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Proibizionismo PDF Stampa E-mail

28 Dicembre 2013

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Qual è il bello della convivenza di un popolo? Unire o dividere? La maggior parte di voi penserà ad unirsi mentre, in realtà, il propellente della democrazia è la divisione. Infatti se l'offerta permette delle scelte il cittadino può esercitare la sua libertà. Queste sono le fondamenta della democrazia, perché noi dobbiamo sempre ricordarle? Perché, purtroppo, in Italia sembra che tutti quanti se ne siano dimenticati. Molti desiderano l'uniformità del pensiero: fateci caso, in questi mesi il governo italiano è sostenuto dal 70% - margine variabile in base agli interessi che sorgono - dei partiti dell'arco costituzionale. Questa maggioranza, formata da un'accozzaglia di personaggi strani, con la panzana del dobbiamo salvare l'Italia sta mettendo in atto un vero e proprio regime per risanare i conti pubblici. Tralasciando la pochezza sia fisica che spirituale dei nostri cari ministri, ci impressiona come questi signori possono prendere dei provvedimenti incommensurabili, ma nello stesso tempo elementari, con tanta semplicità e serenità. Nota a margine: io ho sempre pensato che fosse meglio investire in ricerca piuttosto di importare il frutto del lavoro degli stessi italiani espatriati, evidentemente mi sbagliavo poiché queste soubrette da circo dell'assurdo hanno creato tutte le condizioni perché accadesse il contrario. I nostri cari governanti sono riusciti a capovolgere l'essenza della democrazia, non c'è più un popolo diviso, un popolo che litiga, che sbraita, c’è invece un popolo unito nel credere a un governo che l’ ha condotto sull’orlo del baratro.

 

Una classe dirigente – dominante -  e governanti talmente recalcitranti davanti alle nuove generazioni che non hanno ancora capito quali provvedimenti occorre prendere per modernizzare il Paese e compiere quel balzo idoneo per uscire definitivamente da una crisi quasi ricercata o desiderata. Prendiamo ad esempio la percezione che i nostri governanti hanno su uno dei tanti temi a cui i giovani prestano molta attenzione: il proibizionismo della canapa indiana. Innanzitutto dobbiamo comprendere chi è e dove si colloca il classico proibizionista: il proibizionista è il tipico conservatore che vuole il mondo sia come lo intende lui. Sempre il proibizionista dice che i criteri repressivi vanno adottati per garantire di non recare danno agli altri, ad esempio quando si è alla guida di automobili. Solo che il non recare danno ad altri non porta per forza ad una politica proibizionista. Di certo si arriva al proibizionismo se ci si illude di poter essere totalmente sicuri, a costo di ridurre la variabilità degli eventi della vita. Stabilire dei livelli di sobrietà assai discutibili, serve a metter su reti di controllo dissuasive basate sulla paura del cittadino per indurlo ai comportamenti “giusti”. Però aspirare a questo tipo di sicurezza è fuori dal mondo concreto. Non solo da un punto di vista della libera convivenza, ma anche perché i dati ufficiali indicano che ben due terzi degli incidenti stradali mortali derivano da cause differenti da alcol e droghe. Come si fa a sostenere che, abolendo le attuali leggi proibizioniste, la percentuale derivante da alcol e droghe aumenterebbe sensibilmente? Lo suppone la psicosi proibizionista che continua a voler introdurre nuove fattispecie di reato, assillata dal dover sbandierare la paura. 

 

In realtà essendo cittadini, l’essere contro il proibizionismo è naturale. Perché fondiamo la convivenza sulla libertà di ciascuno nell’ambito delle regole da noi stessi scelte. Secondo noi queste regole devono essere coerenti con il principio di libertà e adeguate di continuo, per rendere possibile ad ognuno di esprimersi al meglio. Non sono invece coerenti le regole che stabiliscono i (supposti) comportamenti giusti da tenere. La logica proibizionista presume appunto di sapere quale sia il modo giusto di comportarsi in società e vuole imporlo. Ė una logica opposta a quella di un popolo libero. Il proibizionista, come abbiamo sottolineato sopra, è il tipico conservatore (di destra o di sinistra fa lo stesso) che vuole il mondo sia come lo intende lui. Mentre i cittadini liberi stanno ai fatti del mondo e pensano che la convivenza debba fare i conti con quei fatti. Per questo vogliono la libertà. Perché ciascuno cerchi sempre il modo di affrontare i fatti al meglio. Tra i più ancestrali modi di rapportarsi al mondo esterno, vi sono quelli del mangiare e del bere cibi e bevande capaci di rinvigorire e di soddisfare. In quest’ambito, e ancor più in quello dei prodotti medicinali, vi sono sempre state sostanze più o meno commestibili ed assumibili secondo i gusti e le necessità, che tendono a regolare la disponibilità di energia e ad influire sulle condizioni organiche di chi le assume con effetti più o meno profondi e duraturi. In proposito, per la civiltà libera quello che davvero importa è che ognuno sia il più possibile informato circa i reali effetti di ciascuna di quelle sostanze sull’organismo di chi le usa. Poi spetta al singolo decidere come comportarsi. Qui il proibizionista insorge gridando al pericolo per la sicurezza degli altri cittadini, minacciata dalla libertà. E, sbandierando questo pericolo, propone regole per imporre un dato comportamento restrittivo che secondo lui garantirebbe la sicurezza. Solo che l’esperienza storica mostra in modo inequivoco una cosa opposta. Che così facendo la sicurezza è molto relativa ed al fondo illusoria, mentre la restrizione della libertà individuale irrigidisce le istituzioni e genera di certo un tenore di vita più disagiato per gran parte dei conviventi. Quindi è l’atteggiamento proibizionista a costituire un pericolo effettivo per il cittadino.

Vanno poi considerate le conseguenze della lotta proibizionista dal punto di vista della spesa pubblica. La spesa europea complessiva nella guerra alla droga oscilla tra i 28 e i 40 miliardi di euro-anno, quella italiana è stimata in circa 5-6 miliardi. I risultati di questo impegno poderoso sono: un elevato livello di criminalità, la prosperità delle organizzazioni criminali, migliaia di giovani vite stroncate o rovinate in modo irreparabile, la persistenza del traffico degli stupefacenti nonostante la proibizione, le immense rendite di posizione degli alfieri della guerra agli stupefacenti.

È morale spendere i soldi in questo modo? Davvero non c’è un modo migliore di spendere i soldi? Davvero i nostri diritti di cittadinanza sono così tanto meno importanti del dovere che ci siamo dati di insistere in quella costosa proibizione? È morale spendere quasi sei miliardi di euro all’anno nella repressione del commercio e del consumo della Canapa quando abbiamo ospedali con i malati messi a letto nei corridoi? Mi è difficile pensare che non ci sia un modo migliore di spendere soldi, anche moralmente migliore. Giuseppe Ayala affermava che per combattere la mafia e la criminalità organizzata è necessario legalizzare le sostanze stupefacenti ora illecite. Le mafie traggono la maggior parte della loro ricchezza dal narcotraffico, e non si può contrastare il narcotraffico senza politiche di legalizzazione. In questo modo si sottraggono le droghe al mercato illecito per affidarle ad un sistema regolamentato. Molti si chiedono: può lo Stato permettere la vendita delle droghe leggere? Anche ammesso che nell’uso di Canapa vi sia qualcosa di immorale, sappiamo che non si tratta di una di quelle immoralità che giustificano la proibizione o la punizione, come avviene invece per l’omicidio o per il furto. La revoca della proibizione indebolirebbe le organizzazioni criminali sottraendo loro una grande fonte di ricchezza, e mi pare che questo non possa certo essere definito immorale. Per di più, comporterebbe due vantaggi per lo Stato: un risparmio, perché i soldi adesso destinati a una lotta alla droga senza speranza potrebbero essere destinati per altri scopi, come cercare di rimediare un po’ delle situazioni disastrose che sono sotto gli occhi di tutti; e un guadagno, perché il mercato delle droghe illegali, immenso e florido, sarebbe tassato come avviene per ogni mercato legale, con benefici immediati per l’erario. Forse il “quesito morale immenso” ha a che fare con l’obiezione che, in questo modo, lo Stato farebbe cassa sulla pelle dei cittadini ma, se il problema è questo, allora si tratta di un quesito morale che si spazza via con facilità. La legalizzazione non inventa il consumo di stupefacenti, ma si limita a renderlo legale. Anche sotto la proibizione, infatti, le droghe leggere si vendono e si consumano, perché la proibizione non funziona, e non ha mai funzionato.

Chi ha a cuore la salute pubblica dovrebbe guardare alla legalizzazione della canapa come a una soluzione auspicabile e urgente, perché permetterebbe di effettuare controlli di qualità sulle quantità in commercio, come succede per tutto quello che viene posto in vendita sul mercato legale, con benefici immensi per milioni di persone che, proibizione o non proibizione, sono forti consumatori di droghe leggere. Credo che tutti siano consapevoli che non esiste nessuna giustificazione per proibire l’uso della canapa e dei suoi derivati, e meno che mai per punirlo. È invece incredibile come anche le forze politiche che si propongono come innovative, ad esempio il Movimento Cinque Stelle, non abbiano nel loro programma l’intenzione di risolvere il problema. Forse l’origine di tutti i mali italiani siamo proprio noi cittadini che non sappiamo mai riconoscere e discernere tra chi ha delle idee veramente utili per il bene della società e tra chi, invece, predica un mero populismo finalizzato al nulla.

Augusto Tagliati

 

  

Commenti
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fosco2007@alice.it
admin (Super Administrator) 28-12-2013 10:12

Bisogna distinguere fra colpa e reato. La prima è passibile di sanzione morale, il secondo di punizione prevista dal codice. Sarei per la legalizzazione di tutti i comportamenti che possono essere considerati colpe ma non reati: gioco d'azzardo, prostituzione, assunzione di droghe. Legalizzare e tassare, con benefici per la lotta alla criminalità organizzata, per le casse dello Stato e per un'etica della responsabilità individuale, dal momento che eventuali reati commessi in seguito a quelle pratiche dovrebbero essere sanzionati duramente. Una tassa sul vizio, insomma, se vogliamo chiamare le cose col loro nome. Ritengo però che sia una battaglia di retroguardia. Questa è già la linea di tendenza della modernità capitalista: vietato vietare, proibito proibire, il trionfo dell'individuo consumatore, senza legami comunitari e senza scrupoli moralistici. Su questi temi il sistema è estremamente tollerante. Le resistenze vengono da settori clericali sempre più deboli e da un residuo moralismo che non è l'obiettivo della nostra polemica. Quello su cui il sistema non transige è l'ideologia del libero mercato, della libera concorrenza fra individui sciolti dai legami comunitari, della riproduzione allargata in un progresso continuo e indefinito, degli USA come garanti della diffusione mondiale di questo modello. Su tutto il resto, compresa la legalizzazione delle droghe, il potere è estremamente "liberale".
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