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Pandemia mentale PDF Stampa E-mail

2 Settembre 2020

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 Da Rassegna di Arianna del 31-8-2020 (N.d.d.)

Non dobbiamo chiudere occhio tutta la notte. O ci sveglieremo trasformati in qualcosa di inumano. Molte persone perdono a poco a poco la loro umanità senza accorgersene. (da “L’invasione degli ultracorpi”)

Secondo Toynbee “le civiltà muoiono per suicidio, non per assassinio”. La nostra civiltà lo conferma. Noi stiamo per essere distrutti non da invasioni di orde barbariche, di eserciti ottomani o cavallette, e nemmeno di virus o batteri. L’uomo moderno si sta uccidendo da solo, è lui stesso a determinare l’invasione che porrà fine alla civiltà come oggi la conosciamo. L’invasore è un’entità immateriale che attacca le persone alterandone le funzioni cognitive, controllando la loro volontà e le loro emozioni. Non è possibile dire con certezza se l’infezione avvenga per via chimica, elettromagnetica o eterica. Sappiamo che colpisce il sistema nervoso centrale, compromettendo le facoltà psichiche correlate alla corteccia e al sistema limbico. Provoca, per così dire, una scissione tra l’anima e le funzioni cerebrali, come recidendo il filo che le lega. Questa pandemia mentale, per la quale non esiste vaccino, ha origini lontane. Per comprenderne le cause, dobbiamo partire dalla nostra credenza più comune, ossia quella di essere liberi pensatori. L’idea che pregiudizi e censure appartengano al passato e che le democrazie moderne garantiscano libertà di pensiero è un’illusione diffusa. In realtà, nella società attuale, istruzione di massa e informazione son diventate strumenti totalitari di repressione e controllo delle coscienze. Le scuole sono centri di indottrinamento collettivo, e i media riempiono ogni giorno i cervelli di falsità e pregiudizi. La cultura stessa diviene organo di censura. Ogni cittadino sviluppa un dispositivo di blocco della libertà di pensiero, una sorta di sensore che, in caso di conflitto col pensiero omologato, fa scattare in lui un segnale d’allarme, un senso di indegnità morale e intellettuale che lo induce a rientrare immediatamente nei ranghi. Avendo interiorizzato questo sofisticato Super-io sociale, ha l’illusione di non subire censure esterne. Questo non era certo possibile in tempi di analfabetismo e arretratezza culturale. Sicuramente un contadino medievale aveva maggior autonomia di giudizio di un laureato medio di oggi. Il mercato di capre, galline e rape cui si recava non faceva di lui un consumista e la ricca aristocrazia non era interessata alle sue opinioni. Tenere il popolo nell’ignoranza pareva una saggia forma di governo, ma in compenso gli si lasciava il suo buon senso e la sua ineducata intelligenza. Oggi sappiamo invece che scuole, libri, giornali, programmi radiofonici e televisivi, sono strumenti di governo assai più efficaci. L’ignoranza lascia vuoti pericolosi e ingovernabili. Molto più sicuro è riempire preventivamente la testa delle persone. Per questo la nostra società alimenta credenze e superstizioni molto più potenti che in passato. Quando il contadino medievale veniva frustato o depredato, non si illudeva di essere un uomo libero. Sapeva bene di esser servo e se per strada s’imbatteva nel nobile padrone rispettosamente si inchinava. Quando il predicatore tuonava dal pulpito, forse l’idea dell’inferno lo spaventava, ma nel suo pratico realismo non avrebbe scambiato la vacca con l’assoluzione dei peccati. Noi crediamo invece a tutto ciò che i media raccontano, in uno stato di passiva e puerile dipendenza. L’infantilismo di massa è oggi la miglior garanzia per chi governa. Perciò ogni giorno vengono ripetuti, come filastrocche ad usum infantis, logori miti liberali e progressisti, fruste favole umanitarie e scientifiche. Si può far credere alla gente che le guerre siano missioni di pace, gli strozzini dei benefattori, immonde schifezze dei capolavori. In pratica, la nostra società si fonda sulla fiaba, vive di favole e leggende, e il cittadino medio non sa più distinguere tra realtà e fantasia. È proprio questa cultura ingannevole a distruggerci. Perché non si accontenta più di manipolare e falsificare la realtà, ma sopprime la verità dell’uomo alla radice. La menzogna è l’arma con cui la nostra civiltà si suiciderà. Possiamo così meglio comprendere cosa abbia reso possibile questa diabolica invasione, tesa apparentemente al dominio totale del pianeta ma in realtà scatenata da un oscuro impulso di autodistruzione (che è forse necessaria espiazione e purificazione). Le porte erano già state aperte, i ponti abbassati, le armi consegnate al nemico. Complici e collaborazionisti avevano preparato il terreno e la coscienza collettiva era ormai una cittadella indifesa, pronta a crollare.

È bastato raccontare una nuova e più sorprendente fiaba, usando il classico canovaccio della lotta tra il Bene e il Male: un invisibile demone semina morte e distruzione; il buon Re ordina al popolo di chiudersi in casa; le sagge fatine donano alla gente magiche mascherine con cui proteggersi (dire che le vendono sarebbe più esatto); sapienti maghi insegnano come tenersi lontani dal pericolo; su tutto il regno grava un terribile maleficio; la gente non può lavorare, amare, divertirsi; e sarà così finché il salvatore non giungerà, brandendo l’arma incantata che ucciderà il demone (superfluo dire quanto ci costerà questo gesto valoroso). Tradotta in una fiaba sanitaria tanto semplicistica quanto inverosimile, questa storia è volata per il mondo, e le spore degli ultracovid l’hanno usata come un vento per arrivare in ogni luogo. Pochissimi han capito che era una favola. Gli altri hanno sgranato gli occhi come bambini eccitati, spaventati e affascinati insieme. Ordini contraddittori, multe folli, distanziamenti paranoici, alla fiaba si sono aggiunte enunciazioni e procedure surreali, come in un teatro dell’assurdo. A volte invece è il tono farsesco a prevalere. La figura tragicomica dell’asintomatico, la riduzione della vita a eterna ipocondria, le catene di Sant’Antonio degli ipotetici contagiati, i vessatori isolamenti, le profilassi coatte, son trovate degne di Molière. Più spesso però il racconto degenera in un cupo delirio: fantasmi della peste nera, lazzaretti, liturgie funebri, conferiscono alla fiaba toni da Grand Guignol. Certo è disumano e insensatamente crudele, anzi un crimine feroce, proibire di assistere i propri cari morenti e di dar loro cristiana sepoltura. È una tirannia, ma grottesca e senza dignità. Fa amaramente ridere vedere un dittatore che nasconde la sua brutalità dietro paradossi e non-sense. I tiranni del passato erano meno ipocriti, e se ti mettevano la mordacchia o ti muravano vivo non si spacciavano per filantropi. Oggi invece si definisce ‘liberismo’ l’assenza di libertà. E, rispetto al moderno capitalismo, le antiche tirannidi erano certo più effimere e blande. Ma oggi i tiranni si celano dietro rassicuranti maschere. Sembrano pieni di buone intenzioni e di premure affettuose, preoccupati sempre per il nostro bene. Hanno l’aria sollecita di una mamma che ti costringa a prender l’olio di ricino. Come potremmo odiarli? Bruto uccise il padre, ma nessun tirannicida potrebbe pugnalare la mamma. In ogni caso, il tirannicidio è démodé. E pure la sommossa popolare è oggi anacronistica. Questo per tre ragioni fondamentali. La prima è che se in passato la roncola o il forcone potevano forse competere con la lancia e la spada, oggi la roccaforte del potere è difesa da mercenari dotati di armi ultra-tecnologiche. Farsi massacrare sarebbe un sacrificio nobile ma inutile. La seconda è che non esiste un popolo, solo una massa di particelle umane rette da leggi meccaniche. La terza è che in questa massa scolarizzata e sclerotizzata dai media l’impulso di ribellarsi è stato opportunamente inibito. Inutile aspettarsi sussulti di rivolta in cervelli manovrati dagli slogan della pubblicità e della retorica politica. Assuefatta alla grande fiaba democratica, la gente scambia una condizione di schiavitù per libertà e non vede alcun giogo da cui liberarsi. Ed è ingenuo sperare che dei pennaioli prezzolati possano raccontar loro la verità, o che lo faccia una banda di scienziati ruffiani o di politici portaborse.

 Da parte mia, mi rassegnai alla sconfitta il giorno che cessò l’obbligo di portar la maschera. Quella mattina speravo di rivedere per strada volti umani, liberi finalmente dall’umiliazione di quel miserabile e inutile cencio messo sulla bocca. Ma quasi tutti lo portavano ancora. Ne chiesi la ragione ad alcune persone, giovani e anziane. Mi dissero: “meglio esser prudenti”, “per senso di responsabilità”, “per sicurezza”, “l’ho scampata finora, voglio scamparla ancora” e altre simili risposte nelle quali non si troverebbe un atomo di intelligenza o di realismo. Entrai in un grande supermercato. Ero l’unico a volto scoperto tra centinaia di esseri che vagavano nascosti da una maschera, come mandrie marchiate col simbolo del padrone. I loro occhi, affiorando dal bavaglio, mi fissavano con un misto di odio, disprezzo e paura. Gli ultracovid erano ovunque. Avevano preso possesso delle persone, usando i loro corpi come involucri. Capii che la battaglia era persa. “Solo un dio ci può salvare”, pensai. Oggi, quando incontro qualcuno, non so se è ancora umano o uno di loro. Se parlo con un vecchio conoscente, non noto a tutta prima differenze sensibili. Per capire se il suo cervello ha contratto l’infezione aliena devo alludere al Covid come a un’enorme messinscena, negare che sia una devastante pandemia o un flagello di Dio. Se è un ultracovid si farà aggressivo. “E i morti”, protesterà, “tutti questi morti?” Questa domanda è fondamentale, nel senso che rivela il fondamento onirico della fiaba, il sogno di immortalità che la sostiene. Chi vive in questa fiaba non vede che la gente muore come prima, poco più, poco meno. Un’influenza che manda qualcuno all’altro mondo fa solo il suo onesto lavoro, come un infarto, un incidente o un tumore. Una persona sana lo sa e non passa il suo tempo a far inutili riti apotropaici, fuggendo o nascondendosi. Ma ora, in questa fiaba, sembra che le persone muoiano tutte di Covid. Solo un fantomatico virus sembra frapporsi tra noi e l’immortalità. Perciò bisogna combattere con ogni mezzo questo misterioso spettro. In preda a una psicosi igienista, la gente si illude che basti indossare una maschera, distanziarsi e sanificare l’ambiente per non morire più. Questa soggiacente struttura allucinatoria è il segno indubitabile di possessione da ultracovid. Inutile cercare di scuoterli, di liberarli da quel parassita cerebrale. Ti guarderanno con aria allarmata, come fossi tu l’alieno. Non serve appellarsi alla logica, ai fatti, ai dati reali. Niente può scalfire il loro monolitico blocco di angosce e certezze. Se ti mostri scettico, se non ti conformi alla fiaba ufficiale, ti accuseranno di cinismo, negazionismo o complottismo. È una sorta di isteria collettiva, come il maccartismo degli anni ’50, la Red Scare – paura rossa – che vedeva in ogni anticonformista un pericoloso comunista. Non dovremo attendere molto per vedere questi invasati diventare zelanti delatori. Ogni buon cittadino dovrà collaborare alla caccia di streghe, dissidenti, sospetti untori. Naturalmente, secondo il delirante paradigma dell’asintomatico, tutti potranno essere segnalati alle autorità come soggetti potenzialmente pericolosi, i malati perché malati e i sani perché sani. Ma soprattutto verrà perseguito chi non mostrerà i sintomi di questa ipnotica invasione, della sottomissione totale. Come nel film di Siegel, alla vista di tali ‘asintomatici’, i posseduti richiameranno con alti gridi i tutori dell’ordine alieno, perché gli psico-resistenti vengano trasformati anch’essi in ultracovid o, in caso di immunità, eliminati. Avvolte e stritolate dalle spire di un gigantesco serpente poliziesco, le poche coscienze ancora vive verranno soffocate.

Le forze del Male sono oggi schiaccianti e non possiamo contrastarle. Vinceranno, per fas et nefas, debellando ogni resistenza. E quando avranno ridotto le nostre vite a sterili deserti, senza un’ombra di bellezza e di verità, e li avranno chiamati pace, salute, sicurezza, vedremo avverarsi quegli scenari da incubo, popolati da un’umanità degradata, che la fantascienza ha anticipato. Che fare? Nulla. La fiaba continuerà, con i suoi orrori e la sua infantile barbarie. Lasciamo che la gente segua il magico pifferaio e vada incontro al suo destino. Ma come salvare noi stessi e ciò che ci è caro? Potremmo forse mimetizzarci, sembrare come loro per passare inosservati. Fingere di consentire a discorsi assurdi e a comportamenti demenziali. Ma la nostra simulazione verrebbe smascherata. Potremmo “passare al bosco”, darci alla macchia e alla clandestinità. Cercare rifugio in un angolo del mondo non invaso, se ancora può esistere. Soprattutto, dobbiamo ricordarci che gli ultracovid si impadroniscono degli umani risucchiandone la mente durante il sonno. Perciò, restiamo svegli. Infine la libertà rimetterà radici nella terra e rifiorirà, bagnata da sacre sorgenti.

Livio Cadé

 

 
Alle origini della moderna manipolazione di massa PDF Stampa E-mail

1 Settembre 2020

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 Da Comedonchisciotte del 6-8-2020 (N.d.d.)

Molti anni fa, il commentatore politico ebreo-americano Walter Lippmann si rese conto che era possibile costruire completamente l’ideologia politica, usando i media per controllare sia la presentazione che la concettualizzazione, non solo per creare false credenze profondamente radicate in una popolazione, ma anche per cancellare completamente le idee politiche indesiderate dall’opinione pubblica. Questo fu l’inizio non solo dell’isteria americana per la libertà, la democrazia e il patriottismo, ma di tutte le opinioni politiche costruite, un processo che è stato messo in atto da allora. Lippmann ha creato queste teorie di persuasione di massa del pubblico, usando “fatti” totalmente inventati, profondamente insinuati nella mente di un pubblico credulone; ma in questa storia c’è molto di più. Un ebreo austriaco di nome Edward Louis Bernays, nipote di Sigmund Freud, fu uno degli studenti più precoci di Lippmann e fu lui a metterne in pratica le teorie. Bernays è ampiamente conosciuto in America come il padre delle Pubbliche Relazioni, ma potrebbe essere descritto molto più correttamente come il padre del marketing di guerra americano e della manipolazione di massa dell’opinione pubblica. Bernays sosteneva: “Se comprendiamo il meccanismo e le motivazioni della mente collettiva” sarà possibile “controllare e irreggimentare le masse come vogliamo senza che se ne rendano conto“. Egli chiamava questa tecnica scientifica di manipolazione dell’opinione “ingegneria del consenso“, e per realizzarla fondeva le teorie della psicologia delle masse con le idee psicoanalitiche di suo zio Sigmund Freud. Bernays considerava la società irrazionale e pericolosa, con un “istinto di gregge”, e che se il sistema elettorale multipartitico (che le prove indicano essere stato creato da un gruppo di élite europee come meccanismo di controllo della popolazione) doveva sopravvivere e continuare a servire quelle élite, era necessaria una massiccia manipolazione dell’opinione pubblica. Queste élite di “persone invisibili” avrebbero, attraverso la loro influenza esercitata sui governi e il controllo dei media, il potere di influenzare il pensiero, i valori e le reazioni dei cittadini. La sua convinzione era che questo gruppo avrebbe dovuto inondare il popolo di disinformazione e propaganda carica di emozioni per “ingegnerizzare” l’acquiescenza delle masse e quindi governarle. Secondo Bernays, questo prodotto del consenso delle masse, creando una conformità di opinione plasmata dallo strumento della falsa propaganda, sarebbe stato vitale per la sopravvivenza della “democrazia”. Bernays ha scritto:

“La manipolazione consapevole e intelligente delle abitudini e delle opinioni organizzate delle masse è un elemento importante nella società democratica. Coloro che manipolano questo invisibile meccanismo della società costituiscono un governo invisibile che è il vero potere dominante del nostro Paese. Le persone vengono governate, le loro menti plasmate, i loro gusti formati, le loro idee suggerite, in gran parte da uomini di cui non hanno mai sentito parlare. Questo è il risultato logico del modo in cui la nostra società democratica è organizzata. Un gran numero di esseri umani deve cooperare in questo modo. In quasi ogni atto della nostra vita quotidiana siamo dominati dal numero relativamente piccolo di persone che comprendono i processi mentali e i modelli sociali delle masse. Sono loro che tirano i fili che controllano l’opinione pubblica”. Nella sua opera principale intitolata “Propaganda” , scritta nel 1928, Bernays sosteneva che la manipolazione dell’opinione pubblica era una parte necessaria della democrazia perché gli individui erano intrinsecamente pericolosi (per il controllo e il depredamento da parte delle élite) ma potevano essere sfruttati e incanalati da queste stesse élite a proprio vantaggio economico. Egli credeva chiaramente che il controllo virtualmente totale di una popolazione fosse possibile, e forse facile da realizzare. Scrisse inoltre che:

“Nessun sociologo serio crede più che la voce del popolo esprima una qualsiasi… idea saggia. La voce del popolo esprime la mente del popolo, e quella mente viene plasmata da… quelle persone che capiscono la manipolazione dell’opinione pubblica. Essa è composta da pregiudizi e simboli ereditati e da cliché e formule verbali fornite loro dai leader. Fortunatamente, il… politico è in grado, con lo strumento della propaganda, di plasmare e formare la volontà del popolo. Così vasto è il numero di menti che è possibile irregimentare, e così tenaci sono quando vengono irreggimentate, che [producono] una tale pressione di fronte alla quale i legislatori, i redattori e gli insegnanti sono impotenti”. E non erano solo le masse ad essere “intrinsecamente pericolose”, ma anche i leader di una nazione rientravano in questa descrizione, e richiedevano quindi anche loro manipolazione e controllo. Bernays si rese conto che se si riusciva ad influenzare i leader di una nazione, con o senza la loro cooperazione consapevole, si poteva controllare il governo e il Paese, ed è proprio qui che ha fissato i suoi obiettivi. Di nuovo Bernays: “In alcuni settori della nostra vita quotidiana, in cui ci immaginiamo liberi di agire, siamo governati da dittatori che esercitano un grande potere. Ci sono governanti invisibili che controllano i destini di milioni di persone. Non ci si rende generalmente conto di quanto le parole e le azioni dei nostri uomini pubblici più influenti siano dettate da persone astute che operano dietro le quinte. Né, cosa ancora più importante, fino a che punto i nostri pensieri e le nostre abitudini siano modificati dalle autorità. Il governo invisibile tende a concentrarsi nelle mani di pochi a causa dei costi legati alla manipolazione della macchina sociale che controlla le opinioni e le abitudini delle masse”. E in questo caso, i “pochi” sono le ricche élite industriali, i loro amici banchieri ancora più ricchi e i loro confratelli che controllano i media, l’editoria e l’industria dello spettacolo.

Fino alla prima guerra mondiale, le teorie sulla creazione di un’opinione pubblica completamente falsata, basata sulla disinformazione per il controllo della popolazione, erano ancora solo teorie, ma lo straordinario successo della propaganda di Bernays e del suo gruppo durante la guerra rese evidente la possibilità di controllare perennemente l’opinione pubblica in ogni campo. Gli “accorti” ideatori del “governo invisibile” di Bernays svilupparono una tecnica standard per ciò che era essenzialmente propaganda e controllo della mente, o almeno controllo dell’opinione pubblica, e si infiltrarono in tutto il governo degli Stati Uniti, nei suoi dipartimenti e agenzie, e nei suoi leader e politici. In coincidenza con ciò, essi si esercitavano a corrompere i leader di ogni gruppo identificabile (confraternita, religioso, commerciale, patriottico, sociale) e incoraggiavano queste persone a corrompere allo stesso modo i loro sostenitori.

In tanti hanno notato la mentalità “bianco” e “nero” che pervade l’America. Gran parte della responsabilità deve essere attribuita ai metodi di propaganda di Bernays. Bernays stesso ha affermato che la propaganda poteva produrre risposte emotive rapide e forti nel pubblico, ma che la varietà di tali risposte era limitata perché la carica emotiva insita nella sua propaganda avrebbe creato una sorta di mentalità binaria, costringendo alla fine la popolazione in un mondo programmato in bianco e nero, che è proprio quello che vediamo oggi negli Stati Uniti. Questo non è difficile da capire. […]

I pochi eletti, come li ha chiamati Bernays, si sono presto resi conto del potenziale di controllo dei governi, e in ogni successiva amministrazione statunitense il presidente e il suo staff della Casa Bianca, i politici, i leader delle agenzie militari e dei servizi segreti, sono tutti caduti vittime di questa stessa malattia dell’abile manipolazione. “L’intenso desiderio di guerra” di Roosevelt nel 1939 fu il risultato di questo stesso processo di manipolazione e, una volta manipolato, egli naturalmente approvò la “manipolazione” dell’intera popolazione americana. Walter Lippmann e Edward Bernays erano riusciti a superare le loro più rosee aspettative.

Larry Romanoff

 
Una pianificazione di decenni PDF Stampa E-mail

30 Agosto 2020

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 Da Comedonchisciotte del 27-8-2020 (N.d.d.)

I contorni della strategia di lungo periodo della Cina per la Nuova Guerra Fredda stanno rapidamente venendo alla luce. Cominciamo con la storia di un vertice incredibilmente scomparso. Tutti gli anni, nel mese di agosto, la leadership del Partito Comunista Cinese (PCC) si riunisce nella città di Beidaihe, una località balneare a circa due ore da Pechino, per discutere di politiche serie, che si fondono in cruciali strategie di pianificazione che verranno poi approvate nella sessione plenaria di ottobre del Comitato Centrale del PCC. Il rituale di Beidaihe era stato istituito nientemeno che dal Grande Timoniere Mao, che amava la città dove, non a caso, aveva avuto un palazzo l’imperatore Qin, l’unificatore della Cina nel III secolo A.C. Essendo il 2020, finora, pari al famoso “Un anno vissuto pericolosamente”, non sorprende che, alla fine, l’evento di Beidaihe non si sia visto da nessuna parte. Tuttavia l’invisibilità dell’evento non significa che non sia avvenuto. Il reperto n° 1 è il fatto che il premier Li Keqiang era semplicemente scomparso alla vista del pubblico per quasi due settimane, dopo che il presidente Xi, alla fine di luglio, aveva presieduto un incontro cruciale del Politburo in cui si era discusso addirittura dell’intera strategia di sviluppo della Cina per i prossimi 15 anni. Li Keqiang era riemerso presiedendo una sessione speciale dell’onnipotente Consiglio di Stato proprio mentre il principale ideologo del PCC, Wang Huning (che sembra essere il numero 5 del Politburo) appariva come ospite speciale ad una riunione della Federazione Giovanile Cinese. La cosa ancora più intrigante è che, accanto a Wang, c’era addirittura Ding Xuexiang, il capo di gabinetto del presidente Xi, insieme ad altri tre membri del Politburo. In questa variante di “ora li vedi, ora no,” il fatto che si fossero presentati tutti insieme dopo un’assenza di quasi due settimane ha portato alcuni acuti osservatori cinesi a concludere che il Beidaihe, in realtà, aveva avuto luogo. Anche se nella località balneare non erano stati rilevati segni visibili di attività politica. La versione semi-ufficiale è che a Beidaihe non era avvenuto alcun incontro per colpa del Covid-19. Tuttavia, è il reperto n° 2 che può definitivamente risolvere la questione. L’ormai famosa riunione del Politburo di fine luglio presieduta da Xi aveva infatti stabilito le linee guida per la sessione plenaria di ottobre del Comitato Centrale.

Traduzione: i contorni della futura road map strategica erano già stati approvati per consenso. Non c’era bisogno di ritirarsi a Beidaihe per ulteriori discussioni. La trama si infittisce quando si prendono in considerazione una serie di ipotesi apparse pochi giorni fa su alcuni media cinesi selezionati. Ecco alcuni dei punti chiave. 1. Sul fronte della guerra commerciale, Pechino non chiuderà le attività commerciali statunitensi che già operano in Cina. Non verranno però approvate ulteriori aziende che intendano entrare nel mercato dei servizi finanziari, informatici, sanitari ed educativi. 2. Pechino non si disferà in una volta sola dell’enorme quantitativo di titoli del Tesoro USA in suo possesso, ma, come già sta accadendo, il disinvestimento accelererà. L’anno scorso è stato di 100 miliardi di dollari. Alla fine del 2020 potrebbe raggiungere i 300 miliardi di dollari. 3. Prevedibilmente, verrà anche accelerata l’internazionalizzazione dello yuan. Questo includerà la configurazione dei parametri finali per la compensazione del dollaro statunitense tramite il sistema cinese CHIPS, in previsione della drammatica possibilità che Pechino possa essere tagliata fuori dallo SWIFT dall’amministrazione Trump o da chiunque sarà al potere alla Casa Bianca dopo il gennaio 2021. 4. Per quanto riguarda quello che viene collettivamente considerato in tutta la Cina come il fronte della “guerra a tutto campo,” stiamo parlando della Guerra Ibrida, il PLA è in stato di allarme a livello 3 e, per il resto del 2020, sono state cancellate tutte le licenze. Ci sarà una spinta concertata per portare la spesa globale per la difesa al 4% del PIL e accelerare lo sviluppo delle armi nucleari. I dettagli dovrebbero emergere durante la riunione del Comitato Centrale di ottobre. 5. L’enfasi generale è sullo spirito tipicamente cinese di autosufficienza e sulla costruzione di quello che potrebbe essere definito un sistema economico nazionale a “doppia circolazione,” il consolidamento del progetto di integrazione eurasiatica in parallelo ad un meccanismo globale di regolamentazione dello yuan.

Insito in questa spinta è ciò che è stato descritto come il deciso abbandono di tutte le illusioni sugli Stati Uniti e la mobilitazione bellica del popolo cinese. “Promuoveremo vigorosamente una guerra di resistenza all’aggressione degli Stati Uniti (…) Useremo una mentalità di guerra per guidare l’economia nazionale (…) Preparatevi all’interruzione completa delle relazioni con gli Stati Uniti.” Non è chiaro come stiano realmente le cose, se si tratti solo di un test per mettere alla prova l’opinione pubblica cinese o di decisioni prese durante l’“invisibile” Beidaihe. Perciò, tutta l’attenzione sarà puntata sul tipo di linguaggio con cui verrà illustrato questo allarmante scenario quando, ad ottobre, il Comitato Centrale presenterà la sua pianificazione strategica. Significativamente, ciò avverrà solo poche settimane prima delle elezioni statunitensi. Quanto sopra, in qualche modo, rispecchia un recente dibattito tenutosi ad Amsterdam su ciò che costituisce la “minaccia” cinese nei confronti dell’Occidente. Ecco i punti chiave.

1. La Cina rafforza costantemente il suo modello economico ibrido, che, a livello globale, è una rarità assoluta: non è completamente statale ma non è neanche un’economia di mercato. 2. Il livello di patriottismo è sbalorditivo: una volta che i Cinesi si trovano ad affrontare un nemico straniero, 1,4 miliardi di persone agiscono all’unisono. 3. I meccanismi nazionali hanno una forza enorme: non c’è assolutamente nulla che, una volta stabilita una politica, possa interferire con il pieno utilizzo delle risorse finanziarie, materiali e di manodopera della Cina. 4. La Cina ha creato il più completo sistema industriale back to back del pianeta, senza interferenze straniere quando necessario (anche se c’è sempre da risolvere la questione dei semiconduttori per Huawei). La Cina pianifica non solo in termini di anni, ma di decenni. I piani quinquennali sono integrati da piani decennali e, come ha dimostrato la riunione presieduta da Xi, anche da piani quindicennali. La Belt and Road Initiative (BRI) è infatti una pianificazione a quasi 40 anni, progettata nel 2013 per essere completata nel 2049. E continuità è il nome del gioco, se si pensa che i Cinque Principi della Coesistenza Pacifica, sviluppati per la prima volta nel 1949 e poi ampliati da Zhou Enlai alla conferenza di Bandung nel 1955, sono scolpiti nella pietra come linee guida della politica estera cinese. Il Collettivo Qiao, un gruppo indipendente che promuove il ruolo del qiao (“ponte”) insieme allo strategicamente importante concetto del huaqiao (“Cinesi d’oltremare”) centra il punto quando fa notare che Pechino non ha mai proclamato il modello cinese come soluzione ai problemi globali. Quelle che vengono proposte sono soluzioni cinesi per specifiche circostanze cinesi. Viene anche sottolineato che il materialismo storico è incompatibile con la democrazia liberale capitalista che impone l’austerità e il cambio di regime dei sistemi nazionali, per poi reindirizzarli verso modelli preconcetti. Questa linea di pensiero è sempre al centro della politica estera del PCC: ogni nazione deve tracciare una rotta adatta alle proprie condizioni nazionali.

E questo rivela l’aspetto completo di quella che potrebbe essere ragionevolmente descritta come una meritocrazia centralizzata con caratteristiche confuciane e socialiste: un paradigma di civiltà diverso, che la “nazione indispensabile” rifiuta ancora di accettare, e che certamente non abolirà con la Guerra Ibrida.

Pepe Escobar

 
Dalla lotta di classe al conflitto tra generazioni PDF Stampa E-mail

28 Agosto 2020

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 Da Comedonchisciotte del 26-8-2020 (N.d.d.)

Questo è il paradigma del nuovo conflitto sociale: a) le Banche centrali creano la moneta dal nulla; b) di fronte alle crisi ricorrenti, gli Stati si indebitano enormemente per salvare l’intero sistema; c) i Giovani “pagheranno” il conto del nuovo debito, mentre i loro Padri che sono dei parassiti, beneficiano dell’assistenzialismo pubblico; d) i Mercati useranno la mannaia per punire gli Stati che si indebitano per fare assistenzialismo, trascurando i Giovani: non sottoscriveranno più i loro titoli di Stato, usando la moneta creata dal nulla.

Le parole di Mario Draghi, che sono state pronunciate all’apertura del Meeting dell’Amicizia, suonano come una vera e propria messa in guardia, se non come una velata minaccia da parte di chi conosce bene chi ha il Potere vero in mano, i Mercati. Sono i Giudici, i Saggi: le Democrazie sono sotto la loro tutela. Il monito è sostanzialmente questo: dopo la crisi, il livello dei debiti pubblici rimarrà assai elevato. E saranno sottoscritti solo i titoli degli Stati che avranno fatto un buon uso di questa spesa finanziata in deficit, con investimenti in infrastrutture, nel capitale umano, e non per fare assistenzialismo. Ad essere messo sull’avviso, non è solo il Governo guidato da Giuseppe Conte, ma l’intera strategia di politica economica che serve per superare la crisi causata dalla epidemia di Covid-19. Perché con questo virus, ha proseguito Draghi, ci si deve convivere per chissà quanto tempo.

C’è un punto da chiarire: è agli Stati che tocca intervenire, anche stavolta come nel 2008. Allora per via di un default della finanza privata ora è per la crisi epidemica, che spetta intervenire indebitandosi. È la collettività che paga il costo della messa in sicurezza del sistema. Stavolta bisogna bloccare tutto per evitare i contagi, facendo collassare il sistema economico, e devono essere ancora una volta gli Stati a provvedere a salvare tutto e tutti. Il punto, stavolta, è capire il motivo per cui per riprendersi dalla crisi, dovrebbero fare un “debito buono”, quello finalizzato alle spese per investimenti e non all’assistenzialismo. Tra l’altro, il richiamo alla necessità di favorire finalmente i giovani, che in questi ultimi anni sarebbero stati trascurati e messi in difficoltà, suona davvero strana. Finora, erano stati definiti “bamboccioni”, accusati di essere viziati (choosy) e di poltrire come eterni fuori corso all’Università invece di mettersi a lavorare. Si è fatto di tutto per metterli in difficoltà nel mondo del lavoro, con le varie forme di flessibilità in entrata: precari sottopagati, co.co.co, e via discorrendo. Chi ha scavato per anni una trincea tra le generazioni, ora incita i Figli al conflitto contro i Padri.

Serve un nuovo conflitto sociale, che sostituisca il Conflitto di Classe. E, paradossalmente, saranno i Mercati a giudicare, a punire gli Stati che si indebitano per spese assistenziali. La crisi sanitaria è una nuvola che tutto offusca, soprattutto la forza di un sistema in cui la Moneta domina le relazioni sociali e le politiche degli Stati. L’inflazione è stata il bau-bau usato per spogliare gli Stati dal governo della Moneta, conferito alle Banche centrali che hanno come obiettivo statutario quello della stabilità, legislativamente mitigato negli Usa con il perseguimento della massima occupazione compatibile. Già prima della crisi sanitaria, a partire dal 4 settembre dell’anno scorso, la Fed si è trovata a dover rifornire i mercati di enormi quantitativi di liquidità con operazioni di finanziamento a pronti contro termine: era entrato in sofferenza l’intero sistema dei derivati, che usa come garanzia del contratto i titoli pubblici. […]

Per la prima volta nella storia, il 20 aprile scorso il prezzo del future sul petrolio è sceso sotto lo zero: il petrolio WTI con consegna a maggio registrò una flessione negativa di oltre il 300% (il più forte ribasso giornaliero mai registrato dal 1983) portando la quotazione del contratto derivato a meno 37 dollari al barile. In pratica, chi si era impegnato a vendere un barile di petrolio per quella data, non avrebbe ricevuto nessun prezzo per la consegna, ma avrebbe dovuto addirittura pagare l’acquirente versandogli 37 dollari per evitare la consegna fisica di ogni barile di petrolio, come previsto dal regolamento dei contratti future. La crisi sanitaria allora in corso, con la conseguente riduzione dei consumi ed un eccesso di stoccaggio, stava per mandare in tilt anche il sistema dei derivati. Il 16 marzo, al termine di una riunione straordinaria, la Fed aveva già deciso di intervenire con un nuovo Quantitative Easing per immettere liquidità sui mercati e restituire fiducia agli investitori, portando i tassi a zero ed impegnandosi a comprare immediatamente circa 700 miliardi di titoli. Già nella prima settimana, l’intervento era ammontato a 375 miliardi in titoli del Tesoro ed a 250 miliardi di bond garantiti da mutui (MBs’). Neppure una settimana dopo, il 24 marzo, l’impegno fu esteso all’acquisto di “tutti i titoli necessari”: un Qe potenzialmente illimitato. Il 18 marzo, convocato a sorpresa, anche il Consiglio dei governatori della BCE aveva deciso un piano di misure straordinarie: un Qe da 750 miliardi tra titoli di debito pubblici e privati, da completare entro la fine del 2020, denominato Pandemic Emergency Purchase Program (PEPP). Il 4 giugno la BCE amplia il Piano, portandolo a 1350 miliardi di euro di acquisti di titoli da effettuare entro la fine di giugno 2021. Gli spread sul debito pubblico italiano si sono ridotti fortemente, anche per la deroga esplicita che è stata adottata rispetto alla “chiave di capitale”, cioè alla effettuazione degli acquisti in proporzione alla partecipazione di ogni Stato al capitale della BCE. Alla data del 4 agosto scorso, il totale degli acquisti già effettuati dalla BCE ammontava a 440 miliardi di euro, una cifra aggiuntiva rispetto agli acquisti effettuati sulla base del precedente Qe deciso sotto la Presidenza di Mario Draghi, per i quali si procede al rinnovo degli acquisti dei titoli alla loro scadenza. Per quanto riguarda i titoli di Stato italiani, a fine luglio risultavano esserne stati acquistati sulla base del PEPP per 73,4 miliardi di euro, su un totale di 384,8 miliardi: si è trattato del 19% rispetto ad una chiave di capitale del 13,8%. In prospettiva, se la BCE dovesse comprare titoli pubblici italiani entro la fine del 2020 sulla base della chiave di capitale (13,8%) e dell’importo iniziale del PEPP di 750 miliardi, si arriverebbe a 103,5 miliardi. Se dovesse proseguire la maggiore generosità manifestata nei confronti dell’Italia per abbattere lo spread, si arriverebbe a ben 142,5 miliardi di euro: una cifra enorme, ampiamente superiore a quella prevista dal governo per finanziare i provvedimenti anticrisi. A marzo, il Tesoro stimava per il 2020 emissioni nette di titoli a lungo termine per 47 miliardi di euro. Successivamente, la situazione del bilancio pubblico italiano ha subito un forte peggioramento dei saldi: il Governo ha infatti richiesto ed ottenuto dal Parlamento ben tre aumenti dell’indebitamento che era stato stabilito inizialmente dalla legge di bilancio per il 2020 in 39,4 miliardi di euro. […]

La BCE è intervenuta tempestivamente, con il Qe: compra titoli di Stato, ma in realtà fornisce liquidità ai Mercati. Anche il sistema bancario europeo è stato ben rifocillato dalla BCE, con ampie operazioni di rifinanziamento a lungo termine: solo a giugno è stata erogata liquidità per 1.310 miliardi, distribuita fra 742 istituti. Se consideriamo l’intero ammontare del PEPP, che arriva a 1350 miliardi, in Italia ci si sta larghissimi: con la sola chiave di capitale del 13,8%, la quota di titoli di Stato acquistabili dalla BCE arriva a 186,3 miliardi. Salendo al 19% per favorirci, come è accaduto in questi mesi, a giugno prossimo ci si attesterebbe addirittura a 256,5 miliardi di euro. In pratica, i Mercati non hanno dovuto tirar fuori un solo euro in più per finanziare i provvedimenti anti-crisi: anzi, hanno ricevuto molta nuova moneta, creata dal nulla dalle Banche centrali, per sostenere le quotazioni di Borsa. Ma i debiti pubblici si ingigantiscono comunque, perché si contano anche i titoli comprati dalla Banche centrali emettendo nuova moneta dal nulla. La minaccia sta nel dopo: gli Stati torneranno sotto ricatto dei Mercati non appena l’intervento della BCE sarà finito. Gli Stati si indebitano per salvare tutto e tutti, ma rimarranno presto senza tutela. Bisogna sterilizzare per sempre gli acquisti di titoli di Stato effettuati da parte della BCE. Nessuno sa, e qui sta la minaccia, “se” i Mercati compreranno ancora i titoli di pubblici emessi da Stati così pesantemente indebitati.

Ma i Mercati sono saggi: puniranno gli Stati che non avranno fatto un “debito buono”, spendendo per l’assistenzialismo anziché per favorire i Giovani. Con il denaro creato dal nulla dalle Banche centrali, i Mercati avranno il Potere di punire gli Stati. È questo il terrorismo finanziario, la legittimazione morale della spada di Damocle con la quale si minacciano le democrazie. Dalla Lotta di Classe al Conflitto tra Generazioni. Moneta creata dal Nulla, Stati indebitati, Mercati con la mannaia.

Guido Salerno Aletta

 
Una diversa qualitą PDF Stampa E-mail

27 Agosto 2020

 Da Appelloalpopolo del 25-8-2020 (N.d.d.)

1) Basso, Fanfani, Togliatti, La Pira, Terracini, Moro, Di Vittorio, Dossetti, Nenni.

2) Di Maio, Salvini, Zingaretti, Meloni, Renzi, Berlusconi, Fico, Giorgetti, Boschi.

Fare sì che i secondi modifichino ciò che hanno scritto i primi, sarebbe come affidare a un imbianchino il restauro della Cappella Sistina.

Nino Di Cicco

 
La faccia tosta di Draghi PDF Stampa E-mail

21 Agosto 2020

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 Da Rassegna di Arianna del 19-8-2020 (N.d.d.)

Ci vuole una bella faccia tosta a chiamarsi Mario Draghi e a fare – come ha fatto l’ex presidente della BCE al consueto Meeting per l’amicizia fra i popoli di Comunione e Liberazione – un discorso tutto incentrato sui giovani. A detta di Draghi, negli ultimi anni «una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a [trascurare i giovani e a] distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico». Ma adesso, dice Draghi, è arrivato finalmente il momento di «essere vicini ai giovani», investendo su di loro e sul loro futuro, perché «privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza».

Parole indubbiamente condivisibili, ma che risulterebbero più credibili se a pronunciarle non fosse colui che per otto anni ha presieduto la più importante carica istituzionale dell’Unione europea, quella di presidente della Banca centrale europea (BCE), e che in quella veste ha pervicacemente sostenuto le politiche di austerità fiscale che hanno condannato milioni di giovani europei alla disoccupazione, alla precarietà e all’emigrazione forzata, distruggendo le prospettive di un’intera generazione.  Ricordiamo che prima dello scoppio della pandemia – in quelli che possiamo considerare tempi “normali” – circa il 15 per cento dei giovani nell’eurozona, in media, erano disoccupati, con picchi del 33 per cento in Grecia, del 32 per cento in Spagna e del 27 per cento in Italia. Numeri da capogiro, che però nascondono la tragedia umana che si cela dietro di essi: milioni di giovani (e ormai non più tanto giovani, a distanza di un decennio) a cui è stata negata la possibilità di costruirsi un’esistenza dignitosa, una famiglia, un futuro, costretti ad accontentarsi di sopravvivere, di mese in mese, di anno in anno, tra lavoretti precari e sottopagati, spesso lontano dal proprio paese e dai proprio affetti.

E tutto questo non è il risultato di ciò che Draghi chiama «una forma di egoismo collettivo», qualunque cosa voglia dire, ma di un regime politico-economico ben preciso fondato sull’austerità, sulla disoccupazione e sullo sfruttamento – soprattutto dei giovani –, che trova nell’architettura dell’euro la sua architrave. E che nel corso dell’ultimo decennio ha trovato in Mario Draghi uno dei suoi principali sponsor.  I giovani, infatti, non dimenticano – o così ci auguriamo – che fu proprio Draghi, nell’agosto del 2011, poco prima di assumere la carica alla BCE, e nel pieno della furia speculativa nei confronti dei titoli italiani, a inviare al governo italiano, insieme al suo Trichet, quella famosa “letterina”, che poi sarebbe entrata nella storia, in cui intimavano al governo «una profonda revisione della pubblica amministrazione», compresa «la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali», «privatizzazioni su larga scala», «la riduzione del costo dei dipendenti pubblici, se necessario attraverso la riduzione dei salari», «la riforma del sistema di contrattazione collettiva nazionale» e persino «riforme costituzionali che inaspriscano le regole fiscali». I giovani non dimenticano che fu sempre Draghi a spianare la strada al governo “tecnico” di Mario Monti, e alla macelleria sociale che ne è seguita, con la sua decisione di cessare gli acquisti di titoli di Stato italiani (come ammesso dallo stesso Monti).  I giovani non dimenticano che fu sempre Draghi, appena un mese dopo il suo colpo di Stato silenzioso in Italia, a lanciare l’idea di un “patto fiscale” (“fiscal compact“): «una revisione fondamentale delle regole a cui le politiche di bilancio nazionali dovrebbero essere soggette in modo da risultare credibili». Ciò comportò, nel marzo del 2012, la firma da parte di tutti gli Stati membri dell’UE (con le uniche eccezioni di Regno Unito e Repubblica Ceca) di una versione ancora più rigorosa del Patto di stabilità e crescita istituito dal trattato di Maastricht: il cosiddetto Fiscal Compact. Esatto, quest’ultimo è un’invenzione di Draghi. Cosa la firma di questa trattato significasse per l’Europa lo spiegò lo stesso Draghi in un’intervista al Wall Street Journal pochi mesi dopo: «Non c’è alternativa al consolidamento fiscale, il modello sociale europeo appartiene già al passato».

I giovani, infine, non dimenticano che fu sempre Draghi a coniare il concetto di “pilota automatico” in riferimento alle politiche economiche dell’eurozona. In seguito alle elezioni italiane del 2013, in cui il Movimento 5 Stelle emerse come il primo partito del paese, Draghi rassicurò tutti circa i timori che questo potesse portare l’Italia fuori dai binari dell’austerità: «Gran parte dell’adeguamento fiscale che l’Italia ha intrapreso continuerà con il pilota automatico». E infatti così è stato. Il messaggio di Draghi era chiaro: grazie al nuovo regime di governance economica che egli stesso aveva contribuito a costruire, i risultati delle elezioni non avrebbero contato più nulla. Come avrebbe detto qualche anno più tardi il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble: «Le elezioni non cambiano nulla. Ci sono delle regole».

È precisamente questo processo di spoliticizzazione delle politiche economiche che ha permesso a Draghi di pronunciare il suo famoso discorso che “ha salvato l’euro” nell’estate del 2012. In quell’occasione, Draghi annunciò l’istituzione del programma OMT (Outright Monetary Transactions), con il quale la BCE si impegnava, se necessario, ad effettuare acquisti illimitati di titoli di Stato sui mercati obbligazionari secondari «per preservare l’euro». Le sue parole fecero immediatamente scendere gli interessi sui titoli di Stato europei.  Tuttavia, se da un lato questo ha aiutato i paesi in crisi (come l’Italia) ad evitare l’insolvenza, ha fatto ben poco per sostenerli in termini di rilancio delle loro economie: questo avrebbe richiesto politiche di stimolo fiscale (cioè deficit più elevati), che era esattamente ciò che il nuovo quadro di governance fiscale inaugurato da Draghi proibiva. L’accesso a un programma OMT, infatti, come abbiamo scoperto in questi mesi, comporta l’adesione da parte del paese in questione a un rigido programma di austerità fiscale e alle famigerate “condizionalità” della troika (liberalizzazione del mercato del lavoro, privatizzazione degli asset statali, compressione dei salari ecc.), all’interno della cornice del Meccanismo europeo di stabilità (MES).  In breve, le varie innovazioni istituzionali introdotte da Mario Draghi nel corso degli anni, che gli sono valse così tanti elogi, non hanno trasformato la BCE in un prestatore di ultima istanza, su cui i governi nazionali possano fare affidamento sempre e comunque, ma l’hanno resa piuttosto uno “spacciatore di ultima istanza”, con il potere di sfruttare le difficoltà economiche dei paesi per ricattarli e costringerli a implementare politiche di matrice neoliberista. Questo è diventato evidente nell’estate del 2015, quando, nel bel mezzo del negoziato tra le autorità greche e la troika, la BCE ha deliberatamente destabilizzato l’economia greca, interrompendo il supporto di liquidità alle banche, per costringere il governo di SYRIZA ad accettare le dure misure di austerità contenute nel nuovo memorandum, un fatto pressoché senza precedenti nella storia.  Tutti questi episodi dimostrano che è soprattutto merito di Draghi se oggi possiamo dire che l’eurozona è l’unica area economica al mondo in cui non è la banca centrale ad essere dipendente dai governi, ma sono i governi ad essere dipendenti dalla banca centrale.

Come detto, a farne le spese di questa architettura infernale, di cui Draghi è uno dei principali artefici, sono stati – e continuano ad essere – soprattutto i giovani. Quegli stessi giovani che oggi Draghi vorrebbe “salvare”. Purtroppo non possiamo cambiare il passato, ma almeno possiamo cercare di evitare che Draghi costruisca il suo futuro politico su quegli stessi giovani a cui ha distrutto il futuro.

Thomas Fazi

 
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