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Governanti pavidi, presuntuosi e incompetenti PDF Stampa E-mail

3 Dicembre 2020

 Da Appelloalpopolo del 2-12-2020 (N.d.d.)

Governare significa scegliere, la politica è fatta di scelte e, soprattutto nei momenti più difficili, di coraggio, molto coraggio. La scienza, la tecnica in generale, devono essere solo un supporto per i decisori politici e i tecnici non devono permettersi di sostituire la politica, formalmente o di fatto, neanche nel rapporto con i media e, quindi, con la popolazione. Proprio per questo la responsabilità politica implica un dovere di competenza e di conoscenza. Il decisore non deve e non può limitarsi a ratificare la scelta del tecnico, la responsabilità deve essere riconoscibile e restare nelle mani di chi deve risponderne davanti al Parlamento e condividerla con i rappresentanti del Popolo: ne va della democrazia. Diversamente si entra nell’ambito di un regime tecnocratico simile a quello europeo, in cui le decisioni vengono prese “al riparo dal processo elettorale”. Un Presidente del Consiglio, un Ministro della Salute, quindi, devono essere eccellenza nazionale, così come devono esserlo i Parlamentari (o almeno un buon numero di essi), non tanto perché esperti di una o più materie, ma in quanto uomini o donne eccezionali, sopra la media, capaci di studiare, analizzare, comprendere anche ciò che può giungere in loro supporto dalla tecnica, così da operare scelte consapevoli ed assumersene la responsabilità… e in questi mesi abbiamo visto cosa significhi avere una classe dirigente, anzi una intera classe politica, formata dai peggiori.

Non trovo scandaloso che il Governo Conte si sia discostato più volte dai pareri del suo Comitato Tecnico Scientifico (sul primo lockdown generale ad esempio, o sulla chiusura delle scuole), trovo invece scandaloso che l’abbia fatto senza scegliere, senza conoscere, senza indicare e perseguire uno scopo. Il Governo Conte, con l’omertoso assenso del Parlamento, da gennaio si sta limitando, in definitiva, a subire il virus senza prepararsi e senza affrontarlo, utilizzando la comunicazione e stravolgendo il supporto della scienza solo per avallare o giustificare, spesso in via preventiva, il fatto di muoversi colpevolmente alla cieca. E i risultati di questa non strategia sono sotto gli occhi di tutti: il Governo Conte è quello che più ha oppresso i suoi cittadini e al tempo stesso quello che più li ha uccisi, sia nella prima che nella seconda ondata. Gli errori commessi sono evidenti ed è tanto drammatico quanto inaccettabile che siano stati ripetuti.

Stiamo subendo gli errori di governanti pavidi e presuntuosi, incompetenti e ipocriti, ma soprattutto di vili personaggi di bassa lega che continuano a scaricare tutto sui cittadini, compresa la propria responsabilità. E non sarebbe neanche l’errore in sé il vero dramma: l’errore fa parte dell’agire umano e dell’azione politica, è anche perdonabile, ma solo a chi ha coraggio. Un evento eccezionale e drammatico ci è piombato addosso e bisognava avere il coraggio di scegliere come affrontarlo, consapevoli, esattamente come in una guerra scatenata da un attacco nemico, che sarebbe stato inevitabile lasciare sul campo un certo numero di vittime, inversamente proporzionale alle armi a disposizione. Noi non abbiamo scelto, sebbene dal Governo continuino ipocritamente a ripeterci che la loro priorità è salvare vite umane, priorità che non hanno dimostrato di avere in 30 anni di tagli alla Sanità, di stragi quotidiane sul Lavoro, di Privatizzazioni selvagge che hanno fatto cadere ponti, o di calamità da incuria del territorio. Vogliono salvare vite umane, dicono, e invece ne stanno ammazzando, più di ogni altro governo… e ancora ne ammazzeranno, di Covid e di lockdown.

Lorenzo D’Onofrio

 
La malattia era latente PDF Stampa E-mail

2 Dicembre 2020

 Poiché il mio nome non è nuovo ai lettori di questo blog, in molti avranno capito che nei precedenti articoli mi sono abbandonato alla provocazione per indurre alla riflessione. Per continuare il ragionamento è necessaria una chiarificazione sul mio pensiero: è da nove mesi che penso -e continuo a pensare- che il lockdown è inutile, dannoso, devastante per l'economia, e il distanziamento sociale è qualcosa di aberrante. La stessa Argentina tre settimane orsono ha concluso il più lungo e rigoroso lockdown mondiale per puro sfinimento, col solo risultato di 1.425.000 contagi e 38.473 decessi (al 29 novembre), in proporzione peggio di noi se paragonata alla popolazione. Senza contare l'aumento della miseria e un nuovo crack economico-sociale in stile 2001.

Sia chiaro che in tempo di epidemia nessuno può far ciò che vuole: chiusure e limitazioni ci sono sempre state anche in passato (nel XVII secolo lo stesso cardinale Borromeo espose le reliquie di San Carlo a Milano forzato e controvoglia, adottando una linea che oggi diremmo "rigorista") e quindi una serie ragionevole di mirati divieti deve pur esserci senza per questo affossare la socialità e il lavoro.  Da noi si è trasceso ed è tempo e spazio perso spiegare perché. Qui si vuol solo far notare un paio di cose: è curioso come nel corso dell'anno le due "ore d' aria" permesse coincidono, putacaso, coi periodi di maggiori introiti economici quali la stagione vacanziera estiva e lo shopping di Natale. È schizofrenico udire i virologi lanciare gli allarmi su una terza ondata (che dati i precedenti ci sarà per davvero) e allentare i divieti per qualche settimana al solo scopo di permettere l'unica libertà "consentita" rimasta ai cittadini: la libertà di essere tubi digerenti, la libertà di consumare. Terza ondata, però ristoranti e cinema, musei e teatri -luoghi ove i protocolli sono severi e i contagi rari- chiusi ma le settimane bianche e gli sci (sport individuale, badate bene) aperti presumibilmente a gennaio.

Stupisce inoltre il tasso di conformismo e di obbedienza cieca del cittadino medio: mai avremmo pensato giungesse a tali livelli. Davanti alla spiaggia, al consumo, allo shopping natalizio e alla settimana bianca, insomma, la paura folle del contagio scompare e come marionette a comando si accettano le imposizioni più folli e antiscientifiche -coprifuoco in primis- ma dinnanzi a un bello smartphone per i regali natalizi (anche questi sono consentiti: "niente abbracci ma potremo scambiarci doni", disse Conte) non vi è covid che tenga e centri commerciali e negozi diventano per magia zone franche e sicure. Le scuole invece no. E intanto secondo anno perso e intanto il mondo corre, già in Asia e Oceania che sono i nuovi motori dell'umanità sta entrando prepotentemente la Quarta Rivoluzione Industriale. Da noi 300.000 studenti non riescono a interagire a distanza perché...semplicemente privi di pc!

Tralasciando queste cose che meritano un discorso a parte, un Paese che accetta simili imposizioni folli e accetta come un detenuto di passeggiare a comando durante l' "ora d' aria" è un Paese che ha una società ( il termine comunità oggi è impossibile da pronunciare) profondamente marcia, rosa dalla putredine e dalla fillossera,  totalmente priva di vitalità ed elementi vitali, svuotata, declinante, prossima quasi alla estinzione. La malattia era latente, serviva solo un avvenimento per farla esplodere e ora la abbiamo sotto gli occhi.  Dobbiamo metterci nella testa che stiamo attraversando una crisi di civiltà, di cui la crisi economica, sociale e sanitaria altro non sono che semplici corollari o dettagli.

"La crisi" scrisse 90 anni fa un acuto pensatore come Gramsci "consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere. È in questo interregno dunque che si verificano i fenomeni morbosi più svariati". (A.Gramsci,"Quaderni dal carcere", nr 3, par.34, pag,311). È vero: il vecchio muore, sta morendo, in alcuni casi anzi è già morto e il nuovo non può nascere per la ragione lapalissiana che il nuovo non esiste.

Il nuovo non può essere di certo la Quarta Rivoluzione Industriale di robotica, informatica e intelligenza artificiale; il nuovo non può essere di certo una concezione più "larga" o umana della finanza oppure far diventare lo sviluppo "green", che poi tanto "green" non lo sarà di certo, data la voracità di corrente, terre rare, litio e silicio, e l' attuale vicenda del fallito golpe boliviano per le miniere di litio col tweet di Elon Musk dovrebbe far riflettere.

Civiltà è termine complesso da spiegare e non si lega di certo alla robotica, al green o all' Internet delle Cose prossimo venturo: queste cose non sono civiltà, non caratterizzano una civiltà. Civiltà è, detto all' osso, " idee, valori e tradizioni d'un popolo in un determinato momento della propria Storia". Le scoperte tecniche del mondo difficilissimo e complesso che ci aspettano in futuro, unite a questo lungo e snervante "interregno" gramsciano non produrranno nulla di buono.

L' epidemia prima o poi se ne andrà e quel che spaventa maggiormente non sono tanto i contagi o le vittime perché il coronavirus appartiene ai Quattro Cavalieri dell'Apocalisse che ci accompagnano da sempre. La paura è il "dopo", il "che vuoi fare da grande?", come dicevano un tempo i nostri vecchi. In questo tempo sospeso e perduto nessuno parla del "dopo".

Simone Torresani

 
Milioni di già immuni PDF Stampa E-mail

1 Dicembre 2020

 Da Appelloalpopolo del 29-11-2020 (N.d.d.)

I casi totali di Covid accertati in Italia sono 1.560.000. Il 31 luglio 2020 – data convenzionalmente scelta come conclusione dell’ondata iniziata a marzo – avevamo, invece, poco più di 245.000 casi accertati. Tolti i 35.000 deceduti, restavano 210.000 casi dei quali 199.999 risultavano guariti o negativi già il 31 luglio. È noto che gli infettati sono stati molto di più (se la letalità è generalmente intorno allo 0,6%, come si afferma da parte di vari scienziati, potremmo aver avuto quasi sei milioni di infettati nella ondata di marzo-luglio). Ma, non avendo certezza su quali soggetti si siano infettati e quali no, bisogna accontentarsi del campione dei 210.000 accertati.

Ebbene quante di queste 210.000 persone, infettatesi nella seconda ondata della stagione 2019-2020 (cosiddetta prima ondata), si sono reinfettate durante la prima ondata di questa stagione 2020-2021 (cosiddetta seconda ondata)? Quanti dei casi successivamente accertati, a partire dal I agosto, che sono 1.350.000 (1.560.000 meno 210.000) sono reinfezioni dei 210.000 infettati accertati nella ondata precedente? Ovviamente i calcoli che dobbiamo fare possono avere una certa approssimazione. Non si tratta di fare uno studio scientifico, nel quale rileva anche uno scostamento dell’1% o dello 0,3% e persino dello 0,1%. Si tratta di verificare se l’infezione dà immunità per alcuni mesi.

Il caso italiano di reinfezione è uno soltanto: il ciclista colombiano Fernando Gaviria, che appartiene ad una squadra del Friuli e che, essendosi infettato a marzo, ad ottobre è risultato positivo asintomatico (se era asintomatico anche a marzo non so). Ammettendo che si tratti di un caso reale e che non si tratti di un falso positivo – sebbene tutti gli esperti ammettano un tasso di falsi positivi dell’1% - si tratta pur sempre di un solo caso. Quanti dovevano essere proporzionalmente, se non fosse esistita nei 210.000 infettati tra marzo e luglio una qualche forma di immunità? Bisogna fare questa proporzione – il calcolo è grezzo scientificamente ma estremamente utile per scoprire la verità di massima: 60 milioni sta a 210.000 come 1.350.000 sta a x. Bene, se si fa il calcolo si scopre che mediamente dovevano essersi reinfettate circa 4725 persone. E invece se ne è reinfettata soltanto una. La possibilità di reinfettarsi a distanza di 4-8 mesi risulta da questa proporzione: 1 sta a 4.725 come x sta a 100. Se si fa la proporzione, viene fuori che x è pari a 0,02. Insomma noi sappiamo che l’immunità naturale nel tempo di 4-8 mesi in Italia ha protetto in una misura che si aggira attorno al 99, 98%.  Molto più della protezione offerta dai vaccini annunciati dalle varie case farmaceutiche, secondo quelle che probabilmente sono affermazioni esagerate e propagandistiche. Si aggiunga che i vaccini sono testati soltanto su soggetti sani, mentre la protezione che abbiamo avuto in questi 4-8 mesi in Italia riguarda anche soggetti deboli, con patologie diagnosticate, che si sono infettati, che ce l’hanno fatta a scampare alla morte, e che non si sono reinfettati. Infine si deve considerare che il tempo di protezione dimostrato dai vaccini non può essere, per ovvie ragioni, superiore a quello della sperimentata immunità naturale in Italia.

Questi quattro calcoletti, ripeto grossolani e quindi non scientifici ma altamente significativi, sarebbero in grado di farli tutti i giornalisti che intendessero dedicare 10 minuti al pensiero. E sarebbero in grado di farli anche medici e “scienziati”. Eppure non li fanno. I più anzi affermano che “l’immunità non esiste” o “dura poco” (perché quella del vaccino dovrebbe durare di più è un mistero, anche perché sul punto nessuna sperimentazione può essere stata fatta). Secondo questi medici e “scienziati”, seguiti da poco perspicaci giornalisti, l’immunità naturale o è del 100% o non serve. Invece, l’immunità data dal vaccino è utile anche se è del 90%, e, come hanno affermato molti medici autorevolissimi, sarebbe utile anche se fosse del 50%!

Questo è un vero e proprio cortocircuito del pensiero! Il cortocircuito genera certe pessime conseguenze.  A causa di esso si sta evitando di dire ai cittadini che i calcoli non sanno farseli, e a quelli che saprebbero farseli ma sono pigri e seguono “scienziati” medici e giornalisti coinvolti nel cortocircuito: i) che chi ha avuto covid tra marzo e luglio è risultato immune tra agosto e novembre nel 99,98% dei casi; ii) che sembrerebbe che l’immunità naturale sia più forte di quella del vaccino, almeno stando, da un lato, alla vasta esperienza italiana, che ha natura oggettiva,  e dall’altro alle chiacchiere annunciate dalle società farmaceutiche, che probabilmente contengono anche un po’ di propaganda; iii) che sarà interessante verificare se, nella seconda ondata della stagione 2020-2021 – che verosimilmente inizierà tra gennaio e febbraio – le 210.000 persone infettate tra marzo e luglio 2020 risulteranno ancora immuni fino al 31 luglio 2021.

Per ora, noi che abbiamo preso covid siamo immuni, per alcuni mesi, al 99, 98%. E siccome, come ci insegnano proprio gli scienziati, non esiste pressoché nulla al mondo che sia vero al 100%, diciamo che più immuni di come ci siamo dimostrati non si poteva essere. Non ce lo dicono, perché, in Italia, in materia di covid, si reputa generalmente che le verità che rasserenano non si debbano dire. Io credo invece che le verità vadano dette tutte, quelle belle e quelle brutte, e che, se proprio si debba un po’ mentire (ma non ne vedo la ragione), siano preferibili le menzogne che minimizzano rispetto a quelle che allarmano, che danno serenità anziché ansia, che spingono alla gioia anziché alla depressione, che invitano a festeggiare anziché a disperarsi, a fare nuovi bambini per compensare gli anziani che muoiono, anziché a piangere i morti. Ma ripeto la verità è che noi che abbiamo avuto covid siamo immuni al massimo livello desiderabile e pensabile.  Ora bisogna verificare la durata di questa stratosferica immunità; ma l’immunità naturale c’è ed è gigantesca. Siamo milioni, forse 10 milioni, in Italia, ad esserci infettati e per ora non abbiamo bisogno di alcun vaccino perché abbiamo un’immunità naturale accertata, che non è sicuramente inferiore a quella del vaccino e che non vi è alcuna ragione di credere sia più breve (potrebbe rivelarsi più breve di quella del vaccino o più lunga). Gli studi “scientifici” che indagano 30 o 50 casi di reinfezione nel mondo – dal venticinquenne del Nevada al pizzaiolo coreano - testimoniano soltanto che l’immunità non è al 100% ma al 98,98% e il loro uso strumentale e propagandistico, da parte di giornalisti e purtroppo anche da parte di medici e “scienziati”, volto a dimostrare che non c’è immunità, fa soltanto ridere chi ancora abbia la testa sulle spalle e non sia stato reso incapace di intendere e di volere dall’ansia generata dal sistema politico-mediatico. Abbiamo avuto in tutto nel mondo 50 milioni di infettati (accertati). O, nelle cosiddette seconde ondate, c’è qualche centinaio di migliaia di reinfettati o l’immunità c’è ed è notevole. Non serve uno studio “scientifico” per capire una cosa del genere. Basta il buon senso e non essere terrorizzati, quindi avere la possibilità di utilizzare il cervello, possibilità che con l’ansia viene meno.

Stefano D’Andrea

 
Il tracollo della civiltà PDF Stampa E-mail

29 Novembre 2020

 Da Appelloalpopolo del 15-11-2020 (N.d.d.)

L’isolamento a casa durante l’emergenza da nuovo coronavirus ha causato l’insorgenza di problematiche comportamentali e sintomi di regressione nel 65% di bambini di età minore di 6 anni e nel 71% di quelli di età maggiore di 6 anni (fino a 18). È quanto emerge da un’indagine sull’impatto psicologico e comportamentale del lockdown nei bambini e negli adolescenti in Italia, condotta dall’ospedale pediatrico Gaslini di Genova. Tra i disturbi più frequentemente evidenziati vi sono: l’aumento dell’irritabilità, disturbi del sonno e disturbi d’ansia”.

Andiamo con ordine. Cominciamo col dire che questo breve trafiletto, inserito nel FAQ governativo sulle conseguenze dell’emergenza coronavirus nei bambini, dovrebbe far saltare sulla sedia qualsiasi persona. Invece passa inosservato.

1. Il Governo è a conoscenza di questi dati. Se non prende decisioni in accordo a questi dati allora è dolo politico. 2. I problemi psicologici in così tenera età si traducono in

• Rallentato sviluppo intellettivo • Alterato sviluppo interpersonale e relazionale • Maggiore incidenza di malattie organiche • Maggiore incidenza di malattie psichiatriche gravi

Questi quattro domini potrebbero significare affermazioni del tipo “Mi suicido perché sono stato lasciato dalla ragazza”, “Ho già cambiato 5-6 lavori e non trovo nulla che mi piaccia”, “Il mondo fa schifo preferisco chiudermi nella mia stanza e non uscire più”, “Non vorrò mai figli”, “L’unica cosa che mi dà sollievo è la droga”. Insomma si tratterebbe di reati di violenza, tossicodipendenza, inconcludenza lavorativa, distacco familiare, autoisolamento sociale e altre cosucce di questo genere. Una belle generazione eh? Soprattutto una generazione che vedrà molti morti per cause non naturali, meno figli, meno progresso materiale e spirituale. E questo perché? Perché si preferisce generare disturbi nei bambini che dovrebbero correre liberi e abbracciarsi, andare a scuola e anzi essere particolarmente sostenuti e non reclusi in questo momento di difficoltà, al posto di prendere provvedimenti sulla popolazione davvero a rischio. Questo è il tracollo della civiltà e chi non se ne accorge ne è complice.

Davide Iezzi

 
La vita di un novantenne e quella di un bambino PDF Stampa E-mail

28 Novembre 2020

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 Dire che la vita di un novantenne vale quanto la vita di un bambino:

a) è falso, perché in un caso si perde mediamente qualche mese o anno di vita e nell'altro si perdono mediamente almeno settanta anni di vita e perché la morte di una persona molto anziana è comunque un approdo mentre la morte di un bambino è  una vita spezzata; b) è ipocrita, perché tutti sanno che si tratta di una falsità  per le ragioni indicate sub a); c) è immorale  perché  in ogni società che esprima una civiltà  e non sia dominata dall'individualismo nichilistico, si troverebbero almeno mille novantenni pronti ad immolarsi per salvare la vita di un bambino.

Ma viviamo nel regno della falsità, della ipocrisia e della immoralità, sicché non bisogna dire la verità che tutti sanno, perché altrimenti milioni di sgherri dell'ipocrisia - che come sempre indossano le vesti dei moralisti - ti accusano di essere insensibile e per l'eugenetica, quando invece tu hai semplicemente detto la verità.

Stefano D’Andrea

 
La posta strategica del Corno d'Africa PDF Stampa E-mail

27 Novembre 2020

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 Da Rassegna di Arianna del 21-11-2020 (N.d.d.)

Perché il conflitto in Etiopia, memorie coloniali a parte, ci interessa? La guerra del Tigrai che oppone le forze regionali al governo centrale di Addis Abeba coinvolge l’Eritrea ma anche la più grande posta geopolitica del Corno d’Africa: la diga sul Nilo Azzurro realizzata dalla Salini-Impregilo e dai cinesi assai temuta dall’Egitto e dal Sudan per le limitazioni alle vitali forniture d’acqua. La Diga del Rinascimento (Gerd) sarà la più grande del continente. I cinesi, che hanno investito 2 miliardi di dollari in turbine e generatori, ritengono questo progetto fondamentale. Per ora gli egiziani stanno a guardare ma è evidente che il conflitto interno nel Tigrai, già tracimato con la fuga di migliaia di profughi in Sudan, costituisce un elemento di forte destabilizzazione dell’Etiopia, il maggiore nemico dell’Egitto del generale Al Sisi con cui si è schierata anche l’America di Trump che ha tagliato drasticamente gli aiuti finanziari ad Addis Abeba, con l’ovvio risultato di rendere il Paese sempre più dipendente da Pechino.  Che il Nilo sia la linfa vitale dell’Egitto non è un mistero, è così da migliaia di anni. Il paese delle piramidi ottiene dal fiume più lungo al mondo circa il 97% della sua acqua e vede nella Gerd – alta 170 metri e lunga 1,8 km, dal costo di 4,5 miliardi di dollari, una minaccia alla propria esistenza. Soprattutto per la velocità con cui Addis Abeba vorrebbe riempirla, un paio di anni al massimo contro i 10-15 che propone il Cairo per continuare ad assicurarsi un flusso adeguato di acqua per la sua popolazione di oltre 100 milioni di abitanti che vive quasi interamente lungo le rive del Nilo. Il Sudan è meno preoccupato ma guarda ugualmente con sospetto e timore alle intenzioni degli etiopi.

Oggi la Cina è interessata all’Etiopia sulla base di un calcolo politico, oltre al fatto che la diga sul Nilo diventerà il più grande fornitore di elettricità del continente. Addis Abeba offre a Pechino un contesto in cui poter esercitare la propria influenza presso l’Unione Africana, la Commissione Economica per l’Africa dell’Onu e altre istituzioni come l’Oms. Inoltre Pechino ha aperto la sua base militare a Gibuti -altro cliente cinese- e l’ha collegata con una ferrovia ad Addis Abeba. Ma esistono anche ragioni economiche: l’Etiopia è il secondo stato più popoloso dell’Africa (112 milioni) e rappresenta un importante mercato per le merci cinesi. Non è un caso che Pechino abbia fatto di Addis Abeba il punto di arrivo e distribuzione anche verso altri Paesi africani degli aiuti per combattere il virus, Eritrea compresa. E che il premier etiope Abiy Ahmed, Nobel per la Pace 2019, sia in costante contatto con Xi Jinping ma anche con Putin. L’ipotesi di una guerra civile in Etiopia, con possibili coinvolgimenti a livello regionale, del secondo paese più popoloso del continente africano, basta da sola a far intravedere i rischi di una simile deriva. Eppure, sostiene l’Ispi, l’Istituto di studi di politica internazionale di Milano, si tratta di un’ipotesi tutt’altro che remota. Nel nord del paese l’esercito federale si scontra con le forze armate del TPFL, Il Fronte popolare di liberazione del Tigrai che è arrivato a colpire con i razzi l’aeroporto di Asmara, capitale eritrea, massacrando poi per rappresaglia contro Addis Abeba 34 civili su un pullman. I leader del TPLF sostengono che il premier etiope Abiy Ahmed occupi illegittimamente la posizione di capo del governo perché il suo mandato è scaduto. E hanno deciso di contravvenire alla decisione del governo di rinviare il voto organizzando elezioni regionali a settembre. Un voto dichiarato illegale dal governo centrale.  Ma le ragioni dello scontro tra il primo ministro e l’élite tigrina hanno radici più profonde. Anche se rappresentano solo il 6% della popolazione dell’Etiopia, composta da oltre 110 milioni di persone (gli altri gruppi etnici maggioritari sono Oromo e Amhara), i tigrini hanno svolto un ruolo preponderante nella coalizione di partiti su base etnica -il Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope (Eprdf)- che per 20 anni ha dominato la scena politica etiope. Nel 2018, con l’arrivo di Abiy, esponente dell’etnia degli Oromo, storicamente emarginata dal potere, la leadership tigrina è stata di fatto epurata, e le relazioni sono ulteriormente peggiorate dopo che Abiy ha sciolto la coalizione dell’Eprdf.

La guerra nasce da questa lotta etnica e di potere. “Sembra di vedere un incidente ferroviario al rallentatore” ha detto Dino Mahtani dell’International Crisis Group. Il timore è che il conflitto possa estendersi alle altre regioni, facendo esplodere le rivendicazioni delle diverse comunità che compongono il paese. L’Egitto resta quindi uno spettatore interessato a una possibile destabilizzazione e disgregazione dell’Etiopia, che potrebbe ostacolare il progetto della Grande diga etiope sul Nilo, la vera posta strategica del Corno d’Africa.

Alberto Negri

 
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