Avviso Registrazioni

Scusandoci per l'inconveniente, informiamo i nuovi utenti i quali desiderino commentare gli articoli che la registrazione deve essere fatta tramite Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

Login Form






Password dimenticata?
Nessun account? Registrati

Cerca


 
  SiteGround web hostingCredits
La gabbia delle emozioni PDF Stampa E-mail

6 Dicembre 2023

Image

Cultura della competizione, ricchezza materiale, culto dell’apparire, liquefazione valoriale, identitaria e delle tradizioni, mito della tecnologia, materialismo, individualismo, sono gli ingredienti principali della ricetta alchemica che impedisce l’avvento del potere luminoso degli uomini e mantiene la pece nera dell’inferno in terra.

Chi ha doti le esprime. Chi ha la forza, bisogni e circostanza permettendo, la usa. E così accade per i poteri, quello della grazia incluso. Chi si mantiene sottomesso favorisce chi lo sottomette. Chi non sa esprimere la propria condizione tace o aggiunge frustrazione per il senso di inadeguatezza che vive. Chi non sa esprimere il proprio sentimento e stato intimo si riempie di tensioni. Queste possono essere sfogate o trattenute in funzione della loro pressione e del gradiente di super-ego disponibile. Forti pressioni possono restare inibite fino a castrarne l’esplosione, e pressioni meno intense possono scoppiare violentemente quando nessun valore morale le contiene più o quando non possono più contenerle. Come ogni altra condizione umana, la cosiddetta pazzia corrisponde a un’emozione, cioè a una capsula, che ci contiene, che ci impone pensieri, concezioni, realizzazioni. Ogni emozione è figurabile come un campo chiuso in cui ci muoviamo, scegliamo e giudichiamo secondo norme autoreferenziali alle quali pretendiamo, spesso inconsapevolmente, che gli altri si adeguino. Tanto più l’emozione è intensa, tanto più la capsula assume le sembianze di una gabbia in cui la forza egogravitazionale spegne le luci che permettevano relazioni equilibrate, l’empatia, l’accettazione della realtà, il rispetto dell’altro, la reciprocità di azione, pensieri, sentimenti e di dignità. Cadere nel buco nero di simili emozioni tende ad essere più o meno possibile in funzione dell’equilibrio della persona. Tanto più un individuo è compiuto, tanto più basso sarà il rischio di gravi inciampi. Viceversa, un essere umano inconsapevole delle proprie caratteristiche, debolezze e forze, tende a essere più esposto ad inconvenienti esistenziali. A essere facile preda del tiranno emozionale. E a pensare e muoversi secondo il volere di quest’ultimo con il quale è identificato e che crede essere se stesso.

Una cultura fondata sulla competizione, che fa della ricchezza materiale il suo scopo, mescolata ai modelli dell’apparire e ai valori individualistici che esprime, non ha in sé il necessario, né l’interesse teorico ad alimentare e proteggere valori tradizionali, a pensare politiche destinate a formare uomini compiuti e quindi relative società. La scuola, bene che vada, aveva potuto spargere il seme e trasmettere il valore del senso critico. Ma era bastato il “sei politico” per iniziarne la demolizione, che ha poi trascinato con sé una serie di altri cambiamenti che sono convogliati nel grande mare della società liquida. Un bacino oceanico in cui si è politicamente voluto affogare il valore delle tradizioni, dei ruoli, dei sessi, della famiglia, della madre e del padre. È il grande oceano del progressismo (lo stesso in cui galleggia, in balia di burrasche soffiate da lontano, anche il relitto del conservatorismo). Lo spessore di mota rimasto sulle rive è una poltiglia di valori vagolanti, in cui le identità hanno improbabilità a radicarsi. In cui l’educazione alla consapevolezza delle emozioni, dei sentimenti, del nostro sé e della via per coltivare l’invulnerabilità sono stati spinti in profondità, affinché la digitalizzazione, il mito della tecnologia e l’individualismo potessero avere una base su cui erigere i propri ponti dorati per non insozzarsi.

Chi è più debole, come in ogni buon totalitarismo è ipocritamente protetto, ma sostanzialmente condannato. La morale bigotta è un pesce vorace che nuota in grandi branchi in quell’oceano, in cui non in un solo atollo si coltiva il frutto della conoscenza, il solo in grado di mostrarci come emanciparci dalle dipendenze, di dirci quanto queste ci segnalino a che punto sia la nostra evoluzione, ci informino che l’orgoglio ha un lato b di cui nessuno ci aveva detto nulla. Quello capace di trascinarci in basso, dove le avversità e le vulnerabilità ci divorano l’energia e la creatività, ci spingono le malattie e gli incidenti e ci tengono a distanza dalla consapevolezza e che solo nell’assunzione di responsabilità di tutto, abbiamo la chiave per uscire dalla gabbia delle emozioni. Ma era già stato detto da Sigmund. Avere contezza del principio di realtà e di piacere è necessario all’uomo compiuto. E anche il suo cugino Zygmunt, ci ha poi avvertiti su quanto questo uomo non possa più avere di che costituirsi.

Lorenzo Merlo

 
L'ennesima buffonata PDF Stampa E-mail

3 Dicembre 2023

Image

 Da Comedonchisciotte del 2-12-2023 (N.d.d.)

Si è parlato molto, nei mesi scorsi, della questione degli extraprofitti bancari. Mentre le famiglie sono impoverite dall’inflazione (e da 30 anni di politiche liberiste), le banche sembrano nuotare nell’oro. Ordunque, stando alla propaganda del governo, l’esecutivo guidato da Meloni ha spezzato le reni alle banche, con un’imposta sugli extraprofitti bancari, orgoglio nazionale e chiaro esempio di giustizia sociale. Insomma, uno strumento a favore delle famiglie, che fanno fatica a far quadrare i conti, contro l’ingordigia del settore bancario e le conseguenze dell’innalzamento dei tassi. Ma sarà vero?

Vediamo di spiegare meglio la vicenda. Innanzitutto, perché le banche fanno extraprofitti? Il motivo è semplice. Quando la banca centrale ha rialzato i tassi d’interesse, bastonando i lavoratori, le banche hanno aumentato i tassi attivi sui prestiti che effettuano a famiglie e imprese, ma non hanno alzato quelli sui depositi delle famiglie e delle imprese. Le banche, infatti, da un lato prestano a un determinato tasso di interesse, dall’altro raccolgono fondi – i depositi delle famiglie – che remunerano a un tasso ben più basso di quello a cui prestano. Su questo differenziale fanno i loro profitti. Ovviamente, nel momento in cui i tassi attivi sono saliti e quelli passivi sono rimasti fermi, i profitti sono aumentati. Questo sembra spiegare gli extraprofitti bancari, ma in realtà manca ancora l’elemento fondamentale. Il settore bancario, con il suo alto grado di concentrazione, è un esempio perfetto di come funziona il cosiddetto “libero mercato”. Nel mondo di fantasia immaginato da alcuni economisti (quello, per capirci, in cui i meccanismi di mercato aprono automaticamente le porte verso il migliore dei mondi possibili), grazie all’aumento dei tassi applicati ai prestiti, i banchieri sarebbero indotti ad aumentare un po’ il tasso pagato ai risparmiatori, cercando di raccogliere più depositi. Il primo banchiere alzerebbe un po’ il tasso per sottrarre clientela alle altre banche, il secondo li alzerebbe ancora un po’ e così via, fino ad arrivare a una situazione simile alla precedente, con un differenziale tra i tassi più o meno invariato rispetto a prima. Se, invece, le banche sono d’accordo, se c’è un cartello o un comportamento monopolistico, nessun banchiere inizierà questa corsa al rialzo e il tasso sui depositi non sarà toccato. Quindi il motivo principale degli extraprofitti bancari è la forza dei banchieri rispetto ai lavoratori, che si esprime nella possibilità di agire di concerto per non danneggiarsi l’un l’altro. Così mentre l’inflazione sale e i salari reali scendono, le banche fanno extraprofitti, alle spalle delle altre componenti sociali.

Di fronte a questa situazione, all’inizio di agosto, Salvini, in veste di vicepresidente del Consiglio, strombazza l’approvazione, in Consiglio dei ministri, di una tassa sugli extra profitti bancari. Una buona idea, direte voi, giusto? Peccato che, posatasi la polvere della propaganda e ricevute le prime critiche delle banche (nonché della BCE), il governo abbia introdotto, molto più silenziosamente, una via d’uscita per le banche, un escamotage per permettere loro di non pagare di fatto un euro sui famosi extraprofitti. La versione definitiva della tassa sugli extraprofitti, infatti, permette alle banche di scegliere se pagare la tassa o accantonare fondi per rinforzare il patrimonio. In questo secondo caso, le banche avrebbero dovuto accantonare un volume di fondi pari a 2,5 volte l’ammontare che avrebbero altrimenti pagato allo Stato. In altri termini, le banche sono state messe dal Governo davanti al seguente dilemma: pagare le tasse o non pagarle? Voi cosa fareste?

Strano a dirsi, praticamente nessuna banca ha pagato l’imposta e quasi tutte hanno accantonato fondi. Secondo alcuni analisti, poi, queste cifre da accantonare sono grosso modo simili a quelle che le banche avevano già in proposito di mettere da parte per la patrimonializzazione. Oltre al danno la beffa: persino le banche pubbliche hanno usato l’escamotage degli accantonamenti (fermo restando che delle banche pubbliche, in Italia, non è praticamente rimasto nulla)! Ovviamente se i fondi che si prevedeva di raccogliere tramite questa imposta non saranno raccolti (diversamente da quanto ipotizzato dal governo, per il quale il gettito non cambierà), bisognerà far quadrare il bilancio dello Stato in qualche modo, magari con un po’ di tagli o di spending review. Insomma, di giustizia sociale se n’è vista poca, di orgoglio nazionale ancora meno.

Tirando le somme e al di là della natura ambigua stessa del concetto di extraprofitto – se tutti i profitti derivano dallo sfruttamento del lavoro, quali sono i profitti legittimi e quali quelli extra? – rileva ancora una volta la totale acquiescenza e servilismo del Governo di fronte a chi detiene le leve del potere economico e finanziario. Così si spiega la recita che ci è stata propinata negli ultimi mesi: strepitare a voce alta contro le banche cattive e poi, però, scrivere un decreto che permette alle banche stesse di non tirare fuori neanche un euro. Con un ulteriore nota di colore: come ha reagito il Governo di fronte all’evidenza che di fatto tutte le banche preferivano (ovviamente) accantonare invece che pagare? In nessuna maniera, a testimonianza di quanto, sin dall’inizio, la tassazione degli extraprofitti non fosse altro che una boutade propagandistica. L’ennesima buffonata che serve a mascherare la natura di questo Governo, a chiacchiere di rottura nei confronti delle politiche degli ultimi decenni, ma nei fatti del tutto allineato ai desiderata del capitale e delle istituzioni internazionali che ne curano gli interessi.

ConiareRivolta

ConiareRivolta è un collettivo di economisti indipendenti

 
Potere sub-imperiale PDF Stampa E-mail

29 Novembre 2023

Image

 Da Rassegna di Arianna del 27-11-2023 (N.d.d.)

Ho appena finito di leggere “Potere sub-imperiale” di Clinton Fernandes, ex ufficiale dei servizi segreti australiani e ora professore di studi internazionali e politici all’Università del Nuovo Galles del Sud. Per completezza di informazione, Clinton mi ha inviato il libro e ha scritto una bella dedica su di esso, definendomi un “educatore pubblico”, che è un modo carino per dire che twitto troppo. Ma non scriverei questo se non mi piacesse davvero il libro, che ritengo sia una lettura essenziale se si vuole capire la geopolitica australiana o se si è interessati alla geopolitica in generale.

Il libro fa una delle migliori descrizioni dell'”ordine internazionale basato sulle regole” che abbia mai letto, descrivendo nei dettagli come l’Australia non sia un vassallo o uno Stato cliente degli Stati Uniti, come molti credono, ma piuttosto una “potenza sub-imperiale”. Ciò significa che l’Australia, così come altre “potenze sub-imperiali” come Israele o il Regno Unito, sono essenzialmente gli scagnozzi dell’attuale dominio “imperiale” degli Stati Uniti, con il compito di preservarlo nelle rispettive regioni. Ciò significa che, in quanto scagnozzi, non sono tanto vittime di un dominio egemonico statunitense, quanto piuttosto ritengono di trarne benefici così sproporzionati da essere disposti a fare di tutto per aiutare gli Stati Uniti a preservare questo dominio contro le vere vittime, coloro che perdono in modo sproporzionato dall’ordine.

Uno degli aspetti più interessanti del libro è il modo in cui si discosta dalle teorie del realismo, sostenute da personaggi come John Mearsheimer o Stephen Walt, che affermano che tutti gli Stati – a prescindere dalla cultura, dalla religione, dalla gerarchia sociale o dal sistema politico – agiranno allo stesso modo perché tutti danno priorità alla sopravvivenza e alla sicurezza sopra ogni altra cosa. Essi affermano che, dato che la massimizzazione del potere è il modo migliore per sopravvivere nel sistema internazionale, se ne avessero l’opportunità tutti gli Stati cercherebbero di diventare egemoni come lo sono oggi gli Stati Uniti o ieri la Gran Bretagna imperiale. Fernandes presenta una tesi molto diversa, che a mio avviso spiega molto meglio il funzionamento del mondo e il comportamento storico dei vari Stati. Il suo punto di vista è che c’è qualcosa di unico nella geopolitica degli Stati Uniti, e in quella degli Stati coloniali occidentali che li hanno preceduti, in quanto hanno queste caratteristiche estremamente aggressive – l’impulso a soggiogare e saccheggiare gli altri – che in realtà spesso danneggiano la loro sicurezza piuttosto che salvaguardarla. E lo spiega con l’indebito potere che la classe ricca ha sullo Stato in quei sistemi di governo.

Il che è difficile da negare se si guarda alle cose storicamente: per esempio, è stata la Compagnia delle Indie Orientali a iniziare la colonizzazione e il saccheggio dell’India, non lo Stato britannico che è arrivato solo in seguito per pacificare essenzialmente la crescente ribellione in India in modo da perpetuare il saccheggio in corso. Oppure prendiamo un esempio più recente: la guerra in Iraq. Ha pochissimo senso dal punto di vista della sicurezza o della sopravvivenza degli Stati Uniti, ma ha un ottimo senso dal punto di vista dell’egemonia economica o delle compagnie petrolifere statunitensi. O ancora l’attuale conflitto a Gaza, che è estremamente negativo per la sicurezza americana, in quanto genera in tutto il mondo musulmano una marea di odio contro l’America e distoglie l’attenzione americana da sfide geopolitiche più importanti. Ma ha senso se lo si guarda dal punto di vista della perpetrazione di un sistema egemonico. In altre parole, il punto di Fernandes è che la caratteristica chiave dell'”ordine internazionale basato sulle regole” riguarda l’effettiva struttura del sistema sociale ed economico americano (o britannico, francese, australiano, ecc.), che cerca di imporre un ordine in cui il mondo intero è aperto alla penetrazione e al controllo delle rispettive classi economiche nazionali. Ecco perché l’ordine riguarda l’egemonia e non la sicurezza, e perché la prima viene spesso a scapito della seconda.

È interessante notare che John Mearsheimer si lamenta spesso, se lo si ascolta: “Perché gli Stati Uniti dovrebbero agire in modi così sciocchi che vanno contro le mie teorie realiste?”. Si è opposto fermamente alla guerra in Iraq, ha messo in guardia per molti anni dal rischio di uno scontro con la Russia in Ucraina se avessimo ampliato la NATO, e continua a parlare contro l’inequivocabile sostegno degli Stati Uniti a Israele. E così facendo Mearsheimer ammette che il realismo non spiega del tutto il comportamento degli Stati e che quindi le sue teorie non sono del tutto corrette. Fernandes offre qui una spiegazione che predice meglio il comportamento effettivo degli Stati Uniti e delle loro “potenze sub-imperiali”: non si può capire il comportamento degli Stati se ci si limita a una visione stato-centrica, ma bisogna guardare anche alle caratteristiche uniche del loro sistema politico, sociale ed economico.

Un ultimo punto interessante è che, dato che sostiene che i sistemi politici ed economici degli Stati giocano un ruolo chiave nel definire la loro geopolitica, il libro di Fernandes implica la previsione che, con l’aumento del potere della Cina, essa si comporterà in modi molto diversi rispetto agli Stati Uniti e ai suoi scagnozzi imperiali. Dato il sistema cinese, cercherà indubbiamente di massimizzare il proprio potere, ma questa volta lo farà per la propria sicurezza e sopravvivenza, e non per servire gli interessi della propria classe ricca, e come tale si comporterà in modo molto meno aggressivo degli Stati Uniti. Ancora una volta, è interessante notare che anche Mearsheimer lo ammette, perché dice ripetutamente “quando sono in Cina, sono tra la mia gente”: come dire che seguono le sue teorie realiste molto più fedelmente degli Stati Uniti. Possiamo già vederne i contorni: è assolutamente ovvio che lo Stato cinese non è alla mercé della sua classe ricca, anzi, la Cina non è esattamente un Paese dove i miliardari hanno vita facile. Stessa cosa per quanto riguarda l’egemonia: La Cina non si occupa di alleanze militari (non ne ha), interferenze straniere o colpi di stato. Infatti non ha mai sparato un solo proiettile all’estero in oltre 4 decenni. Al contrario, cerca di creare un ordine con sicurezza indivisibile e rispetto reciproco incorporato nel sistema, dove idealmente sarebbe lo Stato più potente – certo – ma non per saccheggiare o sottomettere gli altri, ma perché questo garantisce la sua sicurezza e stabilità. Ed è esattamente il modo in cui si è comportata per 1.800 anni, quando era lo Stato più potente del pianeta prima della rivoluzione industriale: non ha mai cercato di colonizzare e saccheggiare il mondo, perché riteneva che ciò sarebbe andato a scapito della propria sicurezza, proprio come avviene oggi a scapito della sicurezza e degli interessi americani. Ha invece cercato relazioni commerciali e di rispetto reciproco che massimizzassero la sicurezza e la stabilità a lungo termine.

In ogni caso, dovreste leggere il libro: è fin troppo raro che un libro del genere venga scritto da accademici occidentali. In genere si leggono le solite stronzate sulla superiorità intrinseca dei valori occidentali e varie teorie mal fondate sul perché dovremmo governare il mondo. Questo libro offre una panoramica al di fuori della matrice.

Arnaud Bertrand

 
Milei come Prodi PDF Stampa E-mail

27 Novembre 2023

Image

 Da Comedonchisciotte del 22-11-2023 (N.d.d.)

Il neopresidente argentino è prima di tutto un “libertario radicale” o, meglio ancora, un “paleo-libertario”, rappresentante di idee vicine all’anarco-capitalismo: “Tra la mafia e lo stato preferisco la mafia, perché almeno ha dei codici e rispetta gli impegni presi, non mente ed è competitiva”.

Specialista in crescita economica, Milei per più di 21 anni è stato professore di diverse materie economiche nelle università argentine e all’estero, tra cui macroeconomia, economia della crescita, microeconomia e matematica per economisti, pubblicando diversi libri sull’argomento. La sua politica propone una drastica riduzione del ruolo dello stato, limitata unicamente alla sicurezza, all’istruzione di base e alla giustizia. “Lo stato è un’organizzazione criminale che si finanzia attraverso le tasse prelevate con la forza”. Tra le sue proposte politiche più estreme si trova la sostituzione della valuta argentina, il peso, con il dollaro statunitense, e la chiusura della Banca centrale, in nome della solidità della finanza pubblica, della stabilità del tasso di cambio e dei prezzi, e dei bassi tassi d’interesse a lungo termine.

Esattamente quello che decise di fare la nostra classe politica con l’adesione all’euro. Né più né meno. Romano Prodi, nel corso della sua campagna elettorale fece dell’Europa il tema centrale della sua proposta politica: l’UE rappresentava infatti, agli occhi della coalizione di centro-sinistra e del suo leader, un interesse nazionale primario. Ricordiamolo ancora: una volta che uno Stato rinuncia a emettere moneta rinuncia di conseguenza alla sovranità monetaria, non avendo più la possibilità di regolare la politica monetaria e il tasso di interesse secondo le esigenze nazionali. Esattamente quello che è successo all’economia italiana da quando abbiamo rinunciato alla Lira e prima ancora ad avere la nostra Banca d’Italia come prestatore di ultima istanza: subiamo le scelte monetarie della Banca Centrale Europea. I disgraziati cittadini che vivono e lavorano per gran parte della loro vita all’interno di un Paese che faccia questa scelta scellerata si ritrovano a vivere in uno Stato dove non c’è più una banca centrale che crea moneta all’occorrenza o che abbassa i tassi di interesse se bisogna favorire l’accesso al credito e gli investimenti.

Proprio gli argentini con Milei oggi, gli italiani allora erano dalla parte di Prodi, e lo votarono in massa. L’opinione pubblica italiana era la più europeista sul Vecchio continente: il segretario del Partito democratico della sinistra, Massimo D’Alema, a elezioni vinte, il 30 maggio 1996, avrebbe spiegato in Parlamento come “L’Ulivo ha vinto anche perché è apparsa come la coalizione più europea, più capace di garantire l’integrazione europea dell’Italia”.

Gli italiani avevano fatto una scelta che si rivelerà, col tempo, del tutto masochista. I parametri di Maastricht e i vincoli europei si sono rivelati assolutamente penalizzanti per la nostra economia. Esattamente come le scelte che sembrano prepararsi all’orizzonte per gli argentini. Anche se non è la prima volta che l’Argentina va nella direzione della dollarizzazione: verso la fine degli anni Novanta il governo fissò il tasso di cambio con la moneta americana, ma non funzionò perché, proprio come avviene oggi, la dollarizzazione veniva raccontata come un viatico per mettere in ordine le casse pubbliche: esattamente come fu raccontato agli italiani ai tempi della decisione di aderire alla moneta unica europea. L’euro ci avrebbe garantito stabilità e una difesa solida contro inflazione. Salvo poi accorgerci che invece aveva rafforzato la Germania. “Che cosa penso sinceramente: che l’euro resisterà perché nessuno ha interesse a buttarlo a mare, non certo la Grecia, non certo l’Italia, ma soprattutto non certo la Germania perché la Germania oggi è di gran lunga il Paese più potente e forte d’Europa grazie all’euro”. (Romano Prodi)

E tornando all’Argentina (e all’Italia), ma se uno Stato non può più finanziarsi ‘stampando moneta’, cioè, prendendo a prestito i soldi direttamente dalla banca centrale nazionale, allora è inevitabile che vada a indebitarsi con soggetti stranieri. O comunque vada a dipendere da politiche decise da istituzioni con sede fuori dai confini nazionali. Questo il destino che attende l’Argentina, la quale rischia di ammanettarsi da sola decidendo di votare Milei, che promette di dollarizzare ufficialmente contando sull’appoggio degli Stati Uniti in caso di crisi, avendo proprio la Fed come prestatore di ultima istanza. Una specie di resa di fronte al nemico, in pratica. Si potrebbe concludere, a questo punto, che di fatto le politiche economiche della destra argentina di oggi non hanno nulla di diverso rispetto a quelle della sinistra italiana di ieri. L’importante è fare sempre l’interesse di qualcun altro, basta che non sia quello della propria Nazione.

Katia Migliore

 
Una nuova ferocia PDF Stampa E-mail

25 Novembre 2023

 Non incolpate il passato dei mali del presente

Da Rassegna di Arianna del 22-11-2023 (N.d.d.)

A vedere, leggere e ascoltare le furenti reazioni, i rabbiosi riti accusatori, la perdita assoluta di lucidità e l’esplosione di odio che ha innescato la barbara uccisione di Giulia, hai l’impressione di un contagio barbarico. L’odio si rivolge contro il maschio in generale, si accentua verso il maschio che non si vergogna di essere tale, quindi esplode contro chi non si riconosce nella lettura tardofemminista, radicale, progressista e maniacale che viene imposta senza possibilità di ragionare. Avevo osato twittare respingendo la chiave “patriarcale” dei delitti: sono stato aggredito da uno sciame di imbecilli incancreniti, tra insulti e invettive, e con l’accusa di sostenere l’assassino, a cui avrei voluto fornire alibi assolutori e attenuanti culturali.

Proviamo a non scomporci, a non seguire i vaniloqui di chi ci accusa di sproloqui, e a ragionare, sapendo di non avere in mano nessun monopolio di verità e nessuna presunzione di certezza. Dunque, volete attribuire al mondo passato e a volte trapassato, i mali evidenti di oggi, nati in seno alla decomposizione della società presente. E volete attribuire alla famiglia, naturale e tradizionale, gli effetti barbarici che risalgono piuttosto alla sua dissoluzione nel presente. Perfino il gesto criminale di un ragazzo di 22 anni che non è figlio della società patriarcale, non l’ha vissuta, ma è figlio del nostro tempo, come voi ripetete in ogni altra analisi, viene ricondotto alla società patriarcale. Non sono i morti che uccidono i vivi. Voi usate sempre le etichette del passato per spiegare le infamie e le barbarie del presente: si veda l’uso improprio e anacronistico dell’epiteto di fascisti o nazisti applicato a movimenti, ideologie, gruppi terroristici e atti barbari che hanno tutt’altra genesi e appartengono alla nostra epoca.

Da dove nascono i femminicidi e le violenze del nostro tempo? Le storie divergono, le cause sono molteplici, ma la matrice prevalente non è la società patriarcale, semmai la società egoista ed egocentrica, individualista e narcisista del presente; la società dei diritti concepiti come desideri illimitati, senza doveri, in cui quel che conta è ciò che io voglio, non si accettano dinieghi e limiti. I femminicidi non nascono dalla forza del machismo e del maschilismo ma sono una reazione isterica alla propria debolezza e inettitudine. Nella gran parte dei casi, il femminicida (espressione che aborro e uso solo per farmi capire) reagisce a una donna che lo ha lasciato, che non vuole più stare con lui; la follia barbara della reazione criminale mostra la dipendenza, l’incapacità di vivere senza di lei, sentirsi annullati e perduti. È un egocentrismo malato, puerile e degradato, che a volte si accanisce anche sui propri figli e spesso si conclude contro se stessi; se mi abbandoni, muoia Sansone con tutti i filistei. Una patologia dell’amore come unicità, insostituibilità della persona amata; invece la vita continua, nel mondo ci sono altri e c’è altro. Dietro il delitto c’è tutta la fragilità, l’insicurezza, la psicolabilità, il narcisismo malato e ferito di oggi.

La traccia più virulenta della mentalità patriarcale è tra i migranti di religione islamica e c’è una parola precisa a indicarla, che molti non vogliono riconoscere: sottomissione. La donna dev’essere sottomessa; Saman viene uccisa perché non si è sottomessa ai dettami della famiglia. Quella è la società islamica patriarcale. Ma il femminicidio, che è più diffuso nelle popolazioni del nord Europa rispetto ai popoli latini, e in Italia è più diffuso tra le giovani generazioni, appartiene alla nostra società di famiglie disfatte, di solitudini ringhiose e autocentrate, che negano ogni senso morale e religioso, incapaci di sacrificarsi o di accettare i propri limiti, gli altrui rifiuti, il proprio destino…Il contrario dell’orizzonte di valori della società patriarcale. Che è impraticabile nel presente, ma non era solo quell’orrore di cui si dice: la memoria delle nostre famiglie originarie può confermare quanta dedizione, spirito di sacrificio, gioia della vita insieme, reciproca cura vi fosse. Per un pater familias orco c’erano cento genitori che davano l’anima per la famiglia e per ciascun suo componente. Ma è un altro mondo, irripetibile, nel bene e nel male, ne convengo; per la stessa ragione, non potete attribuire a un modello sepolto le miserie feroci dell’oggi.

Questa chiave di lettura, che propongo senza alcuna arroganza, sapendo di poter sbagliare, non nasconde alcuna indulgenza verso chi compie questi crimini. Spiegare diversamente il crimine non significa giustificarlo, non comporta alcuna attenuante; non cambia la pena, per lui e per noi. Semmai il patriarcato o l’indole maschile possono diventare alibi per attenuare le responsabilità personali di un gesto criminale come quello, attribuendole a un fatto sociale o un vizio congenito, naturale. Se poi i maschi sono in ogni caso figli della società patriarcale anche se non l’hanno vissuta, allora il problema che ponete è genetico, è connaturato ai maschi; allora che si fa, castrazione chimica, lobotomia psichica, analisi forzate di massa? Più seria è invece l’obiezione di chi nota: come mai sono rari i maschicidi, perché le donne non uccidono come i maschi? Potremmo dire che sono diventate più resistenti, più sicure dei maschi, sanno vivere con più indipendenza, mentre i maschi patiscono gli effetti perversi del mammismo e della mammocrazia (variante moderna della società matriarcale). Dietro quella disparità di reazioni c’è la decadenza maschile e l’ascesa femminile.

D’altra parte non vi rendete conto che più gridate questi slogan e queste ricette, sorretti da quell’impianto ideologico contro la famiglia patriarcale, e più si diffondono comportamenti violenti e casi di femminicidi? Come intendete rimediare, con i campi di rieducazione sul modello della rivoluzione culturale cinese? Innalzando barriere di sospetto tra maschi e femmine, suggerendo che i maschi devono andare con i maschi e le femmine con le femmine? E se provaste a dubitare dei vostri anatemi e delle vostre ricette?

Marcello Veneziani

 
Macché patriarcato PDF Stampa E-mail

24 Novembre 2023

 Da Rassegna di Arianna del 22-11-2023 (N.d.d.)

Ci sono temi più importanti e preferirei tacere su tutto il circo che è partito dalla vicenda dell'ultimo omicidio volontario di una donna. Preferirei tacere anche per preservare la salute psichica, perché ogni qual volta ci si scontra con il muro ideologico costruito dai media correnti la frustrazione è inevitabile. Ma alla luce del fatto che il ministro Valditara sta davvero prendendo sul serio le fiabe ideologiche correnti, una parola mi sembra necessaria.

Speravo in uno scherzo, ma leggo che il ministro dell'istruzione, in una pregevole armonia di intenti con l'opposizione, sta davvero proponendo un'ora a settimana di “educazione alle relazioni” nella scuola secondaria. Non solo, la proposta prevede anche l'intervento in queste ore di educazione sentimentale di "influencer, cantanti e attori per ridurre le distanze con i giovani e coinvolgerli". Forse fraintendiamo l'intervento del ministro, che probabilmente ha il solo scopo di incrementare l'afflusso alle scuole private. Come spiegare altrimenti questa ulteriore accentuazione della tendenza della scuola pubblica a diventare un interminabile catechismo dell'ovvio, che ripete in bianco e nero gli stessi contenuti che si ritrovano, a colori, su una rivista media da parrucchiere? Tra ramanzine moralistiche, alternanze scuola-lavoro e consulti psicologici gli spazi per insegnare qualcosa di sostanziale nella scuola pubblica si stanno riducendo a feritoie. Ma purtroppo questo è solo piccola parte del problema.

Il problema più grosso è che l'interpretazione ufficiale degli eventi delittuosi aventi per oggetto donne ha subito da tempo un sequestro ideologico. Esiste una singola lettura che anche persone intelligenti e al di sopra di ogni sospetto ripetono pappagallescamente, come se fosse una sorta di verità acclarata. E questa lettura non è semplicemente sbagliata, che sarebbe il meno, ma è proprio socialmente dannosa, anzi dannosa per le stesse dinamiche che si immagina di voler correggere. Provo a spiegarmi in breve.

La lettura d'ordinanza di questi eventi delittuosi è la seguente. Si tratterebbe di espressioni di un'atavica, arcaica (patriarcale), concezione subordinante della donna che la concepisce come una proprietà, un oggetto a disposizione, e che perciò non ne accetta l'indipendenza e la punisce con la violenza e persino con la morte. Dunque, dissimulato sotto la superficie di un mondo moderno e formalmente egalitario serpeggerebbe ancora questo "residuo patriarcale", tenace e ostico da sconfiggere, che richiede perciò una rieducazione della popolazione - e della popolazione maschile in ispecie. Ora, io credo che questa lettura delle violenze e degli omicidi spesso per futili motivi che oggi riscontriamo, tra cui anche quelli che hanno per oggetto donne, non c'entri assolutamente nulla con alcuna presunta "cultura patriarcale". E credo che le ricette che vengono proposte, lungi dall'essere risolutive, possano soltanto aggravare il problema. Perché mai? Partiamo da un po' di pulizia terminologica e mentale. Tutti si riempiono la bocca di "patriarcato" senza avere per lo più alcuna idea di ciò di cui si tratta. Ora, l'unico senso antropologicamente accettabile della nozione di "patriarcato" (che non va confuso con la patrilinearità della discendenza) è il modello sociale diffuso un tempo in molte civiltà dedite all'agricoltura o alla pastorizia, dove l'ultima autorità cui ricorrere per i dissidi interni e per i rapporti verso l'esterno era rappresentato dal maschio più anziano del gruppo (patriarca). Queste strutture sociali erano (e in alcune parti del mondo ancora sono) caratterizzate da una sostanziale assenza delle legislazione pubblica, da forti nessi comunitari all'interno di famiglie estese connesse, che dovevano risolvere molte questioni oggi risolte dalla giustizia ordinaria. Gli ordinamenti patriarcali sono tipicamente preindustriali e definiti da ordinamenti famigliari estremamente solidi e vincolanti. La prima domanda che dovrebbe venire in mente è: cosa diavolo c'entra questa forma sociale con il mondo occidentale odierno? Ovviamente non c'entra assolutamente nulla, ma questa impostazione del problema nasce negli anni '70, in cui l'idea che ci fossero ancora residui patriarcali da abbattere era il principale oggetto polemico del second-wave feminism. Oggi, mezzo secolo dopo, stiamo ancora qua a berci un'interpretazione che era tirata per i capelli allora e che oggi è letteralmente fluttuante nel vuoto. A questo punto c'è sempre qualcuno che se ne viene fuori dicendo che sono questioni filologiche, di lana caprina, che se non va bene il termine patriarcato chiamiamolo maschilismo che va bene uguale.

Solo che il problema non è meramente terminologico, ma è legato a quale si ritiene essere la radice causale di violenze e assassini odierni. Se si evoca il "patriarcato" o simili si evoca l'immagine di un residuo ostico del passato che stentiamo ancora a lasciarci dietro le spalle. Dunque per superarlo dovremmo procedere ulteriormente con l'abbattimento di qualunque simile residuo del passato: bando al familismo, bando all'autorità paterna, bando al normativismo, sempre in odore di autoritarismo, ecc. Ora, prima di esporre quella che credo essere un'interpretazione più plausibile, provo a sottoporre all'attenzione qualche fatto empirico. Se il problema delle violenze si radica nei residui patriarcali in una qualche versione, allora i paesi che hanno società maggiormente modernizzate, con minori vincoli famigliari e con una posizione di maggiore indipendenza delle donne dovrebbero essere esenti da questo problema, o almeno presentarlo in misura molto minore. Ma è davvero così? Curiosamente ciò che si profila è esattamente l'opposto.

Se guardiamo alle violenze domestiche vediamo che (dati di un paio di anni fa) i primi paesi per denunce di violenza subita dalle donne sono quattro paesi proverbialmente emancipati: Danimarca (52% delle donne lamentano di aver subito violenza), Finlandia (47%), Svezia (46%), Olanda (45%), in coda classifica in Europa troviamo la Polonia (16%). Naturalmente qui c'è la replica pronta: si tratterebbe di un mero effetto statistico, dovuto al fatto che in quei paesi, proprio grazie alla maggiore emancipazione, le donne denunciano di più. Può darsi.

Allora per tagliare la testa al toro andiamo a vedere la categoria degli omicidi volontari di donne (cosiddetti "femminicidi"), che registra eventi non soggetti a filtri interpretativi. Qui, secondo i dati Eurostat aggiornati al 2019, il profilo appare leggermente diverso, ma non troppo. In testa in questa macabra classifica stanno costantemente i paesi baltici (Lettonia, Lituania, Estonia), insieme a Malta e Cipro, con Finlandia, Danimarca, e Norvegia poco sotto e Svezia a metà classifica. All'estremo opposto, costantemente agli ultimi tre posti troviamo Italia, Grecia e Irlanda, che si scambiano solo di posto di anno in anno. Per un confronto numerico, l'Italia presenta un dato di 0,36 "femminicidi" ogni 100.000 abitanti, la Norvegia 0,61, la Germania 0,66, la Francia 0,82,la Danimarca 0,91, la Finlandia 0,93, la Lituania 1,24. Ora, cosa hanno in comune Italia, Irlanda, Grecia? Non molto, salvo il fatto di essere tutte società con un ruolo tradizionalmente molto forte delle famiglie, società di cui spesso si è lamentata la limitata modernizzazione, anche per il peso significativo delle istituzioni religiose. Cosa hanno in comune gran parte dei paesi del Nord e in parte dell'Est Europa? Sono società che hanno subito processi estremamente accelerati di modernizzazione, con laicizzazione forzosa, e frantumazione (riconosciuta al loro stesso interno) delle unità famigliari.

Ecco, una volta messi giù questi dati, per quanto sommari, io credo che un'interpretazione molto più sensata delle eventuali radici culturali della violenza e dell'omicidio per futili motivi di donne sia rintracciabile nell'esatto opposto del "patriarcato". Lungi dall'aver a che fare con ordinamenti famigliari estesi, vincolanti, con elevata normatività, tipici del patriarcato, ci troviamo di fronte a contesti dove le forme famigliari sono dissolte o in via di dissoluzione, dove i giovani crescono educati più da tik-tok e dai video trap che dalle famiglie, società dove peraltro da tempo la figura del padre latita ed è spesso definita dagli psicologi come effimera. In questi contesti, "modernizzati ed emancipati" si allevano in maggior misura identità fragili, disorientate, che si sentono costantemente sopraffatte dalle circostanze, e che perciò, occasionalmente, possono più facilmente ricorrere alla violenza, che è il tipico modo di reagire a situazioni di sofferenza che non si è in grado di comprendere né affrontare.

Molti altri aspetti andrebbero approfonditi, ma se, come io credo, questa è una lettura assai più probabile dei fatti, le strategie che stiamo adottando per affrontare il problema vanno precisamente nella direzione dell'ennesimo aggravio dei problemi. Questo in attesa delle lezioni di educazione sentimentale di Sfera Ebbasta.

Andrea Zhok

 
<< Inizio < Prec. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Pross. > Fine >>

Risultati 97 - 112 di 3744