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Assoluta libertà di satira? PDF Stampa E-mail

10 Gennaio 2015

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La ferrea legge del gregge obbliga a ripetere quanto tutti i media scrivono e proclamano: “la libertà di satira è sinonimo di libertà di espressione, vanto intoccabile della nostra civiltà”.

Dissentire da questa affermazione è tanto difficile che per iniziare a farlo è opportuno ripararsi dietro l’autorità del Financial Times che, pur solidarizzando ovviamente con la Francia ferita dall’attentato e col giornale satirico Charlie Hebdo, ha fatto notare come offendere la sensibilità dei musulmani con vignette che sbeffeggiano Muhammad sia un errore da evitare. Il giornale inglese lascia intendere che nella libertà di satira bisogna fare un’eccezione perché in Europa vivono milioni di musulmani e i musulmani sono poco inclini all’ironia, soprattutto quando si tratta del loro Profeta.

Andrei oltre questo cauto “distinguo”. È lecito contestare l’affermazione che “la satira deve essere sempre consentita in nome della libertà”. È riprovevole prendere in giro Muhammad facendone una caricatura tendente a provocare sghignazzi, perché offende la sensibilità di più di un miliardo di credenti. Per lo stesso motivo è riprovevole disegnare caricature beffarde di Gesù e di Maria. Sarebbe bene che agisse una autocensura, ma in sua mancanza dovrebbe intervenire una censura prevista a livello legislativo.

Ci sono inoltre figure che in certi contesti culturali assumono una sorta di alone sacrale, codificato dalla storia e dai costumi. È il caso dell’imperatore del Giappone, anche se formalmente è stato privato della sua divinità dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale. In Giappone sarebbe riprovevole mettere in satira l’Imperatore facendone una caricatura, così come sarebbe poco amichevole da parte nostra verso quel popolo rappresentarlo in forme che inducano al riso. Il papa, da quando viene tranquillamente raffigurato in vignette satiriche, dimostra con ciò stesso di aver perso l’alone di sacralità da cui era circonfuso, il che equivale a dire che ciò che rappresenta non ha più alcun valore, se non per quei credenti che avrebbero diritto di sentirsi offesi da quella mancanza di riguardo. L’istituzione monarchica in Inghilterra ha goduto negli ultimi secoli di una sorta di devozione. Il fatto che oggi anche i personaggi della Corte siano messi alla berlina è una testimonianza non della maturità della democrazia britannica ma di un processo di decadenza che investe anche quella società considerata tradizionalista.  

Da un altro punto di vista, che coinvolge personaggi che nulla hanno di sacrale, anche la satira che prende di mira una caratteristica fisica che in qualche modo rappresenti un handicap, è sommamente riprovevole. Indurre il fruitore della vignetta a ridere di Brunetta mettendo in caricatura il suo nanismo, è qualcosa di  sgradevole per chiunque mantenga un sentimento di rispetto per le persone, anche nella polemica verso i loro comportamenti e le loro idee. Insomma, non è vero che il diritto di satira è intoccabile.

Volendo dissertare alla buona sul tema, bisognerebbe distinguere fra ironia, satira e sarcasmo. L’ironia è lieve, allusiva, propensa anche all’autoironia. È il sorriso distaccato e indulgente del saggio. La satira è un’ironia più aspra, più pungente. Suscita il riso. Il sarcasmo è aggressivo, spesso volgare, vuole demolire idee e persone. Vuole suscitare una sghignazzata. La comicità di Charlie Hebdo è sarcasmo della peggiore specie.  

Una cultura che schernisce tutto, è espressione di una civiltà che ha perso non solo qualunque senso di sacralità ma anche il rispetto profondo per la persona. Ridiamo di tutto perché non crediamo più a niente. Ridiamo di tutto e di tutti perché non abbiamo né fede né ideali. Siamo “l’ultimo uomo” vaticinato da Nietzsche. Un’ umanità consapevole della morte di Dio e nello stesso tempo indifferente al vuoto di valori che quella morte lascia. Un’umanità che di vuoto si nutre, lasciandosi vivere di una vita insensata perché priva di orientamento.

Un’altra considerazione è doverosa. Chi ha distrutto intere nazioni, in una strategia che ha indotto Escobar a parlare giustamente di “Impero del Caos”, chi ha ucciso centinaia di migliaia di persone, in Iraq, in Libia, in Siria, in Afghanistan, e costretto altrettante persone a dolorosissime migrazioni lontano dalle loro radici, chi ha fatto impiccare il capo di un Paese che non ci aveva aggredito, chi ha fatto  linciare il capo di un’altra nazione con cui avevamo corretti rapporti commerciali e diplomatici, chi ha promesso ad Assad  che le “sue ore erano contate”, in definitiva chi ha seminato odio, non dovrebbe stupirsi se quell’odio rifluisce in forme di esasperazione fanatica e sanguinaria.

Non dovrebbe essere necessario aggiungere che queste considerazioni sono rivolte a capire da dove nasce la furia omicida, non a giustificarla, ma le precauzioni non sono mai troppe perché i fraintendimenti sono continui e sistematici.

 

Luciano Fuschini 

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