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Birmania libera (da tutti)! PDF Stampa E-mail

29 settembre 2007

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Birmania: questione di business. Da una parte c’è una dittatura di bolsi gerontocrati con le stellette, protetta dalla Cina capitalcomunista febbricitante per le Olimpiadi che la consacreranno definitivamente come superpotenza mondiale. Un regime in affari con l’India (per il gas, così prezioso per l’immane fabbisogno di New Delhi), con Israele che la rimpinza di armi, con multinazionali come la Unocal e la Total (per i gasdotti costruiti o in progettazione passando sulla pelle di etnie dissidenti come i Karen), con la Thailandia (fedele alleato degli Usa) per dighe e impianti idroelettrici. L’embargo americano deciso da Clinton nel 1997 e rinnovato da Bush nel 2003 è un ricatto a metà, più una spada di damocle che non una chiusura netta. Uno strumento di pressione che ha retto fino a oggi, quando la crisi economica ha fatto sollevare la popolazione, in testa dei pacifici bonzi buddisti.
Dall’altra c’è un popolo in rivolta per ragioni economica: il prezzo della benzina. I monaci, la gente per strada. La repressione miete vittime. Ma non come nel 1988, quando furono uccisi in piazza centinaia, forse migliaia di persone. E questo perché il padrone cinese ha impartito un ordine preciso ai suoi manutengoli birmani: non esagerare. E infatti sembra che adesso il governo di generaloni si avvii a una soluzione diplomatica del caos in cui versa il Paese.
Il terzo attore è l’Occidente con le sue brame di conquista economica. Ricchezze minerarie e posizione strategica. Un mercato ancora chiuso ai prodotti della globalizzazione trionfante. Di qui l’offensiva propagandistica che mira ad annettere la Birmania al totalitarismo del Ventunesimo Secolo, la falsa “democrazia” made in Washington. Gli ideologi dell’esportazione della democrazia sono tutti eccitati al pensiero di un Irak 2, col piacere doppio di non dover usare le armi e impelagarsi in un’altra guerra.
Mettersi il nastro rosso in solidarietà coi monaci ribelli? Giustificare il potere militare eterodiretto dal dragone cinese? Noi siamo per la libertà dei popoli di farsi la propria storia. Di rovesciare o di innalzare i regimi come gli pare. Di autodeterminarsi senza che nessuno imponga dall’esterno il destino altrui (magari con la pelosa propaganda mediatica manovrata dalle oligarchie occidentali, a cui i soliti pseudo-pacifisti a corrente alternata si accodano). Noi vorremmo una Birmania libera dai cinesi, dagli americani, da noi occidentali, da tutto e da tutti fuorché dai birmani, unici depositari del diritto alla sovranità e all’indipendenza.
Non strumentalizziamo quei monaci. Non intromettiamoci. Denunciamo invece gli interessi delle bande di rapinatori di professione, cioè le grandi aziende (cinesi, statunitensi, italiane o indiane non fa differenza) che vogliono trasformare una dittatura militare in una dittatura delle multinazionali. Vedrete che la cricca militare resterà al suo posto. Tutti i peana alla democrazia si diraderanno ben presto quando la cricca occidentale otterrà maggiore flessibilità nelle importazioni e nei contratti. Fra cricche ci si intende.
E così la Birmania finirà di nuovo nel dimenticatoio in cui era. Sbugiardando la facile e ipocrita indignazione di questi giorni.
Viva la Birmania libera (dalle multinazionali e dagli appetiti di ogni altro Paese)!

Alessio Mannino

Commenti
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paolo_valdo@libero.it
Paolo (Registered) 29-09-2007 22:25

E' quasi scontato che tutto finirà come dice Alessio.
Credo però che stia nella sensibilità di ognuno di noi fare in modo che la Birmania, cosi' come la Palestina, il Tibet, l'Iraq.....e molti altri Paesi, non finiscano nel dimenticatoio più totale, anche a costo talvolta di rischiare di sconfinare in un pizzico di "buonismo".
Vedendo poi l'ultima frase di Alessio, mi viene da chiedermi quanti altri stati potremmo mettere al posto del nome della Birmania. Temo un'infinità.
simone.org@email.it
simone.org (Registered) 01-10-2007 12:25

sn d'accordo.
In aprticolare, come ho sottolineato già altrove, è ribattante questo nostro accorgerci da un giorno all'altro dell'esistenza di temibili ditatture che fanno i loro comodi da anni.
da quant'è, ad esempio, che i Karen combattono contro il regime? E chi parla mai di loro?
Tra un po' di tempo ci accorgeremo di qualcos'altro e allora via con manifestazioni di facciata con le bandierine di aualche altro colore.
www.simoneinarcadia.altervista.org
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