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Le luci della cittą PDF Stampa E-mail

18 Aprile 2014

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Noi italiani, si sa, abbiamo ormai fatto l' abitudine ad essere sempre il fanalino di coda in tutte le classifiche internazionali: investimenti in innovazione, nella scuola, nell' informatizzazione, nello sviluppo economico, eccetera.

Altrettanto vero è, però, che non in tutti i casi essere ultimi risulti in un disonore: dipende dalla voce della graduatoria.

La stampa di regime globalizzata (un quotidiano fondato a fine anni Settanta da chi ora è un arzillo novantenne, per intenderci) ci informa oggi, nell' ennesimo dei suoi cervellotici articoli, che siamo ultimi a livello globale come "Cities that never sleeps"(le città che non dormono mai): nelle aperture 24 h su 24 h di centri commerciali, supermarkets, bar, musei, anche chiese e ristoranti, Milano è "fuori classifica" e Roma quasi cinquantesima.

Se a Tokyo e Sydney e New York, secondo l' articolista, si incontrano alle 3 del mattino "mamme assonnate e stravolte da due turni di lavoro che comprano il latte" o "padri con gli occhi arrossati in cerca di sciroppi per la tosse del bambino"(sic!), tali scene davvero molto edificanti per fortuna non si incontrano nelle notti delle nostre città spettrali, illuminate nel buio notturno solo dalle "croci luminose delle poche farmacie di turno aperte" o da "capannelli di ragazze di vita"(cito ancora dall' articolo).

Bene. Prima di tutto, rispondo all' articolista, il quale ha pure azzardato la profezia che una città sempre aperta è più sicura , che tale asserzione non è per nulla vera.

Le città sono luoghi e agglomerati di persone tenute assieme dalle basi del condiviso, delle reti di rapporti sociali, del collettivo e dai simboli della memoria storica, in cui tutti si riconoscono: i centri storici delle città italiane, quando erano vissuti e popolati, quando erano microcosmi di società organiche, non erano per nulla malsicuri. Anzi, malsicure erano le periferie, anche in età della modernità solida conclusa pochi anni fa. Erano le vie di periferia ad offrire l' immaginario del torbido, del vizio, del disordine, non il calmo e rassicurante centro storico, ora ridotto ad un deserto di negozi di vicinato e di appartamenti, popolato solo da una movida chiassosa e irrispettosa che genera vizi, risse, tassi alcolici e smerci di droghe.

Non servono i bar, i dehors, i discopub e i concerti fracassoni per far rinascere i centri storici e non serve la notte: serve il giorno, serve riattivare la ragnatela dei commerci di vicinato, serve far ripopolare le case ai ceti medi e medio-bassi.

Quanto alle notti brave e bianche di Madrid, Siviglia, Barcellona, ricordo all' articolista che la Spagna ha un clima e una temperie diversi dal nostro e tali notti selvagge altro non sono che l' esasperazione giunta all' eccesso parossistico  di modus vivendi già presenti in epoca premoderna.

Circa le scene di Tokyo, Seul, Sydney, New York, le lascio volentieri ai cittadini destrutturati e zombies ambulanti che ci vivono: non le vorrei mai vedere, qui da noi.

Infine dico all' articolista che l' Uomo è parte della biosfera ed è parte della Natura (ma forse questo lo hanno dimenticato in molti..), quindi il suo ciclo circadiano si basa sull' alternanza luce/buio e sonno/veglia, da che mondo è mondo.

Basterebbe riprendere le antiche abitudini delle passeggiate domenicali e serali (per serali, non leggere: 2 di notte), di cui i vecchi Pubblici Passeggi  sono oggi una muta testimonianza (a Cremona, dove vivo, ve ne è uno, alberato e rettilineo, totalmente deserto e in declino, con un parco bellissimo che potrebbe divenire un punto di riferimento per la cittadinanza), riscoprire il fascino del commercio di vicinato, finirla con la mania demenziale dei suburbi delle villette a schiera, per far rinascere le città italiane, che per struttura urbana sono tra le più armoniose del mondo.

Chi non apprezza ciò, può sempre andarsene a Tokyo a fare 12 ore al giorno di lavoro e comprare il latte sbadigliando alle 3 di notte: sicuri che non arriva a 80 anni.

Ė stata la prima volta, negli ultimi 3 o 4 anni, che ho letto con piacere che siamo ultimi in qualcosa.

Di questo fanalino di coda dovremmo andare orgogliosi.

Simone Torresani

 

 

  

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