Proprio quella manciata di mesi, provvidenziale, che serve ai Padroni del Vapore (giganti del digitale, grandi banchieri, gestori di fondi, alti finanzieri, grossi membri dei servizi segreti, capi delle multinazionali) per liquidare definitivamente il vecchio sistema e gettare le basi della Quarta Rivoluzione Industriale, che assorbirà tutta la decade dei Venti del XXI secolo (come ho scritto, questo processo abbisogna di almeno sette, otto, nove anni data la sua complessità). Infatti tutti si stanno affannando a ripetere che anche con centinaia di migliaia di dosi in arrivo ogni settimana sarà necessario continuare con mascherine e distanziamento "sociale": badate bene il termine "sociale" e non "fisico", una ragione esiste e tra poco la scopriremo.

Queste ultime restrizioni serviranno a liquidare tutti quei settori che nella Quarta Rivoluzione Industriale saranno inutili: turismo di massa, ristorazione, trasporto aereo su grandi flotte,  trasporto pubblico in generale, eccetera, facendo introiettare alle popolazioni il nuovo stile di vita cioè smart working, mobilità ridotta, turismo individuale /familiare di vicinato, didattica a distanza e uso delle piattaforme digitali per qualsiasi servizio, compresi film, spettacoli teatrali, pizze e cultura.

La Quarta Rivoluzione Industriale, per funzionare, ha necessità di mobilità ridotta e di socialità ancor più ridotta. Il distanziamento sociale sarà permanente, infatti. Come fai a vendere pacchetti in streaming se la gente va al cinema o al teatro? O a vendere fitness online se vanno in palestra? O a far prosperare il delivery se vai al ristorante? O a far guadagnare i vari Airbnb et similia se vai dalle agenzie di viaggio? O gli Amazon store virtuali e reali se vai dal negozietto del ferramenta sotto casa?

Non funzionerebbe. E siccome il turbocapitalismo selvaggio 4.0 la concorrenza non la concepisce, deve farla sparire. È chiaro il concetto? Non è che i vari Padroni del Vapore sono cattivi e assatanati come certi complottisti li descrivono, è che il loro modello abbisogna di un certo stile di vita che fa a pugni con quello con cui eravamo abituati. È una questione di "concorrenza" e siccome il nuovo fa a pugni col vecchio, il nuovo dovrà fagocitare il vecchio: è la metafora del Capitalismo dio Crono che divora i propri figli. E al momento all'orizzonte non si vede alcuno Zeus pronto a farglieli sputare e ad evirarlo.

È bene, miei cari lettori, che iniziate anche voi a introiettare tali concetti -ovviamente dopo esservi riparati tra la vegetazione del Bosco jungheriano- perché la Disruption (voce inglese traducibile come "innovazione che crea nuovi mercati e nuove reti di valori in una società") che seguirà alla Quarta Rivoluzione Industriale sarà di una portata devastante tale che non si è mai vista dacché l' Umanità calca la Terra e chi non sarà preparato a ciò verrà spazzato via, verrà liquidato o lo shock sarà tale -per quei poverini che ancora credono a "andràtuttobene"- che ne perderanno la sanità mentale. Se pensate che questi sono i vaneggiamenti d'un umile anonimo uomo di paese che vive a due passi dai vigneti da qualche parte nel Sud del Sud dei Santi, vi sbagliate di grosso. Ma so che non pensate così. Comunque per darvi il parere di chi ne sa più di me ecco che il "Financial Times", l'economista Pagani, l'Huffington Post in un suo ultimo articolo e anche Mario Draghi parlano di "ripresa a K" postpandemica. Significa una ripresa dove alcuni settori -peraltro quelli mai colpiti dalla crisi, anzi avvantaggiati- continueranno la loro ascesa esponenziale mentre quelli duramente colpiti rotoleranno sempre più verso il basso.  E analizzando quali settori saliranno e quali scenderanno (indovinate quali?) non servono delle grandi menti per capire dove andremo a parare e cosa rischia di concretizzarsi nei prossimi anni.

Dimenticavo: le riprese a "K" sono quelle che portano le maggiori e più devastanti disparità di reddito tra la popolazione e le dividono in una minoranza di garantiti e una maggioranza di non garantiti. Ho scritto più volte che soluzioni al momento non ve ne sono. Conviene stare solo buoni, preparati, consapevoli (soprattutto direi, consapevoli) in attesa degli eventi. E sapendo benissimo che noi oggi abbiamo urgenza di recuperare e creare nuovi valori, non nuove scoperte. Vedete, possiamo paragonare il tutto a una previsione meteo a 15 giorni: il modello matematico ha fiutato una grossa area di bassa pressione in discesa dall' Atlantico al Mediterraneo, via golfo del Leone e Porta del Rodano, con un Mar Ligure molto caldo e pericolo di piogge eccessive associate inoltre a calde correnti di scirocco in arrivo sulle regioni meridionali. Il meteo da qui a 15 giorni fiuta tempesta, la tendenza è una tempesta, il modello prevede tempesta, però...però...il previsore non sa di preciso quali zone saranno più a rischio, quali in ombra pluviometrica, se sarà pioggia o diluvio, perché la Teoria del Caos agisce con mille varianti e forzanti impossibili da prevedere.

Entreremo in un decennio di tempesta, ma non sappiamo, come il previsore, dove e quando e con che intensità colpirà (e se colpirà: a volte vanno in frontolisi sulle Alpi per forzanti esterne). Solo 36, se non 24 ore prima il previsore avrà la certezza. E così siamo tutti quanti noi in questo tempo sospeso, col vecchio morto e il nuovo ancora non nato.

Io vi auguro serene feste per quanto possano esserlo, dandovi appuntamento al 2021 per altri cicli di articoli su come andrà il mondo, sperando di poter dare risposte più articolate.

Simone Torresani

 
Minimizzatori PDF Stampa E-mail

27 Dicembre 2020

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 Da Appelloalpopolo del 22-12-2020 (N.d.d.)

Siamo minimizzatori perché svalutiamo la fede nella scienza rispetto alla fede che molti hanno, sebbene non siamo persone che hanno sfiducia nella scienza. Semplicemente ci sembra stupido avere fiducia (o sfiducia) nella scienza. Siamo minimizzatori perché svalutiamo la speranza nella scienza. La speranza nella scienza, come in genere la speranza che accompagni l’azione dell’uomo pratico, ci sembra ancora più stupida della fiducia. Siamo minimizzatori perché fin da subito abbiamo sminuito la letalità, sulla base di indicazioni che provenivano dalla nave da crociera Diamond Princess. E abbiamo convenuto che la professoressa Gismondo, pur avendo sbagliato, è andata mille volte più vicina alla verità degli scienziati che avevano ipotizzato la possibilità di milioni di morti. Siamo minimizzatori perché non soltanto sosteniamo che il diritto alla massima durata della vita sia da bilanciare con i diritti alla ricerca, all’istruzione, alla formazione e alla crescita dei giovani, all’espressione artistica, alla cultura, allo sport, alla socialità e alla produzione e distribuzione di beni, bensì che tutti sanno che in realtà il bilanciamento è logicamente necessario e dunque anche teoricamente ineliminabile e infatti sempre presente nei fatti, sicché chi lo nega in ragione di una pretesa assolutezza del diritto alla massima durata della vita mente, eventualmente a se stesso, per ipocrisia moralistica. Siamo minimizzatori perché neghiamo la verità dell’affermazione secondo la quale le vite hanno tutte lo stesso valore ed osserviamo che la frase ha un contenuto apparentemente ovvio quando il problema non si dà ma che quando il problema si presenta, in guerra, in caso di naufragio, di necessità di sopravvivere per molto tempo in ambienti ostili, di incendi, terremoti o di situazioni che comunque impongono una scelta, una varietà di criteri, ora puramente oggettivi ora in parte soggettivi, presiede alla scelta (feriti che possono tornare a combattere valgono di più di quelli che non possono tornare, la vita di un parente vale di più di quella di un estraneo, la vita di un bambino vale più della vita di un adulto, di un cittadino rispetto ad un estraneo, di un estraneo rispetto ad un nemico). Siamo minimizzatori perché neghiamo che la vita dell’individuo abbia più importanza della vita della collettività. Siamo minimizzatori perché sminuiamo la comprensione che si ha per il panico, chi è nel panico e chi genera panico. Siamo minimizzatori perché allentiamo la tensione e ridiamo di covid, come ha sempre fatto l’umanità che davanti alla peste o al colera festeggiava e si dava alle danze e ai fuochi d’artificio per esorcizzare la malattia. Siamo minimizzatori perché svalutiamo la svalutazione dell’immunità naturale, che per ora è l’unica cosa certa e che sta dimostrando una significativa durata, visto che nessuno dei guariti a marzo si è ancora ammalato (ammalato non significa che è risultato positivo asintomatico al tampone) a dicembre a distanza di nove mesi. Siamo minimizzatori perché sappiamo che la mascherina ovunque si abbia una distanza di uno o due metri e ovunque non si sia in assembramento ma di passaggio non serve assolutamente a nulla. Siamo minimizzatori perché svalutiamo tutti gli interessi, individuali o collettivi, rispetto agli interessi dell’infanzia. Siamo minimizzatori. È inutile negarlo. E ne andiamo fieri.

Stefano D’Andrea

 
Il vero motivo delle critiche della BCE PDF Stampa E-mail

25 Dicembre 2020

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 Da Comedonchisciotte del 22-12-2020 (N.d.d.)

Quello che proprio non si può rimproverare a questo Governo Conte 2 è la mancanza di fantasia nel provare ad intraprendere percorsi “virtuosi” per gli italiani, estremamente provati dalla crisi sanitaria e da quella economica. Nasce così il cashback, un’iniziativa messa in campo dal Governo per incentivare i pagamenti “non in contante” attraverso un sistema di restituzione in denaro di una percentuale di quanto speso con moneta elettronica. Per avere diritto al cashback, sarà quindi necessario effettuare almeno 10 operazioni di pagamento con moneta elettronica a fronte delle quali verrà riconosciuto il 10% di rimborso, fino a un massimo di 1.500 euro di spesa complessiva (il rimborso massimo sarà quindi di 150 euro). Il meccanismo ha la finalità di offrire un maggior risparmio ai consumatori ma nei fatti tende a limitare i pagamenti fatti con denaro contante, che ricordiamo è l’unica forma di moneta avente corso legale nel Paese. Infatti la moneta bancaria attraverso la quale si possono oggi effettuare pagamenti elettronici non è moneta a corso legale, ma moneta ad accettazione volontaria. Questo perché la moneta bancaria rappresenta una “promessa di pagamento” della banca nei confronti del depositante, come riportato dall’art. 1834 del Codice Civile.

Questo aspetto meramente tecnico ha però indotto una forte reazione da parte della BCE, che si è mostrata critica nei confronti del governo italiano. Secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, la BCE ritiene, a ragione, che

L’introduzione di un programma di cashback per incentivare i pagamenti elettronici appare una misura sproporzionata alla luce del potenziale effetto negativo che potrebbe avere sul contante, compromettendo l’approccio neutrale verso i vari mezzi di pagamento disponibili. La Bce apprezzerebbe che le autorità italiane tenessero in debita considerazione i rilievi che precedono adempiendo in futuro al proprio obbligo di consultare la BCE, se del caso.

A questo punto il lettore però potrebbe essere assalito dalla confusione: potrebbe infatti, lecitamente domandarsi “ma come, si parla ovunque di voler tracciare tutti i pagamenti per evitare evasione, elusione, frodi di ogni sorta ed ora la BCE dice che il pagamento elettronico non va bene? … non capisco …” Eh sì caro lettore. Hai ragione a non capire perché per avere il quadro complessivo è necessario inserire un nuovo soggetto: la moneta digitale di banca centrale, CBDC (Central Bank Digital Currency). È questa la tipologia monetaria che secondo le banche centrali dovrà sostituire (noi ovviamente siamo fortemente contrari) il contante in un futuro prossimo, assumendo lo status di moneta a corso legale. Nella recente pubblicazione della BCE, “Report on a digital euro”, la banca centrale elenca una serie di fattori che, dal suo punto di vista, dovrebbero spingere per la realizzazione di un euro digitale creato dalla BCE. L’Eurosistema concepirebbe l’euro digitale in modo tale da evitare possibili conseguenze indesiderabili per l’adempimento del suo mandato, per l’industria finanziaria e per l’economia in generale. Un euro digitale potrebbe anche sostenere le politiche economiche generali dell’Unione europea (UE) e potrebbe soddisfare le esigenze di pagamento di un’economia moderna offrendo, oltre al contante, un asset digitale sicuro con funzionalità avanzate. Per i cittadini ed imprese la CBDC rappresenterebbe un mezzo di pagamento evoluto, sicuro ed affidabile, non come la moneta elettronica bancaria utilizzata oggi. Ma la creazione di un euro digitale da parte della BCE potrebbe creare diversi problemi, ad esempio al sistema bancario tradizionale (una moneta più sicura potrebbe attirare i depositi che uscirebbero dal sistema bancario tradizionale, obbligando le banche commerciali ad aumentare la remunerazione dei conti correnti con conseguenti perdite di margini di intermediazione). L’euro digitale, come asset sicuro, potrebbe ad esempio indurre ad una maggiore tesaurizzazione da parte della clientela, sia residente che estera (un po’ come quello che sta oggi accadendo con le crypto valute, individuate da taluni come bene rifugio ed investimento sicuro). Infine, l’emissione di un euro digitale cambierebbe la composizione, la dimensione del bilancio dell’Eurosistema e quindi inciderebbe sulla sua redditività ed esposizione al rischio. Infatti, dovendo regolare tutti i pagamenti, compresi quelli al dettaglio, il malfunzionamento dell’infrastruttura informatica alla base dell’euro digitale potrebbe causare perdite e danni ai singoli utenti privati sollevando interrogativi sulla responsabilità della banca centrale.

Come abbiamo visto quindi, il tema dell’emissione e creazione di una valuta a corso legale digitale è assai complesso poiché coinvolge tutti gli attori presenti sul mercato. È evidente quindi che la critica rivolta al Governo italiano da parte della BCE trova la ragione nel fatto che l’eventuale aumento dell’utilizzo della moneta elettronica bancaria avverrebbe a scapito della moneta a corso legale creata dalla stessa BCE (contanti). Quindi, se al posto della moneta bancaria vi fosse stata quella della banca centrale (CBDC), sicuramente nessuna critica sarebbe stata rivolta al Governo nazionale.

Ora tutta questa discussione potrebbe sembrare piuttosto sterile se non fosse che in realtà quello che si nasconde dietro la proposta della BCE di voler creare una moneta digitale a corso legale, altro non è se non il tentativo, piuttosto palese, di limitare ancora di più la sovranità degli stati nazionali ed in second’ordine entrare in aperta competizione col mercato bancario tradizionale. Accentrando presso l’Eurosistema anche l’emissione di un futuro euro digitale, il potere di questo ne verrebbe ancor più aumentato e la dipendenza da questo sarebbe totale poiché finirebbe col controllare l’intera offerta di moneta presente nel sistema economico.

Evitare l’accentramento della creazione monetaria presso il sistema delle banche centrali è il motivo principale per opporsi a questa prospettiva. L’unica moneta elettronica a corso legale che il popolo potrà e dovrà accettare in tranquillità sarà quella creata dallo Stato. Moneta che nascerà senza debito e senza interesse. Moneta positiva.

Stefano Di Francesco

 
La fine dei riti è la fine dell'uomo PDF Stampa E-mail

24 Dicembre 2020

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 Da Rassegna di Arianna del 22-12-2020 (N.d.d.)

Il mondo "sostenibile" che si sta materializzando sotto i nostri occhi, reca in sé la fine delle danze, la fine dei canti corali, la fine delle sale cinematografiche, la fine dei teatri, la fine dei concerti rock. Ma anche la fine delle feste religiose, la fine delle sagre di paese, la fine del turismo di massa, la fine delle ritualità sportive. E così, anche, esso reca in sé l’interdizione dei funerali in determinati luoghi e periodi, il crollo quantitativo dei battesimi, il calo esponenziale dei matrimoni, il diradarsi dei raduni famigliari nelle festività.

Qualunque elemento rituale, ludico o artistico-culturale che possa insomma svolgere funzione di collegamento tra il singolo e la collettività, cessa di esistere, le arti abdicano dal loro ruolo di celebrazione collettiva della pólis per adeguarsi, senza porre resistenza alcuna, a un destino di fruizione esclusivamente individuale e domestica. Menzionando il rapporto fra arti e pólis, si ricorda come la nascita delle prime discenda da quella culminazione della sfera collettiva che sono i riti. Sacrificale, stagionale, propiziatoria o apotropaica che sia, la dimensione rituale rappresenta da sempre - come argomentato da Durkheim, da Malinowski, da Frazer e da insomma ampia parte dell’antropologia - il principio originario e fondativo della comunità e del contratto sociale. Ma non soltanto il rito realizza il riconoscersi di ogni singolo uomo nel rapporto con la propria collettività: esso realizza, altresì e specularmente, il riconoscersi della specie umana nel rapporto con l’universo. L’esistenza finita e mortale dell’uomo, infatti, al cospetto della sostanza infinita della natura e del cosmo circostanti, si ritrova in quella che Ernesto De Martino definisce crisi di presenza. I riti rispondono dunque a tale crisi e la trasmutano in consapevolezza della relazione, generando così senso e sentimento di legame fra specie umana e cosmo. Questa coscienza di un universo esteriore a sé e la celebrazione rituale e collettiva di tale consapevolezza, ebbene, caratterizzano la specie umana da molto prima della scoperta della ruota. Da questo punto di vista, allora, possiamo affermare che la società del distanziamento permanente, annichilendo ogni forma rituale collettiva, stia alienando l’uomo dal senso e dal sentimento del proprio legame con gli altri uomini nonché del proprio legame con la natura e il cosmo circostanti. In conseguenza di ciò, possiamo concludere che la società del distanziamento stia altresì alienando l’uomo da ciò che lo definisce come specie nonché da tutto ciò che sia inscrivibile entro la categoria di umanità.

Riccardo Paccosi

 
Immani sacrifici e più morti PDF Stampa E-mail

23 Dicembre 2020

 Da Appelloalpopolo del 20-12-2020 (N.d.d.)

Il 2020 fu l’anno in cui per evitare, probabilmente, secondo alcuni, ed eventualmente, secondo altri, 10.000 o 20.000 morti in più dovuti a una nuova malattia, furono chiuse per 10 mesi le biblioteche, senza che i docenti e i ricercatori scioperassero; furono chiusi per 10 mesi gli archivi di Stato, senza che gli storici reclamassero; furono rinviati gli scritti per avere nuovi magistrati o nuovi funzionari della Pubblica Amministrazione; furono altresì rinviati gli scritti per l’accesso alle professioni protette; i laureandi, nello svolgimento della tesi, si limitarono per lo più a consultare materiale online, a causa della chiusura delle biblioteche, e non fecero un’esperienza che avrebbe potuto cambiargli la vita; gli studenti seguirono mesi di didattica a distanza, nel disinteresse generale per la gravissima disuguaglianza che questa forma di didattica comportava. Essa, infatti, oltre a sacrificare un po’ tutti gli studenti, sacrifica particolarmente i meno bravi e meno seguiti a casa, i quali appresero il 50 o il 100% in meno del poco che avrebbero appreso in presenza; i bambini e i ragazzi non giocarono a calcio e non praticarono altri sport, né nei campetti né con le associazioni sportive, escluse le società sportive professioniste; i teatri restarono silenziosi; le sale concerto ammutolirono; i libri pubblicati furono pochissimi; i nuovi nati furono meno di 400.000 mila; uomini e donne trascorsero dalle 10 alle 15 ore davanti agli schermi; aumentarono i morti per infarto non trattato o trattato tardivamente; aumentò l’uso degli antidepressivi; uomini e donne fecero meno l’amore; le associazioni o i circoli di quartiere o culturali o di volontariato chiusero le sedi e non svolsero che rare attività; tutti accettarono di mettere la mascherina all’aperto, anche alle sei del mattino, in compagnia del solo cane; chiusero centinaia di migliaia di imprese e alcune decine di migliaia non riaprirono negli anni successivi.

E tutto questo immane sacrificio e molto altro fu sopportato soltanto per evitare, probabilmente o eventualmente, 10.000 o 20.000 morti in più. Si disse, invero, che le restrizioni servivano ad evitare l’intasamento delle terapie intensive, che se si fosse verificato avrebbe comportato milioni di morti; e molti lo credettero. Ma dopo nove mesi si scoprì che soltanto il 10-15% dei deceduti complessivi moriva in terapia intensiva; gli altri malati erano già di per sé tanto compromessi da non essere candidabili per l’intubazione. Si scoprì anche che l’uso che si fece delle terapie intensive nel 2020 fu di pochissimo superiore all’uso che se ne era fatto l’anno prima. Si disse anche che non si dovessero intasare gli ospedali per poter curare gli altri malati. Ma dopo alcuni mesi si scoprì che, a parte le forme critiche della malattia, tutti gli altri malati, compresi quelli con polmonite ma senza necessità di terapia intensiva, potevano e dovevano essere curati a casa e che essi si erano irrazionalmente riversati negli ospedali sia a causa dell’abdicazione della medicina del territorio, dovuta a una circolare ministeriale, sia per l’informazione terroristica dei canali televisivi. L’intasamento degli ospedali non si ebbe in quasi nessun paese. Infine, nonostante le infinite restrizioni, almeno la metà dei morti contrasse la malattia negli ospedali.

L’Italia fu il paese occidentale di grandi dimensioni che, nonostante sacrifici, chiusure e vincoli molto ma molto superiori agli altri paesi, ebbe più morti, perché l’eccesso di vincoli era inutile e dovuto soltanto a depressione, ansia, terrorismo, scientismo e sfrenato egoismo. Il 2020 può essere a ragione definito come l’anno in cui tutte le enormi debolezze dello Stato, del Popolo, della Nazione e derivanti dall’appartenenza alla disfunzionale e imperiale Unione Europea divennero note a tutti gli italiani e furono manifestate al mondo intero. Fu l’anno del tracollo della nazione italiana nella valutazione dei popoli del mondo. Auguriamoci che il 2021 sia migliore.

Stefano D’Andrea

 
Salto tecnologico e nuovo feudalesimo PDF Stampa E-mail

22 Dicembre 2020

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 Da Appelloalpopolo del 18-12-2020 (N.d.d.)

Dal punto di vista economico, oggi sono in atto due tendenze principali: il salto tecnologico e il neo-feudalesimo. La prima e più notevole tendenza è quella del salto tecnologico indotto dalle politiche “Green”, che nasce storicamente dal fatto che il modello di sviluppo della seconda metà del Novecento è giunto al termine. Esso era basato su sviluppo edilizio, infrastrutture (in gran parte finanziate dagli Stati) e automobile a combustibile fossile. Dunque, acciaio, cemento, mattoni, motori, petrolio. Un intero sistema complesso e intrecciato che si è sviluppato per sessant’anni e più. Nei paesi avanzati tutto ciò, però, non regge più: le infrastrutture grosso modo ormai ci sono, più di tanto non si possono costruire nuove case e ormai abbiamo due automobili per famiglia. Il mercato è più che saturo e la crescita asfittica. Dunque, è necessario un salto tecnologico per creare mercati nuovi. Quella del salto tecnologico è un’ottima maniera di creare mercati in cui anche nuovi soggetti possono affacciarsi, vedi la telefonia cellulare a metà anni ’90, e allo stesso tempo per eliminare concorrenti incumbent molto ingombranti. Il salto tecnologico può essere spontaneo, nel senso che esiste una domanda inevasa che l’offerta a un certo punto inizia a coprire, o può essere indotto, o meglio imposto. Nel caso del Green Deal, il salto tecnologico sarà imposto dagli accordi internazionali. Che l’influenza delle attività umane sul cambiamento climatico sia reale o meno poco importa, ai fini del business. Importante è che il salto tecnologico abbia luogo. Dagli incentivi per soluzioni “Green” largamente intese, infatti, si sta passando gradualmente ai divieti di fare o utilizzare prodotti non-Green. Dunque, divieto di Diesel significa comprare un’auto elettrica, per cui presto o tardi tutti dovremo cambiare auto: un mercato gigantesco: in Europa ci sono 270 milioni di auto circolanti. Tutte da rottamare. Efficienza energetica e edilizia green: oggi abbiamo il bonus 110% come incentivo, domani arriveranno gli obblighi, come quello di cambiare le caldaie condominiali. Nuove infrastrutture? Ecco le centrali grandi e piccole di produzione di energia rinnovabile e di idrogeno, altro elemento importantissimo dello shift tecnologico, con necessità di massicci investimenti sulle reti “intelligenti” per il dispacciamento dell’energia. In questo il 5G si inquadra perfettamente per le applicazioni della tecnologia, soprattutto pensando all’IoT. Questo immenso cambio tecnologico è dunque necessario perché il sistema produttivo del ‘900 è finito e il grande capitale necessita di nuovi rendimenti.

La seconda tendenza importante è legata invece al rapporto tra la proprietà di un bene e il suo utilizzo. Ricalcando lo schema antico feudale, si va verso un sistema in cui le persone non possiederanno ciò che usano, sul modello Spotify, o Netflix, o monopattino elettrico in sharing. Non si compra più il film su DVD (dove sono finiti i DVD? In via di estinzione, sembra), cioè non si è più proprietari di un oggetto hard con un contenuto soft, ma ci si abbona continuativamente a una piattaforma, dalla quale si usufruisce del contenuto. Cessato l’abbonamento, non si ha nulla. Estendendo questo modello, il grande capitale sarà proprietario degli asset, che il consumatore utilizzerà pagandoli in base all’uso. Questo modello si può applicare a quasi tutto: dalle auto ai cellulari, alle case, un giorno, chissà, persino ai vestiti. Una sorta di leasing eterno. La proprietà da parte dei singoli, in questo modello, è scoraggiata, a vantaggio di chi invece diventa un super-proprietario che incassa una quota costante (tendenzialmente anzi in crescita) di reddito di milioni di “clienti”. La competizione sarà tra “piattaforme” per occupare una quota sempre maggiore del portafoglio di spesa dei clienti. Questo apre diverse prospettive da discutere riguardo alle disparità di reddito. In parte, questo modello si inserisce nell’alveo del pensiero della “decrescita felice”, dove il possesso di beni prodotti, catalogati come “superflui” è altamente stigmatizzato. Di doman non c’è certezza…

Sergio Giraldo

 
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