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Ardire di essere illiberali PDF Stampa E-mail

21 Febbraio 2015

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Da Appelloalpopolo del 15-1-2015 (N.d.d.)

 

 “Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino ad allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, conoscenza, ecc. – tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale o fisica, divenuta valore venale, viene messa sul mercato per essere apprezzata al suo giusto valore” [Marx, Miseria della filosofia, Risposta alla filosofia della miseria di Proudhon, (1847), Roma, 1998, p. 78]

L’era della mercificazione totale, magnificamente ritratta nella pagina di Marx, è giunta. Si è compiuta. Si è compiuta, perché la nostra generazione ha vissuto anni nei quali tutto era alienabile e tutto è stato alienato.

Il prestigio di uomo di cultura e di uomo di sport è stato venduto mediante contratti di sponsorizzazione. Può apparire curioso ma fino a pochi decenni fa ripugnava, non soltanto alla coscienza sociale, bensì anche all’ordine giuridico, che qualcuno potesse vendere il proprio prestigio. La giurisprudenza, in tempi che culturalmente ci appaiono lontanissimi ma che storicamente sono vicini, negava validità ai primi contratti di sponsorizzazione.

Gli occhi, le anime, le menti dei telespettatori sono continuamente venduti al capitale marchio. Questa vendita è il fondamento strutturale della moderna società capitalistica. Anche in questo caso, fino al recente avvento della televisione commerciale, il fenomeno aveva un rilievo relativo e non poteva essere definito strutturale.

L’utero è stato affittato; lo sperma e l’ovulo venduti. I divieti di alcuni stati nazionali poco hanno potuto contro il mercato globale, che gli stati, becchini di sé medesimi, hanno concorso a creare.

Saper vendere la propria persona è diventata la prima e più importante qualità per ogni uomo che intenda percorrere una carriera. E sapersi vendere significa comportarsi come l’altro si attende da te. “Sono come tu mi vuoi” è la regola imperante. Ed è regola diabolica, perché auto-impone la vendita dell’anima.

L’esercizio dei poteri pubblici è stato venduto: da chi è stato al vertice del potere politico di uno stato europeo (si pensi al caso dello spregevole Schroeder), cosa mai accaduta prima, e da milioni di più modesti funzionari, in quantità un tempo impensabili anche nei periodi di grande corruzione.

Medici vendono il loro ruolo e la loro missione alle case farmaceutiche.

Le Università, in cambio delle tasse pagate da alcune categorie di iscritti (consulenti del lavoro, finanzieri, guardie forestali, ecc.) e dei finanziamenti che lo Stato italiano, ormai miserabile, ha elargito (anche) in funzione di quelle categorie di iscritti, hanno venduto il titolo di dottore.

La simpatia, la sveltezza e la purezza dei bambini sono vendute in programmi televisivi, dove piccole anime innocenti cantano canzoni con testi da adulti, sebbene, a rigore, sovente si tratti di testi da adulti-minorati. I tempi in cui le apparizioni televisive dei bambini erano limitate allo zecchino d’oro appaiono lontanissimi; e invece sono appena dietro di noi.

Mai la prostituzione è stata diffusa come nel nostro tempo.

E nell’epoca di internet il primato sulla rete spetta ai siti pornografici. Tramite il telefono voci di donna vendono compagnia a giovani e vecchi arrapati. Finanche l’erezione e l’eccitazione sono state vendute e acquistate nella forma di viagra e simili.

Sono stati acquistati nasi, seni, zigomi, occhi, fianchi e glutei.

Gli psicofarmaci impazzano. Anche la felicità o meglio la serenità ormai è in gran parte venduta. E nella madrepatria della mercificazione, persino la calma e l’attenzione dei bambini sono vendute e acquistate: si paga denaro per ottenere “sostanze” (psicofarmaci) che servirebbero a calmare e rendere attento un bambino.

Come se ne esce? Dico astrattamente, magari con un percorso lungo un secolo.

È pensabile una proposta politica alternativa a quella dominante che tralasci il tema della mercificazione? Assunto l’orizzonte della mercificazione totale, come orizzonte comune al pensiero dominante e a quello che stiamo ipotizzando “critico”, può quest’ultimo essere davvero considerato come “critico” se affonda sulla medesima indifferenza dei valori sulla quale poggia il sistema dominante? Il partito alternativo al partito unico delle due coalizioni, se e quando verrà, deve essere anche, per certi versi, un “partito della verità e della giustizia”?

Ripeto la domanda, perché nella nostra cultura suona come un’assoluta novità: il partito alternativo al partito unico delle due coalizioni, che si spera venga prima o poi ad esistenza, deve essere anche un “partito della verità e della giustizia”?

La mercificazione totale non è periferica rispetto al sistema che si vorrebbe contestare; ne è il cuore pulsante. Se è sovrastruttura, è elemento di quella parte della sovrastruttura che condiziona la struttura. So che un tempo avrei sorriso e sarei persino inorridito per la domanda che pongo; mentre oggi essa mi appare domanda dotata di senso: domanda radicale. Una delle più profonde e importanti domande imposte dal pensiero critico.

Offrire una risposta negativa – non abbiamo bisogno di un partito della verità e della giustizia – appaga il nostro sentirci occidentali, eredi dell’illuminismo, atei o agnostici e comunque laici; ma al tempo stesso pone in dubbio e anzi direi in crisi il nostro anticapitalismo o comunque il nostro essere critici nei confronti dell’esistente, posto che l’era ritratta da Marx, ormai giunta a compimento, è l’era del capitalismo trionfante che stiamo vivendo: l’era della mercificazione totale. La risposta negativa si nasconde dietro un dito, quando muove dalla considerazione che sia sufficiente attribuire al cittadino il diritto di non acquistare. Questo è proprio il pensiero dominante, che ha orrore di norme che pongano il divieto di produrre e di vendere: lo schiavo, come è noto, è schiavo in primo luogo perché pensa come uno schiavo. 

La risposta positiva è coerente con la critica del capitalismo e con il pensiero critico in generale, ma impone una riflessione sull’eredità dell’illuminismo e segnatamente sul principio della separazione del giudizio politico-giuridico dal giudizio morale. L’esito della inesorabile applicazione secolare del principio di separazione è stato la scomparsa della morale – non della vecchia morale, che si voleva abbandonare per un’altra, bensì della morale tout court – e quindi la mercificazione totale: là dove tutto è merce non vige morale. Nulla è inalienabile.

Io comincio da un po’ di tempo a rispondere in senso positivo.

Sarebbe opportuno che tutti coloro che si considerano antagonisti del sistema si interrogassero: fino a che punto il liberalismo (di Einaudi, tra l’altro, non quello di Croce) ha conquistato i nostri cuori e ottenebrato le nostre menti? Antagonismi, socialismi, comunismi, ambientalismi, gli altri mondi possibili, le utopie eque e solidali, le ricollocazioni geopolitiche, le sovranità politiche o monetarie, le teorie dei “beni comuni”, le decrescite sono intrinsecamente e essenzialmente soltanto “forme buone” (ossia semplici miglioramenti) del liberalismo? Stanno dentro l’epoca della mercificazione totale e si accontentano, in pieno spirito liberale, di indicare ad alcuni la strada per una vita migliore? Se è così, perché ipocritamente continuare a sentirsi parte di una critica radicale?

Suvvia, cominciate a pensare che cosa vietereste; quale vendita sanzionereste! E dopo averlo pensato ditelo: “vieterei questo e quest’altro”. Fatevi paura, interrogandovi; poi superate la paura e impaurite i vostri commensali con frasi che li sconvolgeranno. Ardite essere illiberali! Sarà l’inizio della emancipazione da un pensiero totalitario che tutti ci ha conquistati.

Stefano D’Andrea

 

  

Commenti
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fosco2007@alice.it
admin (Super Administrator) 21-02-2015 17:47

Riflessione profonda, da meditare
lorenzo (Registered) 21-02-2015 19:05

Tofeelnottoknow - ovvero - l'emozione di Celentano e di D'andrea.
Non è razionalmente. Non è capendo. Non è sapendo. È sentendo che si attiva in noi il motto attivo. Senza un´emozione la nostra azione è priva di noi. È aperta all´alienazione. Due opposte direzioni che tendono rispettivamente a realizzare la bellezza e la forza, piuttosto che la vulnerabilità e la povertà.
Siamo in molti ed in crescendo a riconoscere il significato profondo del valore della decrescita, del prepolitico, una moltitudine ancora sparpagliata, forse anche in attesa di un timoniere, in attesa certamente di un'emozione che raduni.
Non si tratta di attendere le primarie per guidare il crescente movimento di coloro che non credono nel Pil, nei consumi, nell´accumulo, nella pubblicità, nella sua mortificanze invasiva pervadenza, nei dj, ancor più mortificsanti, nell´opulenza, nell'edonismo prima da bere ora preteso, nei centri commerciali, nei gingle, nelle multinazionali, nel denaro, nel turismo da tacca vanesia, nell´esportazione della democrazia, negli armamenti.
Sono gli stessi che si stanno mettendo in ascolto, un modo che non sapevamo, che non ci avevano isegnato perché avevano puntato tutto sul sapere. Accumulo di averi cognitivi in sede di essenza creativa. Uno a misura di ideali e interessi materiali, l'altro, a misura di quelli corrispondenti alla nostra natura ed armonia.
Privilegiare l´intelletto e togliere credito al corpo. Questo avevamo imparato.
Ratione si. Emozione no.
Ma se Celentano senza dire quasi nulla riesce a radunare lo spirito di molti, se riesce a aggiornare l´ago della bussola di molti altri, forse sta a dire che se qualcuno saprà radunare la forza ora individuale per trasformarla in sociale, sarà per un´emozione. Celentano, non spiega come saprebbe un professore. Dopo non si sa di più. Dopo, si è di più.
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